Libri > Harry Potter
Ricorda la storia  |      
Autore: Ammimajus    11/09/2013    2 recensioni
"Ed è in quel momento che Sirius abbandona tutte le speranze, per il presente e per il futuro. Ha perso ciò che di più caro possedeva. Tutto quello che gli è rimasto, adesso, sono frammenti di un equilibrio ormai spezzato da tempo." 
N.B. Gay!Sirius. 
 
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: I Malandrini, Lily Evans, Mirtilla Malcontenta | Coppie: James Potter/Sirius Black, James/Lily
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
-
Omg, omg, omg. Questa è la mia prima fic appartenente al fandom di Harry Potter: sono emozionata! Prima, avevo pubblicato soltanto un crossover. A dire la verità, ho appuntato mille prompt diversi per scrivere qualche fic su Harry Potter, ma mi sento così poco all’altezza che sono sempre stata restia a pubblicare qualcosa. Non so dove io abbia reperito il coraggio per pubblicare questo scritto e, ad essere sincera, probabilmente me ne pentirò presto ;____;
Dunque, poiché io odio (sebbene ci abbia provato, tbh) scrivere della nuova generazione, la mia OS si colloca all’epoca dei Malandrini, in un periodo che porta dubbi, insoddisfazioni e paure non solo nel mondo dei Maghi, ma anche in quello dei Babbani. E infatti, quello che viene descritto nella storia è un po’ il mio mood degli ultimi tempi, ahimè! Spero che voi non dobbiate soffrire queste assillanti indecisioni, né che vi poniate le mie inutili domande esistenziali.
Il mio sproloquio termina  qui, vi ho trattenuti abbastanza. Spero solo di non farvi pentire di aver iniziato a leggere questa storia  *fingers crossed*
 
Ps: Ah, ringraziate i Green Day, perché i loro brani sono sempre fonte inesauribile di idee per le mie storie. 

 
“When you’re at the end of the road
And you lost all sense of control
And your thoughts have taken their toll,
When your mind breaks the spirit of your soul
Your faith walks on broken glass.
[…] Nothing’s ever built to last, you’re in ruins.”
 21 Guns, Green Day. 

 
 
 
«Codaliscia, suvvia! Non potresti trovare una ragazza e stare con lei, anziché disturbare me e Lily?» osservò James, palesemente infastidito, il braccio di Lily attorno alla vita e la manina di Peter ancora poggiata sulla spalla.
Accelerò il passo e, con uno scossone, invitò Lily a seguirlo. Peter, interdetto, cacciò frettolosamente la mano in tasca, tentando di nascondere l'espressione mortificata che stava sorgendo sul suo viso.
«Smettila di essere così scortese!» protestò lei, liberandosi della stretta e ravviando furiosamente la chioma ramata. Si voltò indietro e osservò Peter, con quella capigliatura malridotta, crespa e irta, e il viso rivolto a terra, come se la punta dei suoi scarponcini fosse l’unico punto fermo nel suo tremore sgomento. Gli scoccò un’occhiata apprensiva e con quella tentò di scusarsi al posto di James, che già tentava di trascinarla via.
Il ragazzo fu grato a Lily per una simile dimostrazione di gentilezza: raramente qualcuno si curava dei suoi sentimenti; appariva sempre troppo spaventato perché ci si preoccupasse del fatto che fosse in grado di provare anche qualche emozione diversa.
Ma per quanto fosse stata gentile e nonostante spesso gli rivolgesse parole premurose, nemmeno Lily Evans, la samaritana della scuola, osava davvero darsi cura dell’umore del povero, piccolo Peter. Quando scomparve dietro James, svoltando in uno dei lunghi corridoi del castello,lui seppe di essere solo.
Si strinse nelle spalle e sospirò. Dov’era il suo posto? Osservò il posto vuoto lasciato dal suo amico e si domandò quando avrebbe trovato una ragazza. Se l’avrebbe fatto. Se avrebbe mai trovato qualcuno interessato a lui davvero, fino in fondo. Ciò di cui aveva più bisogno era una presenza. Una madre, un padre, un amico, una compagna, che importava? Peter era alla ricerca. E ciò che cercava si chiamava “amore”.
 
