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Autore: Ceci Princessofbooks    12/09/2013    1 recensioni
Isabella ha una mente luminosa, un cuore impavido e un'anima alla ricerca dell'amore; sarebbe perfetta, se non fosse per la sua condanna: infatti è un androide, una bambola di porcellana a cui il suo creatore, Mr. Silvergear, ha infuso la vita con i poteri dell'Alchimia perché fosse una compagna fedele per la sua fragile figlia Catherine. Bella vorrebbe vedere il mondo, ma non può scappare: la sua esistenza dipende dalla carica della chiave che porta sulla schiena, e che il suo Maestro, cosi chiama il suo artefice, custodisce gelosamente. Ma quando arriva Edward, il giovane allievo dello studioso, tutto cambia, e Bella non è più disposta ad accettare un destino da cosa. In una Londra alternativa in cui l'Alchimia è una scienza e i dirigibili solcano il cielo, i due giovane lotteranno per il loro amore, e perché, come ogni essere umano, anche a Bella sia concesso di scegliere la propria strada.
Genere: Dark, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Cineracea regina -La principessa grigia

 

 

21 Settembre 1867

 

Credo che oggi sia stato uno dei giorni più felici della mia vita. In pochi momenti mi sono sentita più protetta e più appagata: la sera in cui ho ricevuto il mio quaderno, e il Maestro mi ha promesso che mi avrebbe insegnato i segreti dell'alchimia; certi pomeriggi trascorsi con Cathy da bambina, mentre giocavamo ad indossare gli abiti fragranti di tempo e di lavanda di sua madre; le notti nella torretta, con la città splendente di sciami di luci sotto di me. Ma in questa gioia vi è un riflesso di inquietudine, una goccia scura e avvolgente come miele; e tuttavia, è proprio questo che la rende così preziosa.

Stamattina l'aria era luminosa e dolce, quasi azzurrata; tramava il giardino di ombre tenere, tra i cespugli di sorbo, le chiome gialle delle rose, le scure sagome dei castagni. La brina brillava come madreperla. Stavo passeggiando per il viale, da sola: dopo colazione Cathy aveva detto di sentirsi stanca, e aveva preferito non accompagnarmi nella solita passeggiata. Camminavo lenta, osservando gli alberi riscuotersi intorno a me dalle nebbie notturne; il mio abito di cotone azzurro si stagliava contro l'erba dorata come una nube di nontiscordardimé. Amo molto l'autunno: amo il modo in cui le foglie bruciano di bagliori ramati, trasformandosi in scaglie d'ambra; amo i cieli polverosi sopra l'incendio dei boschi. Per me, quel momento era perfetto: solo io, i fruscii del primo mattino, e un tappeto di rossi e ori sotto i piedi. Un soffio di vento sollevò un turbine di foglie, avvolgendomi in un intarsio di gialli, e io risi, godendo di quell'istante di bellezza.

-Mi fa piacere vedere che vi divertite, signorina Isabella.-

Mi voltai, colta di sorpresa: di fronte a me c'era Edward, i capelli biondi che avvampavano nel sole, il sorriso che ingentiliva i piani del volto. Portava le mani infilate nelle tasche del completo grigio, una spessa sciarpa bianca intorno al collo. -In teoria dovrei studiare, ma la giornata era troppo bella e sono riuscito a sgusciare via per un po'. È uno spettacolo incredibile, vero?-

-Verissimo- risposi, prima ancora di rendermene conto; parlare con lui diventava di volta in volta più facile, più naturale, come riprendere un'abitudine amata dopo molto tempo. E l'energia delle radici e della foresta mi imbevevano ancora, facendomi sentire sicura, e orgogliosa. -Adoro questa stagione, queste mattine sospese tra luce e ombra, passato e futuro. Sembra quasi che tutto sia possibile, e che da un momento all'altro appaia dietro un fungo un drappello di folletti.-

-Avete davvero una bella immaginazione- commentò lui, sfilandosi la giaccia e gettandosela negligentemente sulla spalla. -Ho ascoltato per caso qualcuna delle storie che raccontate alla vostra amica, e le ho trovate veramente splendide.-

Ammutolii, troppo stupefatta per parlare: davvero Edward aveva ascoltato i miei racconti? E li considerava belli? Quell'aggettivo mi turbò e mi deliziò ad un tempo: bello viene definito un tramonto, un bacio, una donna; vi è in questo aggettivo qualcosa di concreto, di fieramente intimo. Ed ora, qualcosa di bello ci legava. -Oh, sono solo piccole invenzioni- farfugliai, torcendomi le mani -cose di poco conto.-

