VENTICINQUESIMO
“Oh! Lady Doll, Lady Doll!
Are you tell me to hold on?
Are you tell me to betray you?
I was there for you.
You was there for me.
I can’t blame you.”
-
Dovete denunciarlo… -
Vilena
era irremovibile.
Indossava
ancora il pesante montone nero e in mezzo a loro sembrava così fuoriposto in
quel momento. Eppure era forse l’unica nella stanza ad avere le idee chiare e
la mente lucida.
Rei
la fissò con due profondi occhi dorati carichi di consapevolezza.
Aveva
ragione.
Era
ancora scosso dalle tragiche rivelazioni di Yuri, ma non poteva permettersi di
cedere allo sconforto. Lui e Takao erano i più sconvolti, non avevano avuto la
fortuna di incassare un colpo alla volta come era stato il caso del rosso o
anche di Max. No… loro avevano dovuto ingoiare quel boccone tutto in una volta.
Il
russo aveva raccontato loro per filo e per segno ogni minimo particolare. Aveva
riferito delle notizie sui giornali, le voci che aveva sentito al monastero, le
parole di Kei… non aveva tralasciato nulla.
Ora
sapevano la verità… ma c’era ancora chi si rifiutava di credere.
-
Quello che stai dicendo è assurdo, Yuri, e io non intendo assolutamente tradire
in questo modo un mio amico! –
Anche
Takao era irremovibile. Per tutto il tempo aveva negato, ripudiato, contestato
ogni singola parola del russo.
Fu
Rei a intervenire.
-
Takao… - Con gentilezza gli posò una mano sulla spalla. – Anche ipotizzando che
Kei stesse mentendo… quello che c’è sui giornali è una realtà. E’ un rischio
troppo grande. –
-
Kei non stava mentendo. – Yuri si interpose prima che il giapponesino potesse
rispondere. – Era serio quando affermava di non essere innocente. Su questo ne
sono certo… - Il suo tono non ammetteva repliche. Due freddi occhi gelidi
sfidarono chiunque a contraddirlo.
Il
capitano dei Blade Breakers era comunque un tipo che con le sfide conviveva da
anni. – Ah? E in base a cosa di preciso puoi dire questo? – Per qualche ragione
Takao aveva stabilito che Yuri era il nemico e ogni sua affermazione doveva
essere contrastata.
-
Perché lo conosco, Takao, e se in quell’istante tu fossi stato presente te ne
saresti convito a tua volta. -
Il
russo gli ringhiò quelle parole stringendo i pugni. Rei lo studiò per qualche
istante; era stanco, frustrato, irato ma soprattutto era percepibile una
profonda delusione nel suo atteggiamento, nel suo modo di riferirsi a Kei, nel
suo sguardo...
“Perché sta
succedendo tutto questo…?”
-
Allora andrò a chiederglielo di nuovo! – Takao si diresse convinto in direzione
della camera. Yuri non diede segno di volergli cedere il passo, restò immobile
di fronte alla porta, poggiato allo stipite. Alla fine fu Max che con passo
deciso si interpose tra i due.
Il
biondino come suo solito era rimasto in disparte, ascoltando con attenzione le rivelazioni
del rosso, soppesando le parole di Vilena e giudicando le reazioni di Takao.
-
Nessuno di noi parlerà con Kei finché non ci saremo calmati. – Per quanto le
sue parole fossero giuste, Rei sapeva benissimo che in quel momento “calmarsi”
era un traguardo ancora troppo distante da raggiungere per loro.
-
Dovete denunciare il ragazzo. – Di nuovo, la voce gracchiante della dottoressa
riportò l’attenzione su di sé.
Max
si accigliò, poi, con il suo tipico fare cortese e un sorrisino di circostanza
si rivolse alla donna.
-
La prego, non dica così. Non può essere veramente l’unica alternativa che
abbiamo. –
Un
lampo di amarezza raggrinzì i lineamenti della signora che, rattristata da
quella magnanima, ma altrettanto ingenua affermazione, scosse il capo e
rispose.
