Videogiochi > Mass Effect
Segui la storia  |       
Autore: lubitina    11/09/2013    0 recensioni
C'erano cose, là fuori, in attesa, nel buio. Ora sono arrivate qui, silenziose e violente.
Ma Lui.. Lui c'è sempre stato.
Genere: Avventura, Drammatico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
 <<  
- Questa storia fa parte della serie 'The Last Harvest'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Be near me when my light is low, 
When the blood creeps, and the nerves prick 
And tingle; and the heart is sick, 
And all the wheels of Being slow. 

Be near me when the sensuous frame 
Is rack’d with pangs that conquer trust; 
And Time, a maniac scattering dust, 
And Life, a Fury slinging flame. 

Be near me when my faith is dry, 
And men the flies of latter spring, 
That lay their eggs, and sting and sing 
And weave their petty cells and die. 


 

Altakiril, Abisso di Shrike

 
Yula’Tashrik vas Rayya non era mai scesa su un pianeta, nè aveva mai visto una città. Aveva sentito parlare, e ammirato in olofilm, delle metropoli di Thessia, Palaven, delle colonie delle rispettive razze, e di come gli insediamenti Salarian e Elcor fossero “splendidamente inseriti nel contesto boschivo o paludoso”.. Una volta, Neli, le aveva regalato un database di oloimmagini di una grande città Umana, sulla Terra, e nella memoria associava, per sempre, quelle alte torri di metallo e cemento, confuse nelle nubi, alla mano di lei stretta alla sua. Yula non ne ricordava il nome, ma era certa di aver giurato a se stessa, mentre, abbracciare, guardavano l’olofilm, che, prima o poi, avrebbe abbandonato la Flotta. E avrebbe visto quanto c’era da vedere nella Galassia, sì. Invidiava Neli, perché lei aveva visitato Ilium, calcato le sue strade patinate e si era confusa nell’enorme folla che ne animava le metropoli, e perfino insegnato in un’Università. Costretto, con quell’aura magnetica e sapiente che emanava, antiche Asari ad ascoltare le sue teorie sull’effetto massa. Visto il tramonto di un Sole indorare il mare, affondato con i piedi nella sabbia morbida di una spiaggia, toccato con mano le piante verdi di quel pianeta.
Lei, invece, svolto il suo pellegrinaggio su Omega. Aveva compiuto i ventuno anni quando la Flotta si trovava a passare nel Sistema di Sharabarik, e la calotta rocciosa dell’enorme asteroide l’aveva subito attratta. Aveva saputo immediatamente che era lì che voleva andare, tra la feccia della galassia. Il comandante della sua nave, la Shellen, aveva acconsentito : per un’orfana come lei, rappresentava il tutore.  
Yula era stata curiosa, eccitata al solo pensiero dei bassifondi soffocanti e degli enormi maxischermi su cui campeggiava il visino blu di Aria T’loak. Cosa aveva, del resto, da perdere, una Quarian di basso rango come lei? Lì, ad Omega.. Keelah, forse era meglio non risvegliare ricordi sopiti. Eppure, una strana sensazione d’orgoglio la riempiva ora, a ripensare alla sua permanenza  tra quella feccia.
Ora, nel gelo, rabbrividiva a quel pensiero. Anelava alla calma, asettica, isoterma, pace, della Flotta Migrante. Casa.. non esiste più, sussurrò a se stessa. La Rayya è solo un cumulo di detriti fusi e cadaveri.
Riuscì a frenare la lacrime, ripromettendosi di affrontare più avanti quanto era accaduto. Ora, tutto era troppo fresco e doloroso, le sorde esplosioni nel vuoto erano ancora troppo violente, nella memoria. Neli..se solo ci fosse stata lei lì, assieme  alla sua compagna,la  cinica razionalità.
Riprese a camminare, concentrata solamente su dove metteva i piedi. Riuscì a calmarsi, ascoltando il ritmico su e giù dei suoi passi. Le venne allora in mente che, da qualche parte nella zona d’influenza umana, esisteva un pianeta che era, un tempo, una sola, enorme, metropoli, lussureggiante e brulicante di vita.
Eppure, ciò che aveva davanti a sé, era una distesa grigia di forme contorte che raggiungeva l’orizzonte, grigio piombo di scorie e polveri,  e lo oltrepassava. La culla di milioni di persone, ora la loro tomba, era stata una città coloniale. Ora non rimanevano che macerie, scheletri metallici d’edifici che si ergevano a crudele e spoglio monito.
Si trovava ad arrancare in ciò che, prima della Mietitura, doveva essere stata una via principale della città turian: ai suoi lati si ergevano edifici muti, mura crollate, navette sfondate dai bombardamenti dall’orbita. E da quelle mura, quantità inimmaginabili di cose si erano riversate lungo la strada: tavoli, armadi, terminali, oggetti personali, letti, armi, ma soprattutto persone.
Perché i cadaveri erano ad ogni angolo della strada, illuminati dalla fioca luce dell’alba del pianeta glaciale.
Ogni cosa, ogni grigio pilastro crollato, era ricoperta di brina mattutina, che creava un’opaca patina, donando all’ambiente un’aura di mistico, di eterno. Yula, seppur ben protetta dalla tuta, rabbrividì.
 
Ventidue anni appena compiuti. Tornata indietro dal pellegrinaggio, dati sulla posizione di un giacimento vergine d’eezo accuratamente appuntati sul suo factotum. Ciò era il suo regalo alla Flotta. Aveva lottato e sofferto per quell’informazione, ma ora, mentre consegnava, nella piazza centrale dell’enorme nave, quelle preziose coordinate al capitano Kar’Danna, sentiva il suo cuore, sotto la tuta, esplodere di gioia e d’orgoglio. “Ti ringrazio a nome della Flotta, per questo tuo incommensurabile dono. Yula’Tashrik, nar Shellen, ti accolgo su questa nave. Da ora in poi tu sarai Yula’Tashrik vas Rayya.”
Lei aveva abbassato il capo, e aveva cominciato a piangere, dietro la maschera,in felice silenzio.
Kar’Danna, allora, le centinaia di sguardi quieti fissi su di loro, le aveva preso le mani, come era prassi. “Ti mostrerò i tuoi alloggi”, aveva detto. E lei lo aveva seguito, e le sembrava di volare. Lì.. lì, su quella nave antica come la Guerra del Risveglio, colma di persone e multicolore, sentiva che la sua vita stava iniziando di nuovo.
 
