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Autore: Hupa    11/09/2013    3 recensioni
Ok...una introduzione che sia tale...vediamo... Russia, notte... nuooooooo...non so che scrivere apparte che c'è Kei che di punto in bianco prende e se ne va di casa, naturalmente il nonnino ciò non gliela fa passare e il porello dovrà decidersi se stare dietro al suo orgoglio (e quindi morire congelato) oppure chiedere aiuto ai suo compagni... oh... si dai...non sono fatta per queste cose! xD
Genere: Drammatico, Azione, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kei Hiwatari, Max Mizuhara, Rei Kon, Takao Kinomiya, Yuri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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VENTICINQUESIMO

 

“Oh! Lady Doll, Lady Doll!

Are you tell me to hold on?

Are you tell me to betray you?

I was there for you.

You was there for me.

I can’t blame you.”

 

 

- Dovete denunciarlo… -

Vilena era irremovibile.

Indossava ancora il pesante montone nero e in mezzo a loro sembrava così fuoriposto in quel momento. Eppure era forse l’unica nella stanza ad avere le idee chiare e la mente lucida.

Rei la fissò con due profondi occhi dorati carichi di consapevolezza.

Aveva ragione.

Era ancora scosso dalle tragiche rivelazioni di Yuri, ma non poteva permettersi di cedere allo sconforto. Lui e Takao erano i più sconvolti, non avevano avuto la fortuna di incassare un colpo alla volta come era stato il caso del rosso o anche di Max. No… loro avevano dovuto ingoiare quel boccone tutto in una volta.

Il russo aveva raccontato loro per filo e per segno ogni minimo particolare. Aveva riferito delle notizie sui giornali, le voci che aveva sentito al monastero, le parole di Kei… non aveva tralasciato nulla.

Ora sapevano la verità… ma c’era ancora chi si rifiutava di credere.

- Quello che stai dicendo è assurdo, Yuri, e io non intendo assolutamente tradire in questo modo un mio amico! –

Anche Takao era irremovibile. Per tutto il tempo aveva negato, ripudiato, contestato ogni singola parola del russo.

Fu Rei a intervenire.

- Takao… - Con gentilezza gli posò una mano sulla spalla. – Anche ipotizzando che Kei stesse mentendo… quello che c’è sui giornali è una realtà. E’ un rischio troppo grande. –

- Kei non stava mentendo. – Yuri si interpose prima che il giapponesino potesse rispondere. – Era serio quando affermava di non essere innocente. Su questo ne sono certo… - Il suo tono non ammetteva repliche. Due freddi occhi gelidi sfidarono chiunque a contraddirlo.

Il capitano dei Blade Breakers era comunque un tipo che con le sfide conviveva da anni. – Ah? E in base a cosa di preciso puoi dire questo? – Per qualche ragione Takao aveva stabilito che Yuri era il nemico e ogni sua affermazione doveva essere contrastata.

- Perché lo conosco, Takao, e se in quell’istante tu fossi stato presente te ne saresti convito a tua volta. -

Il russo gli ringhiò quelle parole stringendo i pugni. Rei lo studiò per qualche istante; era stanco, frustrato, irato ma soprattutto era percepibile una profonda delusione nel suo atteggiamento, nel suo modo di riferirsi a Kei, nel suo sguardo...

“Perché sta succedendo tutto questo…?”

- Allora andrò a chiederglielo di nuovo! – Takao si diresse convinto in direzione della camera. Yuri non diede segno di volergli cedere il passo, restò immobile di fronte alla porta, poggiato allo stipite. Alla fine fu Max che con passo deciso si interpose tra i due.

Il biondino come suo solito era rimasto in disparte, ascoltando con attenzione le rivelazioni del rosso, soppesando le parole di Vilena e giudicando le reazioni di Takao.

- Nessuno di noi parlerà con Kei finché non ci saremo calmati. – Per quanto le sue parole fossero giuste, Rei sapeva benissimo che in quel momento “calmarsi” era un traguardo ancora troppo distante da raggiungere per loro.