-Io non direi; se doveste chiedere a me, saprei al massimo descrivere male le avventure che mi hanno narrato da piccolo, o le ponderose biografie di Paracelso e dei grandi alchimisti. Voi, invece, avete molti mondi racchiusi in quella testa, vero?-

-Bè- risposi -sapete, non sono mai uscita da Rosefield Manor, quindi ho avuto molto tempo per inventare da sola i miei viaggi. Quando Cathy era più giovane avevamo una scatola di bamboline meccaniche, e in soffitta facevamo loro vivere qualunque impresa, dall'esplorazione delle Piramidi ai misteri della Giungla Nera...- mi fermai, distogliendo lo sguardo -Perdonatemi. Non so perché vi stia annoiando con queste vecchie storie.-

-No, non vi dovete scusare- replicò subito, la voce delicata come il vento che danzava tra i rami -mi piace sentirvi parlare.-

Per qualche attimo, le sue parole fluttuarono tra di noi, molto più intime di quanto avrebbero dovuto essere;

continuai a guardare gli alberi tremolare, i sussulti ramati delle cortecce. Finché non fui investita da una cascata di foglie gialle.

Mi voltai di scatto, presa alla sprovvista: sul volto di Edward campeggiava un'espressione innocente, e palesemente fittizia. -Perché l'avete fatto?- chiesi, inarcando un sopracciglio.

Lui spalancò gli occhi. -Io? Io non ho fatto nulla. Saranno stati i folletti.-

-Ah, d'accordo...- Non so perché agii in quel modo: so solo che in quel momento mi sembrò la reazione più ovvia, quasi un riflesso inscritto nell'anima. Mi chinai, raccolsi una manciata di foglie, e gliela gettai contro.

Il suo stupore, quando si ritrovò coperto di rosso e arancio, mi ripagò di tutto.

Ma in breve si trasformò in un sorriso obliquo. -Allora cercate la guerra...- mormorò, inginocchiandosi ancora.

Scappai prima che potesse scagliare il suo colpo, ridendo; continuammo a inseguirci, gridando come ragazzini e disturbando il sonno di tutti i piccoli animali del parco. Non ricordo di essermi mai sentita così padrona di me stessa, così umana. Il Maestro mi aveva donato la vita; Edward mi donava la libertà.

Alla fine ci fermammo, sotto l'ombra di un'immensa quercia; io guardai il suo viso acceso dalla corsa, le labbra scarlatte e ben definite, le basette in disordine, e volli solo poter allungare una mano e sentire la sua pelle, la mia carne contro la sua carne. Ma per ora, mi bastava incontrare il suo sguardo. -Grazie- mormorai, e lo pensavo davvero.

Di nuovo quel sorriso. -Ogni volta che volete, signorina Isabella. Il folletto è sempre a vostra disposizione.-

 

Questa notte Catherine ha avuto un incubo. Come tutte le sere io l'avevo accompagnata in camera, e l'avevo aiutata a prepararsi per la notte: le ho sfilato l'abito di batista turchese, ho dischiuso la sottogonna, le ho pettinato pazientemente i capelli scuri in una spessa treccia. Infine, sono rimasta al suo fianco fino a quando non si è addormentata, narrandole le storie che invento per lei da quando era una bambina.

A mezzanotte, però, ho sentito risuonare un grido nel buio, il mio nome invocato con il terrore e l'abbandono di chi stia precipitando in un abisso. Mi sono alzata subito dal davanzale della finestra, accendendo rapidamente la lampada ad olio sulla scrivania: nel lucore incerto della fiamma, gli occhi spalancati e pallidi di Cathy mi hanno fissato, senza vedermi, ancora perduti in qualche terribile distanza. -Bella!- ha urlato ancora, tendendo le mani, fragili e sottili come ossa d'uccello. -Bella!-.

-Sono qui, Cat- ho sussurrato, sedendomi al suo fianco sulla coperta -Sono qui, non devi temere.-

Si aggrappò alle mie braccia, le spalle scosse dai singhiozzi. -Oh, Bella. È stato così orribile, così orribile...-.