-
Non avete altra scelta. Siete finiti dentro qualcosa più grande di voi e
l’unico modo per uscirne è consegnare il vostro amico alle autorità. Se volete
scagionarvi dalle accuse di complicità è l’unico modo e non è detto che nemmeno
così tutto si risolva. – Nonostante il tono indulgente di Vilena, quelle parole
risuonarono comunque dure e inconfutabili.
Lo
sconforto che li colpì fu quasi nauseante.
-
Non posso fare questo a Kei… - Takao non riusciva a capacitarsi di quello che
gli stavano chiedendo.
Si
sedette sul bracciolo del divano, poggiando le mani sulle ginocchia, quasi
fosse schiacciato da un fardello troppo gravoso. Era di un suo compagno che si
stava parlando. Si conoscevano da anni, ne avevano passate di tutti i colori.
Si erano dati supporto quando ne avevano più bisogno, anche se sempre in quel
modo unico che contraddistingue due persone in continua rivalità reciproca. Erano
il rispetto e la fiducia che nutrivano l’uno per l’altro che li legava più di
tutto, che avevano permesso a quell’amicizia di nascere e di durare. Non
importa cosa aveva fatto Kei, Takao non lo avrebbe mai tradito.
“Gli stiamo
chiedendo troppo…” Rei lo fissava di sottecchi. Non sapeva se lo
sconfortasse di più vedere il suo capitano in quello stato o l’idea di
denunciare un loro compagno. Voleva davvero riuscire a escogitare qualcosa che
non comportasse un simile sacrificio, ma in quel momento gli sembrava
impossibile pensare ad altro.
Le
sue iridi assottigliate passarono in rassegna ognuno dei presenti.
Yuri
era chiaramente troppo infervorato per ragionare e anche se tutta la sua
collera era rivolta a Kei, sapeva benissimo che l’alternativa di denunciarlo
per lui era inattuabile tanto quanto lo era per Takao; in fondo aveva già
provato una volta a tradirlo e aveva fallito miseramente. Erano cresciuti
insieme d’altronde… è vero, erano rimasti separati per anni, ma da quando si
erano rincontrati era come se il tempo non fosse mai trascorso. Condividevano
un passato e una passione per il Bay che aveva troppo
condizionato le loro vite.
Max
era il più confuso di tutti. Faceva il possibile per mettere tutti d’accordo
anche se nessuno aveva intenzione di trovare un punto di incontro. I suo occhi
cobalto squadravano apprensivi prima l’uno e poi l’altro, la sua fronte
corrucciata tradiva l’attività frenetica della sua mente. L’americano era
fortemente allergico a qualsiasi tipo di disaccordo fra i suoi amici e, a
quanto pareva, sembrava più incline a cercare di risistemare le cose fra loro
che a trovare una soluzione per quel casino.
Sia
il biondino che Takao erano tuttavia troppo stravolti per ragionare con
lucidità. Avevano gli occhi cerchiati da quella notte insonne e la mente troppo
offuscata da tutte quelle nuove rivelazioni e da quei nuovi problemi. Lo stesso
valeva per lui, tuttavia Rei capì che per porre fine a quel caos doveva
prendere una decisione e schierarsi.
-
La signora Demidova ha ragione. – L’attenzione di tutti era ormai su di lui. –
Noi abbiamo fatto il possibile, lo abbiamo aiutato in ogni modo lecito, ma ora
stiamo andando fuori strada. Dobbiamo lasciarlo andare. Se davvero è colpevole
è giusto che paghi, se invece così non fosse sono sicuro che le accuse
cadranno. –
-
Rei… - Takao lo fissò con una nota d’avversione.
