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Autore: Roev_Chan    11/09/2013    1 recensioni
"La musica è l'armonia dell'anima."
Roev è una studentessa del corso speciale per esorcisti. Pessimo carattere, fredda, asociale e silenziosa, quando non studia, lavora in un negozio di strumenti musicali nella città della Vera Croce, nascondendo a tutti la sua incontenibile passione: ama suonare il pianoforte. Ed è proprio questo che la farà cacciare nei guai, entrando (senza accorgersene) a far parte del sadico gioco del preside dell'Accademia, Mephisto Pheles...
///
-Facciamo un patto, Roev-Chan? ♥- 
-Un patto?-
-Si, un patto! A te piace suonare il piano, no? Bhe, io ti darò la possibilità di suonarlo ogni volta che vuoi, ma in cambio dovrai sottostrami e obbedire a ogni mio ordine! Ci stai?- [...]
-D’accordo, ci sto.-
-Sapevo che potevo contrattare con te, Roev-Chan! Ma ti avverto: se smetterai di suonare, io mi prenderò la tua anima! ♥-

[cap. 4 - "Il patto"]
Genere: Azione, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mephisto Pheles, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Violenza
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La stessa sera in cui Roev se ne andò, la residenza di Mephisto parve più vuota e cupa di quanto non lo fosse mai stata. Il preside era stato incollato alla scrivania tutto il tempo a fissare i documenti che avrebbe dovuto compilare per prenderla in affidamento. Quando la vide camminare lungo il cortile, non le aveva staccato gli occhi di dosso un momento. Camminava lentamente, vestita con una paio di pantaloni di tuta scuri e una giacca grigia internamente rivestita di pelo bianco sintetico. Prima di uscire dal cancello, che uno dei servi le stava aprendo, si era fermata e stava per voltare la testa, ma non si girò. Si sistemò bene il bagaglio in spalla, una piccola sacca rossa e nera e la Murasame, e riprese la sua camminata slenziosa. Mephisto l’aveva guardata finché non sparì dietro l’angolo della strada. Infine, si era voltato, spinto da un impeto di rabbia e aveva rovesciato la scrivania. Tutto quello che vi era poggiato sopra fu scaraventato per la stanza; la lampada si ruppe, il computer si crepò e i documenti volarono dappertutto. Il demone si appoggiò alla finestra, cercando di reprimere l’ira, e ci riuscì solo dopo un po’. Quando si fu calmato, la sua attenzione si rivolse all’action figure di Luka Megurine che mesi addietro gli aveva regalato. La raccolse e la guardò a lungo, per poi appoggiarla al mobile. Fatto ciò, si mise a riordinare il suo studio.
  

 
Roev si era comprata un biglietto per il treno nelle macchinette fai da te; era molto tardi e la biglietteria aveva chiuso già da un po’. Convalidò il biglietto e attese il treno di fronte ai binari. Mentre aspettava, bevve un po’ d’acqua che aveva acquistato nei distributori automatici di fianco alla biglietteria. Il treno arrivò poco dopo, così la ragazza raccolse in fretta i bagagli e salì, prendendo subito posto di fianco al finestrino. Il binario era vuoto, così si svaccò nei sedili quanto più poté. Il viaggio sarebbe durato molte ore, così Roev si mise comoda, chiudendo gli occhi. La stanchezza prese il sopravvento e la ragazza si addormentò immediatamente.
 
 
 
Mephisto camminò in mezzo alla folla di esorcisti verso il dormitorio maschile. Un uomo mascherato posseduto da un demone ragno, aveva preso in ostaggio alcuni studenti del corso speciale per esorcisti, e l’allarme era scattato immediatamente. Il dormitorio era stato fatto evacuare, ma all’interno erano rimasti bloccati Shima, Suguro e Miwa. L’edifico era stato messo in quarantena, la situazione era talmente grave che Mephisto era andato personalmente a controllare. Il principale si avvicinò ai professori Okumura e Tsubaki, osservando l’unica stanza illuminata del dormitorio. Le condizioni che aveva imposto l’uomo mascherato, erano che nessuno poteva entrare nel dormitorio, eccetto il figlio di Satana, Rin. Se qualcun altro fosse entrato al suo posto, avrebbe ucciso gli studenti. Mephisto era terribilmente irritato da quella situazione, e non era dell’umore adatto per accettare un simile affronto.
-Ma che coraggio invadere la mia accademia con tanta spavalderia…- Disse assumendo una smorfia. Il professor Tsubaki rimase colpito dalla presenza di Mephisto, come tutto il resto dei presenti.
-Principale!- Esclamò Yukio –Che ci fa lei qui?- Mephisto non rispose, si dilettò a giocherellare con l’ombrello. Improvvisamente, assunse un’espressione divertita, e un sorrisetto malvagio gli si dipinse sul volto. Quel ghigno gli metteva in risalto i canini da demone.
-Facciamolo pentire di ciò che sta facendo, questo uomo…- Alzò l’ombrello verso l’edificio e cominciò a farlo roteare in movimenti circolari e costanti. L’atmosfera cominciò ad incupirsi, mentre nel cielo, Mephisto disegnò due cerchi infuocati con un pentacolo in mezzo. Gli esorcisti sussultarono quando dal cerchio cominciarono a fuoriuscire violenti scintille.
-Fa sul serio?!- Chiese Tsubaki sconvolto, mentre tutti osservavano la scenda con i nasi per aria e le bocche spalancate dallo stupore.
-Eins… Zwei…- Mephisto non fece in tempo a finire la formula che, un getto d’acqua spense le fiamme. Il demone rimase sinceramente sorpreso da quel gesto –Ma che…?! Chi è stato?- Chiese furioso, voltandosi di colpo. Arthur Auguste Angel, il Paladin, era in piedi su un camion dei pompieri, e puntava il getto d’acqua verso il cerchio, spegnendolo.
-Non si gioca con il fuoco, Mephisto.- Lo rimproverò con un fastidioso sorrisetto.
-Ah sei tu.- Mephisto puntò l’ombrello a terra, scostandosi una ciocca di capelli dal visto –Mi spieghi che ci fai tu qui?- Chiese cercando di apparire più gentile possibile. Il Paladin si teletrasportò davanti al demone e lo ammanettò.
-Mephisto Pheles, ti dichiaro in arresto con l’accusa di aver svolto ricerche proibite sulla vita artificiale.- Strinse le manette al demone, in maniera da impedirgli qualsiasi movimento.
-E chi sarebbe ad accusarmi di una cosa del genere?-
-Il Vaticano.- Arthur gli diede una spinta e Mephisto si liberò delle manette con un gesto, camminando verso di lui e facendo roteare l’ombrello con fare giocoso.
-Non fuggirò, né mi nasconderò.- Disse rivolto al Paladin e alle guardie -Mi domando solo quanto tempo mi porterà via tutto questo…- Mormorò.
 