- Dovete denunciare il ragazzo. – Di nuovo, la voce gracchiante della dottoressa riportò l’attenzione su di sé.

Max si accigliò, poi, con il suo tipico fare cortese e un sorrisino di circostanza si rivolse alla donna.

- La prego, non dica così. Non può essere veramente l’unica alternativa che abbiamo. –

Un lampo di amarezza raggrinzì i lineamenti della signora che, rattristata da quella magnanima, ma altrettanto ingenua affermazione, scosse il capo e rispose.

- Non avete altra scelta. Siete finiti dentro qualcosa più grande di voi e l’unico modo per uscirne è consegnare il vostro amico alle autorità. Se volete scagionarvi dalle accuse di complicità è l’unico modo e non è detto che nemmeno così tutto si risolva. – Nonostante il tono indulgente di Vilena, quelle parole risuonarono comunque dure e inconfutabili.

Lo sconforto che li colpì fu quasi nauseante.

- Non posso fare questo a Kei… - Takao non riusciva a capacitarsi di quello che gli stavano chiedendo.

Si sedette sul bracciolo del divano, poggiando le mani sulle ginocchia, quasi fosse schiacciato da un fardello troppo gravoso. Era di un suo compagno che si stava parlando. Si conoscevano da anni, ne avevano passate di tutti i colori. Si erano dati supporto quando ne avevano più bisogno, anche se sempre in quel modo unico che contraddistingue due persone in continua rivalità reciproca. Erano il rispetto e la fiducia che nutrivano l’uno per l’altro che li legava più di tutto, che avevano permesso a quell’amicizia di nascere e di durare. Non importa cosa aveva fatto Kei, Takao non lo avrebbe mai tradito.

“Gli stiamo chiedendo troppo…”  Rei lo fissava di sottecchi. Non sapeva se lo sconfortasse di più vedere il suo capitano in quello stato o l’idea di denunciare un loro compagno. Voleva davvero riuscire a escogitare qualcosa che non comportasse un simile sacrificio, ma in quel momento gli sembrava impossibile pensare ad altro.

Le sue iridi assottigliate passarono in rassegna ognuno dei presenti.

Yuri era chiaramente troppo infervorato per ragionare e anche se tutta la sua collera era rivolta a Kei, sapeva benissimo che l’alternativa di denunciarlo per lui era inattuabile tanto quanto lo era per Takao; in fondo aveva già provato una volta a tradirlo e aveva fallito miseramente. Erano cresciuti insieme d’altronde… è vero, erano rimasti separati per anni, ma da quando si erano rincontrati era come se il tempo non fosse mai trascorso. Condividevano un passato e una passione per il Bay che aveva troppo condizionato le loro vite.

Max era il più confuso di tutti. Faceva il possibile per mettere tutti d’accordo anche se nessuno aveva intenzione di trovare un punto di incontro. I suo occhi cobalto squadravano apprensivi prima l’uno e poi l’altro, la sua fronte corrucciata tradiva l’attività frenetica della sua mente. L’americano era fortemente allergico a qualsiasi tipo di disaccordo fra i suoi amici e, a quanto pareva, sembrava più incline a cercare di risistemare le cose fra loro che a trovare una soluzione per quel casino.

Sia il biondino che Takao erano tuttavia troppo stravolti per ragionare con lucidità. Avevano gli occhi cerchiati da quella notte insonne e la mente troppo offuscata da tutte quelle nuove rivelazioni e da quei nuovi problemi. Lo stesso valeva per lui, tuttavia Rei capì che per porre fine a quel caos doveva prendere una decisione e schierarsi.

- La signora Demidova ha ragione. – L’attenzione di tutti era ormai su di lui. – Noi abbiamo fatto il possibile, lo abbiamo aiutato in ogni modo lecito, ma ora stiamo andando fuori strada. Dobbiamo lasciarlo andare. Se davvero è colpevole è giusto che paghi, se invece così non fosse sono sicuro che le accuse cadranno. –

- Rei… - Takao lo fissò con una nota d’avversione.