 
Passò accanto ad un cadavere di una turian, la bocca congelata semiaperta, gli occhi ancora spalancati, le mani ad artigliare con forza una vita che l’aveva abbandonata. Una tremenda ferita all’addome era il silenzioso segnale della sua morte. Accanto a lei, un uomo, forse il compagno. Le sue braccia erano strette attorno al suo corpo, in un estremo tentativo di protezione. L’intera schiena era stata squarciata dalla caduta di un pezzo di metallo acuminato.
Ogni pochi passi doveva fermarsi o addirittura scalare cumuli di macerie, perchè la strada era ingombra di lastre di vetro e cemento, in alcuni punti ridotto a lava dall’enorme calore sprigionato dall’attacco dei laser Razziatori. Yula misurò le radiazioni: incredibilmente, la radioattività corrispondeva a quella naturale. Si domandò allora perché nella Flotta si fosse sempre pensato che i Razziatori dovessero, in qualche modo, lasciare isotopi radioattivi al loro passaggio.
Si rese conto che, più procedeva, più la devastazione si faceva totale,e  nulla rimaneva in piedi. Infatti, la pianura su cui sorgeva la città si faceva più aperta, e l’orizzonte grigio si confondeva sempre più col cielo plumbeo, carico di gelide promesse. Nulla era più come era stato, e le tracce della civiltà che aveva abitato quel pianeta rimanevano solamente a vessillo e monito per i posteri: gli sguardi vuoti dei morti sembravano gridare “vendicateci”.
Quella devastazione era diversa da quella che Yula aveva visto sugli ologiornali. Mancavano quelle orrende macchine, i denti di drago, che sulle colonie umane e asari erano disseminati ovunque nella distruzione, e mancavano i cadaveri delle truppe dei Razziatori.  Non c’erano, nell’asfalto, i crateri nell’asfalto lasciati dal contatto, con la terra, dei Mietitori , pronti a rilasciare la loro orda di distruzione.
Yula non aveva mai neppure visto un componente della truppe mutate delle Macchine.
 
 
 
Neli era entrata nella stanza, come una furia, richiudendo fin troppo rapida il portellone dietro di sé, ed attivando in nervosa fretta lo sterilizzatore dell’aria al suo ingresso. Aveva, poi, sospirato. Yula la guardava, in attesa. Sentiva che era in arrivo una delle sue solite tempeste. A volto scoperto, le aveva sorriso radiosa, in un silenzioso invito a parlarle.
Lei non si era tolta la maschera, ma era crollata a terra, stancamente appoggiandosi alla parete.
“Yula, a mia madre serve il tuo aiuto.”, aveva detto in un soffio.
“Per cosa?”, aveva chiesto Yula, incuriosita. Lana’Vael vas Rayya, molti anni prima, era stata il Grande Ammiraglio della Flotta Migrante, scalzata poi dal traditore Rael’Zorah. Ma quel tempo era ora finito, e si ritrovava con un pugno di mosche in una mano, e le sue misteriose e inconcludenti ricerche nell’altra. Ed una figlia incapace di portare avanti la genealogia, per cui lei aveva smosso l’intero Ammiragliato per farla assegnare alla Rayya, sua stessa nave di provenienza. Un avvenimento che non si ripeteva da almeno un secolo. Yula, pur conscia dell’odio che la donna provava nei suoi confronti, non riusciva a biasimarla: era tutto ciò che le fosse rimasto.
Neli, con gesti lenti e calcolati, nel tentativo di nascondere il tremore delle mani, si era tolta la maschera, appoggiandola nello sterilizzatore a caldo per oggetti. Chiunque potesse permettersi una tale attrezzatura, nella Flotta, doveva considerarsi fortunato. Yula aveva sentito dire che sulla Cittadella ne esistevano a laser ultravioletti, ma lei non c’era mai stata. E credeva che mai, e poi mai, avrebbe passeggiato nei giardini del Presidium.
Il volto di Neli era più contratto e nervoso del solito. Con vergognosa fretta, si asciugò le lacrime che le ricavano la pelle troppo bianca per una Quarian. “Ha..Non so.. Credo abbia comprato da qualcuno, nei Terminus, il cadavere di un mutante delle Macchine. Era, suppone, un essere Umano. E.. voleva che tu la aiutassi con una..”, un singhiozzo non troppo ben nascosto la scosse,”..simulazione informatica. Sviluppare un modello del processo di mutazione, sì. Dice di aver individuato l’agente eziologico”. Ed annuì, come per convincersi che avesse detto e fatto la cosa giusta.
Yula aveva annuito a sua volta. “Lo farò, Neli.” Non l’aveva mai vista così sconvolta. Anzi, è la prima volta che la vedeva quantomeno perdere la calma.
All’improvviso, lei, sempre seduta a terra, si coprì il viso con le mani. “Yula.. Io non posso pensare che quella cosa, un tempo, fosse stata viva come noi. Che avesse pensato, parlato, amato, odiato. Keelah, Yula, quegli occhi…”
 
 
 