“Inutile,
guai a toccargli i suoi amici…”
-
Ascolta il tuo amico moretto. – La vecchina strinse delicatamente l’avambraccio
di Rei (la sua altezza non le permetteva di raggiungere la sua spalla) in un
gesto di conforto. – Non è giusto che anche voi veniate trascinati in questa
faccenda. Pensate alle conseguenze… la vostra vita ne uscirebbe rovinata. Siete
persone famose, campioni mondiali, lo scalpore che tutto ciò susciterebbe
finirebbe con lo schiacciarvi. I media sguazzerebbero nelle vostre sfortune… lo
so cosa significa essere oggetto delle malelingue, delle calunnie. Io l’ho
provato nel mio piccolo, nella mia città, ma voi lo subireste a livello
mondiale. Ma questo è il minimo… vogliamo parlare delle conseguenze penali? –
Tutti
si ammutolirono.
Il
cinesino vide Max aprire la bocca per dire qualcosa, ma subito la richiuse.
Abbassò il capo lasciando che i suoi ciuffi dorati nascondessero agli altri il
suo sguardo.
Yuri
li fissava con alterità, sembrava che la sua rabbia si fosse tramutata in una
fredda corazza che lo rendeva estraneo a tutti loro e a qualsiasi loro
affermazione. Rei sapeva bene che quello era il suo istinto di autodifesa che
entrava in azione.
-
Signora. La ringrazio per i suoi consigli e per tutto l’aiuto che ci ha dato
questa sera… - Takao stava cercando le parole per essere il più delicato
possibile, ma la nonnina non aveva bisogno di altro.
-
Sì. Hai ragione giovanotto… è il caso che me ne vada. D’altronde era proprio
quello che stavo facendo prima del risveglio del nostro piccolo Ivanov. – La
piccola figura della vecchina si mosse verso il suo preferito, Yuri, e,
allungandosi sulle punte dei piedi, gli pizzicò una guancia. Il giovane le
lanciò un’occhiata torva, un po’ sbigottita, ma non osò aggiungere altro. –
Mantieni la calma e pensa con lucidità. Sei un ragazzo intelligente, fai girare
quelle rotelle. –
Il
rosso le rivolse un sorriso beffardo. – Grazie di tutto babooshka. –
-
Ehh… i giovani… - Mentre si avvicinava alla porta i
quattro la osservarono con una richiesta sulle labbra che però non riuscivano a
esternare. Ancora una volta la donna li anticipò. Girò il capo e li osservò per
l’ultima volta con i suoi occhi pallidi, gentili, carichi di apprensione.– Io
non sono un dottore professionista, non più. Non ho vincoli quali il segreto
professionale o simili, ma non farò parola di quello che ho visto e sentito
questa sera con la polizia. Non sarò io a denunciare voi o il vostro amico.
Primo perché diventerebbe un problema anche per me, la mia piccola attività
deve restare un segreto… e secondo, anch’io nella mia carriera illecita ho
commesso azioni di cui non vado fiera e non sta a me giudicare le vostre.
Tuttavia dovete prendere una decisione e dovete farlo in fretta. Il tempo non è
vostro alleato. Detto questo, spero solo di ricontrarvi un giorno e soprattutto
in circostanze migliori. –
Vilena
non volle altro.
Non
volle sentire ulteriori ringraziamenti.
Non
volle alcun tipo di compenso.
Non
accettò la compagnia o l’aiuto di nessuno.
Uscì
dalla casa con un sorriso grinzoso sulle labbra e la riconoscenza di quattro
giovani campioni di Bay.
Silentium…
-
Penso che me ne andrò anch’io. – Era la voce pacata di Yuri che si era
espressa. – Tornerò. Non mi vedrà nessuno. Non andrò distante, ma ho proprio
bisogno di aria. –
Rei,
Max e Takao non si contrapposero alla scelta del russo. Lo osservarono
attraversare la stanza con rapide falcate, afferrare il suo cappotto bianco,
ormai logoro dopo le recenti avventure di Kei, e uscire silenzioso
dall’appartamento.
E
rimasero in tre.
-
Forse dovremmo riposare… siamo stati in piedi per tutta la notte. Qualche ora
di sonno non potrà farci altro che bene. –
Max
assentì all’affermazione di Takao, tuttavia c’era un problema da affrontare.
I
tre si voltarono all’unisono in direzione della camera colti da uno stesso
pensiero.