“Inutile, guai a toccargli i suoi amici…”

- Ascolta il tuo amico moretto. – La vecchina strinse delicatamente l’avambraccio di Rei (la sua altezza non le permetteva di raggiungere la sua spalla) in un gesto di conforto. – Non è giusto che anche voi veniate trascinati in questa faccenda. Pensate alle conseguenze… la vostra vita ne uscirebbe rovinata. Siete persone famose, campioni mondiali, lo scalpore che tutto ciò susciterebbe finirebbe con lo schiacciarvi. I media sguazzerebbero nelle vostre sfortune… lo so cosa significa essere oggetto delle malelingue, delle calunnie. Io l’ho provato nel mio piccolo, nella mia città, ma voi lo subireste a livello mondiale. Ma questo è il minimo… vogliamo parlare delle conseguenze penali? –

Tutti si ammutolirono.

Il cinesino vide Max aprire la bocca per dire qualcosa, ma subito la richiuse. Abbassò il capo lasciando che i suoi ciuffi dorati nascondessero agli altri il suo sguardo.

Yuri li fissava con alterità, sembrava che la sua rabbia si fosse tramutata in una fredda corazza che lo rendeva estraneo a tutti loro e a qualsiasi loro affermazione. Rei sapeva bene che quello era il suo istinto di autodifesa che entrava in azione.

- Signora. La ringrazio per i suoi consigli e per tutto l’aiuto che ci ha dato questa sera… - Takao stava cercando le parole per essere il più delicato possibile, ma la nonnina non aveva bisogno di altro.

- Sì. Hai ragione giovanotto… è il caso che me ne vada. D’altronde era proprio quello che stavo facendo prima del risveglio del nostro piccolo Ivanov. – La piccola figura della vecchina si mosse verso il suo preferito, Yuri, e, allungandosi sulle punte dei piedi, gli pizzicò una guancia. Il giovane le lanciò un’occhiata torva, un po’ sbigottita, ma non osò aggiungere altro. – Mantieni la calma e pensa con lucidità. Sei un ragazzo intelligente, fai girare quelle rotelle. –

Il rosso le rivolse un sorriso beffardo. – Grazie di tutto babooshka.

- Ehh… i giovani… - Mentre si avvicinava alla porta i quattro la osservarono con una richiesta sulle labbra che però non riuscivano a esternare. Ancora una volta la donna li anticipò. Girò il capo e li osservò per l’ultima volta con i suoi occhi pallidi, gentili, carichi di apprensione.– Io non sono un dottore professionista, non più. Non ho vincoli quali il segreto professionale o simili, ma non farò parola di quello che ho visto e sentito questa sera con la polizia. Non sarò io a denunciare voi o il vostro amico. Primo perché diventerebbe un problema anche per me, la mia piccola attività deve restare un segreto… e secondo, anch’io nella mia carriera illecita ho commesso azioni di cui non vado fiera e non sta a me giudicare le vostre. Tuttavia dovete prendere una decisione e dovete farlo in fretta. Il tempo non è vostro alleato. Detto questo, spero solo di ricontrarvi un giorno e soprattutto in circostanze migliori. –

Vilena non volle altro.

Non volle sentire ulteriori ringraziamenti.

Non volle alcun tipo di compenso.

Non accettò la compagnia o l’aiuto di nessuno.

Uscì dalla casa con un sorriso grinzoso sulle labbra e la riconoscenza di quattro giovani campioni di Bay.

Silentium

- Penso che me ne andrò anch’io. – Era la voce pacata di Yuri che si era espressa. – Tornerò. Non mi vedrà nessuno. Non andrò distante, ma ho proprio bisogno di aria. –

Rei, Max e Takao non si contrapposero alla scelta del russo. Lo osservarono attraversare la stanza con rapide falcate, afferrare il suo cappotto bianco, ormai logoro dopo le recenti avventure di Kei, e uscire silenzioso dall’appartamento.

