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Autore: IamShe    11/09/2013    13 recensioni
Non è buffo? È mio marito e padre di mio figlio, ma non conosce quel qualcuno che è la causa scatenante delle mie azioni; quel qualcosa a cui la mia vita si relaziona per essere tale. «Shinichi Kudo» dico. Non lo conosce, sa soltanto che è il mio amico d’infanzia.
Sorrido, afflitta. Di che mi lamento? In fondo è davvero così.

Ran è sposata ed ha un figlio, ma il marito e padre del suo bambino non è Shinichi. Lui è mancato per dieci lunghi anni e continua a mancare. Eppure, anche quando credeva di aver finalmente voltato quella maledetta pagina, di aver dimenticato quel nome, si ritrova a dover fare i conti col suo passato. Un passato che è più vicino di quanto voglia ammettere.
Genere: Erotico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Ran Mori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Rieccomi, puntuale come sempre! xD Mentre fuori diluvia, io vi presento il nuovo capitoletto... che già dal titolo, è tutto un programma!
Avremo il ritorno di Sonoko, avremo ben due flashback (che io ho adorato scrivere), avremo Ran alla prese con la segretaria di Shinichi...
e con lui, ovviamente :) Vi lascio immaginare!

Pronti?
 
 
#5 Il bisogno di lui

 
Conan schiamazza nella culla alle prese con una fastidiosa pallina gommosa musicale regalatogli da mio padre. Ride nel comprimerla e nel sentirla suonare, ed io sorrido nel vederlo divertirsi farlo. Mia mamma mi raggiunge dalla cucina con due piatti di riso al curry, poggiandoli sul tavolo del salone. Ho l’impressione che sia migliorata a cucinare, lo dice anche mio padre, e lo sosteneva anche Conan – o meglio, Shinichi. Distolgo per un po’ lo sguardo da mio figlio, addentando una fetta di pane.
“Però Shinichi si è fatto proprio un bell’uomo” dice all’improvviso, senza guardarmi. “Conan-kun gli assomigliava assai, vero? Anche lui era così carino.”
Ci mancavano solo i complimenti subdoli e mirati di mia madre. Ho sempre pensato che, a dispetto di me e della mia insolita cecità nel notare quanto quei due si somigliassero, mia madre l’abbia sempre saputo in cuor suo. Non che abbia manifestato chissà che perplessità, ma pare che le mamme sappiano già cose che noi a stento riusciamo ad intravedere. Fu lei, infatti, un anno fa ad illuminarmi. In realtà si comportò più da fulmine in cielo, che non era per nulla sereno. Pochi giorni prima che io e Shinichi ci dicessimo addio, mia madre venne da me e cominciò a parlarmi. Mi disse che mi notava strana, che ero più silenziosa del solito, che non le piaceva stessi così...
“Continui a non mangiare? Continui a dimagrire, brava.”
Sbuffo, assottigliando gli occhi e riponendo il bicchiere sul tavolino. Vedo papà alzarsi e raggiungere la scrivania, accavallando i piedi su di essa e sdraiandosi, mettendosi comodo. Si affretta ad accendere la televisione, alzando il volume al massimo. Guardo l’orologio e mi accorgo che sta per iniziare un programma di Yoko Okino.
“Aveva ragione Conan-kun? C’è qualcosa che ti turba?”
La fisso, e a stento riesco a controllare le mie emozioni. Come dirle o spiegarle quello che mi sta accadendo?
“Non c’è nulla, mamma. Già te l’ho detto.”
“C’è qualche problema con Shirai-kun?” domanda, spinosa. “È tornato dall’Hokkaido, no?”
Scuoto il capo velocemente.
“E allora che c’è? Non penserai ancora a quel detective, vero?”
“Ma che dici, mamma!” sbotto, paonazza.
Lei sospira, si avvicina leggermente e tende ad abbassare la voce. “Ho notato che sei molto vicina a Conan-kun in questo periodo. Non è che lo fai perché lui è molto simile a Shinichi-kun, vero? L’hai notato anche tu, no? Potrebbe quasi essere lui.”