-
Penso che prima mi farò una doccia… - Il biondino non ce la faceva proprio ad
affrontare il loro amico.
Rei
lo vide tentennare con aria assente, diretto verso il bagno.
Non
si azzardò nemmeno ad entrare in camera a recuperare un cambio.
Takao
si girò verso di lui. Per qualche secondo i due si guardarono in silenzio.
C’era un’evidente tensione nello sguardo del nipponico. Rei non capiva se ce
l’avesse con lui per il fatto di aver dichiarato le sue intenzioni o se
cercasse semplicemente di capire cosa avrebbe fatto in quel momento.
Rei
sospirò e si passò una mano fra i capelli scuri e scompigliati. Le sue dita si
impigliarono in alcuni nodi e presto si pentì del gesto. Inconsciamente si
diresse verso l’interruttore della luce e lo spense. La stanza rimase
illuminata, se possibile ancora più di prima; ormai il sole era sorto e il
lampadario era diventato un mero spreco di corrente, anzi, l’effetto della luce
elettrica non faceva altro che incupire le ombre del soggiorno.
Da
qualche parte nella casa risuonò chiaro l’azionarsi di una doccia.
-
Io non denuncerò Kei. – In quel momento Rei gli dava le spalle, ma dal tono
deciso non era difficile immaginare la sua espressione.
-
Takao… -
-
Lasciami in pace. –
Il
cinese si girò giusto in tempo per vederlo scomparire oltre la porta della
cucina.
Era
solo.
Il
suo sguardo cadde involontariamente sulla porta della camera.
Sembrava
che attraversandola sarebbe finito per scoppiare il finimondo…
…
eppure oltre di essa tutto taceva.
- _
. - ° * ° - . _ . - ° * ° - . _ -
Il
cellulare lampeggiò silenzioso.
La
voce della rubrica contrassegnata come “Ivanov” apparì sullo schermo.
Storse
la bocca con una certa stizza.
Il
pensiero di non prendere la chiamata lo tentò, ma per qualche ragione rispose
comunque.
-
Puoi richiamare più tardi? – La voce di Evan suonava alquanto seccata.
-
Potrei, ma in quel momento Kei sarà già dietro le sbarre. –
Il
moro alzò un sopracciglio, schioccò un bacio in fronte alla ragazza, che gli
sorrise comprensiva, e uscì rapido dalla stanza.
Fuori
l’aria era fresca, meno appesantita dal riscaldamento artificiale.
Si
appoggiò con la schiena alla parete giallina del corridoio.
-
Congratulazioni. Hai la mia attenzione. – Il suo tono era piatto, ma la sua
curiosità era viva.
-
Vogliamo… vogliono denunciarlo. -
La
voce di Yuri sembrava alquanto incerta.
“Interessante…”
Il
nervoso che avvertiva nella voce del russo era una piacevole bizzarria che
quasi alleviò il peso delle sue parole. Quasi…
-
Non finché è a casa mia. – Non gli importava se appariva insensibile, non li
aveva aiutati per finire nei guai anche lui.
Yuri
non aspettava altro.
-
Credo che questa sia l’ultima delle nostre preoccupazioni… - La voce del rosso
aveva riacquistato il suo solito timbro strafottente.
“Mi sta
minacciando?”
Una
smorfia cinica gli incurvò le labbra sottili.
I
suoi occhi verdi seguirono con la coda dell’occhio un vecchio inserviente
passare lungo il corridoio, non lo perse di vista fino a quando quest’ultimo
girò l’angolo e sparì. Si concentrò di nuovo sulla telefonata.
-
Cosa vuoi Ivanov? –
Si
morse la lingua e si assicurò che nessuno avesse potuto udire quel nome.
Il
corridoio restava deserto.
L’altro
non rispose subito, tanto per lasciarlo ancora un po’ con il fiato sospeso.
-
Quanto sai di quello che è successo? – Sibilò infine.
-
Intendi a che punto sono le ricerche? –
-
Intendo quello che è accaduto quella notte… -
Yuri
sembrava più scocciato che minaccioso.