Peter Minus è la foresta Proibita. È l’ammonizione di Silente agli studenti, il primo giorno di scuola, quando ribadisce che, in nome della sicurezza, alcune zone del castello sono interdette.
Peter Minus è un essere mingherlino che –come una gabbia di metallo- rinchiude un animo fragile. Dita tozze, barba inesistente, cartella sgualcita che gli scivola sempre dalle spalle cadenti, tre amici e nessuno accanto, è una sera silenziosa, quando il velo delle tenebre cade sul castello e la luce della luna inizia a puntellare ciò che resta di antichi sentieri. È divieto e rifiuto, paura e solitudine.
Diciassette anni, ormai maggiorenne da tempo, si siede accanto al gargoyle di pietra e attende che il sole inizi ad impallidire, chiazzando la volta celeste con i toni tenui e caldi dell’arancione. Peter sa che in quell’angolo nascosto del castello nessuno lo disturberà. Ad ogni modo, ha chiesto a Remus di prestargli la Mappa, per precauzione. Nessuno sembra avvicinarsi. Osserva i nomi di Sirius e di James che giacciono immobili sulla pergamena anticata e poi cerca Remus, con gli occhi stretti per lo sforzo.
Le decine di puntini che si muovono rapidamente sulla carta, più che nella realtà, gli annebbiano la vista e gli impediscono di focalizzare bene ciò che gli interessa. Poi scorge quel “Lupin”, chiuso nel bagno dei Prefetti a fare chissà cosa. Peter non riesce proprio ad immaginare Remus rintanatoin quel luogo. Certo, il suo amico ama la solitudine come nessuno mai, cerca cantucci isolati come tartufi nel bosco, schiva il contatto umano, repellendolo. Mai, però –e sarebbe pronto a giurare su questo- avrebbe detto che Remus avesse potuto scegliere un posto come quel bagno. È grande, troppo grande per ospitare un cuore solitario. E ovviamente, non si può essere mai soli. I guaiti evanescenti di Mirtilla Malcontenta rimbombano come tuoni, in quel posto.
D’altro canto, oramai ai Malandrini è rimasto poco tempo per preoccuparsi l’uno dell’altro. E -ciò che Peter aborra più di tutto- l’affetto che è rimasto è ancora meno del tempo. Almeno da parte sua.
Si abbandona contro le zampe robuste del gargoyle ed estrae la bacchetta dalla tasca della divisa. “Nove pollici e un quarto, legno di castano e corda di cuore di drago”, lo ricorda ancora.
Olivander trova la composizione perfetta della bacchetta, ma è quest’ultima a scegliere il Mago, guai a chi affermi il contrario! Peter inizia a fare qualche incantesimo semplice e innocuo, l’espressione annoiata che gli si dipinge sul volto come la strenua pennellata di un artista senza ispirazione. Prima fa librare la sua cartella, imbastendo una danza che è tutto fuorché graziosa, poi la riduce a proporzioni infinitesimali e, per concludere, la trasforma in un bel vaso da salotto, di quelli che ha visto nello studio della McGranitt il giorno del colloquio.
Quelli sono i suoi ultimi giorni ad Hogwarts, dopo sette interminabili anni. Gli pare d’aver messo radice sotto i pavimenti marmorei del castello, di trarre linfa dalle vite monotone dei compagni, di cibarsi della vivacità che scorre in animati chiacchiericci tra i corridoi della scuola. In fondo, la vita di Peter altro non è che il mero specchio di quelle altrui. E –c’è da ammetterlo- in questo c’è davvero poco di positivo, ma non si può dire che il ragazzo non abbia fatto dei progressi, nel corso degli anni.
Il primo giorno a Hogwarts lo ricorda bene: il frastuono delle voci degli studenti, sull’espresso, non riusciva nemmeno minimamente a superare la baraonda di pensieri che vagava nella sua mente. A undici anni, Peter Minus era più piccolo e sottile che mai, spinto fuori dal guscio che era la sua famiglia e non accolto ancora dalle mura spesse del castello.
Sette anni gli erano bastati per imparare a pronunciare qualche parola davanti a un pubblico ristretto di persone, per riuscire a camminare da solo a testa alta –anche se, di tanto in tanto, questo gli causava ancora qualche problema- e per essere in grado di stringere amicizia –o quanto di più vicino vi fosse- con tre Grifondoro come lui.
Ma più il tempo passa, più gli addii si avvicinano, e più Peter pensa che, in fondo, non ha mai conosciuto davvero i suoi “amici”.
Non avrebbe mai detto, ad esempio, che Remus avrebbe trovato il suo posto nel bagno dei Prefetti, eppure eccolo lì, a sorbirsi i lamenti di Mirtilla; non avrebbe mai osato considerare James un insensibile, ma si scopre a odiare la sua irritante sicurezza; non avrebbe mai creduto di assistere agli sfoghi insensati di Sirius, la cui intolleranza nei confronti dell’ambiente scolastico si sta facendo sempre più acuta, stranamente.
“Anche tu sei strano, Peter” dice a se stesso, e ormai è da un bel po’ che fa così. Credeva di conoscersi bene, si pensava cauto e prevedibile, fedele e docile. E invece ammette a se stesso di non sapere nulla. Nulla. Che valore hanno le idee, le cose, gli atteggiamenti, se svaniscono miseramente in un battito d’ali? E se tutto è così effimero e volubile, che ne sarà del suo futuro?
Ci sono cose che non cambiano mai. Altre, invece, mutano troppo in fretta.
Il primo anno ad Hogwarts è stato molto diverso dagli ultimi. E non è tutto riconducibile alla mole di compiti, ma –sopra ogni altra cosa-  al modo in cui il cambiamento si è impresso nelle vite degli studenti.
C’era un tempo in cui James, Sirius, Remus e Peter erano un solo, grande gomitolo, che rotolava imperturbabile lungo i gradini del castello. C’era un tempo in cui Peter aveva riso alle prepotenze di James e Sirius e un altro in cui si era beato delle amicizie che aveva stretto.
Ma ci sono cose che mutano troppo in fretta. E l’unica traccia che il cambiamento lascia, al suo passaggio, è un vuoto profondo, che va riempito con molto sudore.
Poi ci sono altre cose, cose che non cambiano mai. Sono il perno attorno al quale il vuoto si costruisce, e quello intorno a cui viene annullato. E se Peter dovesse dire qual è il suo perno, sceglierebbe la paura. Come quella che gli fa battere i denti quando Silente tuona rimproveri, più perentorio di una gelida folata invernale, o quando in prima pagina, sulla Gazzetta del Profeta, legge il nome di un altro Mago, caduto sotto lo schiocco della bacchetta spietata di Lord Voldemort.
Nessuno direbbe che Peter Minus è intelligente. Come può esserlo, se non apre mai bocca e trema come una foglia per ogni singolo sbuffo di vento? No, Peter Minus non è intelligente. Lui è di più. È calcolatore. Discerne il Bene dal Male, ma poco gli importa. Dov’è la sicurezza, lì sarà la sua casa.
È in quel modo che Peter Minus costruisce il suo futuro, perché –si dice-  il suo futuro è la sicurezza.
 