Il respiro si ferma, mentre le sue parole prendono spazio nella mia mentre. Potrebbe quasi essere lui. Potrebbe. Essere lui.
“Non dire stupidaggini.” Sorrido, volendo smorzare quella tensione. Nel frattempo mi alzo, non riesco a stare ferma. Ho un bisogno improvviso di raggiungerlo, di chiederglielo. “Conan-kun è solo mio fratello.”
“Certo, ovviamente.”
“Piuttosto, sai dov’è? Non c’è in casa.” Domando velocemente, frenetica. Sento le gambe muoversi ancora prima che io glielo comandi. Mia madre mi fissa stranita, poi alza le spalle.
“Mi ha detto che andava ad allenarsi a calcio.”
Non ha il tempo di dirmelo, che io già sono fuori casa. Riesco ad avvertire l’eco della sua voce lontana che mi chiede dove io stia andando, ma lo ignoro volutamente. Non voglio che sappia quello che sta succedendo, non voglio che scopra qual è il significato del braccialetto che porto al polso. Lo guardo, luccica come sempre, come tutte le ore della giornata.
“...un mio per sempre sarà comunque con te” mi ha detto, senza troppi complimenti, senza troppi indugi. Corro velocemente verso il campo di calcio del Teitan, ringraziando me stessa per essere allenata ed abituata alle corse. Nel tragitto urto due o tre persone, schivo le spalle di qualche passante, senza nemmeno fermarmi a chieder loro scusa. Raggiungo la mia vecchia scuola con l’affanno, appoggiandomi ad un pilastro dell’edificio a riprendere fiato. Percorro altri cento metri, affacciandomi al campetto. Una fitta mi prende lo stomaco, spingendomi a stringere i denti: non torno qui dalla scomparsa di Shinichi. Noto cinque ragazzi esercitarsi a tirare rigori, con delle tute bluastre addosso, mentre un altro gruppetto è a fare flessioni e riscaldamenti. Lui è lì, accovacciato a terra, poco più distante degli altri. Scendo le scale e percorro il campo, sotto lo sguardo curiosi dei liceali e di alcune ragazze. Lo raggiungo, guardandolo dall’alto, e lo obbligo a fermarsi.
“Che ci fai tu qui?” mi sorride, sembra contento di vedermi.
Lo incinto ad alzarsi: “Ho bisogno di parlarti.”
“Adesso?” si gira intorno, scontrandosi coi volti delusi dei suoi compagni di classe.
“Adesso.”
Si alza, mentre alcuni dei suoi amici lo prendono in giro con frasi ironiche e stupide: “ti piacciono le donne adulte, Edogawa-kun?!”, lui ridacchia ed io arrossisco. Nel girarmi, mi scontro col viso rattristito di Ayumi. Dimentico sempre che lei è innamorata di lui, e mi chiedo come faccio, perché mi assomiglia. In lei vedo me dieci anni fa. Recito un dolce “ciao”, ma non me lo ricambia. E so anche il perché. Abbasso il capo, le passo avanti.
“Mi dispiace davvero, Ayumi-chan...” le sussurro. Lei lo sente, si gira, ed una lacrima le solca il viso. Gocce amare invisibili agli occhi della persona che ama. Che ama in silenzio.
Io e Conan risaliamo le scale, e quando noto alcune ragazzine mandarmi occhiate torve e sinistre, altre quasi tentano di raggiungermi e bloccarci. Sento una sussurrare all’amica - con fin troppa poca discrezione: “ma chi è questa?”, e vedo l’altra scuotere il capo. Le ignoro, e mi rallegro che lo faccia anche lui. Dopo circa due minuti, raggiungiamo un piccolo spiazzale coperto da un muro a destra, e da alcuni cipressi a sinistra. Spero solo che quella mandria di adolescenti in calore non c’abbia seguiti. Ci fermiamo all’unisono, ed io non riesco a fare a meno di notare le goccioline di sudore che gli cavalcano il viso e il corpo.
“Che c’è? Non potevi aspettare che tornassi a casa per parlarmi?” mi domanda, poi si sfuma di malizia: “Non vedevi l’ora di rivedermi?”
Le mie labbra si arricciano in una smorfia involontaria. “Ho aspettato abbastanza, non credi?”
Lui non parla per qualche istante, mi fissa soltanto. Poi si asciuga il sudore con il lembo della maglia, strofinandosela sulla fronte.
“Che vuoi dire?”