Evan
osservò per qualche istante il suo cellulare, lasciando la chiamata attiva,
scorse sulla memoria del telefono, nascosta fra le cartelle una registrazione
attrasse la sua attenzione. Il nome del file era composto unicamente da una
data. La data coincideva con il giorno della nota fuga di Kei Hiwatari.
Il
moro cominciò a pensare, soppesando ogni eventualità.
“Azaliya voleva che finisse in prigione fin dall’inizio.”
Tuttavia
Evan Andrew era di un’altra opinione.
Era
convinto che Kei Hiwatari fosse il loro asso più prezioso. La scossa che
avrebbe generato lo tsunami in grado di sommergere Hito
Hiwatari e tutta la sua compagnia. Non poteva perderlo per colpa di un simile
imprevisto.
Sentì
il ritmico battere dei tacchi ancora prima di vedere la sua figura snella
imboccare il corridoio. Aveva pochi secondi.
-
Nel mobile del soggiorno di casa mia c’è un portatile. Usa la connessione wi-fi dei vicini, non c’è password. Purtroppo io non ho la
linea telefonica fissa. Ti invierò per mail una registrazione. Ascoltala e poi
richiamami. –
Il
suo tono di urgenza fece capire a Yuri che non avevano molto tempo.
-
Posso accedere alla mail anche attraverso il mio cellulare. –
Evan
fissò il soffitto con fare scocciato.
-
Fai come vuoi. Appena sarò libero invierò la mail. –
Chiuse
la chiamata giusto in tempo per vederla girare l’angolo.
Azaliya
Leonova, alias Emi Tanaka,
gli rivolse un sorrisino smaltato di rosso appena lo vide in lontananza. Il
suono dei suoi tacchi riempì tutto il corridoio. Il suo passo era studiato, la
sua andatura sicura sebbene affrettata.
-
Sapevo di trovarti qui. –
Agli
occhi di Evan era bellissima come sempre: il caschetto biondo perfettamente
acconciato, gli occhi castani incorniciati da un filo di matita nera, le ciglia
allungate da una passata di mascara. Amava le femmine vanitose, erano quelle
che sapevano meglio darsi un tono. Non importava se la donna avesse quasi
raggiunto la trentina mentre lui aveva superato da appena due anni i venti,
provava per lei un forte sentimento. Sfortunatamente, Azaliya
era ancora troppo innamorata del suo ragazzo per corrispondere, nonostante
fosse morto da quasi quattro anni.
-
Stavo giusto venendoti incontro. -
Le
rivolse uno dei suoi sorrisi fascinosi, tuttavia la consapevolezza di doversi
allontanare da quella camera, senza un’ultima parola di congedo, lo sconfortò.
Se Yuri non lo avesse interrotto avrebbe potuto trascorrere ancora qualche
minuto insieme alla giovane.
Gli
occhi nocciola della donna indugiarono sulla targhetta che intestava la stanza
dell’ospedale da cui Evan era appena uscito. Il cartellino citava un unico nome
“Ada Andrew”.
-
Come sta tua sorella? –
Il
moro si sorprese di quella domanda. Infilò le mani nelle tasche del lungo
cappotto nero e raddrizzò la schiena.
I
tratti affilati del suo viso si indurirono.
-
Oh, sta bene. Pensavo quasi di portarla con noi dal vecchio Hito.
Giusto per dimostrargli la nostra riconoscenza e ringraziarlo di provvedere
così generosamente alle spese per le sue cure… - “Giusto per fargli vedere come lui l’ha ridotta.” Non c’era
gratitudine nella sua voce, solo amarezza e disprezzo.
I
suo occhi verdi diventarono improvvisamente freddi ed Emi sembrò sentirsi a
disagio.
Appena
si accorse di averla intimorita, Evan addolcì il tono, la prese a braccetto e
la condusse lungo il corridoio.
-
Ma forse è meglio se ci avviamo per conto nostro. – Aggiunse infine.