 
All’improvviso, oltre un cumulo di navette e cadaveri, Yula trovò di fronte a sé un’alta scarpata. Il terreno era come sollevato, in una muraglia di almeno quindici metri. Yula deglutì, comprendendo immediatamente davanti a cosa si trovasse.
-E’ un cratere. ,- disse all’aria gelida. Il vento prese a soffiare e a cigolare tra le macerie metalliche, sollevando grigi nugoli di polvere.
Un cratere creato dal gigantesco impatto che aveva polverizzato quella città, sicuramente causato da bombardamento ad effetto massa. Quale poteva essere la massa iniziale dell’oggetto accelerato tramite energia oscura? Pochi millimetri, probabilmente. Keelah, quanta energia doveva aver sviluppato? Numeri incommensurabili si affacciarono nella sua mente. Di nuovo, rabbrividì.
-Avanti, Yula, sei riuscita ad arrivare fin qui sana e salva,-disse a se stessa, mentre si appoggiava stancamente alla parete di detriti liquefatti, in alcuni tratti quasi verticale, -Sei sopravvissuta al folle viaggio su quella carretta del Batarian, hai commerciato per il tuo vile tornaconto tecnologia segreta..
Scoppiò a ridere, stanca. Sul factotum, programmò il rilascio graduale di stimolanti.
-Che personaggio improbabile..,-continuò a dire a se stessa e ai resti del mondo. –Poi si dice di noi Quarian, che siamo una specie strana.. ,- mormorò, prendendo nel piccolo pugno un po’ di polvere di cemento, mista a vetro, metallo fuso, forse ossa.
I liquidi occhi neri, la pelle verde, lucida, squamosa, la voce gentile, e quei lineamenti così simili ai loro, tranne per le placche cartilaginose e rosso sangue sul collo.. Keryle, il Drell di Omega. Era una fitta lancinante al cuore, ogni volta che ripensava a lui. Forse, oltre a Neli,non aveva mai permesso mai a nessuno di essere così vicino a lei. E un giorno, forse, quando sarebbe stata libera e non più braccata, e quando quell’orrore sarebbe terminato, sarebbe tornata sulla stazione, e gli avrebbe offerto una birra. Sorrise, a quel pensiero.
Confortata, tentò di pensare a come continuare, e prese a camminare avanti e indietro, fiancheggiando la scarpata. Il Batarian, il cui nome impronunciabile Yula aveva cambiato semplicemente in “Contrabbandiere”, aveva detto, venendole ad aprire personalmente il portellone della sua orrenda e malridotta fregata e scaricandola in mezzo al ghiaccio senza tanti complimenti, almeno sei kilometri indietro, di camminare sempre dritto lungo la “strada”. Yula, però, non aveva mai visto una “strada”.
Aveva però dedotto, dai regolari cumuli di macerie ai lati di una striscia di asfalto libera e occupata da navette semidistrutte, che, quella, doveva essere la “strada”. La certezza, ora, era che doveva trovare il modo di scalare, o quantomeno oltrepassare, i lembi del cratere, di cui Contrabbandiere non si era minimamente preoccupato di avvisarla. –Stronzo ingrato!,-gridò di nuovo, all’aria improvvisamente immobile, e sempre più gelida. Il Sole, pallido e fioco, stava calando rapido alle sue spalle.-Ho installato sulla tua merdosa nave un sistema di occultamento tra i più avanzati della cazzo di Galassia..
Il viaggio, sulla nave di Contrabbandiere, era stato un Inferno. Neli era già in viaggio per i Sistemi Terminus, in una posizione che neppure lei era riuscita a scoprire,e Yula doveva scappare. Altrimenti.. No, non osava ancora pensarvi. Aveva contattato il Batarian, sì. Lo conosceva dai tempi di Omega, e bazzicava spesso dalle parti del suo negozio. Lui aveva, prontamente, risposto, avvertendo, pur ad anni di luce di distanza, il profumo del guadagno. E lei non lo aveva deluso. Gli aveva promesso, in una delle sue tante mail criptate, il meglio che qualunque pirata, ladro, fuorilegge, dei Terminus avrebbe mai potuto desiderare: il sistema di occultamento delle navi Geth, scoperto e replicato nel laboratorio in cui Yula era stata assegnata dal tanto gentile Kar’Danna. Era certa, ed aveva avuto ragione, che nel pieno della battaglia per il Pianeta Natale, nessuno avrebbe fatto caso ad un’incursione interna alla flotta di una fregata che batteva bandiera dello spazio Batarian. Probabilmente anche grazie ad un suo aiutino informatico..La fregata non sarebbe apparsa altro se non un caccia Quarian.
Eppure,mentre copiava i dati del progetto sul proprio factotum, e li inviava al Batarian, non riusciva a provare nessuna emozione. Era un involucro vuoto, una crisalide d’aria. Perché Neli non era lì, Neli era lontana, Neli era dispersa tra le stelle. Non era lì a ricordarle cosa significasse avere un’etica, avere qualcuno da cui si era stati cresciuti e qualcuno di cui seguire l’esempio. Yula si affidava a ciò che di più basilare e ferino possedesse: lo spirito di sopravvivenza. Sapeva solamente che era assolutamente obbligata a fuggire,ed il più rapidamente possibile. Era l’unica certezza, ma non c’era eccitazione nell’idea della fuga, non c’erano colpe all’idea del tradimento e del furto. Perché l’avrebbero trovata, l’avrebbero condannata. E la pena, inapplicata da secoli, sarebbe stata la morte. Perché ciò che aveva fatto era imperdonabile. E la sua colpa apparve perfino peggiore, nel suo cuore, quando realizzò che non aveva neppure mai visto Tali’Zorah vas Neema, ma sapeva che era nata lì, sulla Rayya.
In qualche profondo recesso di se stessa, Yula aveva compreso di aver dato inizio ad un crudele gioco. Di aver regalato uno strumento di tortura ad un boia senza pietà. E per cosa? Per soddisfazione personale. Perché il suono ticchettante delle sue dita sulle olotastiere dei terminali era estatico, e perché la sfida, che l’Ombra le aveva proposto, era troppo allettante per non essere raccolta.
 
“Yula, ascoltami.”
Lei si era voltata a guardarla, appena tornata dal laboratorio del ponte quattro. C’era stata un’incursione Geth più violenta del solito, tanto da giungere fino alle navi civili come la Rayya. Alcune esplosioni avevano causato una falla nello scafo, prontamente riparata, assieme ad una fuga di materiale radioattivo da uno dei core di eezo, e Neli, riciclata ingegnere nucleare, si era aggregata ai meccanici, su ordine della madre. Controvoglia e preoccupata, Yula l’aveva lasciata andare nell’inferno che, certamente, quel ponte era; perché, nella vecchie navi come quella, il primo sistema ad andare in avaria era il supporto vitale.
Yula era rimasta da sola, nell’alloggio che condividevano, con il cuore in pezzi. L’aveva abbracciata, le aveva assicurato che l’avanguardia Geth era stata respinta, prima di indossare di nuovo la maschera, e di raccogliere le bombole di ossigeno che ogni famiglia aveva in dotazione sulla Flotta per i casi d’emergenza.
Yula aveva pianto, per un po’. Ma poi aveva ricordato il suo compito. E quando lei era tornata, non l’aveva neppure udita aprire e richiudere il portellone, non era corsa ad abbracciarla e a dirle, che, in ogni caso, l’amava e l’ammirava. No, i suoi occhi e la sua mente erano rimasti confinati sul piccolo schermo del terminale, la sua anima proiettata laggiù, sul Pianeta Natale, a spiare ciò che i Servitori, candidi e squittenti, facevano.
 