Stanco e sfinito, Remus Lupin si destò dal sonno scuotendo lievemente le gambe, con le articolazioni che schioccavano rumorosamente. Quella notte doveva essere passata in fretta, intensa e combattuta. Ricordava solo vagamente la sfera perlacea che era la luna in cielo, la trasformazione dolorosa e qualche inseguimento qua e là per la Foresta.
Nell’angolo dell’atrio polveroso, un ragazzo tozzo e impaurito tremava come una foglia, stringendosi le ginocchia al petto. Alla sua destra, un cervo smilzo e un cagnaccio da pastore, dal manto nero arruffato, erano appoggiati l’uno sull’altro. Ogni tanto il cane guaiva, guardando in viso il cervo sofferente.
“Codaliscia, cos’è successo?” domandò Remus. Il quesito cadeva puntuale ogni mese, come la sua trasformazione.
Peter ci mise un po’ a rispondere. Dovette tentare di darsi un tono, di controllare gli spasmi furiosi che gli impedivano di parlare e di mandare giù quel groppo alla gola grosso quanto un pomo d’Adamo. “Q-questa n-notte sei… sei s-stato un p-po’ più aggr-aggressivo del solito” balbettò, tra un singhiozzo e l’altro. Sembrò farsi ancora più piccolo e si rannicchiò sul pavimento in posizione fetale. Nonostante la paura e i ricordi della notte appena trascorsa, Remus notò che il suo amico manteneva i sensi all’erta, pronto a difendersi.
“Cos’ho fatto?” chiese, aspettandosi una risposta più dettagliata. Poco distante da lui, James aveva iniziato a muoversi, sotto lo sguardo attento di Sirius.
“Hai q-quasi ferito R-R-Ramoso.”
Lo sguardo di Remus corse immediatamente a James, ancora imprigionato nella sua forma animale. Sirius, di contro, decise di ritornare alle sue sembianze umane. Con la chioma ancora più scarmigliata del solito e qualche graffio sulle braccia, si mise a sedere, accarezzando lievemente il dorso di James.
“Mi dispiace così tanto…” gemette Remus, coprendosi il volto con le mani. Avrebbe venduto la sua anima, pur di liberarsi dalla maledizione che lo tormentava. Si accasciò a terra e prese a singhiozzare, colpevole di qualcosa che non poteva nemmeno controllare.
“Ehi Lunastorta, non è colpa tua” si affrettò a dire Sirius. Le sue parole, per quanto sincere, arrecavano poco conforto. Ma Remus apprezzò ugualmente il tentativo di rincuorarlo, di farlo sentire un ragazzo normale. “Questa è stata la tua ultima notte d’inferno a Hogwarts” continuò Sirius “Presto ce ne andremo da qui e troveremo una soluzione migliore di quella che abbiamo adottato per anni. E comunque, a parte qualche graffio e un paio di ematomi, io e James non ci siamo fatti nulla”.
“Com’è successo?”
In quell’istante, anche James tornò ad assumere fattezze umane. Pur dolorante, rivolse un sorriso affettuoso a Remus. “Non siamo riusciti a controllarti. Questi sono i nostri ultimi giorni a scuola, è normale essere un po’ scossi. Probabilmente per questo hai tentato di attaccarci. Ma, ehi!, io e Sirius siamo due eccellenti giocatori di Quidditch, ci è bastato correre al riparo e il problema si è risolto. Mi sono solo fatto un po’ male alla gamba perché sono inciampato. Niente di grave”.
 