La
donna si sciolse dalla sua presa con garbo, proseguendo altezzosa due passi di
fronte a lui.
-
Sei la mia guardia del corpo, non il mio cavaliere al gran ballo. –
Evan
roteò gli occhi.
In
silenzio raggiunsero la stanza al piano superiore. Quella sorvegliata da due
guardie del corpo e da una fila interminabile di infermiere che entravano e
uscivano.
Evan
si avvicinò alla prima bodyguard.
-
Ehilà Hishiki. Come va il naso? –
Il
suo ghigno beffardo di rifletté sugli occhiali da sole dell’omone. Evan era
alto, ma la sua figura snella poteva stare dentro tre volte a quell’armadio di
uomo.
Hishiki indurì la
mascella mentre con un gesto istintivo andava a grattarsi la grossa fasciatura
che gli copriva il naso. Ovviamente, non rispose alla provocazione del moretto.
Tuttavia, essere stato abbattuto in quel modo da due stupidi mocciosi del Bay gli rodeva ancora.
-
Siamo venuti qui per parlare con il signor Hiwatari. –
La
direttrice del monastero parlò con tutta l’autorità conferitale dalla sua
posizione. Evan la vide avanzare fra le due guardie del corpo, osservando con
malizia l’ondeggiare del suo fondoschiena.
L’altra
body-guard aprì loro la porta. Evan non lo aveva mai
sentito pronunciare una parola. Era un uomo sinistro; persino a lui incuteva un
certo timore.
Era
alto, davvero alto. Più di lui e di Hishiki. Non
sembrava particolarmente muscoloso sotto quel completo nero, tuttavia la sua
faccia era mostruosa. Letteralmente, aveva un che di cadaverico; a Evan aveva
sempre ricordato il maggiordomo della famiglia Adams, solo con meno capelli… e
ovviamente senza le viti sulle tempie. Tuttavia, al contrario del suo alter
ergo televisivo, i suoi occhi non erano vitrei e spenti, ma scaltri e cattivi.
C’era proprio cattiveria nel suo sguardo.
Da
quel che ne sapeva, era affianco a Hito da sempre. Tutti
lo chiamavano “Akula”, infatti in russo акула significava
“squalo”. Il soprannome era dovuto all’assonanza con il suo nome, Akira Ikeda, e al fatto che girasse sempre intorno al signor
Hiwatari con quell’aria minacciosa. Tuttavia Evan sospettava che anche quello
fosse un nome falso, in primis dal
fatto che di orientale l’uomo non aveva proprio nulla e poi insomma… Ikeda… era uno dei cognomi più diffusi in Giappone. Almeno Azalyia, che pure lei fingeva una nazionalità nipponica,
aveva ereditato dalla nonna due bellissimi occhi a mandorla.
Ma
in fin dei conti tutto ciò gli importava ben poco.
Quando
entrarono nella camera trovarono Hito comodamente
adagiato su una pila di cuscini sul suo spazioso letto d’ospedale. Aveva due
profonde borse sotto gli occhi, ma per il resto Evan si stupì delle sue buone
condizioni. Il camice tipico dei ricoverati era stato sostituito da un candido
Kimono da casa e un semplice tubicino infilato nell’avambraccio era collegato a
una flebo.
Quando
vide Emi Tanaka il vecchio si rivolse altero verso di
lei, a quanto pare era ancora infuriato per il fatto che il nipote non fosse
stato ritrovato, ma non diede segni di malessere.
-
Come si sente signor Hiwatari? La vedo in forma, è evidente che i giornali
hanno come solito provveduto a pompare al meglio la notizia. – La donna fu
gentile a informarsi, ma Evan sapeva quanto poco le importasse in realtà.
Per
conto suo, il moro rimase in disparte vicino alla porta. Il vecchio non lo
degnò di uno sguardo. Lui non era nulla, solo un’ombra che si frapponeva fra
lui e una eventuale minaccia.