Il velo rosso scarlatto le donava, in un contrasto feroce con la pelle candida. La fronte era imperlata di sudore. Non le prestò attenzione più di un istante. Non le rispose. Non notò neppure la sua tuta sporca di fuliggine e l’indicatore dell’ossigeno, nella piccola bombola che aveva portato con sé,  sul livello d’emergenza.
Distrattamente, le era parso di udire i suoi passi avvicinarsi a lei, seduta di fronte al terminale, modificato da lei stessa. Mentre, però, era intenta a scrivere un codice, la mano, ancora coperta dal guanto, di Neli si posò sulla sua, e i suoi grandi occhi grigi nei suoi. La sua mano era calda, ma la loro luce gelida, perentoria.
“Vuoi ascoltarmi, adesso?”,disse, in una domanda, ma che suonava come un ordine. Lei, obbediente, nella speranza se ne andasse presto e la lasciasse lavorare, obbedì. Non sottrasse la sua mano alla stretta di quella di lei.
“Ciò che stai facendo è sbagliato.” Yula sentì un leggero livore riempirla.
“Ciò che stiamo facendo entrambe, lo è, Neli. Non interrompermi per dire ovvietà fastidiose, per favore.”, ribatté, usando la mano sinistra per terminare il codice.
Neli scosse la testa, facendo finta di non vedere ciò che lei faceva, e i capelli neri che spuntavano dall’elmetto ondularono in accordo col movimento. “E’ anche ovvio che non mi stessi riferendo a questo, Yula”, e si piegò dolcemente verso di lei, sfiorandole appena la labbra con le proprie. “Ma al compito che hai accettato di svolgere.
“Si tratta dell’Ombra, Yula. Quando ero su Ilium..”
“..E non sulla Cittadella, mi pare.”
“Tu non sai niente!”, sbottò lei, una sottile vena d’isteria nella voce.
Yula alzò gli occhi al cielo. La odiava, quando la sua parte convinta di essere onnisciente riprendeva possesso di lei.
All’improvviso, fu Neli a lasciarle la mano. E le puntò un dito contro, accusatrice. Un gesto che non aveva mai fatto. Mai, mai, neppure una volta, aveva tentato d’imporre la sua superiorità in tale modo. “Yula, cerca di ragionare. Stai dando informazioni all’Ombra, e chissà cosa vuole farsene. Cosa sei, una mercenaria? Non hai imparato nulla? E c’è una di noi, una Quarian, Yula, in mezzo. La figlia di Zorah.”
Abbassò il braccio, che tornò a distendersi lungo il busto. Come sempre, quando era irata, il suo petto si alzava e abbassava rapidamente, in respiri affannosi. Dal canto suo, Yula era confusa, e adirata a sua volta per l’atteggiamento di lei. L’Ammiraglio Zorah aveva avuto una figlia?
“Sì, Zorah aveva una figlia.”, disse Neli, precedendola. “Ha all’incirca la nostra età, credo. Ed ora è stabilmente parte dell’equipaggio del comandante Shepard. Due giorni fa una delegazione di Ammiragli è andata a trattare per un accordo militare con l’Alleanza. A quanto pare, Shepard e il suo equipaggio saranno di supporto alla nostra causa.“
A quel nome, Yula ebbe un lampo di comprensione. L’Umano più famoso della Galassia, il primo Spettro della sua specie. “Su Omega.. Tutti gli Umani ne parlavano.” Aveva visto centinaia di olofilm, riguardo le sue operazioni contro i Geth, interpretati da attori tutto meno che umani (perfino Elcor).. E la Battaglia del Presidium, contro quella “cosa”.. Beh, era ormai un pezzo di storia, una favoletta da raccontare ai bambini per addormentarli. Si chiese a che punto fossero, ormai, le riparazioni alla Cittadella, da parte di quei misteriosi insetti; erano passati più di due anni,ormai.
Neli, forse più calma, annuì, senza però tornare ad avvicinarsi a lei, ma prese a camminare avanti e indietro nella piccola stanza, come un animale in gabbia. Le sue gambe lunghe si muovevano ritmicamente, ipnotiche.  “Ci sono così tante cose che non sai, Yula.”,mormorò la ragazza, incrociando le braccia, fissando un punto nel vuoto pavimento, “Tu, per esempio, non sai che Tali’Zorah vas Neema fu processata per tradimento meno di un anno fa, e che tale Shepard fece fuoco e fiamme per non farla esiliare.”
Yula deglutì. Tradimento? Keelah, l’ultimo processo del genere era stato a carico della madre di Neli, in un tempo in cui nessuna delle due erano, neppure, ancora nate.
“Cosa era accaduto?”
Neli fece un ampio e vago gesto con la mano. “Non lo ricordo esattamente.. Qualcosa riguardo l’operazione in cui il padre morì.”
Yula abbassò lo sguardo, fissandosi le mani posate sulle ginocchia. Era stato un duro colpo. Ma non poteva mollare tutto, ora. L’Ombra l’aveva incaricata, cercata, contattata personalmente; l’Ombra probabilmente sapeva chi lei fosse, e si sarebbe vendicata, se si fosse tirata indietro. L’Ombra.. tutti rabbrividivano,nelle loro tute, al solo pensiero. Eppure, lei, aveva avuto l’impressione di parlare con null’altro se non un suo pari, nei brevi scambi che ebbero via mail.
“Neli, ci sono quasi. Ho quasi il pieno accesso a tutti i controlli di sicurezza dell’Antica Base..”,protestò debolmente. “Se mi dai ancora un po’ di tempo, presto sarò in grado di scrivere un software che sia in grado di seguire autonomamente gli spostamenti degli organici..”
Neli sospirò. Yula sapeva che, suo malgrado, non riusciva a resistere quando lei iniziava a sfoderare la sua conoscenza informatica. “..Calibrato sulle emissioni di calore. Sarà del tutto automatizzato. Io potrò lavarmene le mani, e cancellare ogni residuo dati.”
Neli non rispose, non si mosse. Yula aveva, però, omesso, ciò che di più grave aveva fatto. Poteva prevedere la reazione che Neli, da sempre accecata da quella sua maledetta etica, avrebbe avuto nei suoi confronti. La furia causata dall’orribile insubordinazione avrebbe scavalcato l’amore e la stima, e la condanna sarebbe stata immediata e impietosa. A nulla sarebbero servite le suppliche. Eppure, nonostante la paura, e il senso di colpa che, ogni tanto s’affacciava quando Neli avvicinava il suo viso a quello di lei, e i loro respiri si mescolavano, e  la stringeva tra le braccia, Yula era andata fino in fondo.