“Merito la verità. Ho bisogno di sapere la verità, adesso.”
“La verità?”, vedo Conan deglutire ed appoggiarsi al muro. “Su cosa?”
Sospiro, mentre stringo le mie dita intorno al braccialetto che mi ha regalato. Lo sento muoversi, come se avesse vita propria, come se cercasse di dirmi cose che nessuno di noi due ha mai avuto il coraggio di accettare.
“Voglio da te l’ultima conferma che lui davvero mi ha abbandonata e non ha mai pensato a me come qualcosa in più. Voglio la conferma che le mie sono state tutte illusioni, che lui è solo e sempre stato un grande stronzo.”
Ride. “Di chi stai parlando?” chiede, in un soffio.
“Lo sai.” Replico, non ho più forza di sopportare questo peso mortale. Io ho il diritto di sapere. Lo guardo, e noto lui fare altrettanto. “Di Shinichi.”
Conan non risponde per qualche secondo di troppo. Poi sospira: “è ancora importante?”
Respiro velocemente, con fatica e affanno. A stento riesco ad annuire.
“Sei...tu?” Conan si asciuga un altro po’ la fronte, che luccica ai raggi solari.
Penetra con gli occhi azzurri nei miei, mi dice: “sì, sono io.”
E la mia vita ha di nuovo un senso.
Riemergo dal passato come folgorata da una scossa. Ho il palato secco e le fauci aride, gli occhi in fiamme, pronti a scoppiare. Ho bisogno d’acqua, mi sento strozzare.
“Da quant’è che non lo vedevi?”
La voce di mia madre mi capacita di dove sono e mi sveglia ancor di più. Mando giù un sorso e metto via il bicchiere. Cerco di mantenermi vaga, ma non oso nemmeno io alzare il capo dal piatto.
“Una... una decina d’anni, direi.”
“Ed è venuto a trovarti così? All’improvviso?”, il suo tono curioso mi terrorizza.
“No... è che... Shirai gli ha chiesto un favore riguardo un caso. E allora...” mi blocco, avvertendo il suono del campanello. In questi giorni sta suonando un po’ troppo spesso. Mi pulisco le labbra e corro ad aprire la porta. Non dovrei farlo, ma un brivido mi scorre sulla schiena: sto sperando sia lui.
Ed invece è Sonoko, gioiosa e pimpante come sempre.
“Amica! Ho comprato un’altra pallina al pargoletto... è firmata Fendi, eh!”, me la mostra roteandola tra le dita, con un sorriso indelebile sul viso.
“Non dovevi, Sonoko”, riesco a sorridere anche io. “Lo stai viziando troppo.”
“A questo servono le zie” mi fa l’occhiolino, ed io le rispondo con un semplice sorriso. Camminiamo insieme verso la sala da pranzo, dove mia madre è ancora intenta a mangiare il riso. Alza il capo e con un cenno saluta la mia amica, donandole un bacio sulla guancia.
“Grazie comunque, eh”. Mi fa un gesto largo con la mano, poi osserva i piatti.
“C’è un po’ di riso anche per me?” mi chiede poi, strofinandosi la mano sullo stomaco. “Non ho mangiato nulla, ho una fame da lupo!”
Annuisco e le dico di sedersi. Corro in cucina e preparo un piatto anche per lei, portandoglielo nel giro di qualche minuto. Mi siedo con loro due a tavola, dando un’occhiata a Conan che sembra essersi addormentato nella culla con le gambe all’aria. Riesce a trovare sempre le posizioni più strane!
Poi torno a guardare loro: e a pensare che adesso dovrei essere a mangiare con lui...
“Ran, dicevamo?”, mia madre beve un sorso di acqua e si mette a fissarmi. “Perché Shirai ha bisogno di un detective?”
Sonoko smette di mangiare per qualche istante, ed io stessa lascio andare le ultime forchettate nel piatto.
“A causa di alcuni biglietti anonimi che giungono a lavoro.”
“Detective?”, mangia un po’ di pane la mia amica. “E a chi si è rivolto?”
Il mio cuore accelera. Immagino già la sua reazione. “A... a Shinichi Kudo.”
Alcuni chicchi di riso cadono dalla bocca di Sonoko, precipitando sulla tovaglia. Lei nemmeno se ne accorge: le labbra sono dischiuse ed immobili, lasciando intravedere i suoi canini.
“L-lui?”, la forchetta a mezz’aria incute una certa paura. “Quel... S-Shinichi Kudo?”
“Sì... lui.” Ammetto velocemente, tornando a masticare quel po’ di riso freddo che è rimasto. Non la guardo più, ma so per certo che non si è mossa di un millimetro. E con lei, anche mia madre.
“Quindi... è tornato? Cioè, sì” dice, con voce ambigua. “È tornato, ma... cioè... vi siete riparlati?”
Annuisco senza alzare il capo.
“Oddio! Dopo dieci anni vi siete riparlati?”
La lingua mi si appiccica al palato, non riesco a pronunciare parola.
“Certo! Prima Shinichi-kun era qui! È andato via un po’ prima che arrivassi tu!” la informa mia madre con spontaneità, anticipando ogni mia possibile mossa.
“Era qui!?” sbotta Sonoko, incredula.
“Sì, è venuto per parlare con Shirai... del caso” aggiungo, sperando di aver usato una voce abbastanza convincente. Vorrei dirle tutto, sfogarmi con qualcuno... ma cosa penserebbe di me? Sono una madre adultera...
“Oh”, la mia migliore amica mi guarda e si zittisce. Abbassa il capo e non dice più nulla sulla questione e, per fortuna, nemmeno mia madre.
 