Remus Lupin è un libro del Reparto Proibito o, per meglio dire, il Reparto Proibito stesso. C’è qualcosa della dannazione nei suoi occhi: sta scontando le pene dell’Inferno prima ancora di morire.
Remus Lupin non è uno che attira guai, né uno che i guai li va cercando. La sua stessa esistenza è una disgrazia. Per questo vive segregato dagli altri, in un angolo nascosto, buio e polveroso che nessuno, all’infuori dei Malandrini, si azzarda a violare.
Delle volte, quando si accuccia sotto le coperte, con la mezzaluna fuori che getta timida luce nel dormitorio dei Grifondoro, pensa di non essere molto diverso da Peter, uno dei suoi amici. Il destino di entrambi è quello di essere alieni a qualsiasi circostanza o relazione. La sola fortuna di Remus è che, dotato di un po’ più di sicurezza, riesce ad ottenere un discreto fascino, di tanto in tanto. Ma quella stessa benedizione è fonte di mali, come ogni cosa che lo riguardi. Chiunque inciampi nella sua rete, finisce per uscirne malridotto, con un cuore spezzato, una gamba rotta o qualche ferita lungo il corpo.
Mirtilla Malcontenta continua a lagnarsi nel Bagno dei Prefetti, infastidita dall’atteggiamento di Remus. Quest’ultimo ha scelto di ignorarla, di immaginare il silenzio laddove non esiste e di dare ascolto soltanto al flusso dei pensieri. E così, mentre il fantasma gli attraversa ripetutamente il petto, Remus inspira ed espira ad un ritmo regolare, riordinando il turbinio di ricordi che gli picchietta violentemente le tempie.
Come dei flash, le immagini di un passato recente scorrono sciamando nella sua mente. Si animano per poi rincorrersi a vicenda. Il Cappello Parlante il primo giorno di scuola, il tavolo dei Grifondoro che esulta nell’acquistare un nuovo membro, la mano di James che si stringe attorno alla sua, Sirius che gli sorride bonariamente e Peter che lo insegue saltellando, il professore di Difesa contro le Arti Oscure che esalta le sue doti e Lily Evans che lo abbraccia calorosamente, tentando di farlo ridere. Il suo passato è un collage di fotografie talmente vasto che ci si potrebbero riempire pile di album.
Remus è grato alla vita per avergli donato tutto questo, per avergli concesso qualche sprazzo di normalità in un’adolescenza rubata che è stata rimpiazzata troppo presto dall’età adulta.
Se qualcuno gli chiedesse cosa ha intenzione di fare in futuro, direbbe: “Il lupo mannaro”. Nell’istante stesso in cui il morso di Greyback gli ha lacerato la carne, Remus ha perso ogni possibilità di scelta, ogni facoltà di decisione, ogni opportunità di controllare la sua vita. Nel momento stesso in cui Greyback l’ha condannato, il suo futuro si è sgretolato in mille cocci, dispersi chissà dove. E un po’ gli manca fare progetti, essere in preda all’ansia, parlottare delle proprie ambizioni con qualche compagno curioso. Quando avrà messo piede fuori dal castello, Remus potrà solo aspettare lentamente l’arrivo della Morte. La sua vita sarà solo una piatta attesa.
“VUOI RISPONDERMI?”
Quello è il grido più acuto e disperato che Remus abbia mai sentito. Mirtilla Malcontenta, seduta di fronte a lui, arriccia le labbra in un’espressione scocciata e aggrotta le sopracciglia, in un tacito rimprovero. “Ce n’è voluto di tempo per farmi notare, eh?” sbotta, incrociando le braccia sul petto.
Remus sbuffa e si adagia contro una parete di pietra, abbandonando languidamente le gambe sul pavimento. “Cosa c’è?” chiede, ormai esasperato. Non sa se sia più irritante il fiume copioso dei ricordi che gli si presenta davanti agli occhi di continuo o la voce stridula del fantasma, che reclama attenzione senza concedergli un istante di tregua.
“Sembri triste… cosa ti è successo?” domanda Mirtilla, scuotendo i capelli evanescenti.
Remus stringe il viso in una smorfia di disapprovazione e le rivolge un’occhiataccia. “Sei un po’ impicciona, lo sai?”
Grosso errore: Mirtilla fluttua rapida fino a trovarsi a pochi centimetri dal suo viso e gli punta il dito contro. “E tu sei un gran maleducato, lo sai?” urla, incurante dell’eco che martella nelle orecchie di Remus, tanto ormai lei non può essere scalfita da nulla.
Il giovane richiama a sé tutta la pazienza che gli è rimasta e si sforza di rispondere, allontanandosi da Mirtilla. “A volte vorrei essere come te” ammette, angosciato.
“Perché?”
“Perché la tua vita è finita, non hai aspettative da deludere né sogni da infrangere o dispiaceri da arrecare. Perché la Morte ti ha già preso con sé e non devi più aspettare con ansia che arrivi per mettere fine al tuo dolore. Non stai per abbandonare i tuoi amici, come sta succedendo a me. Non senti che ogni cosa che hai costruito fino ad ora è sul punto di rompersi”.
“E’ perché sono morta” mormora Mirtilla, rabbuiandosi.
“Giusto: è perché sei morta. Ti invidio proprio per questo”.
 
