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Autore: Aura    11/09/2013    1 recensioni
Diana cambia città, trasferendosi in un posto dove l'unica persona che conosce è Michele, un tempo suo mentore ma ora praticamente un estraneo, dopo dieci anni in cui non si sono né visti né sentiti. E quando lo rivede capisce che quello che prova è ben più della nostalgia di un'amicizia: ma Michele è anche il suo nuovo capo, e il ricordo del loro passato è troppo bello, così l'unica cosa sensata da fare è cercare di soffocare quel sentimento nascente.
Riprenderà in mano le bottiglie e ricomincerà a fare la barista, lasciando che Michele ancora una volta torni ad essere il suo mentore; lei dovrà solo preoccuparsi di tenere a bada i pensieri che hanno iniziato a tormentarla.
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Diana era agitata, erano passati quanti? Dieci anni, o forse poco meno, da che non vedeva Michele, e ora era diretta a casa sua, con due valigie nel bagagliaio della macchina.
Il navigatore iniziava a innervosirla, sembrava che come al solito quell'aggeggio infernale avesse deciso di non collaborare, e Diana si fermò in un parcheggio pronta a capire cosa non andasse o distruggerlo, dopo che quell'affare aveva detto per la terza volta “Ricalcolo del percorso”.
– Insomma, – gli disse, sbattendolo con poca grazia sul volante. – ti decidi o no? Dovremmo essere vicini, perché non trovi la strada?
Guardò l'ora: Michele le aveva chiesto di arrivare per le sei e mezza, perché lui poi sarebbe dovuto andare al lavoro, ed erano già le sette meno un quarto.
Sconfitta fece un respiro e lo chiamò.
– Ti sei persa? – la sua voce, bassa e rauca, le colpì con una buona dose di sarcasmo.
– Non è colpa mia, è il navigatore che si rifiuta di collaborare. – si giustificò.
Michele fece una risatina vittoriosa.
– Te lo avevo detto, dove sei?
Abbassò il finestrino e mise fuori la testa, cercando di trovare il nome della via.
– Non lo so, sono in un parcheggio, qui davanti c'è un tabaccaio con l'insegna viola.
– Lascia la macchina lì e cammina in direzione opposta al tabaccaio: vengo a prenderti.

Così Diana riempì la borsa con tutte le cose che aveva sparpagliato in macchina durante il viaggio, prese non senza sforzo le valigie, e si incamminò; fermandosi ogni due passi per tirare su la tracolla che le scivolava dalla spalla.
– Ehi, cosa stai cercando di fare? – Lo vide arrivare verso di lei, e sorrise istintivamente: era esattamente come se lo ricordava, sembrava che non fosse passato nemmeno un giorno.
– Ciao! – disse, tendendogli le braccia.
– Ciao Diana. – L'abbracciò velocemente e prese le sue valigie. – Scappiamo: te lo avevo detto che dovevo lavorare!
Lei iniziò a trotterellargli dietro.
– Come mai mi chiami così? – Sollevò un sopracciglio. – Non ti ricordi?
Michele la guardò interrogativo, stringendo gli occhi a due fessure.
Daiana! Lo hai sempre detto così il mio nome.
Lui asserì brevemente, e si fermò davanti a un palazzo, cercando le chiavi in tasca e borbottando che prima aveva lasciato il portone aperto.
Diana lo seguì in silenzio, limitandosi ad osservarlo di sottecchi mentre lui, in ascensore, controllava l'ora.
Le fece strada sul pianerottolo.
– Ecco, questo è il tuo appartamento, io sono esattamente a quella porta, per qualsiasi cosa tu abbia bisogno. Domani inizierai, se stasera non sei stanca e vuoi venire a vedere l'ambiente... – Scarabocchiò qualcosa su uno scontrino che aveva in tasca, tipico di lui, anziché mandarle un messaggio. – Questo è l'indirizzo. – Le consegnò le chiavi, perché lei potesse aprire, e le portò le valigie dentro. – Ora devo scappare, se non ci vediamo stasera a domani mattina!
Diana rimase nell'appartamento vuoto, sentendosi vagamente a disagio. Certo, non si sarebbe aspettata una riunione del tipo amici d'infanzia con lacrime annesse, ma era sempre andata d'accordo con Michele, e anche se non si erano visti né sentiti per anni aveva pensato a un incontro un po' più amichevole.
Trascinò le valigie nella camera, fece il giro della casa e dopo essersi accertata che era appena stata pulita a fondo si decise di concedersi una meritata doccia, che l'avrebbe risvegliata dopo le lunghe ore di viaggio.