 
Cammino nel viale alberato, cercando di mantenere il mio passo calmo e tranquillo. Conan non c’è: il nonno materno l’ha voluto con sé, ed io ho acconsentito a lasciarlo per un po’ con lui, sotto le cure protettive di mia madre. Ho dato loro il biberon e il latte in polvere, e li ho pregati di chiamarmi qualsiasi cosa succedesse. Guardo in su: le nuvole grigio scuro nel cielo non promettono nulla di buono. Spero solo non venga a piovere, anche perché non ho portato l’ombrello. Giungo alla fine del viale col cuore in gola. Che ci faccio qui? Perché sono venuta a trovarlo? È il suo ultimo giorno d’ufficio della settimana, ed io ero troppo curiosa di sapere dove lavorasse, cosa guardasse appeso ai muri ogni giorno, che tipo di profumo sentisse. Ho cercato l’indirizzo sull’elenco e l’ho raggiunto nel giro di dieci minuti. Sono davanti alla porta e non ho il coraggio di suonare. Sarà libero? Non importa. Busso, e la porta si apre davanti a me, in un gesto meccanico e in un ronzio tecnologico. Mi faccio avanti nella sala d’attesa, o quella che credo essere tale, dove mi imbatto in due uomini di età differente, l’una sulla trentina e l’altro sulla cinquantina, una donna sulla quarantina, ed in una ragazza. Quest’ultima è dietro il bancone.
“Buongiorno. Ha un appuntamento?” mi saluta, cordialmente. Per qualche attimo interminabile il mio cervello non connette: che ci fa questa ragazza qui? Perché mi saluta? Cosa vuole?
Poi comprendo. Sarà la sua segretaria. Aspetta. Ha una segretaria? E perché non me l’ha detto?
La giovane mi guarda un po’ titubante, stranita dal mio sguardo spaesato e palesemente diffidente.
“Buongiorno” ribatto, un po’ brusca. Avverto uno strano calore bruciarmi e risalire su per gli organi vitali. Mi avvicino con lentezza, ma il mio passo mi tradisce. Sono irrequieta, e l’ira sale nel guardare questa giovane, decisamente troppo carina, aspettare che io spieghi che ci faccia lì.
“Sei... la sua...” mi mordo la lingua, imponendomi una sorta di razionalità. “Sei la segretaria del detective?”
È ovvio che non s’aspettasse la mia domanda, che suona terribilmente ovvia. Mi guarda come a dire e-secondo-te-cosa-sto-facendo-qui? ma si guarda bene dal riferirmelo.
“Sì. Posso aiutarla?” tenta di essere comunque gentile, ed il suo tono finto non fa altro che stizzirmi. Perché Shinichi ha voluto una segretaria? Sono sicura che poteva farne a meno.
“Il detective è libero?”
“No, al momento è occupato con un cliente. Ha un appuntamento per vederlo?”
Le vorrei rispondere che io non ho bisogno di appuntamenti, ma mi rendo conto io stessa della mia stupidaggine. Sono sposata e mi ritrovo a ingelosirmi per una tizia sconosciuta che siede ogni giorno dietro il bancone dell’agenzia di Shinichi. Ogni giorno.
Deglutisco. “No.”
Lei annuisce col capo. “È qui per una consulenza?”
Mando giù altra saliva. “Ehm... sì” fingo, pensando sia la cosa più giusta da fare.
“Ok” sorride lei. “Si accomodi, prego. Aspetti qualche istante che le dirò se il detective può riceverla quest’oggi.”
Tutto questo è molto imbarazzante. Mi siedo, notando gli sguardi dei presenti su di me. Staranno pensando che sono pazza. La ragazza fa qualche passo e bussa ad una porta di fronte a me, ma leggermente spostata sulla destra. È di vetro satinato, permette che la luce entri ma che non vi si veda nulla attraverso.
Sento la sua voce. “Avanti.”
Per un attimo il cuore mi tamburella. La ragazza apre la porta di qualche centimetro, gli rivolge qualche parola che io non riesco a sentire. Dopo qualche istante la chiude di nuovo e mi guarda, sorridente.
“Sarebbe così gentile da dirmi il nome?”
“Ran... Ran Mouri.”
“Il detective si libererà tra un’ora. Se vuole, può tornare dopo.”
Un’ora, un’ora ancora per vederlo. Scuoto il capo, sospirando.
“No, aspetto qui.”
Lei annuisce e scrive velocemente il mio nome su un foglio, poi torna a sedersi dietro la scrivania. Il tempo passa lentamente, e mentre tento di non lanciarle occhiate omicida, cerco di distrarmi nell’ascoltare la radio e i suoi speaker. Dopo venti minuti, dalla porta in vetro opaco ne fuoriesce il primo cliente. È un uomo molto robusto ed in carne, di circa sessanta anni. Recita un fievole “arrivederci” e poi scompare dalla stanza.
La segretaria porta lo sguardo sulla donna e l’uomo più giovani.
“Prego, potete entrare.”
Li vedo alzarsi ed afferrare una bottiglia di vino alla loro destra. Entrano nel suo studio, e passano altri venti minuti. Mentre aspetto mi torturo le mani, cercando di non fissare troppo la ragazza dietro il bancone. È giusto che abbia una segretaria in fondo, con tutta la clientela che ha non riuscirebbe mai a tenere a mente ogni appuntamento. Però perché mi da così fastidio? Forse perché è giovane, avrà circa venti anni, è decisamente troppo carina, e potrebbe facilmente sostituirmi. Deglutisco, rendendomi conto che non potrebbe mai farlo, perché io per lui non sono nessuno. Sono la moglie di un altro, o peggio ancora, la sua vecchia amica d’infanzia. Cosa dovrebbe sostituire allora? Non riesco ad immaginare di saperlo nelle braccia di un’altra, ma è un pensiero così sciocco che lo elimino subito dal mio cervello. Guardo l’orologio. Sono le dodici e quaranta. È passata quasi un’ora, e tra poco lo vedrò. Come debbo comportarmi? Cosa gli dirò? Sicuramente mi domanderà perché sono qui, e purtroppo non lo so nemmeno io. Volevo solo vederlo, voglio solo... baciarlo.