I capelli di Severus, più unti che mai, ondeggiavano vistosamente sotto i suoi passi veloci. Il giovane Serpeverde aveva delle occhiaie violacee e profonde che gli solcavano gli zigomi, fin quasi ad arrivare alle guance.
James non aveva mai trovato nulla di affascinante in lui, ma più i giorni passavano e più gli sembrava che Piton continuasse ad imbruttire. Ultimamente, il naso gli era anche cresciuto parecchio, mentre le labbra gli si erano assottigliate fino a trasformarsi in una smorfia dolente.
Il repentino decadimento del suo aspetto era iniziato, a detta di James, nel momento esatto in cui Lily lo aveva tagliato fuori dal suo mondo.
“Ehi, Sev” gridò, appropriandosi del soprannome usato da Lily, quando Piton gli passò davanti, goffo e impacciato.
“Cosa vuoi, Potter?” domandò quest’ultimo, rivolgendo a James uno sguardo carico di disprezzo, accresciuto negli anni dalle delusioni, dai soprusi e dalle spavalderie che aveva subito. “Ultimamente sei diventato ancora più matto e spostato del solito?” aggiunse.
James finse una risata, incapace di porre davvero fine alla faida che per anni lo aveva diviso da Severus. “Volevo solo dirti che, per quanto tu sia passato al lato oscuro, ho chiuso con i miei scherzi. Con il senno di poi, ammetto che sono stati piuttosto infantili, anche se divertenti. Che è un po’ come dire che mi dispiace” borbottò, rigirando nervosamente i pollici.
“Quando sarò fuori da questa scuola, spero di non vedere la tua lurida faccia per il resto dei miei giorni” rispose secco Piton, con quel tono di voce piatto ed epurato da ogni emozione per cui i Malandrini lo avevano sempre deriso.
 
James Potter è la Sala Comune dei Grifondoro, al termine di una partita di Quidditch. Poco importa che il morale degli studenti sia pessimo o che raggiunga le stelle, la Sala Comune è sempre piena. Allo stesso modo, James è sempre colmo di emozioni fino a traboccare.
Quel pomeriggio di fine giugno, zoppica rapidamente fino all’angolo del giardino in cui cresce un grosso salice e un piccolo stagno riflette miseramente il cielo terso.
Lily Evans è sdraiata sull’erba, con la cartella sotto il capo a farle da cuscino. Sta guardando in alto, con un’espressione malinconica, mentre una brezza leggera le scarmiglia la chioma rossa. James pensa di sfuggita che il dolore la rende più bella che mai.
“Ciao!” esclama, quando è abbastanza vicino perché lei lo senta.
Lily si volta lentamente verso di lui, fa una smorfia contrariata e tenta vanamente di nascondere il rossore che le sta colorando le gote. “Ciao” mormora, rivolgendo di nuovo gli occhi al cielo.
James ride sotto i baffi al pensiero di quanta ostilità ci sia tra di lui e l’orgoglio pungente della ragazza: sono due arieti in lotta. È con grande difficoltà che riesce a stendersi accanto a Lily; il dolore allo stinco rimastogli dopo l’ultima notte di luna piena gli fa ancora stringere i denti.
“Che ti è successo?” domanda lei, la voce allarmata di chi è in pena per una persona cara.
James incassa con gioia la vittoria, che gli sta venendo incontro: sa che Lily, in fondo, continua ad essere innamorata di lui. Il suo amore è tutto ciò di cui James ha bisogno, più delle bravate con Sirius, più dei consigli di Remus e delle lusinghe di Peter. Poter avere Lily, poterla baciare e accarezzare è come catturare per mille volte di seguito il Boccino d’Oro, durante una partita a Quidditch. È più che librarsi in cielo con una scopa o correre ansante per i corridoi del castello.
Lily Evans è la diga di James Potter, l’unica che riesca ad arginare i suoi repentini crolli emotivi, o che possa mettere fine alle sue esaltazioni. Con il futuro che incombe e che spezza le convinzioni di tutti, Lily è la sola che sappia ripristinare l’equilibrio nel cuore di James.
“Sono inciampato mentre correvo” si affretta a rispondere lui, quando la nebbia che gli avviluppa la mente si è diradata. È una mezza verità, ma non può permettersi altro.
“Mi dispiace” sussurra Lily, abbassando lo sguardo. Con la luce del sole che le illumina la pelle di porcellana, le sue ciglia sembrano ancora più lunghe e incurvate, e accarezzano le guance elegantemente.
James scoppia a ridere, nel ritrovarsi ad analizzare così minuziosamente le fattezze della ragazza che lo ha fatto ammattire. Nasconde il viso tra le mani, ma non riesce comunque a frenare l’arrivo di un’ondata violenta di risate.
“E adesso che c’è?” domanda Lily per l’ennesima volta, chiedendosi da dove provenga tutto quel buonumore, quando lei –di contro- ha il cuore strinato dal dolore pungente della loro rottura.
James torna serio di colpo, cambia umore come le onde del mare, nel loro andirivieni che le avvicina alla riva e poi le riporta indietro, annientandole. “Ti guardavo, Lily. Mi sono addirittura scoperto ad ammirare le tue ciglia. Le tue ciglia, capisci? Ho perso tutta la mia virilità!” esclama, schiaffandosi la fronte. Di cose da dire ne avrebbe tante, ma con il cuore che gli martella in petto mettere in riga delle frasi di senso compiuto è un grande sforzo.
Lily sorride appena e le sue guance si imporporano nuovamente. “Stai diventando inquietante, James” scherza, tirandogli un pugno sul petto, proprio all’altezza del cuore.
Prima che lei possa ritrarre la mano, James la blocca, stringendola. “Sono solo innamorato” confessa, guardandola negli occhi. E, quando lei accenna ad abbassare lo sguardo “Devi rassegnarti” dice. “Sai che il nostro rapporto è fatto di continui litigi, Lily, ma questo non intacca minimamente i nostri sentimenti. E voglio guardarti per tutta la vita, a costo di essere inquietante o di dovermi scusare con Mocciosus” aggiunge poi, perché sia chiaro che in quella relazione ha intenzione di impegnarsi davvero.
È cresciuto insieme a lei, i suoi sentimenti si sono dilatati come i capelli di Lily si allungavano, negli anni. Se gli verrà chiesto di crescere, di abbandonare le bravate e gli scherzi per la persona che ama, James sarà disposto a farlo: la sua risolutezza è leggenda, la sua fedeltà una garanzia.
“Ti sei scusato con Severus?” si stupisce Lily, sgranando gli occhi. Conosce ogni episodio della guerra in cui Piton e James sono stati coinvolti: è lecito credere che una tregua sia inverosimile.
“Era giusto farlo, anche se voi non siete più in ottimi rapporti”. E senza ogni dubbio, James sa che i suoi sforzi sono stati ripagati. Perché Lily gli getta le braccia al collo, stringendolo e affondando il capo nel suo petto. Respira un po’ il profumo di James, che ha qualche nota del cuoio della cartella, da cui il ragazzo non si separa mai. Lui, di contro, assapora l’effluvio che sembra risalire dalle labbra di Lily, che ne ha masticato qualche foglia di menta.
Nel momento esatto in cui si baciano, James non prova più paura per il futuro. Il suo futuro –dice a se stesso- è tra le braccia della ragazza che ama.
 