A diciassette anni aveva lasciato la scuola, dichiarando che prendere il diploma non era nei suoi interessi, e dopo una fallimentare esperienza come cameriera, il giorno del suo diciottesimo compleanno, lesse un volantino che sapeva le avrebbe cambiato la vita: Corsi di Bartender e Flair primo e secondo livello, per informazioni chiamare...
Fu così che era entrata a far parte di quella piccola accademia neonata, e come alunna più piccola si era guadagnata velocemente il suo posto e le simpatie di tutti.
Aveva superato con buoni risultati il primo corso, e Mariela, la direttrice, dopo averle offerto un posto nel bar di fronte all'accademia gestito da lei, le aveva proposto di frequentare anche i corsi successivi facendole degli importanti sconti.
Diana amava quelle aule, dove passava le ore a esercitarsi, e si pavoneggiava spesso con i suoi compagni, vantandosi dei suoi miglioramenti nella tecnica, gongolando quando il loro insegnante pluripremiato Francesco, detto Frank, le faceva i complimenti.
Quella mattina quindi entrò baldanzosamente in accademia, salutò la segretaria con disinvoltura e salì al piano superiore, aspettandosi di trovare l'aula ancora vuota, in modo da potersi sgranchire un po' prima dell'arrivo di Frank e dei suoi nuovi compagni. Ma le sue aspettative vennero disattese, nella postazione occupata solitamente da Frank c'era un uomo, appoggiato, intento a sfogliare un libro.
Lo guardò di sottecchi, guadagnando infastidita la postazione che era sempre stata sua, e sistemò rumorosamente le sue cose.
– Quella è la postazione dell'insegnante. – disse poi, seccata.
Lui sollevò appena gli occhi dal libro.
– Lo so. – disse, con voce roca.
Diana sollevò un sopracciglio: qualcuno aveva fatto le ore piccole quella notte. E iniziò a scaldarsi, con qualche lancio base.
Frank entrò nell'aula, con il solito casino che lo accompagnava: una trolley mezzo aperto da cui fuoriusciva uno shaker, la giacca che cadde a terra mentre camminava, e il suo modo di fare chiassoso.
– Oh-oh, Diana, ci sei anche tu! – la salutò, contento, abbandonando la valigia e andando ad abbracciarla. – I tuoi compagni avranno un osso duro, allora! Hai già conosciuto Michele?
Il sorriso scomparve brevemente dal volto della ragazza.
– Veramente no, era impegnato a leggere.
Michele sollevò divertito un angolo della bocca.
– E lei era impegnata a mettermi al mio posto.
Iniziarono ad arrivare gli altri ragazzi che avrebbero frequentato il suo corso, come al solito era la più piccola e come al solito era l'unica donna.
Erano in sei, in tutto, e Frank, dopo essersi brevemente assicurato che ci fossero tutti, partì in quarta con la lezione.
Alla prima pausa sigaretta Diana si era accaparrata l'attenzione di Frank, raccontandogli con quanto impegno riuscisse a combinare gli allenamenti di flair, il freestyle del bartender, al lavoro, ma non riuscì a evitare di ascoltare Simone, un suo compagno, che salutava calorosamente quel Michele, appellandolo come genio.
Frank probabilmente si accorse dell'espressione seccata sul suo volto, radunò i ragazzi intorno a lui e presentò a tutti Michele, che durante la lezione era stato in disparte.
– Sapete, – spiegò, – io, Michele e Luca, che presto conoscerete, abbiamo deciso di metterci in società, e collaboreremo insieme con varie scuole di bartending in tutta Italia: il nostro sogno è formare dei baristi come si deve. Luca è il genio del caffè, io mi occuperò dei corsi più acrobatici e avanzati, e Michele prenderà il mio posto con quelli del primo livello: è un grande, – disse poi, rivolto a lei, – quasi quasi mi dispiace che non hai potuto seguire il corso con lui.
Diana lo guardò di sottecchi, dichiarando tra sé e sé che non si fidava ancora di lui, poi spensero le sigarette e ricominciarono a lavorare.