Baciarlo... mi sfioro le labbra, immergendo lo sguardo nel vuoto.
Mi alzo dal materasso ricercando la bottiglietta d’acqua che ripongo sempre ai piedi del letto, senza trovarla. Ieri sera ho dimenticato di prenderla. Sbuffo, stropicciandomi gli occhi con il dorso della mano. Ho i capelli scompigliati e legati in una coda allentata, che lascia piena libertà ai miei ciuffi ribelli. Cammino con le palpebre leggermente dischiuse e con la bocca impastata dal sonno.
Arrivo in cucina, dove trovo Conan. Lui mi sente, -ho sempre pensato abbia l’udito più sviluppato della norma-, e si volta a guardarmi. Qualche secondo d’incertezza, poi torna a tuffarsi nel frigo.
“Cosa cerchi?” gli chiedo, avvicinandomi a lui. La luce accesa del frigo va a creare un fascio di luce nell’oscurità. Ciò mi costringe ad aprire un po’ di più le palpebre e a focalizzarlo meglio: è seminudo, coperto solo da dei boxer neri molto attillati. Avverto le mie guance imporporarsi all’istante, anche perché non riesco a staccargli gli occhi di dosso: non c’avevo mai fatto caso, ma il suo fisico... è bellissimo. È magro al punto giusto, mentre i muscoli si sviluppano nei posti più strategici. Ha delle belle spalle, le gambe muscolose -per via delle innumerevoli ore ad allenarsi a calcio-, ma soprattutto ha la pancia piatta, scolpita da addominali. Deglutisco, imponendomi di ignorarlo: è mio fratello, dannazione!
“Nulla” risponde, con la solita freddezza che lo contraddistingue in questo periodo. Chiude il frigo e sembra andarsene, quando io lo blocco per il polso.
“Che hai, Conan-kun?”
“Che intendi?”
“Lo sai. Non parliamo più... non ci confidiamo più come un tempo. Ti ho fatto qualcosa?”
Lo vedo deglutire e credo che la mia domanda l’abbia messo un po’ in difficoltà.
“No, nulla” dice poi, cercando di convincermi. Non mi guarda negli occhi, ed io sono costretta ad alzargli il volto con due dita.
“Per favore. Non voglio che tra me e te ci siano incomprensioni.” Lo supplico quasi, mentre accarezzo debolmente il suo mento: ha la pelle liscia, liscia come seta. Non smetterei mai di toccargliela...
“Non ce ne sono” dice, e con un gesto secco mi sposta le dita dal suo viso.
Ma io insisto: “Dai. Perché sei così freddo?”
I suoi occhi azzurri si posano sui miei. Ho un tuffo al cuore: sono uguali a quelli di Shinichi. Non indossa gli occhiali, e ciò non fa altro che approfondire il contatto e farmi stare sempre più male. Le sue iridi cristalline sembrano emanare scintille di cui si cibano le mie pupille.
“Mi vuoi più... caldo?”chiede poi, lasciandomi interdetta. Che vuole dire?
Si avvicina, mi afferra i fianchi, fa scivolare la mano dietro la mia nuca, e improvvisamente... mi bacia. Le sue labbra sono bollenti sulle mie, eppure lungo il mio corpo scorrono milioni di brividi di freddo. Lascia che la lingua scivoli nella mia bocca aprendomela, e mi stringe ancora un po’ di più a lui, come se non volesse farmi staccare. Ci metto un po’ a capire cosa sta accadendo: si appoggia a me, mi schiavizza contro il muro, ed io non ho la voglia necessaria per fermarlo. Il cuore è impazzito nel mio sterno, ma prima che possa fuoriuscire, lo caccio via da me, sbattendolo qualche metro lontano.
Ho il fiatone e gli occhi spalancati, ma non smetto un secondo di fissarlo.
“C-Conan-kun!”
Lui mi sorride. “Questo... era abbastanza caldo?”
Io non lo sapevo, ma quello fu il primo vero bacio tra me e Shinichi. Non lo sapevo, ma era quello che avevo sempre sognato di ricevere. E sì, era abbastanza caldo.
Escono anche gli altri due, costringendomi a tornare nel presente. Improvvisamente mi ritrovo ad esultare, e mi alzo dalla sedia di scatto, spontanea. Ho un’irrefrenabile voglia di abbracciarlo. Poi mi rendo conto che dovrei almeno chiedere il permesso d’entrare, dato che non sono a casa mia.
“Posso?” mi rivolgo alla ragazza, imbarazzata. Lei mi lancia un’occhiata strana, credo si stia domandando se mi manca qualche rotella.
“Aspetti solo un secondo.”
Poi la vedo tornare dentro quella stanza, e chiudersi completamente la porta dietro le spalle. La scruto con profondità: cosa starà facendo? Mi avvicino di qualche passo, frustata per non poter guardare, ma altrettanto infastidita dal poter scorgere le loro ombre. Poi guardo l’orologio, e mi accorgo che è ora di pranzo, e che quindi la ragazza dovrebbe stare per andarsene. E forse è entrata lì per salutarlo, per dirgli che sarebbe andata via. Magari lo sta baciando, gli sta dicendo che non vede l’ora di tornare per il suo turno pomeridiano.