“Signor Black, verrà il giorno in cui tu dovrai rimboccarti le maniche e trovare il tuo posto nel mondo. A quel punto nessun Incantesimo e nessuna spavalderia potranno aiutarti, lo sai? Perciò è meglio che tu e Potter iniziate a darvi da fare, dato che quest’anno ci sono i M.A.G.O. e che il risultato influenzerà in larga parte la vostra carriera futura”.
Dall’alto dei suoi occhiali squadrati, la McGranitt  rivolse a Sirius uno sguardo severo. Lo chignon nero impeccabilmente tirato su sembrava un terzo occhio, che aggravava il cipiglio autoritario della professoressa. Le mani di lei erano intrecciate l’una all’altra e adagiate languidamente sul grembo.
Sirius stirò con le dita la camicia stropicciata della divisa e perse il suo sguardo nel vuoto, oltre le lenti della McGranitt, oltre le centinaia di volumi stipati in mensole traballanti, per poi puntarlo a terra.
Mai e poi mai si sarebbe lasciato intimidire dalle minacce di un insegnante. James lo avrebbe schernito fino alla fine dei suoi giorni, se solo avesse osservato il suo migliore amico in quel frangente. Con il ciuffo ribelle riverso sugli occhi e lo sguardo vacuo che non voleva saperne di staccarsi dal pavimento marmoreo dell’ufficio della McGranitt, Sirius Black stava tremando. Nemmeno l’ampio mantello nero che aveva addosso avrebbe potuto confutare quell’ineluttabile verità. Sirius Black aveva paura, così tanta che gli sembrava di sentir correre una serpe tra le ossa, una scia fredda e spettrale a seguirla, come unica traccia del suo passaggio.
“Mi fa piacere vedere che ho smosso un po’ il tuo animo da burlone” decretò la McGranitt nell’osservare il suo corpo che sussultava regolarmente.
Sirius sentì che il suo orgoglio veniva punto e risvegliato. “Non si offenda, professoressa, ma non è di lei che ho paura. Le rivelerò un piccolo segreto: l’unica cosa che temo è il futuro.”
Si alzò dalla sedia con uno scatto fulmineo, fece un inchino veloce, poiché la voce gli era morta in gola e non era in grado di formulare nemmeno un semplice saluto e poi si defilò agilmente da quello studio maledettamente opprimente.  
                                                                   