Mesi dopo si chiedeva come poteva essere stata tanto stupida a non adorarlo immediatamente: era Michele il vero genio fra i tre, lui era straordinario, sapeva tutto, poteva parlare di qualsiasi cosa con la sua voce bassa e roca e lei poteva giurare ad occhi chiusi che avrebbe imparato di più ascoltandolo che ricercando le stesse cose su Wikipedia. Non per niente qualcuno lo aveva soprannominato Google.
Ma Michele non era il solito tuttologo noioso, lui la sua opinione la dava solo se veniva richiesta.
Quando finì il loro corso Frank partì, e Michele rimase per una nuova classe: non era raro che Diana, finito il lavoro al bar, facesse capolino in accademia, e lo aspettasse per andare a mangiare qualcosa insieme; stupendosi di come, nonostante avesse già frequentato quel corso e anche quello più avanzato, ascoltando le sue lezioni imparasse sempre qualcosa di nuovo.
Quando finalmente i suoi studenti, in estasi da apprendimento, andavano a casa, Diana accompagnava Michele all'albergo presso cui alloggiava, lo aspettava mentre si faceva una doccia e poi partivano, ogni sera con una destinazione diversa. Si divertiva un mondo con lui, a tratti spiritoso, a tratti riflessivo, spesso brontolone.
Daiana, – le diceva, dall'alto dei suoi trentanni, – quando avrai la mia età capirai molte cose, tra cui che fare tardi tutte le sere non è umanamente possibile, se la mattina dopo ti devi svegliare presto per andare a parlare davanti a dieci persone.
Diana rideva, mentre invece che tornare all'albergo, da brava amica, lo portava in qualche locale appena aperto per sentire la sua opinione sui cocktail che facevano, o su come avevano organizzato il bancone.
– Ma smettila di fare il vecchio, l'altro ieri abbiamo fatto un po' tardi, ma ieri ti ho riaccompagnato in albergo prima di mezzanotte!
Michele allora scuoteva la testa arreso, non avendo la macchina e non potendo decidere lui.
– Ah, carina, ti auguro proprio che anche tu troverai qualcuno di maledire. E cambia musica, che è sta roba?
In genere Diana allora gli chiedeva di scegliere qualcosa lui, e poi, compatibilmente con la guida, si metteva comoda, in attesa dei suoi racconti sulla canzone che stavano ascoltando.
Avevano passato sei mesi così, poi Michele era tornato a Padova, per poi ritornare in quella piccola cittadina del torinese un anno dopo, e nonostante Diana avesse trovato un altro posto di lavoro più lontano, dopo che Mariela aveva ceduto il bar, e nonostante quella volta si era portato con sé la macchina, lei raramente non si faceva trovare in accademia all'ora di chiusura pronta a portarlo fuori a mangiare, tanto che Mariela aveva iniziato a chiamarla "l'angelo di Michele".
Diana però non lo faceva per evitargli di mangiare da solo, il motivo per cui principalmente aveva iniziato l'anno prima a portarlo fuori, ma perché Michele era il suo mentore e il suo amico, e in sua compagnia stava benissimo.
Era quasi seccata quando comparivano Frank e Luca, nonostante li avesse sempre adorati, a portarle via il loro rito di cena e discorsi più o meno seri: Frank attirava sempre la sua attenzione su di sé, e quando c'era lui puntualmente dovevano andare a ballare, così Diana si trovava spesso in pista con Frank, Luca, e qualche vecchio compagno di corso che saputo che erano in città li aveva raggiunti, mentre Michele rimaneva al bancone, dichiarando che lui non avrebbe mai ballato in mezzo ai ragazzini.