Scuoto il capo, cercando di tener lontani questi pensieri. Sto girando un vero e proprio film. Shinichi mi ha detto che non è fidanzato ed io voglio crederci.
La ragazza esce fuori, si dirige alla scrivania, prende la sua borsa e la mette sulle spalle.
“Può entrare, prego.” Mi dice, avanzando verso la porta d’entrata. La vedo scomparire dietro la soglia, mentre i miei timori rimangono a farmi compagnia, insieme alla scia di profumo che ha lasciato. Mi aggiusto i capelli prima d’entrare, e mi metto a posto la camicetta rosa dai ricami in pizzo. Il pantaloncino di jeans lo sento stretto e scomodo, ma debbo impormi un certo autocontrollo. Lui mi sta aspettando. Magari sarà anche seccato di dover rimanere fino a quest’ora, si starà chiedendo quando potrà finalmente mangiare. Cammino verso la porta, ma le mani mi tremano nell’afferrare la maniglia. Sgrano un po’ gli occhi, mentre una scintilla di genio mi attraversa il cervello. Mangiare! Sì, gli dirò che non volevo mangiare sola, ed essendo senza Conan, sono venuta a trovarlo. Dovrebbe andare, sì. Però ho paura a rivederlo. Cosa farò? Gli salterò addosso? Lo bacerò? Lo abbraccerò? O dovrei – sì, dovrei – essere più fredda? Magari potrei solo salutarlo. Una stretta di mano. La sua mano...
Persa nei miei pensieri, nemmeno mi accorgo che la porta si apre, e che, irrimediabilmente, sbatte contro la mia faccia. Avverto un dolore tremendo espandersi sul labbro, che mi induce ad indietreggiare e a perdere l’equilibrio, mentre cerco di coprirmi il volto con una mano.
“Ran!”, Shinichi sembra avermi visto, e repentinamente mi afferra un polso per non farmi cadere. Mi attrae a lui ed io vado a sbattere contro il suo petto, a contatto con la sua camicia di lino bianco. È profumata e fresca, ma quando apro gli occhi e la metto a fuoco, noto che è sporca. Sporca di sangue.
“Ran? Stai bene?” mi domanda, mentre io mi guardo le dita. Il mio labbro sta sanguinando, l’impatto è stato tremendo. Deglutisco, avvertendo un po’ del sapore acido del sangue scivolarmi in bocca ed infastidirmi.
“Sì, sì” dico, frettolosa, eppure un po’ intontita. Poi alzo gli occhi su di lui, e mi perdo nel suo sorriso. Mi sta prendendo in giro, come al solito.
“Fa’ vedere... ti sei fatta male?” mi chiede, ridacchiando, scostando la mia mano dalle labbra e posandoci lo sguardo sopra. “Ma che ci facevi lì dietro? Ho pensato che fosse qualche cliente che non sapesse dove andare e stesse cercando di interpretare il difficile movimento dell’apertura di una porta...”
Avverto le sue mani sfiorarmi il viso per quantificare il danno, ma il suo volto è talmente vicino che quasi ignoro la sua provocazione.
“No, salutavo la tua segretaria...” gli dico, volutamente ironica. Lui alza lo sguardo su di me e assume un’espressione strana. “Non mi avevi detto d’averne una...”
“Be’, non credevo fosse importante” risponde lui, ed io subito mi ritiro in difensiva.
“Certo, non lo è. Era per curiosità.” Poi guardo la sua camicia e mi rabbuio. “Mi dispiace, ti ho sporcato.”
Lui abbassa lo sguardo e si mette a ridere nel notare il bel bianco della sua camicia macchiato da una viva chiazza di rosso sangue.
“Dovrò cambiarmi.”
“Se te la levi...” comincio, ma la mia lingua frena nel recepire il doppio senso della frase che stavo per pronunciare. Lui alza di nuovo lo sguardo, ridacchiando, ed io arrossisco.
“P-posso pulirtela” mi affretto a dire, mentre lui continua a ridere.
Annuisce, poi comincia a giocherellare vicino ai bottoni della camicia. Ne toglie uno, poi ancora un altro, ed io mi imbambolo a guardar venire fuori il suo petto allenato.
“Non ho ancora capito che ci fai qui” mi dice, mentre gran parte dei bottoni sono ormai tolti. E la sua pelle lucida e perfetta risplende alla luce dei raggi solari, rassomigliando a seta.
“Be’, vedi...” dico, cercando di impormi un certo autocontrollo. Sembro una ragazzina alle prime prese con l’altro sesso. “Conan è dai suoi nonni, ed io ho pensato di venirti a fare compagnia per pranzo.” Butto lì, provando ad essere più spontanea possibile.
Lui non risponde subito. Sfila i polsi dalla camicia e rimane a petto nudo davanti a me. Sono sempre più convinta che lui non sia pienamente cosciente dell’effetto che mi fa. Non posso guardarlo, così mi metto a girovagare per l’agenzia, alla ricerca di qualcosa da osservare sui muri.
“Va bene” risponde, sorridente. “Vuoi mangiare qui o andiamo fuori?”
Il mio volto vira automaticamente verso di lui. “Perché? Qui hai da mangiare?”
“Be’, sì” dice, poi mi fa un cenno con la mano, invitandomi a seguirlo. Entriamo nel suo studio privato. È una stanza rettangolare con due bei finestroni ai lati, che permettono alla luce di entrare in qualsiasi momento della giornata.
“Quando comprai questo locale, ebbi la premura di riservarmi uno spazio tutto mio.”