E rimasero in tre.

- Forse dovremmo riposare… siamo stati in piedi per tutta la notte. Qualche ora di sonno non potrà farci altro che bene. –

Max assentì all’affermazione di Takao, tuttavia c’era un problema da affrontare.

I tre si voltarono all’unisono in direzione della camera colti da uno stesso pensiero.

- Penso che prima mi farò una doccia… - Il biondino non ce la faceva proprio ad affrontare il loro amico.

Rei lo vide tentennare con aria assente, diretto verso il bagno.

Non si azzardò nemmeno ad entrare in camera a recuperare un cambio.

Takao si girò verso di lui. Per qualche secondo i due si guardarono in silenzio. C’era un’evidente tensione nello sguardo del nipponico. Rei non capiva se ce l’avesse con lui per il fatto di aver dichiarato le sue intenzioni o se cercasse semplicemente di capire cosa avrebbe fatto in quel momento.

Rei sospirò e si passò una mano fra i capelli scuri e scompigliati. Le sue dita si impigliarono in alcuni nodi e presto si pentì del gesto. Inconsciamente si diresse verso l’interruttore della luce e lo spense. La stanza rimase illuminata, se possibile ancora più di prima; ormai il sole era sorto e il lampadario era diventato un mero spreco di corrente, anzi, l’effetto della luce elettrica non faceva altro che incupire le ombre del soggiorno.

Da qualche parte nella casa risuonò chiaro l’azionarsi di una doccia.

- Io non denuncerò Kei. – In quel momento Rei gli dava le spalle, ma dal tono deciso non era difficile immaginare la sua espressione.

- Takao… -

- Lasciami in pace. –

Il cinese si girò giusto in tempo per vederlo scomparire oltre la porta della cucina.

Era solo.

Il suo sguardo cadde involontariamente sulla porta della camera.

Sembrava che attraversandola sarebbe finito per scoppiare il finimondo…

… eppure oltre di essa tutto taceva.

 

- _ . - ° * ° -  . _ . - ° * ° - . _ -

 

Il cellulare lampeggiò silenzioso.

La voce della rubrica contrassegnata come “Ivanov” apparì sullo schermo.

Storse la bocca con una certa stizza.

Il pensiero di non prendere la chiamata lo tentò, ma per qualche ragione rispose comunque.

- Puoi richiamare più tardi? – La voce di Evan suonava alquanto seccata.

- Potrei, ma in quel momento Kei sarà già dietro le sbarre. –

Il moro alzò un sopracciglio, schioccò un bacio in fronte alla ragazza, che gli sorrise comprensiva, e uscì rapido dalla stanza.

Fuori l’aria era fresca, meno appesantita dal riscaldamento artificiale.

Si appoggiò con la schiena alla parete giallina del corridoio.

- Congratulazioni. Hai la mia attenzione. – Il suo tono era piatto, ma la sua curiosità era viva.

- Vogliamo… vogliono denunciarlo. -

La voce di Yuri sembrava alquanto incerta.

“Interessante…”

Il nervoso che avvertiva nella voce del russo era una piacevole bizzarria che quasi alleviò il peso delle sue parole. Quasi…

- Non finché è a casa mia. – Non gli importava se appariva insensibile, non li aveva aiutati per finire nei guai anche lui.

Yuri non aspettava altro.

- Credo che questa sia l’ultima delle nostre preoccupazioni… - La voce del rosso aveva riacquistato il suo solito timbro strafottente.

“Mi sta minacciando?”

Una smorfia cinica gli incurvò le labbra sottili.

I suoi occhi verdi seguirono con la coda dell’occhio un vecchio inserviente passare lungo il corridoio, non lo perse di vista fino a quando quest’ultimo girò l’angolo e sparì. Si concentrò di nuovo sulla telefonata.

- Cosa vuoi Ivanov? –

Si morse la lingua e si assicurò che nessuno avesse potuto udire quel nome.