-Shh...- mormorai, accarezzandole piano la fronte -...è stato un sogno, solo un sogno, Cat. Qualunque cosa fosse, non c'è più.-

-Era così vero...ho avuto tanta paura. Tu e papà non c'eravate, e io ero da sola, e non sapevo cosa fare e...- si fermò, il respiro spezzato -...ed ero fuori.-

Sebbene continuassi a stringerla, il mio sguardo si indurì, e una fiammella familiare e oscura crepitò in un angolo della mia mente. Fuori. È da quando aveva tredici anni che Catherine rifiuta di mettere piede al di fuori della proprietà di Rosefield Manor, e fatica a spingersi anche sui sentieri che ne bordano il perimetro. Lentamente, inesorabilmente, in lei è cresciuto il timore del mondo, degli uomini e delle ferite che entrambi avrebbero potuto infliggerle: iniziò a compiere meno visite, a riceverne poche, a sfilacciare i legami con il resto dell'umanità, fino alla solitudine completa. Nulla è riuscito a distoglierla dalla sua paura; nessun rimprovero, nessuna parola, nessuna preghiera furono in grado di estirpare quell'orrore della vita che la consumava. È per questo che sono stata creata: per darle una compagna fidata e paziente, vincolata a lei e alla sua benevolenza da un laccio più stretto di quello della semplice amicizia. Ed è ciò che sono stata finora. Ma a fianco della premura e dell'attenzione, a fianco dell'affetto di madre, di sorella, di amica che provo per lei, è cresciuto in me anche un sentimento più torbido, sfuggente come fumo: un rancore sordo, una rabbia bruciante per tutto ciò che Cathy potrebbe avere, e non vuole. Perché non corre per i boschi, inspirando il profumo ricco della terra e del muschio? Perché non danza nei balli scintillanti di luce, fino ad avere le guance arrossate e il respiro affannato? Perché non girovaga per musei e concerti, godendo della semplice gioia di essere umano? Ancora una volta, mentre la calmavo con bisbigli rassicuranti, mi posi quelle domande, e pulsarono come ferite.

Catherine sollevò lo sguardo, le palpebre chiare e ricamate di vene azzurre:-Raccontami una storia, Bella, ti prego. Una storia della Principessa Grigia.-

La abbracciai, stendendomi accanto a lei sul letto. La Principessa Grigia era uno dei personaggi che avevo creato per lei, ed uno dei miei preferiti: capelli d'argento leggeri come veli, una mente vasta e limpida, un regno di sapienti e guaritori, la mia principessa aveva lottato contro draghi, cavalieri malvagi, temibili maghi e fantasmi sanguinari; aveva viaggiato in terre nebbiose, conosciuto popoli meravigliosi e terribili, appreso arti e scienze incredibili. Solo una cosa non aveva mai conosciuto, ed era l'amore.

Per un momento pensai di raccontarle una delle vecchie storie, o una comune avventura; ma le parole mi vennero alle labbra, come profumi nel vento, e non potei che trasformarli in voce.

“C'era una volta, nel paese di Grimmevea, un bellissimo principe di nome Soledoro; era gentile e premuroso, e tutto il suo popolo lo amava, ma un mago malvagio, per vendicarsi della forza e del coraggio del principe, l'aveva trasformato in una statua d'oro. Così Soledoro non poteva più piangere o sentire un profumo, non poteva più sfiorare il pelo dei suoi cavalli o gustare il sapore salmastro delle onde del mare; e ciò gli faceva più male di ogni colpo di spada.

Un giorno, durante una battuta di caccia, il principe vide un bellissimo cervo, e iniziò ad inseguirlo; lanciò il cavallo con tanta foga che ben presto lasciò indietro i suoi uomini e, senza accorgersene, penetrò nei rigogliosi boschi della Principessa Grigia. Stava per catturare il cervo, quando improvvisamente sbucò in una radura ombrosa, e il suo cuore si fermò.

Di fronte a lui, seduta in mezzo a un cerchio di piccoli funghi argentei, stava Grigia, con una pergamena e una boccetta d'inchiostro verde accanto. La fanciulla sollevò lo sguardo, uno sguardo gentile, colmo di saggezza, e gli disse:-Salve, straniero. Io sono Grigia, la principessa di questa terra, e ti offro il mio benvenuto.-

Soledoro rispose, e parlarono ancora molto; ma bastò l'incontro dei loro occhi, ed entrambi seppero che non avrebbero più potuto vivere senza l'altro.

Fu l'inizio di giorni felici, di cavalcate, di giochi, di baci rubati all'ombra profumata dei roseti; uno solo era il loro dolore, ed era che Soledoro non potesse sentire le carezze di Grigia, e che il suo abbraccio fosse così freddo. Così, un giorno, la nutrice della principessa, vedendo la tristezza nebbiosa dello sguardo della sua signora, la avvolse tra le sue braccia calde, e le disse:-Anima mia, mio piccolo uccellino, esiste una soluzione al vostro dilemma: dovete recarvi dall'Oracolo Bianco, che vive nel profondo delle rocce, che non è né uomo né donna, e che tutto può e nulla davvero vuole. Ma per raggiungerlo dovrete affrontare mostri, e cose orribili; cose antiche e potenti che dormono dal giorno in cui sono nati gli uomini.-

-Non sono spaventata, se so cosa devo combattere- rispose Grigia – e se so perché devo farlo.-

Così la principessa versò sugli occhi del suo amore una polvere soporifera, perché dormisse durante la sua impresa, e partì per la casa dell'Oracolo Bianco.