Mi dice di guardare in alto, dove intravedo un soppalco, a circa tre metri da terra.
“Perché?” chiedo.
“Perché spesso non ho il tempo di tornare a casa per mangiare, o peggio ancora per dormire.” Sale una piccola scalinata che pareva nascosta da un muro, ed io lo imito. Dopo una ventina di scalini, mi ritrovo a camminare su un pavimento largo circa due metri e lungo cinque, con di fronte un materasso adagiato a terra, coperto da un lenzuolo bianco, e alla mia sinistra un frigorifero e un piccolo armadietto. Lo vedo aprire il mini frigo ed estrarne da dentro una formina per ghiaccio. Poi pesca nell’armadio una pezza, dove ci rinchiude i cubetti d’acqua gelati. Me la porge, mentre getta la sua camicia sul letto.
“Tieni, mettila sul labbro.”
“Grazie” sorrido, e l’appoggio sulla bocca, avvertendo all’istante un leggero sollievo.
“Hai mica anche un po’ di detersivo lì dentro?” gli chiedo, indicandogli la camicia.
“Sì” dice, mettendosi a ridere.
Io strabuzzo gli occhi. “Davvero?”
“La signora delle pulizie lascia sempre il suo arsenale qui, una volta finito” mi informa, passandomi la bottiglietta da un cassetto che scivola fuori dall’armadio. Lui si china di nuovo nel frigo, dove ne scruta il contenuto. Dentro vi sono delle uova, degli affettati e un po’ di insalata. Nell’armadio accanto, Shinichi recupera un po’ di pane ed una busta di patatine.
“È tutto qui” dice, leggermente deluso.
“Non fa nulla. Va bene.”
Shinichi annuisce, ma non ho il tempo di dire altro che mi supera e scende di nuovo le scale. Velocemente giunge alla sua scrivania, dove recupera la bottiglia di vino che i suoi clienti gli hanno regalato.
“Abbiamo solo questo da bere” mi avvisa dal basso, mentre l’eco della sua voce risuona nella stanza. Io sorrido, e con la mano lo incinto a raggiungermi.
“Va bene così” gli urlo di rimando, mentre lo vedo risalire le scale.
“Ti porto a pranzo nel migliore ristorante di Tokyo se vuoi” mi dice, mentre stappa la bottiglia e ne versa il contenuto in due bicchieri. Uno me lo porge, invitandomi a berlo.
Non riesco a non ridere, mentre assaggio un po’ di vino. È buono. “Sbruffone.”
“Davvero.” Lui ridacchia, e mi imita. “Ti basta un panino e mortadella?”
Lascio scivolare giù ancora un po’ del liquido violaceo, poi lo guardo. “Mi basti tu.”
Silenzio. E solo dopo mi rendo conto di ciò che ho detto. Shinichi mi scruta con le labbra leggermente dischiuse e gli occhi fissi su di me, mentre le sue orecchie sono incapaci a credere cos’abbiano sentito. Ed anche le mie. Cosa mi è passato per la testa?
Il cuore mi batte forte nel petto e non riesco a trovare la forza per smentirmi, scusarmi, o anche solo cercare di riparare al guaio che ho combinato. Evito il suo sguardo, poso il bicchiere, e cammino verso il letto, mantenendo ancora il ghiaccio a contatto con la ferita. Recupero la camicia e ne spruzzo un po’ del liquido schiumoso sopra, giusto per distrarmi nel fare qualcosa.
“Alla fine sei andato all’azienda di Shirai?” chiedo, nel tentativo di distrarlo.
Ma non ottengo l’effetto desiderato: sento le sue braccia stringermi da dietro e le sue labbra strusciare sul mio collo.
“Sì, bel posticino. Perfetto per fare l’amore con te.”
Arrossisco all’istante, mentre inciampo coi piedi sul bordo del materasso. “Cretino! Non ho la minima intenzione di tradirlo dove lavora.” Gli rispondo, mentre tento di staccarmi dal suo petto nudo.
“E qui?” sussurra all’orecchio, ed un brivido mi percorre la zona interessata. Miliardi di tentativi di resistergli cadono miserabilmente al tocco della sua bocca, che scivola velocemente sino ad arrivare sulla mia calda guancia. Le sue mani si spostano sulle mie e mi inducono a far cadere la camicia sul letto.
“Shinichi...dai...” cerco di dire qualcosa, quando in realtà non saprei nemmeno da dove cominciare. Il mio amico d’infanzia lascia andare la pezza col ghiaccio, buttandola a terra, e poggia le mani sul lembo della mia maglia, alzandola con torturante lentezza. Mi spoglia, portando nuovamente le dita su di me. Mi stringe a lui, e vengo a contatto con la pelle del suo petto, nudo come il mio. Sbottona il reggiseno, lasciandolo scivolare sulle mie spalle, mi accarezza il seno e torna a baciarmi il collo. Mi appoggio a lui, alla ricerca del suo viso e delle sue labbra. Aiutandosi con la mano, Shinichi gira il mio volto verso il suo. Incontro la sua bocca e scordo all’istante ogni timore. La sfrego alla sua, fin quando non avverto la sua lingua leccare quelle gocce di sangue che ancora mi tormentano la bocca.
“Shinichi...” ansimo il suo nome, socchiudendo gli occhi.
Lascio che mi sdrai sul materasso, senza più alcuna voglia di fermarlo. Gli scompiglio i capelli con le mani e lo attraggo a me, completamente in balia del suo odore. Stringo i denti, mentre avverto un calore eccitante percorrermi il corpo. Sprofondo nei suoi occhi azzurri, senza più riuscire a capire cosa sia giusto o meno.