Il corridoio restava deserto.

L’altro non rispose subito, tanto per lasciarlo ancora un po’ con il fiato sospeso.

- Quanto sai di quello che è successo? – Sibilò infine.

- Intendi a che punto sono le ricerche? –

- Intendo quello che è accaduto quella notte… -

Yuri sembrava più scocciato che minaccioso.

Evan osservò per qualche istante il suo cellulare, lasciando la chiamata attiva, scorse sulla memoria del telefono, nascosta fra le cartelle una registrazione attrasse la sua attenzione. Il nome del file era composto unicamente da una data. La data coincideva con il giorno della nota fuga di Kei Hiwatari.

Il moro cominciò a pensare, soppesando ogni eventualità.

Azaliya voleva che finisse in prigione fin dall’inizio.”

Tuttavia Evan Andrew era di un’altra opinione.

Era convinto che Kei Hiwatari fosse il loro asso più prezioso. La scossa che avrebbe generato lo tsunami in grado di sommergere Hito Hiwatari e tutta la sua compagnia. Non poteva perderlo per colpa di un simile imprevisto.

Sentì il ritmico battere dei tacchi ancora prima di vedere la sua figura snella imboccare il corridoio. Aveva pochi secondi.

- Nel mobile del soggiorno di casa mia c’è un portatile. Usa la connessione wi-fi dei vicini, non c’è password. Purtroppo io non ho la linea telefonica fissa. Ti invierò per mail una registrazione. Ascoltala e poi richiamami. –

Il suo tono di urgenza fece capire a Yuri che non avevano molto tempo.

- Posso accedere alla mail anche attraverso il mio cellulare. –

Evan fissò il soffitto con fare scocciato.

- Fai come vuoi. Appena sarò libero invierò la mail. –

Chiuse la chiamata giusto in tempo per vederla girare l’angolo.

Azaliya Leonova, alias Emi Tanaka, gli rivolse un sorrisino smaltato di rosso appena lo vide in lontananza. Il suono dei suoi tacchi riempì tutto il corridoio. Il suo passo era studiato, la sua andatura sicura sebbene affrettata.

- Sapevo di trovarti qui. –

Agli occhi di Evan era bellissima come sempre: il caschetto biondo perfettamente acconciato, gli occhi castani incorniciati da un filo di matita nera, le ciglia allungate da una passata di mascara. Amava le femmine vanitose, erano quelle che sapevano meglio darsi un tono. Non importava se la donna avesse quasi raggiunto la trentina mentre lui aveva superato da appena due anni i venti, provava per lei un forte sentimento. Sfortunatamente, Azaliya era ancora troppo innamorata del suo ragazzo per corrispondere, nonostante fosse morto da quasi quattro anni.

- Stavo giusto venendoti incontro. -

Le rivolse uno dei suoi sorrisi fascinosi, tuttavia la consapevolezza di doversi allontanare da quella camera, senza un’ultima parola di congedo, lo sconfortò. Se Yuri non lo avesse interrotto avrebbe potuto trascorrere ancora qualche minuto insieme alla giovane.

Gli occhi nocciola della donna indugiarono sulla targhetta che intestava la stanza dell’ospedale da cui Evan era appena uscito. Il cartellino citava un unico nome “Ada Andrew”.

- Come sta tua sorella? –

Il moro si sorprese di quella domanda. Infilò le mani nelle tasche del lungo cappotto nero e raddrizzò la schiena.

I tratti affilati del suo viso si indurirono.

- Oh, sta bene. Pensavo quasi di portarla con noi dal vecchio Hito. Giusto per dimostrargli la nostra riconoscenza e ringraziarlo di provvedere così generosamente alle spese per le sue cure… - “Giusto per fargli vedere come lui l’ha ridotta.” Non c’era gratitudine nella sua voce, solo amarezza e disprezzo.

I suo occhi verdi diventarono improvvisamente freddi ed Emi sembrò sentirsi a disagio.