Erano almeno due giorni che teneva sotto controllo le attività dell’Ammiraglio Shala’Raan e del Grand’Ammiraglio Zaal’Koris vas Qwib Qwib. Aveva inviato ai loro factotum un worm autoreplicante, in grado di rimandare indietro backdoor automaticamente, assieme a copie dei files scambiati. Inoltre, aveva programmato il malware per attivare le periferiche di registrazione in qualunque momento i factotum fossero in standby. In pratica, avrebbe potuto facilmente spiare vita privata di entrambi, ma non era ciò che la interessava. Ciò che aveva scoperto, suo malgrado ed involontariamente, spulciando tra le mail, le registrazioni audio e le olochiamate, era che Koris era un uomo molto più insicuro di quanto non mostrasse nei suoi lunghi e gloriosi discorsi, profondamente solo, ed infelice. In particolare, c’era una mail inviata ad una donna, una certa Peral, presumibilmente un’Asari, in cui esprimeva tutti i suoi dubbi riguardo la guerra in corso, rivelando informazioni militari teoricamente riservate. Il tono, complessivamente, era disperato. Asseriva di non vedervi un termine, e di come si sentisse lo spietato assassino di ogni soldato, civile, pilota di caccia, che perdeva la vita in ogni incursione. E le morti aumentavano di giorno in giorno. Concludeva chiedendo all’interlocutrice cosa avrebbe fatto Rael’Zorah, secondo lei, se fosse stato ancora vivo, e che a volte “sentiva quelle sue enormi mani chiudersi attorno al suo collo e stringere”. Inoltre, in uno scambio di mail con Han’Gerrel, si profilava, per i giorni a seguire, un atterraggio sul Pianeta Natale, per distruggere alcune torri Jammer. Sarebbe andato lui, in persona, con un piccolo contingente di specialisti al seguito. Nulla da obbiettare sul fegato e sulla competenza strategica del Grand’Ammiraglio, ma in quanto a quella politica, Yula iniziava a nutrire grossi dubbi.
Shala Raan vas Tonbay, d’altro canto, a quanto pareva, era sulla Normandy, la nave del famoso Shepard. La fregata si teneva a distanza dal campo di battaglia, in un punto di Lagrange di Rannoch. Le sue attività erano molto più difficili da individuare: utilizzava un server di intranet esterno alla Flotta, e comune, invece, all’Alleanza.  Era riuscita ad intercettare solo poche missive, ed una singola chiamata con l’Ammiraglio Daro’Xen, peraltro estremamente disturbata. E infine, probabilmente, a quando diceva Raan in una mail criptata, quella nave possedeva un’IA a bordo. Era meglio andarci caute.
 “Yula”, disse infine Neli, “devo mostrarti qualcosa.”
La ragazza, allora, inaspettatamente, si avvicinò a lei, e la baciò. Fu un bacio rapido, sbrigativo, e c’era impazienza in quel gesto. “Cosa?”,mormorò Yula, tentando di slacciarle l’elmetto, quasi dimentica di ciò che stesse facendo. Lei mise le mani sulle sue, e le impedì di aprire i ganci. Scosse la testa. “Indossa anche la maschera”, ordinò allora Neli. Lei obbedì, e, dal respiratore, l’aria parve improvvisamente finta e artificiale. Deglutì, mentre lasciavano l’alloggio.
“Da quanto è che non esci da là dentro, Yula?”, chiese Neli, con mascherata dolcezza. Lei, dietro la maschera, si sentì arrossire. “Da quando siamo in orbita geostazionaria attorno al Pianeta Natale. Da quando il Dipartimento per lo Sviluppo Tecnologie Difensive ha chiuso.” Effettivamente, quando i lavori nel suo laboratorio erano stati sospesi (Koris aveva deciso di destinare alle riparazioni gran parte dei tecnici con più esperienza di Yula), non aveva avuto motivo di uscire. Probabilmente, sarebbe stata convocata ai lavori solo in caso di gravi danni alle apparecchiature informatiche del CIC. Solamente due volte si era recata alle Camere di Sterilizzazione, presenti su ogni ponte della nave, per darsi una ripulita. Neli la riforniva di cibo e acqua, così come faceva con se stessa.
Neli sospirò, ma c’era serenità nella sua voce. “Come devo fare, con te? Sei un’eremita peggiore di me…”
Fece una pausa, in cui presero a camminare per gli affollati corridoi della Rayya, gorgoglianti di civili multicolore nelle loro tute, sullo sfondo grigio delle pareti. Il vociare permeava ogni cosa, riempiva di vita l’antica nave, si elevava al di sopra degli ologiornali trasmessi dai maxischermi.
“Ora, però, chiudi gli occhi”, ordino di nuovo Neli, ma con dolcezza. Yula sorrise, dietro la maschera. “Dove mi sta portando, dottoressa?”, chiese divertita, prendendole la mano,che si strinse nella sua. Ogni cosa, attorno a lei, non divenne altro che suono, e nero ovattato chiazzato di luce che oltrepassava le palpebre.
Camminarono, mano nella mano, come mai facevano in pubblico, per almeno venti minuti. La Rayya era una nave enorme, inizialmente progettata , prima della Guerra del Risveglio come trasporto di linea tra Rannoch e le colonie dei sistemi attigui a quello di Tikkun. Eppure, quel suo destino non si era mai realizzato. Yula aveva sentito raccontare da Neli che l’insurrezione dei Servitori era iniziata esattamente durante il viaggio inaugurale, levatosi da un famoso porto del continente occidentale.
Ogni Geth si ribellò, ogni Geth era in grado di imbracciare un’arma, e tutti lottarono in perfetta sincronia, come se fossero stati progettati appositamente. E la verità fu presto chiara all’equipaggio: i Servitori assegnati a quella nave avevano atteso pazientemente, finto di non aver mai raggiunto la consapevolezza, per coglierli di sorpresa, e pugnalarli alle spalle. E punirli per la loro tracotanza.
Fu un massacro. Si diceva che tanto fu il sangue versato, che i sistemi vitali, nel tentativo di depurare l’aria, andarono in sovraccarico. Eppure, il Capitano Lars’Reegar sopravvisse, e riuscì a prendere possesso della nave, scacciando i Servitori impazziti,e dando estrema sepoltura ai suoi morti. Iniziò poi a vagare per il sistema di  Tikkun, in cerca di sopravvissuti, preparandosi all’Esodo. Così, la Rayya divenne la prima nave della Flotta Migrante.
Quella storia l’aveva sempre fatta rabbrividire.  Sapeva di troppo antico, di atrocità consumatesi in epoche che, in teoria, avrebbe dovuto essere dimenticate, ma che, in realtà, erano parte del duro carico che pesava sulle spalle di ogni Quarian.Ora, però, ad occhi chiusi, i pannelli rosi dalle dita che, nei secoli, li avevano premuti, i pavimenti resi lucidi dai miliardi di passi che vi si erano posati, gli ascensori cigolanti, non erano che un ricordo vago e distante, e quella nave non era mai stata altro se non un’anticamera alle braccia di Neli.
All’improvviso, dopo aver attraversato un portellone, Yula avvertì di trovarsi in uno spazio più ampio, più aperto, non più nei cunicoli soffocanti. Neli strinse con più forza la sua mano, e la guidò piano, camminando con calma. Infine, si fermò, e le circondò la vita con un braccio. C’era un delicato, tiepido, intimo, calore in quel gesto. Yula fece lo stesso, ed una grande calma la invase. “Apri gli occhi, ora.”, sussurrò Neli, con rara dolcezza.
Yula li aprì. E davanti a lei non c’erano altro che terre, desertiche o solcate da grandi fiumi, mari, foreste, e il candido ghiaccio del polo. E quella curva superficie era così vicina che pareva di poterla toccare, e la sua realtà era così spiazzante che ti costringeva a sognare. Sognare una vita diversa, libera dalla tuta ambientale, in cui non avrebbero più dovuto nascondere il loro amore e loro stesse.  “Neli”, mormorò, avvicinandola a sé, appoggiando la propria fronte contro quella di lei, separate da due strati di metallo, “Li c’è  casa.”
Il giorno successivo quel luogo, l’Osservatorio,unica finestra dell’antica e massiccia nave su un universo che si stendeva tutt’attorno, non sarebbe esistito più, distrutto dall’esplosione.
 