Sirius Black è tutti i passaggi segreti che portano fuori dal castello, correndo qua e là nella forma di impervi cunicoli, sotto i pavimenti marmorei di Hogwarts.  Alla sua destra, il baule chiuso custodisce segreti inconfessabili, che hanno il peso di grossi macigni di piombo. Alla sua sinistra, la scopa, ormai ridotta ad uno scheletro, è abbandonata sul pavimento e sembra implorare nient’altro che la fine. Gli arti malefici del Platano Picchiatore ne hanno spezzato ogni venatura di vitalità. Sirius si schiaffeggia ancora per la sua stupidità: portarsi dietro l’oggetto a cui tiene di più, in una notte di luna piena, è stata una scelta davvero poco oculata.
Il giovane si passa una mano tra i capelli e ravvia nervosamente il ciuffo scarmigliato. È il suo ultimo giorno al castello, prima che arrivi l’estate. Ma le vacanze, quest’anno, possiedono nuove intricate sfumature, che nessuno ha la voglia né la facoltà di comprendere.
Sirius si stende sul letto e osserva. C’è una crepa sul soffitto del dormitorio, molto simile a quella che solca la sua anima. Sembra la zampa sghemba di un ragno, o il corpo irregolare di una bacchetta. E tra uno spiffero e l’altro, con l’effluvio di un boccale di Burrobirra ancora incastrato tra le narici, gli pare di sentir sussurrare persino l’aria. Si porta una mano alla testa –perché questa emicrania non accenna a scomparire?- e chiude gli occhi, mentre l’incombenza del cambiamento batte persistentemente sul suo cuore. Con le palpebre abbassate, Sirius Black colleziona preziosissimi tesori. Un voto sufficiente in Trasfigurazione, una scopa nuova, una bruciatura riparata sulla parete di casa, qualche abbraccio e –perché no?- un bacio a fior di labbra.
“Felpato!”
Non sono necessari secondi aggiuntivi o timpani sopraffini per capire a chi appartenga quel timbro vivace e squillante.
James Potter si tuffa sul letto, proprio accanto a Sirius. E, diamine!, quest’ultimo dovrebbe esserci abituato, no? Non riesce a spiegarsi da dove scaturisca tutto quel tremore, quando James si adagia sulle coperte del suo letto, i capelli a spazzola che si intrecciano con la sua selvaggia capigliatura. Le corde del cuore si avviluppano saldamente, non un filo d’aria che giunga ai polmoni né un goccio di sangue pompato fino ai tessuti. La mente è burro morbido che finisce per sciogliersi al Sole. E James è il Sole.
James inizia a muoversi sul letto e le tende del baldacchino ricadono morbidamente per terra, ondeggiando, come il sipario di un teatro che si chiude sul palco alla fine dell’ultimo atto. Le luci della ribalta si spengono, gli applausi del pubblico smettono di risuonare, il dramma giunge al termine. Il momento di togliere la maschera è arrivato; un nuovo spettacolo è alle porte. Ed è la vita vera, questa: niente copioni, niente costumi di scena, niente sipari né maschere.
Se la signora Black venisse a sapere di quanti dettagli conosce il suo primogenito ribelle sugli intrattenimenti Babbani, manderebbe uno della sua setta –è così che Sirius vede gli amici di famiglia- ad ucciderlo. O peggio, a torturarlo. Se sapesse come è venuto a interessarsi di quei dettagli, annienterebbe anche lei.
È stata Lily Evans a costituire la sua fonte inesauribile di conoscenze sul mondo Babbano. Non che Sirius sia realmente interessato a quelle curiosità. Se fosse per lui, potrebbe semplicemente vivere di Quidditch, Burrobirra e scherzi acquistati da Zonko.
Sirius Black è nient’altro che un misero sibilo nella sua stessa vita. In quella degli altri, invece, riesce ad imprimersi piuttosto a fondo. È sfuggente, iperattivo, rabbioso e sempre troppo impegnato, pronto a proiettarsi in cielo a cavallo di una scopa.
Ci sono solo due persone che riescono ad afferrarlo, proprio qualche istante prima che scappi via, come fosse il Boccino d’Oro da conquistare durante una partita. Uno si chiama James, ha un paio di occhiali tondi, un titolo da Caposcuola e un posto da Cercatore nella squadra di Quidditch di Grifondoro. L’altro ha qualche piccola cicatrice sul volto, la sciarpa della sua Casa sempre al collo, anche quando l’aria si fa bollente, e uno sguardo vacuo che sembra non voler cogliere alcun dettaglio.
Uno dei due è il motivo per cui Sirius si interessa tanto ai Babbani. Se gli chiedessero di descrivere James con una sola parola, direbbe infinito. Ogni cosa in James è talmente esasperata, che non se ne possono delineare i confini. Come la voglia di scoprire quale meccanismo si nasconde dietro una spina elettrica o cosa fa squillare un telefono o perché a recapitare la posta sono gli esseri umani. Come la sua sconfinata devozione per Lily.
Se chiedessero a Sirius di descriversi con una sola parola, direbbe infinito. Perché l’infinito non ha niente di complementare se non se stesso e l’unico modo di cui il giovane dispone per essere complementare a James è uguagliarlo.