Appena si accorse di averla intimorita, Evan addolcì il tono, la prese a braccetto e la condusse lungo il corridoio.

- Ma forse è meglio se ci avviamo per conto nostro. – Aggiunse infine.

La donna si sciolse dalla sua presa con garbo, proseguendo altezzosa due passi di fronte a lui.

- Sei la mia guardia del corpo, non il mio cavaliere al gran ballo. –

Evan roteò gli occhi.

In silenzio raggiunsero la stanza al piano superiore. Quella sorvegliata da due guardie del corpo e da una fila interminabile di infermiere che entravano e uscivano.

Evan si avvicinò alla prima bodyguard.

- Ehilà Hishiki. Come va il naso? –

Il suo ghigno beffardo di rifletté sugli occhiali da sole dell’omone. Evan era alto, ma la sua figura snella poteva stare dentro tre volte a quell’armadio di uomo.

Hishiki indurì la mascella mentre con un gesto istintivo andava a grattarsi la grossa fasciatura che gli copriva il naso. Ovviamente, non rispose alla provocazione del moretto. Tuttavia, essere stato abbattuto in quel modo da due stupidi mocciosi del Bay gli rodeva ancora.

- Siamo venuti qui per parlare con il signor Hiwatari. –

La direttrice del monastero parlò con tutta l’autorità conferitale dalla sua posizione. Evan la vide avanzare fra le due guardie del corpo, osservando con malizia l’ondeggiare del suo fondoschiena.

L’altra body-guard aprì loro la porta. Evan non lo aveva mai sentito pronunciare una parola. Era un uomo sinistro; persino a lui incuteva un certo timore.

Era alto, davvero alto. Più di lui e di Hishiki. Non sembrava particolarmente muscoloso sotto quel completo nero, tuttavia la sua faccia era mostruosa. Letteralmente, aveva un che di cadaverico; a Evan aveva sempre ricordato il maggiordomo della famiglia Adams, solo con meno capelli… e ovviamente senza le viti sulle tempie. Tuttavia, al contrario del suo alter ergo televisivo, i suoi occhi non erano vitrei e spenti, ma scaltri e cattivi. C’era proprio cattiveria nel suo sguardo.

Da quel che ne sapeva, era affianco a Hito da sempre. Tutti lo chiamavano “Akula”, infatti in russo акула significava “squalo”. Il soprannome era dovuto all’assonanza con il suo nome, Akira Ikeda, e al fatto che girasse sempre intorno al signor Hiwatari con quell’aria minacciosa. Tuttavia Evan sospettava che anche quello fosse un nome falso, in primis dal fatto che di orientale l’uomo non aveva proprio nulla e poi insomma… Ikeda… era uno dei cognomi più diffusi in Giappone. Almeno Azalyia, che pure lei fingeva una nazionalità nipponica, aveva ereditato dalla nonna due bellissimi occhi a mandorla.

Ma in fin dei conti tutto ciò gli importava ben poco.

Quando entrarono nella camera trovarono Hito comodamente adagiato su una pila di cuscini sul suo spazioso letto d’ospedale. Aveva due profonde borse sotto gli occhi, ma per il resto Evan si stupì delle sue buone condizioni. Il camice tipico dei ricoverati era stato sostituito da un candido Kimono da casa e un semplice tubicino infilato nell’avambraccio era collegato a una flebo.

Quando vide Emi Tanaka il vecchio si rivolse altero verso di lei, a quanto pare era ancora infuriato per il fatto che il nipote non fosse stato ritrovato, ma non diede segni di malessere.

- Come si sente signor Hiwatari? La vedo in forma, è evidente che i giornali hanno come solito provveduto a pompare al meglio la notizia. – La donna fu gentile a informarsi, ma Evan sapeva quanto poco le importasse in realtà.

Per conto suo, il moro rimase in disparte vicino alla porta. Il vecchio non lo degnò di uno sguardo. Lui non era nulla, solo un’ombra che si frapponeva fra lui e una eventuale minaccia.