 
 
Il vento gelido aveva preso a soffiare con violenza, e nubi grigie come piombo, sempre più scurite dal tramonto nero, correvano impazzite nel cielo. -Avevi ragione, Neli. Hai sempre avuto ragione. Se solo ti avessi ascoltata davvero..
Cominciò a piangere, e crollò a terra, addossata alla parete di detriti. Davanti a lei, troppi cadaveri ammassati e smembrati dalle esplosioni per poter essere contati. Si costrinse a chiudere gli occhi, per non fissare le orbite vuote dei Morti. Cosa hai fatto?, parevano gridare le loro bocche congelate.
Strinse le braccia attorno al corpo, cercando calore, riparo da quel vento. Nascose l’elmetto nelle ginocchia, gridò con furia, con ira. E la sua voce rimbombò aliena su quella terra desolata, dove l’acqua non scorreva e il Sole mai più avrebbe battuto. Dove solo il vento avrebbe eroso le ultime macerie, le avrebbe ridotte a polvere, così come  per le metropoli del Pianeta Natale. Rannoch, e i suoi prati viola, i suoi deserti dorati.
-Non vivrò mai lì. Non morirò mai sul Pianeta,-sussurrò infine, a se stessa.
Perché non lo meritava.
Perché ciò che la Vita era, per lei, non aveva avuto importanza. Perché in lei, non c’era stato rispetto per nessuno: Servitori, Umani, e perfino per il suo popolo.
-Merito l’esilio. ,-disse.
Aveva tradito, spiato, deriso, i Grandi Ammiragli della Flotta. E i volti muti e severi degli Antenati la avrebbe condannata, le loro mani gelide l’avrebbero guidata all’Inferno.
Tali’Zorah.. Lei.. Lei era innocente. Lei non meritava l’esilio. Non lo aveva mai meritato. Ma l’Ombra.. l’Ombra.. Quali erano davvero le sue intenzioni? A cosa aveva dato inizio lei, che in quei momenti non era altro che sei dita su una tastiera?
Lei, Tali.. quel giorno.. non aveva fatto altro che difendere la sua specie. E, quel Geth.. C’era così tanto dolore, così tanta rassegnazione nei suoi gesti..
Keelah, perché non ho compreso dove tutto ciò avrebbe portato? Perché sono stata così cieca, così sciocca?, pensò, sfilando dalla fondina appesa ad un fianco la pistola ARC che aveva sottratto dal magazzino armi del ponte sette, pochi minuti prima di fuggire dal boccaporto. Premette il grilletto, e vi tenne il dito indice, trattenendo il colpo. Minuscole scariche elettriche cominciarono a diffondersi nell’aria, dalla canna dell’arma candida.
Di nuovo, gridò al cielo, dove le nubi, furiose, si scontravano e rincorrevano. Lei soffrirà e sanguinerà per colpa mia, solamente mia. Alzò il braccio, senza staccare il dito dal grilletto. Il colpo doveva essere, ormai, al massimo del voltaggio. Alzò il braccio, e puntò la pistola sulla tempia destra.
Yula’Tashrik vas Rayya, eremita di una nave che non esisteva più, di un popolo che non aveva una terra, aprì gli occhi. Gli occhi neri, muti, ghiacciati, dei Turian disseminati sul cemento e sull’asfalto si diressero verso di lei.
Lei ne sostenne lo sguardo, e parlò.
-Io vi chiedo perdono. ,-disse al vento, ai morti, alla terra congelata e deserta.
E finalmente la pace la avvolse. E fu come se Neli fosse lì con lei, e che mai più dovessero separarsi.
 
 
 
Be near me when I fade away, 
To point the term of human strife, 
And on the low dark verge of life 
The twilight of eternal day.
 

Flux, Agglomerati Superiori, Cittadella

 