“James…”
Quel sospiro sembra sfuggire alle labbra di Sirius dopo troppo tempo, sibila tra i denti e si perde nel battito di un cuore. È una lieve carezza al mattino, dolce quanto il buongiorno di James, quando il sonno tarda ad abbandonarlo, ché la sera prima i Malandrini si sono giocati a Gobbiglie l’ultimo pacchetto di Tuttigusti +1.
Ci sono cose a cui James non presta attenzione. Non è il tipo che legge tra le righe e confida nel valore dell’evidenza, sua unica compagna di viaggio. È per questo che, con disinvoltura, si accascia sul petto esile di Sirius e stringe la maglietta sgualcita dell’amico in un pugno, beandosi del sapore di menta che, poco prima, Lily gli ha lasciato sulle labbra, marcandone la proprietà.
Affonda la testa proprio sullo sterno dell’altro e ride sommessamente, mentre le pieghe di una gonna scozzese continuano a danzargli ancora davanti agli occhi. Poi si mette a cavalcioni su Sirius e gli scocca uno, due, tre baci sulla guancia. È così euforico, che bacerebbe persino Mocciosus.
Ci sono cose a cui James non presta attenzione. Il cuore di Sirius, di contro, deve essere inciampato un’incommensurabile quantità di volte, affannato da una corsa folle a cui non sa porre termine. Come un’auto senza freni –ah, sia maledetta Lily e le sue lezioni!
Si lascia sfuggire l’ennesimo sospiro e imprime nella mente l’immagine di James, occhiali tondi e capelli a spazzola, che sorride allegramente guardandolo negli occhi.
Tutto ciò che vive in Sirius è privato, persino per James e Remus. Non è forse vero che i passaggi segreti devono restare tali o, quantomeno, aperti ad un gruppo ristretto di eletti?
Sirius ha paura del futuro perché teme che questo possa farlo uscire allo scoperto. Il tempo è l’unica cosa in grado di annientare il presente, e con esso le certezze, le bugie, i sentimenti e i ricordi.
Sirius Black è innamorato di James Potter da un tempo talmente lungo che gli sembra di essere già vecchio. E, poiché la vecchiaia è vicina alla morte, sente che il tempo sta per scandire la fine di tutto.
Quando abbraccia James, in quel modo affettuoso e silenzioso che appartiene solo alle mura del dormitorio, è certo che quella sarà l’ultima volta.
“Io e Lily abbiamo fatto pace, Felpato. Mi ha baciato…”
Le parole di James piovono sul cuore di Sirius come una doccia fredda. Eccola: la fine è arrivata. E con essa, anche il futuro sta per trasformarsi in presente. E il tempo ha vinto, per l’ennesima volta, non un incantesimo che riesca a sconfiggerlo né una pozione che possa fermarlo.
“Sono contento per te” si sforza di dire, stringendo ancora di più le braccia attorno al petto dell’amico. James è suo, possibile che nessuno l’abbia ancora capito? Serra le labbra e trattiene il moto di invidia che gli sta infiammando le membra, poi torna a guardare il soffitto. È solo un’impressione che la crepa si sia allargata?
“Potrei anche sposarla adesso, se fosse necessario. Sono pronto a tutto” aggiunge James. Ha la voce colma d’orgoglio e il petto che si gonfia pesantemente ad ogni boccata d’aria. È felice: Sirius può leggere questa verità ovunque, stampata a grossi caratteri infuocati. Sa che James non sta scherzando, che probabilmente, un giorno o l’altro, busserà alla sua porta chiedendogli di fargli da testimone, e che lui dovrà assecondare la sua volontà, com’è sempre successo.
Ed è in quel momento che Sirius abbandona tutte le speranze, per il presente e per il futuro. Ha perso ciò che di più caro possedeva. Tutto quello che gli è rimasto, adesso, sono frammenti di un equilibrio ormai spezzato da tempo.

 

Angolo autrice.
Salve, guys!
Vi ho torturato per bene con questa storiella, eh? Premetto che avevo iniziato a scriverla a Luglio, quando la mia aspirazione era arrivata alle stelle. Poi, il 24 sono partita per l’Inghilterra e sono tornata solo ad Agosto, con una valigia piena di nostalgia, rimpianti, ricordi pungenti e amara felicità. Nemmeno il tempo di rimettere in ordine i pensieri e sono partita per la Francia, interrompendo per l’ennesima volta tutti i miei progetti di scrittura.
Questo tuffo nella mia vita è per spiegare –o per tentarci, quantomeno- la qualità scadente di tutto ciò che avete letto. A mia discolpa –non so se poi possa realmente valere come cosa- posso dire che il progetto, nella mia mente, appariva di gran lunga più brillante.
Ma siccome morivo dalla voglia di pubblicare qualcosa sui Malandrini, beh… non sono riuscita a trattenermi.
Mi piacerebbe raccogliere qualche parere. Almeno leggermente, vi è piaciuta? Chi dei personaggi avete preferito?
Spero di sentirvi. In ogni caso, see you soon.
Cassie. x

 
 
   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Ammimajus