Dopo aver lasciato il castello, si ritrovò in un buio bosco, fitto di tenebre violette: e lì apparve d'improvviso un lupo immenso, dal pelo irto e grigio come la tempesta e gli occhi gialli. Il lupo disse: -Perché sei qui, regina degli uomini? Che cosa cerchi?-. E Grigia rispose:-Vengo qui per salvare il mio amato; lasciami passare, perché tu conosci quanto sia prezioso il legame di un branco.-.

Così il lupo abbassò la testa, e liberò il sentiero per lei.

La principessa continuò per la sua strada, e giunse sulla riva di un lago brumoso; e lì d'un tratto calò un gufo, dalle penne setose e il grido angoscioso. Il gufo disse:-Perché sei qui, regina degli uomini? Che cosa cerchi?-. E Grigia rispose:-Vengo qui per salvare il mio amato; lasciami passare, perché tu conosci quanto valga la solitudine e la compagnia con cui intesserla.-

Così il gufo sbatté le ali, e Grigia poté attraversare il lago.

Infine, si trovò di fronte ai picchi argentei e affilati di un monte smisurato, e in un soffio apparve un serpente, dalle scaglie d'oro lucente e le spire complesse come ricami. Il serpente disse:-Perché sei qui, regina degli uomini? Che cosa cerchi?-. E Grigia rispose:-Vengo qui per salvare il mio amato; lasciami passare, perché tu conosci l'arte di cambiare, e di abbandonare la propria forma.-

Così il serpente la fissò sibilando, e scivolò via in un pertugio oscuro.

Grigia proseguì, e vide di fronte a sé un palazzo dalle mura perlacee, che si elevava tra le vette come una perla intagliata. Allora attraversò il portale tempestato d'opali, e di fronte a sé trovò l'Oracolo Bianco.

È difficile descriverlo: non è né bello né tremendo, ma entrambi; non è giovane né vecchio, ma entrambi; non è né pietoso né crudele, ma entrambi. L'Oracolo sollevò una mano, e sembrava un osso e un ramo e una ragnatela. -Sei riuscita a superare molti ostacoli, figlia degli uomini; dimmi, per cosa mi hai cercato?-.

-Sono qui per chiederti di sciogliere una maledizione- rispose la principessa -Sono qui per chiederti di liberare il mio amato.-

-Vuoi che gli dia la felicità, fanciulla?- chiese l'Oracolo.

Grigia scosse la testa. -No, signora. Voglio che voi gliene diate la possibilità.-

L'Oracolo la fissò, e annuì. -Molto bene, figlia degli uomini. Che il tuo desiderio sia realizzato, e che tu possa tentare il difficile cammino della felicità.-

Così l'Oracolo soffiò il suo respiro dorato, e, a molte leghe di distanza, Soledoro si svegliò, e la sua pelle era di carne e il suo cuore batteva e le sue mani sentivano la fresca carezza dell'alba.

E quando Grigia tornò al castello, poté finalmente abbracciarla.

Cathy rimase in silenzio; era piuttosto inusuale, considerato che solitamente commentava con passione le mie invenzioni. Quando abbassai lo sguardo, vidi che aveva la fronte aggrottata. Nei suoi occhi, scorsi un'ombra indecifrabile.-è una strana storia, Bella. Non ne avevi mai raccontate di simili.- Nel suo tono mi parve di cogliere una sfumatura di perplessità, l'ombra di un rimprovero. Per qualche motivo, mi sentii improvvisamente indifesa, come se avessi appena rivelato un segreto intrecciato a corde troppo profonde e troppo sensibili per diventare parole. -Forse hai ragione- risposi in fretta -non dovevo raccontarla. È una brutta storia. Domani cercherò di inventarne una più bella, va bene?-

Catherine non rispose, la testa poggiata di nuovo sul mio petto; esitò, come se stesse per replicare qualcosa. Alla fine, bisbigliò solo:-Va bene.-

Mentre il suo respiro diveniva più lento, continuai a stringere quel corpo così sottile e delicato, così simile al mio; ma il suo avrebbe potuto dare calore, e piacere e vita. Il mio era solo un simulacro, una replica di resina e porcellana; e il mio abbraccio sarebbe sempre stato freddo.

   
 
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