-Garrus, pensi mai al futuro?
La domanda lo colse di sorpresa. Di scatto, voltò lo sguardo dal punto che stava fissando, da qualche parte all’interno del drink blu scuro, alla faccia sbarbata di James Vega.
-Tu credi in un futuro, Umano?,aveva risposto, prendendo con le tre dita il contenitore blu.
Il Flux, quella sera, era più affollato del solito. Era un pub di recente apertura, in cui Garrus non era mai stato, ma di cui Vega pareva essere un cliente abituale. Conosceva perfino la cameriera, tale Rita.
Là dentro, aveva immediatamente notato Garrus, appena la porta scorrevole si era richiusa dietro di loro, ogni cosa risplendeva di blu. I neon erano blu. Le luci stroboscopiche erano blu elettrico. I led, montati sul pavimento, lo erano ancor con più violenza. James lo aveva guidato fino ad un bancone secondario nel piano mezzanino, vicino ad una pista da ballo, al cui margine, su strutture rialzate, si dimenavano ballerine Asari seminude. Ovviamente blu.
Ed ora, quel cocktail (“Rita, preparagli qualcosa di forte, soffre di pene d’amore!”) era blu anche lui. E quando si era voltato, perfino Vega pareva essersi tramutato in un maschio Asari troppo nerboruto. Forse, là dentro, c’era davvero qualcosa di forte. O forse era solamente il riflesso dei neon montati dietro al bancone, che facevano capolino tra le bottiglie di superalcolici.
James aveva fatto un’espressione dubbiosa, tentando di simulare un’aria intellettuale. Non gli riuscì,notò Garrus divertito. –Non so. Ma poi lo sai, mio solitario cecchino.. Io non sono un uomo riflessivo. ,- aveva risposto lui, allungando fugacemente una mano aperta sulle terga nude di un’Asari di passaggio. Quella fece un risolino pudico, strizzando un occhio.
-Decisamente no,-borbottò Garrus. –Comunque, James.. Parliamo di cose serie,-annunciò, alzando il tono di voce, e bevendo un altro sorso di quella roba nel bicchiere, che bruciava tremendamente a contatto con la lingua.
-Spara.,-L’Asari si era seduta in braccio all’Umano, continuando a sorridere stupidamente, sbattendo le lunghe ciglia sugli occhioni blu.
-Cosa credi dovremmo fare con Shepard?,-chiese Garrus, d’un fiato. Sapeva, ormai, che avrebbe dovuto parlarne con qualcuno. Perché considerava John il suo miglior amico, ma aveva saputo giudicare quando ormai la situazione era fuori controllo. Tra l’altro, erano due giorni che non lo vedeva. IDA non aveva registrato suoi accessi alla Normandy, da quando erano attraccati. Inoltre, la lista di impegni e missioni lasciate in sospeso andava allungandosi, sul diario di bordo. Hackett continuava a sollecitare per quel segnale su Eden Prime riguardo le attività di Cerberus, ed, ora, a quanto pareva, il consigliere Asari richiedeva assolutamente una conversazione privata con Shepard. Chissà se l’aveva incontrata, al Presidium. Garrus ne dubitava fortemente.
James si passò una mano sulla faccia, grattandosi poi l’ombra di barba che andava ricrescendo, e stringendo l’altro braccio attorno alla vita dell’Asari, che prese a strusciare il naso contro il collo taurino dell’uomo. Garrus sospirò, in un misto di invidia e pena.  –Quest’inerzia mi sta uccidendo, ne sono certo. ,-borbottò, cercando, con sforzo, di concentrarsi sulla faccia del turian.
-Ah, anche a me. – Ed era vero. Era passata poco più di una settimana dal rientro da Rannoch, in cui non c’era stato assolutamente nulla da fare, se non leccarsi le ferite e lasciare il medigel agirvi. Garrus era rimasto ferito, laggiù in quell’inferno di folia, e il dolore al petto che provava ogni qual volta si piegava, gli ricordava delle responsabilità che aveva nei confronti del suo aggressore. Ma preferiva scacciare il terribile ricordo, e concentrarsi sul presente, lucidando il suo Mantis, giocando a Poker con gli altri membri dell’equipaggio. Pensare, pensare, pensare. Era troppo doloroso, confuso e complicato, almeno al momento.
E poi c’era lei.
Vega, improvvise, fece cenno, spingendola delicatamente, all’Asari di andarsene. Garrus, come ipnotizzato, fissò le sue dita rosa affondare nella carne morbida della donna. Quella, con un ultimo languido sorriso, si allontanò, senza mai aver proferito parola.
In un impeto di compassione, James chiese:-Come sta Tali, Garrus? Ho provato a parlare, l’altro giorno, in Sala Macchine, ma mi rispondeva a monosillabi, e ho deciso di lasciarla stare. Credi abbia fatto bene?
Garrus annuì. Una fitta al petto improvvisa lo colse, e fu come se la pioggia del deserto avesse ricominciato a cadere, perfino lì, in quel nightclub. La notte successiva al rientro da Rannoch, o forse due notti dopo, Garrus aveva deciso di raccontare tutto a Vega. Aveva narrato della scomparsa di IDA, di come i Nuclei li avessero scortati al Razziatore, di come questo si fosse levato nel cielo. Del rocambolesco modo in cui lui e Tali erano stati salvati da IDA e stessa, e del suo tremendo bluff con l’ammiraglio Koris. “Beh, però è stato utile”, aveva detto a Vega, tentando di auto convincersene, e quello era scoppiato a ridere, versandosi altro gin. E, infine, gli aveva raccontato dello sparo di Tali all’androide. E.. dell’esplosione.
Non seppe mai quante ore ci vollero, ma a giudicare dal livello di liquido rimasto nella bottiglia, dovevano essere state parecchie. Vega, alla fine, pareva quasi scosso, dietro la sua maschera di ostentata mascolinità. Gli aveva dato una pacca sulla spalla, e annunciato come avrebbe voluto esserci anche lui, ma di come Garrus avesse agito al meglio. E il turian, dopo quella confessione, si sentiva tremendamente svuotato.
-Sì, hai fatto bene. La conosco da tanto, e so che quando soffre ha solamente bisogno di stare da sola. Chissà, forse è così per tutti i Quarian.
Vega bevve un altro sorso di drink, e fece un cenno a Rita, la cameriera, di riempire di nuovo il bicchiere di quel liquido che gli umani chiamavano “vodka”.
-Comunque, riguardo a Loco.. Io, Garrus, non saprei cosa consigliarti. Lui,-e gesticolò, cercando nell’aria intrisa di alcol e sudore le parole,- E’ un simbolo. Non possiamo toglierlo di mezzo così, all’improvviso.
-Non ho mai parlato di toglierlo di mezzo, infatti. Solamente di accantonarlo per un po’, attendendo che si riprenda.
Garrus, infine, in quella lunga notte, aveva tentato, con parole semplici, di spiegare a Vega cosa era successo nel deserto. Insieme, avevano concluso che John Shepard era..mentalmente instabile. E quanto avevano ripreso le telecamere di sorveglianza del deposito della Sala Macchine non aveva fatto altro che confermare il suo timore. In assenza di IDA, che in genere avvisava il Comandante se qualcuno era malato, o se avvenivano azioni contro le regole da parte dell’equipaggio Umano, era Joker ad avere sul suo terminale le registrazioni di tali telecamere. Queste erano installate in tutti i locali comuni della Normandy: ovviamente erano assenti negli alloggi e nei bagni. Qualche giorno prima, Joker gli aveva battuto su una spalla, mentre Garrus fissava senza concentrazione dati di calibrazioni nella Batteria Primaria. Pareva scosso, e combattuto. Ma quando Garrus visionò il video, ogni suo dubbio fu fugato.
Vega si grattò di nuovo la barba. Probabilmente era un gesto che ripeteva ogni volta che era nervoso, ma tentava di mascherarlo. –Ma da cosa, eh, Spinoso? Voglio dire, è un N7, lì ti fanno test psicologici durissimi..
Garrus alzò le spalle. –Non ho idea di come funzioni il vostro piano di addestramento. Ma posso assicurarti che dobbiamo agire, in qualche modo.
Vega sospirò. –Potremmo provare a parlargli. A metterlo di fronte alla realtà, a dirgli “Ehi, bello, tu sei il cazzo di Comandante Shepard, sei la speranza per tutta la Galassia, non puoi  perdere la testa proprio ora”..
Garrus, amareggiato, scosse la testa, e incrociò le braccia. –Probabilmente ci ucciderebbe senza pensarci due volte, James. E credo sia ciò che lo abbia fatto andare avanti, nell’Alleanza. Lui..tiene sotto scacco i suoi commilitoni con la forza della paura. Teme sempre di essere pugnalato alle spalle.
Vega annuì. –Sì, forse hai ragione. Cioè, voglio dire, tu sei un suo amico fraterno, e io non l’ho mai deluso.
-E’ vero,-riconobbe Garrus. James Vega non sarà stato forse un mago delle parole e della sensibilità, ma aveva uno spiccato senso pratico e abilità e freddezza sul campo di battaglia. All’improvviso, ebbe un’idea.
-Possiamo attendere fino a che non ricompaia. Chissà, forse un po’ di baldoria nei bassifondi o una visitina dalla Consorte potrebbero averlo fatto rinsavire. Forse conserva ancora un po’ di spirito di autoconservazione..
Stavolta fu Vega a scuotere la testa. –Non credo, Spinoso. E, anzi, ti dirò..Credo che l’unica opzione valida sia prendere il grande, saggio, potente, comandante Shepard a calci nel culo. Soprattutto per quello che ha fatto a Tali. Dopodiché, potremo tornare a prendere ordini da lui.
James disse tutto ciò di un fiato, e il suo sguardo s’era acceso di una strana luce, mentre parlava. Eppure, c’era amarezza, nella sua voce. Probabilmente aveva creduto di poter trovare un mentore, in John, un esempio da seguire. Ed ora, tutte le sue illusioni erano andate in frantumi. Come il cuore di Garrus mentre guardava il suo comandante prendere per il collo la donna che amava.
-Soprattutto per quello che ha sempre fatto a Tali, James. ,-assentì infine Garrus, guardando il liquido blu vorticare nel bicchiere.
James parve rabbuiarsi ancor di più. –Perché non gliel’hai mai detto, eh, Garrus?
Lui sospirò, e vortici di pensieri e ricordi che credeva di aver dimenticato presero, assieme all’alcol, a fluirgli nelle vene. Le lunghe conversazioni notturne nella Normandy SR1, il lusso di poterla abbracciare per una missione andata a buon fine, e la gioia nel vedere i suoi grandi occhi luminosi posarsi su di lui dopo aver fatto saltare la testa ad un Geth Prime.  Solo quando la testa prese a girargli, si rese conto di non aver respirato, mentre quei ricordi si affacciavano.
-Perché credevo che insieme sarebbero stati felici, James. Sai, ho letto che biologicamente i Quarian e gli Umani sono molto simili, e pensavo…
-Che diavolo pensavi, in quella testa bacata?
Si strinse nelle spalle. –Pensavo sarebbe stato meglio per lei stare con qualcuno che..le ricordasse se stessa. ,-disse infine, con sincerità.
Vega incrociò le braccia muscolose. –Non ti avrei mai creduto così profondo, Vakarian. Comunque, credi di poter individuare la posizione di Shepard? ,-disse, con un sorrisino sghembo.
-Io no,-rispose Garrus, e tese le mandibole in un sorriso,-Ma Tali sì.
 