Poi, semplicemente, lo aveva perso di vista: l'accademia era stata venduta, e Michele non collaborava più con i nuovi proprietari; non aveva motivo di chiamarlo, così all'ennesimo cambio di cellulare si era scordata di copiare il suo numero di telefono, e a quell'epoca non c'era Facebook.
Non l'aveva più visto né sentito per anni, ma nonostante tutto da qualche parte nei suoi ricordi le serate con Michele, la figura che più di tutti i professori che aveva avuto nella sua vita era stato l'unico mentore, non le aveva mai scordate.
Si ritrovò a cambiare lavoro, finendo a gestire un negozio di vestiti, cambiò qualche ragazzo e andò a vivere da sola; e gli anni passarono ancora.
Una notte, all'alba del suo ventottesimo compleanno, si ritrovò a spulciare il vecchio blog che teneva da ragazzina, una sorta di diario privato che nonostante fosse in internet era rimasto tale, e precisamente si ritrovò su un post dello stesso giorno, ma datato anni prima.
Era una sorta di ringraziamento a chi l'aveva fatta crescere nei suoi primi vent'anni, e lì, in cima alla pagina, spiccava il nome di Michele.
Le ci volle una settimana per trovarlo su Facebook, dal momento che non ricordava il suo cognome e non avevano amici in comune, ma lo trovò, e insieme alla richiesta di amicizia gli scrisse una lunga mail, raccontandogli chi era e com'era cambiata la sua vita in quegli anni.
Passò un mese, prima che Michele accettasse la richiesta, e altri due prima che una sera la salutasse in chat.
Diana bypassò l'offesa, e chiacchierarono brevemente del più e del meno: lui aveva abbandonato l'insegnamento da anni, e era gestiva il bar di una discoteca di Padova.
Non parlarono più, poi, dopo un altro mese, una sera in cui era particolarmente cupa per via di una giornata lavorativa andata non proprio benissimo, vedendolo on-line Diana gli chiese scherzosamente se non fosse disposto ad assumerla come barista, anche se erano anni che non lavorava più in quell'ambito.
Michele rispose spiazzandola, non cogliendo l'aspetto ironico, e le disse che avrebbe potuto prenderla in considerazione, dato che era a corto di personale.
Diana inserì uno smile imbarazzato, specificò lo scherzo facendogli notare che viveva a centinaia di chilometri di distanza: dove avrebbe vissuto?
Poi venne distratta da un'altra conversazione, e non fece caso che Michele non le aveva ancora risposto.
Una settimana dopo, entrando on-line, trovò un suo messaggio:
Michele: se ti interessa ancora il lavoro ti ho trovato un appartamento nel mio condominio, l'affitto è buono, e conosco il proprietario di casa: è tenuta bene. Fammi sapere cosa decidi e quando puoi essere qui.
Non ci aveva mai pensato seriamente. Fino a quel momento. Scattò in piedi come una molla, prese l'ultima busta paga e controllò il TFR teorico, calcolando che se anche avesse rinunciato a qualche giorno di preavviso non sarebbe stato molto grave.
Il suo contratto di affitto non prevedeva perdite di caparra, poteva semplicemente disdirlo da un mese all'altro, così scrisse subito una mail a Irina, la sua proprietaria di casa, e poi scrisse a Michele che sarebbe stata lì per la fine di quel mese.
Ecco che cosa le ci voleva: cambiare vita.

Certo, lei e Michele non si erano sentiti per anni, però si era aspettata almeno che la chiamasse Daiana.
Chiuse l'acqua della doccia, l'imbarazzo non era ancora andato via, non poteva fare a meno di chiedersi se non aveva sbagliato a mollare tutto e ad andare lì, in una città che non conosceva, a fare un lavoro che non faceva da anni, con come unico conoscente un amico di talmente vecchia data da essere diventato un estraneo.






Nda: forte, per la seconda volta sbatto la testa contro l'enorme muro del pochissimo pubblico delle originali, e degli zero commenti che mi devo aspettare da loro, e stasera, invece che pubblicare l'ultimo capitolo di Blackout, ritrovo questa storia e decido di continuarla e metterla alla gogna.
Grazie a Federico, tuttologo e mentore come pochi, ovunque tu sia. Ovviamente in questa storia non ci sei tu, ma ho voluto regalare al protagonista una delle tue meravigliose caratteristiche.
Ps: forse sto cominciando a pubblicare tante nuove storie perché la domanda "Hai già l'HTML? -Sì -No -Non capisco" mi fa ridere come la prima volta che l'ho letta. Con tutto il rispetto con chi dice "Non capisco", eh! Io sono la prima frana con l'HTML, senza Nvu sarei morta!
   
 
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