 
 
 
Sono qui, sono qui! Ebbene, siamo già a 5! O.O Vi posso confidare una cosa? In questi giorni mi era bazzicata l’idea di modificare la periodicità degli aggiornamenti ad una settimana... non volevo che la storia finisse così presto XD Considerato che ci spettano altri quattro capitoli, saremo insieme per altri venti giorni. Ditemi, se la passassi ad una settimana, sareste d’accordo?
*coro di insulti in arrivo*
Ehm... passiamo ad altro. Il capitolo vi è piaciuto, sì? :D Dite di sì, che sennò vi ammazzo XD No, scherzo! Ditemi che ne pensate...!
So... lo so che avreste voluto vedere Sonoko più attiva, ma lo sarà, non adesso... ma lo sarà xD Parlatemi dei flashback, dove abbiamo scoperto che Shinichi/Conan aveva ragazzine appresso anche nanizzato (ovviamente!)... e che il nostro magnifico Shirai, le corna, non se l’è procurate adesso... ma un anno fa! È vero che Ran è stata presa alla sprovvista, però... insomma... ci è stata XD
E poi, che dire della segretaria? Ran ha qualche problema di gelosia, impiega ore per aprire una porta, e si ritrova pure con il labbro rotto. Ma ovviamente... Shirai non si tradisce dove lavora, ma da altre parti sì! Hahaah! XD Mi sembra cosa buona e giusta, Ran u.u
Va be’, sti due ci stanno proprio prendendo il vizio. xD
Ma se il cornuto Shirai scoprisse qualcosa?

 

Spoiler #6 Il passato che ritorna
“Era lui il ragazzo per cui stavi male quando ti ho conosciuta?”
Socchiudo le palpebre. Colpita ed affondata.
“Non mi hai mai rivelato il nome del fantomatico uomo che ti ha spezzato il cuore.”
Inspiro l’aria necessaria per racimolare le parole nella mia gola: “Era lui, sì.”
Lui scoppia a ridere. “Lo sapevo... me lo sentivo... perché non me lo hai detto?”
“Non... non lo so. Non mi piaceva parlare di lui, a quel tempo.”

 
 
Ahi ahi... mi sa che Ran avrà qualche problemino da risolvere!
Ci vediamo il 16! Ed allora deciderò se cambiare periodicità. :)


Besos,
Tonia

 
   
 
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