- Se avessi ancora l’appendice starei sicuramente meglio, ma per quel mi riguarda poteva andare peggio… avrebbe potuto colpire un poco più su. Avete trovato quel bastardo? –

Emi negò decisa, mascherando il timore con un’espressione accigliata.

Hiwatari corrugò la fronte rugosa e con un grugnito e un rapido gesto della mano scacciò quel pensiero.

- Non importa… speravo lo acciuffassimo prima noi, ma in ogni caso la polizia lo troverà. Comunque vada, ho già ottenuto quello che voglio. –

Evan e Azalyia sapevano benissimo a cosa si riferisse, eppure finsero di non aver afferrato il discorso.

Era chiaro che il vecchio non fosse più preoccupato dalla fuga del nipote, dopotutto l’unica cosa che gli premeva era preservare per sé la parte del patrimonio che il ragazzo avrebbe ottenuto una volta compiuta la maggiore età. Una volta condannato con l’accusa di tentato omicidio, Kei avrebbe perso ogni possibile pretesa alla sua eredità. Alla fine l’intromissione della polizia che tanto lo aveva preoccupato si era rivelata un piacevole imprevisto.

Hito Hiwatari aveva ottenuto il suo obbiettivo senza alcuno sforzo… o meglio, sacrificando la sua appendice.

Nonostante Evan non provasse una particolare simpatia per Kei, quel pensiero gli lasciò l’amaro in bocca.

- Non è per questo che ti ho fatta chiamare Emi. – Evan non poteva sopportare la confidenza e la malizia con cui quel vecchio pronunciava il nome della donna. – Quando la polizia ha esaminato il mio studio, ovvero la scena del delitto, hanno scoperto qualcosa di veramente spiacevole… -

Evan fu strappato dai suo pensieri da una fitta allo stomaco. Il suo cuore perse un battito. Con uno sforzo immane riuscì a non lasciar trapelare il suo disagio. In cuor suo sperò che Azalyia riuscisse a gestire la cosa meglio di lui.

La donna si dimostrò all’altezza di qualsiasi sua aspettativa.

Con un tono impeccabile, velato da una sincera curiosità rispose: - Di cosa stiamo parlando? –

Il vecchio la scrutò da sotto le sue folte sopracciglia grigie. Era sospetto quello che vi leggeva? – Microspie. – La Tanaka alzò un sopracciglio in una finta smorfia di stupore. Il cuore di Evan invece batteva a mille. – Non solo nel mio studio. Per scrupolo ho fatto perquisire tutta la casa, il monastero e i miei uffici nella sede dell’impresa. Ho fatto passare la cosa come una mossa di qualche azienda avversaria, anche la polizia sta indagando. – La sua voce era roca, poco più di un bisbiglio. – Temo che sia qualcosa di ben più grave di semplice spionaggio industriale. Ho bisogno che tu scopra immediatamente chi può essere stato e cosa è stato registrato, se saltassero fuori quelle conversazioni, la corporazione ne uscirebbe rovinata. –

“Tu ne usciresti rovinato, brutto vecchiaccio…”  Nonostante lo stato d’ansia, vedere Hito così inquieto gli provocava una certa euforia. Risultò davvero difficile per lui apparire impassibile.

Per la Tanaka mantenere il controllo sembrava invece molto più facile: gli occhi castani della donna si assottigliarono con finto sospetto, mentre con un gesto noncurante si passò un ciuffo di capelli dietro l’orecchio. – Mi sembra una cosa alquanto difficile. Non saprei da dove cominciare. –

Hiwatari la squadrò con uno sguardo cupo.

Le rughe che gli increspavano il viso si infittirono.

Il suo tono era deciso. – Le microspie sono quelle usate di solito dai miei uomini. Comincia a cercare da dentro la compagnia. Chiunque sia è uno dei nostri. Hai a disposizione tutti gli esperti dell’azienda, di qualsiasi settore, scegli bene di chi fidarti. –

Si schiarì la voce per sottolineare le ultime parole.