-
Se avessi ancora l’appendice starei sicuramente meglio, ma per quel mi riguarda
poteva andare peggio… avrebbe potuto colpire un poco più su. Avete trovato quel
bastardo? –
Emi
negò decisa, mascherando il timore con un’espressione accigliata.
Hiwatari
corrugò la fronte rugosa e con un grugnito e un rapido gesto della mano scacciò
quel pensiero.
-
Non importa… speravo lo acciuffassimo prima noi, ma in ogni caso la polizia lo
troverà. Comunque vada, ho già ottenuto quello che voglio. –
Evan
e Azalyia sapevano benissimo a cosa si riferisse,
eppure finsero di non aver afferrato il discorso.
Era
chiaro che il vecchio non fosse più preoccupato dalla fuga del nipote,
dopotutto l’unica cosa che gli premeva era preservare per sé la parte del
patrimonio che il ragazzo avrebbe ottenuto una volta compiuta la maggiore età.
Una volta condannato con l’accusa di tentato omicidio, Kei avrebbe perso ogni possibile
pretesa alla sua eredità. Alla fine l’intromissione della polizia che tanto lo
aveva preoccupato si era rivelata un piacevole imprevisto.
Hito Hiwatari
aveva ottenuto il suo obbiettivo senza alcuno sforzo… o meglio, sacrificando la
sua appendice.
Nonostante
Evan non provasse una particolare simpatia per Kei, quel pensiero gli lasciò
l’amaro in bocca.
-
Non è per questo che ti ho fatta chiamare Emi. – Evan non poteva sopportare la
confidenza e la malizia con cui quel vecchio pronunciava il nome della donna. –
Quando la polizia ha esaminato il mio studio, ovvero la scena del delitto,
hanno scoperto qualcosa di veramente spiacevole… -
Evan
fu strappato dai suo pensieri da una fitta allo stomaco. Il suo cuore perse un
battito. Con uno sforzo immane riuscì a non lasciar trapelare il suo disagio.
In cuor suo sperò che Azalyia riuscisse a gestire la
cosa meglio di lui.
La
donna si dimostrò all’altezza di qualsiasi sua aspettativa.
Con
un tono impeccabile, velato da una sincera curiosità rispose: - Di cosa stiamo
parlando? –
Il
vecchio la scrutò da sotto le sue folte sopracciglia grigie. Era sospetto
quello che vi leggeva? – Microspie. – La Tanaka alzò
un sopracciglio in una finta smorfia di stupore. Il cuore di Evan invece
batteva a mille. – Non solo nel mio studio. Per scrupolo ho fatto perquisire
tutta la casa, il monastero e i miei uffici nella sede dell’impresa. Ho fatto
passare la cosa come una mossa di qualche azienda avversaria, anche la polizia
sta indagando. – La sua voce era roca, poco più di un bisbiglio. – Temo che sia
qualcosa di ben più grave di semplice spionaggio industriale. Ho bisogno che tu
scopra immediatamente chi può essere stato e cosa è stato registrato, se
saltassero fuori quelle conversazioni, la corporazione ne uscirebbe rovinata. –
“Tu ne
usciresti rovinato, brutto vecchiaccio…”
Nonostante lo stato d’ansia, vedere Hito così
inquieto gli provocava una certa euforia. Risultò davvero difficile per lui
apparire impassibile.
Per
la Tanaka mantenere il controllo sembrava invece
molto più facile: gli occhi castani della donna si assottigliarono con finto
sospetto, mentre con un gesto noncurante si passò un ciuffo di capelli dietro
l’orecchio. – Mi sembra una cosa alquanto difficile. Non saprei da dove
cominciare. –
Hiwatari
la squadrò con uno sguardo cupo.
Le
rughe che gli increspavano il viso si infittirono.
Il
suo tono era deciso. – Le microspie sono quelle usate di solito dai miei
uomini. Comincia a cercare da dentro la compagnia. Chiunque sia è uno dei
nostri. Hai a disposizione tutti gli esperti dell’azienda, di qualsiasi
settore, scegli bene di chi fidarti. –
Si
schiarì la voce per sottolineare le ultime parole.