 
L’annuncio della  fermata per la città di Atsugi svegliò Roev quasi immediatamente. Prima di scendere aveva controllato quanti soldi le erano rimasti nel portafoglio e si tranquillizzò non appena vide di avere una notevole cifra. Il treno si fermò a destinazione. La ragazza scese in fretta camminando a grandi passi verso la stazione dei taxi, e ne chiamò uno, indicandogli la destinazione. Dopo un’oretta di viaggio, il taxi si fermò davanti alla casa della ragazza. Roev pagò l’uomo e si affrettò a scendere. Non appena si fu allontanato, estrasse dalle tasche dei pantaloni un mazzetto di chiavi, le chiavi di casa sua che si era portata dietro quando era fuggita di casa. Aprì il cancelletto ed entrò nell’abitazione. Si sentì a suo agio dopo tanto tempo. La puzza di chiuso le fece arricciare il naso, ma si trattenne. Prima di fare qualunque altra cosa, camminò lungo il corridoio e si avviò velocemente verso il giardino; e le vide: le lapidi di sua madre e suo fratello erano poste sotto il piccolo ciliegio che decorava l’angolo sinistro del giardino. Non c’erano fiori, non c’era nulla. Solo la nuda roccia scolpita con incisi sopra i nomi. Uscì dalla porta finestra e camminò verso le tombe. Sguainò Murasame, la cui lama blu risplendette e illuminò l’ambiente. Roev la conficcò a terra, e si chinò verso le lapidi, guardandole con intensa tristezza.
-Mi dispiace…- Mormorò –Mi dispiace così tanto…- Accarezzò il nome di suo fratello –Ti avevo promesso che ti avrei protetto. Non ce l’ho fatta.- Le lacrime presero a scenderle, accarezzandole le guancie. Poi si rivolse verso la lapide di sua madre. Aprì la mano e le mostrò la cicatrice del marchio –I demoni esistono. Dio no. Dio non c’è. Non c’è mai stato per nessuno.- Le disse con durezza -…però avrei voluto esserci stata di più per te. Perdonami, madre. Perdonami se non ti sono stata vicino. Me ne rendo conto solo ora che ti ho persa.- Accarezzò anche il suo nome, piangendo in silenzio. Poi, si alzò in piedi, raccogliendo Murasame e rinfoderandola. Tornò in casa, asciugandosi le lacrime. La facevano sentire debole ogni volta che ne versava una. “Basta piangere.” Si disse. Andò in cucina per vedere se era rimasto qualcosa da mangiare in frigorifero, ma l’angoscia la pervase non appena vide tutti i mobili coperti da lenzuola bianche e le pareti spoglie di ogni quadro, specchio o foto. La casa era anche molto fredda, il riscaldamento non era stato acceso da molto tempo. Provò ad accendere le luci, ma la corrente era stata staccata, così fu costretta di nuovo ad estrarre la katana. La luce della lama la aiutò nel buio. Aprì alcuni cassetti da cui raccolse delle candele e un accendino. Decise di tenersi la fame, anche perché il frigorifero era vuoto e non funzionava. Salì le scale, avviandosi verso camera sua. Aprì la porta della stanza e si sorprese nel vedere che era l’unica stanza rimasta intatta. Chiuse la porta a chiave e appoggiò la giacca grigia su una sedia. Rabbrividì non appena si levò anche le scarpe da ginnastica, così prese dall’armadio un paio di scaldotti e delle calze di lana. Accese una piccola candela che posizionò sulla mensola della finestra e si gettò sotto le coperte con i vestiti addosso, cercando di scaldarsi. Non si era nemmeno presa il disturbo di svuotare la sua sacca, in compenso, aveva appoggiato Murasame nel mobile di fianco al letto, pronta a sfoderarla non appena qualche presenza ostile avesse tentato di attaccarla. Molto presto, il sonno prese il sopravvento, e la ragazza si addormentò.


 
   
 
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