– Hai carta bianca. –

Quando furono fuori dall’ospedale Emi si concesse un profondo, pesante, sospiro. La mano le tremò ed Evan non esitò a sfiorarla cercando di trasmetterle il suo appoggio.

Si trovavano in un piccolo vicolo, all’ombra di vecchi fabbricati adibiti a magazzini per le merci. L’aria era secca e polverosa, ma almeno il posto era deserto.

- Non bastano… E’ troppo presto. Non abbiamo abbastanza prove. Non potremo mai incastrarlo con così poche registrazioni. -

- Abbiamo i documenti raccolti dal tuo ragazzo. –

La donna si fece cogliere da un brusco attacco di panico. – Non sono abbastanza! – Si liberò con uno scatto dalla presa di Evan dandogli le spalle. –E’ tutta colpa di quel maledetto ragazzino viziato! E’ solo colpa sua! – Emi cominciò a passarsi nervosamente le mani fra i capelli, respirando profondamente in un vano tentativo di calmarsi.

Kei.

Evan ci aveva già pensato.

Kei non doveva assolutamente essere arrestato.

Afferrò la donna per le spalle costringendola a voltarsi verso di lui. I suo occhi color nocciola erano lucidi per l’agitazione.

- Alyisa. Abbiamo ancora Kei. –

La donna dischiuse le labbra rosse spaesata, non capendo le parole del suo complice.

Lui le sorrise fissandola con due intensi occhi di smeraldo.

Il rombo di una moto sfrecciò nella strada dietro di loro facendola sobbalzare.

Approfittando dell’improvviso sgomento della donna Evan le rubò un bacio.

La sentì irrigidirsi sotto la sua stretta, ma non le permise di sottrarsi.

Aveva bisogno di calmarsi.

Aveva bisogno di sentirla.

Aveva bisogno di sapere che in mezzo a tutta quell’assurda situazione… a quel soffocante frangente… il sapore di una donna sulle labbra era sempre il più dolce dei rimedi.

 

 

 

Non ce l’ho fatta. Non sono riuscita a scrivere tutto quello che dovevo… questa storia invece di avviarsi verso una conclusione sta diventando sempre più lunga. Ma procediamo… Innanzitutto, sono davvero… estasiata. Sono veramente strafelice di scoprire che ci siete ancora. Sì, parlo di voi carissime lettrici che mi seguite da tutto questo tempo. Non sapete quanto è stato per me di conforto rileggere i vostri nomi nella pagina delle recensioni! Sono davvero felice! Quando vi ho rivisto mi sono sentita carica, pronta a continuare questa storia! E’ stato davvero emozionante… (adesso penserete che mi emoziono con poco, magari è anche vero… però… wow…) Adesso la pressione è alta… spero proprio di non deludere le vostre aspettative… poi, altra felice sorpresa che ha fatto salire il mio umore alle stelle è stato l’intervento di nuove lettrici! Immagino che per voi sia stato più complicato seguire questa storia, leggendola così “tutta in un colpo”, soprattutto visto l’incoerenza di certi punti, come mi è stato giustamente fatto notare. Mi dispiace molto per questo, ma è davvero difficile avere il controllo di tutto, soprattutto visto che questa ff sembra andare avanti di testa propria a seconda del mio umore. Grazie davvero per tutto il supporto e i vostri consigli. Ah! Mi sorprende anche che troviate i personaggi così ben rispecchiati. E’ una cosa che mi sta molto a cuore e vedere che i miei sforzi non sono vani è un’altra fonte di happiness! Questo angolo sta diventando un po’ lungo… ok. Spero che questo capitolo vi sia piaciuto. Forse lo avvertirete un po’ troppo affrettato il problema è che mi sono dilungata più del previsto e ho cercato di troncare alcune parti. Fra poco la mia vacanza terminerà, quindi inizierà a diventare più difficile trovare il tempo per scrivere. Ma lo troverò!

 

 

 

 

  
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