 
Tornarono rapidamente alla Normandy. Vega offrì i drink, strizzando l’occhio a Rita, e promettendole che sarebbe tornato presto. “Tanto lo so che non manterrai la promessa”,aveva scherzato lei. Garrus, invece, credeva che molto probabilmente sarebbe avvenuto.
La nave era semideserta. Data l’estemporanea licenza, quasi tutti avevano scelto di scendere sulla Cittadella, e di disperdersi tra la folla degli agglomerati. A bordo erano rimasti solamente Joker, Tali e l’androide di IDA. Presumibilmente, l’Umano era ancora combattuto se rimuovere di nuovo i blocchi di coscienza dell’IA, e stava meditando, a suo modo, attorno all’androide ancora disattivato.
E così lo trovarono Garrus e James. Appoggiato sul busto dell’androide, borbottava qualcosa di incomprensibile da solo. Divertito, James assestò a Garrus una gomitata tra le costole, indicando il timoniere. –Spiriti, James, ho ancora la fasciatura!
-Ops,-scoppiò a ridere lui.
Joker si accorse solo allora della loro presenza, e smise di parlare con se stesso. –Che c’è?,-chiese semplicemente, con stizza. La barba era più lunga del solito, e il cappello che indossava sempre aveva l’aria estremamente sudicia. Profonde e violacee borse erano sotto gli occhi, e pareva smagrito.
-Dov’è Tali?,-rispose Garrus con un’altra domanda.
Lui distolse lo sguardo da loro due, e parve improvvisamente incuriosito dalle proprie mani ossute.
Dopo un tempo che parve interminabile passato a studiare le unghie mangiucchiate, rispose. –All’Osservatorio, credo. ,-disse con voce tremante.
-Grazie, Joker. Vatti a dare una ripulita.
 
 
 
Infatti, Tali era all’Osservatorio. I neon erano spenti, e la stanza era immersa nell’oscurità, se non per la fioca luce che proveniva dalla lontana stella del sistema della Cittadella, Vedova.
-Vado io,-mormorò Garrus a Vega, facendogli cenno d’andarsene. Lui annuì, comprendendo.
La Quarian sedeva sul divano, un drink violaceo in mano, il respiratore dell’elmetto trasformato in un sottile ingresso per una cannuccia, che spariva nel metallo, e finiva, presumibilmente, tra le sue labbra.
Teneva le lunghe gambe accavallate, e il braccio che non reggeva il drink mollemente abbandonato in grembo. Quando udì Garrus arrivare, non si mosse né si voltò, ma continuò a fissare la lontana stella, seminascosta dalla sua nebulosa planetaria, che si tingeva di bianco polveroso.
C’era un’estrema tristezza nella sua immobilità.
-Tali, sono Garrus.
-Lo so,-rispose lei, con un filo di voce.
-Posso..sedermi?,-chiese lui, con un lieve imbarazzo. Era da anni, forse, che non era così vicino a lei.
-Certo,-mormorò lei, nella penombra.
Lui si sistemò sul divano troppo morbido, e si concesse un attimo per riflettere. Per formulare una frase coerente, che non la spaventasse. E che non la facesse fuggire con un animale ferito.
-Tali, credo che dovresti ascoltarmi.
Lei rimase in silenzio, né annuì. Era straziante, per Garrus, avvertire quell’apatia. Lei..lei.. era sempre stata una ragazza piena di vita, entusiasta, che amava chiacchierare, che sapeva trasmettere serenità anche attraverso quella dannata tuta, e che aveva una parola di conforto per chiunque. Ma ora, cos’era, se non un corpo vuoto?
Lui, fissando assieme a lei la stella, prese a parlare, e con la coda dell’occhio poteva avvertire la presenza di Tali al suo fianco, l’attenzione che gli dedicava.
-Sono stanco di tutto questo. Sono stanco. Sono stanco di essere comandato da un uomo che mi giura sul suo Dio di essere mio fratello, per poi cercare d’uccidere.. Te. Io..,-e la sua voce iniziò a tremare,- posso comprendere che ha tante responsabilità sulle spalle, e posso capire che questo, dell’eroe, è un ruolo che non gli si addice e che non ha mai desiderato, ma così è. E sono stanco, cazzo, di come ti fai trattare da lui, Tali.
Pronunciò le ultime parole con rabbia, e stentò a trattenere il tono di voce. Avrebbe voluto urlare, gridarle, ordinarle di  sottrarsi a quello stillicidio senza scopo e senza fine, e di salvarsi. Di tornare dalla sua gente, di guidarla sul terreno accidentato di Rannoch.
Lei, con estrema lentezza, appoggiò a terra il drink, e si voltò verso di lui. Per l’ennesima volta, gli occhi luminosi e grigi si posarono su di lui, e lui, dentro , sentì il ghiaccio fondersi, ancora e per sempre.
-Non posso, Garrus.,-rispose infine, con semplicità ed ovvietà.
Lui, si trovò completamente spiazzato. –Ma..ma.. come..,-balbettò.
Lei, scosse la testa, e fece una rapida, amara, risata. –Passerà il dolore, ne sono certa.,-rispose, ignorando la domanda.
Garrus, allora, sospirò. –Tali, ricordi quando ti dissi che avrei dovuto parlarti, quando eri appena tornata qui?
Oramai,non c’era più nulla da perdere. James, forse, aveva ragione. Era arrivato il momento di porre fine ai dubbi, e che quel sentimento privo di senso sparisse dal suo cuore, e smettesse di tormentarlo.
Lei annuì.
-Tali,- cominciò, e il suo cuore prese a pompare contro le costole doloranti, con forza vitale,- tu per me sei indispensabile. E, mi strazia vederti soffrire. Sono stanco di vederti soffrire. Io..Io vorrei che tu tornassi sulla Flotta. Saresti lontana da lui. Potresti avere una vita normale. Potresti salvarti da tutto questo orrore. Avere una famiglia, costruirti una casa su Rannoch. Hai tutto questo davanti a te, ma rimani qui, sulla Normandy.
-E’ questo il mio posto, Garrus. ,-rispose lei, la voce tremante, eppure ferma,-Qui posso essere molto più utile al mio popolo che interfacciando il mio factotum con un IA Geth sul Pianeta Natale. Se non vinciamo questa guerra..loro saranno spazzati via dai Razziatori.
Garrus sentì, allora, la rabbia, montare, ma era totalmente inutile. E le parole vennero fuori come un fiume in piena. Il muro era stato eretto, e si elevava sopra tutti loro, fino a lambire il cielo e le nubi. Cosa era l’amore di una donna per un uomo, quando si apparteneva ad  un popolo in cui credere e da venerare? Cosa era la propria vita, se non un infimo strumento del Bene superiore? Cosa era lei se non una particella di pulviscolo, dispersa fra i miliardi di altre? Come le sabbie attorno a Vedova, come nei deserti di Rannoch.
-Tali, per gli Spiriti, tu.. tu devi essere felice. Tu non puoi continuare a soffrire perché questo detta il tuo codice morale. E.. E.. Io..
Si avvicinò a lei, che voltò di nuovo lo sguardo sulla Stella, silenziosa testimone di epoche dimenticate e che ancora dovevano avvenire. E, come anni prima, quando il mondo era ancora pieno di speranze e di vita, la strinse tra le braccia. Ma lei rimase inerme, senza tendere un muscolo. Un corpo ancora caldo, eppure morto da tempo.  –Io ti amo, se per te questo può avere importanza. ,-disse, pregando gli Spiriti per la sua anima.
 
 
 
 
 
  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Mass Effect / Vai alla pagina dell'autore: lubitina