–
Hai carta bianca. –
…
Quando
furono fuori dall’ospedale Emi si concesse un profondo, pesante, sospiro. La
mano le tremò ed Evan non esitò a sfiorarla cercando di trasmetterle il suo
appoggio.
Si
trovavano in un piccolo vicolo, all’ombra di vecchi fabbricati adibiti a
magazzini per le merci. L’aria era secca e polverosa, ma almeno il posto era
deserto.
-
Non bastano… E’ troppo presto. Non abbiamo abbastanza prove. Non potremo mai
incastrarlo con così poche registrazioni. -
-
Abbiamo i documenti raccolti dal tuo ragazzo. –
La
donna si fece cogliere da un brusco attacco di panico. – Non sono abbastanza! –
Si liberò con uno scatto dalla presa di Evan dandogli le spalle. –E’ tutta
colpa di quel maledetto ragazzino viziato! E’ solo colpa sua! – Emi cominciò a
passarsi nervosamente le mani fra i capelli, respirando profondamente in un
vano tentativo di calmarsi.
Kei.
Evan
ci aveva già pensato.
Kei
non doveva assolutamente essere arrestato.
Afferrò
la donna per le spalle costringendola a voltarsi verso di lui. I suo occhi
color nocciola erano lucidi per l’agitazione.
-
Alyisa. Abbiamo ancora Kei. –
La
donna dischiuse le labbra rosse spaesata, non capendo le parole del suo
complice.
Lui
le sorrise fissandola con due intensi occhi di smeraldo.
Il
rombo di una moto sfrecciò nella strada dietro di loro facendola sobbalzare.
Approfittando
dell’improvviso sgomento della donna Evan le rubò un bacio.
La
sentì irrigidirsi sotto la sua stretta, ma non le permise di sottrarsi.
Aveva
bisogno di calmarsi.
Aveva
bisogno di sentirla.
Aveva
bisogno di sapere che in mezzo a tutta quell’assurda situazione… a quel
soffocante frangente… il sapore di una donna sulle labbra era sempre il più
dolce dei rimedi.
…
Non
ce l’ho fatta. Non sono riuscita a scrivere tutto quello che dovevo… questa
storia invece di avviarsi verso una conclusione sta diventando sempre più
lunga. Ma procediamo… Innanzitutto, sono davvero… estasiata. Sono veramente
strafelice di scoprire che ci siete ancora. Sì, parlo di voi carissime lettrici
che mi seguite da tutto questo tempo. Non sapete quanto è stato per me di
conforto rileggere i vostri nomi nella pagina delle recensioni! Sono davvero
felice! Quando vi ho rivisto mi sono sentita carica, pronta a continuare questa
storia! E’ stato davvero emozionante… (adesso penserete che mi emoziono con
poco, magari è anche vero… però… wow…) Adesso la pressione è alta… spero
proprio di non deludere le vostre aspettative… poi, altra felice sorpresa che
ha fatto salire il mio umore alle stelle è stato l’intervento di nuove
lettrici! Immagino che per voi sia stato più complicato seguire questa storia,
leggendola così “tutta in un colpo”, soprattutto visto l’incoerenza di certi
punti, come mi è stato giustamente fatto notare. Mi dispiace molto per questo,
ma è davvero difficile avere il controllo di tutto, soprattutto visto che
questa ff sembra andare avanti di testa propria a
seconda del mio umore. Grazie davvero per tutto il supporto e i vostri
consigli. Ah! Mi sorprende anche che troviate i personaggi così ben
rispecchiati. E’ una cosa che mi sta molto a cuore e vedere che i miei sforzi
non sono vani è un’altra fonte di happiness! Questo
angolo sta diventando un po’ lungo… ok. Spero che questo capitolo vi sia
piaciuto. Forse lo avvertirete un po’ troppo affrettato il problema è che mi
sono dilungata più del previsto e ho cercato di troncare alcune parti. Fra poco
la mia vacanza terminerà, quindi inizierà a diventare più difficile trovare il
tempo per scrivere. Ma lo troverò!