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Autore: IamTheAuthorOfMyLife    12/09/2013    2 recensioni
''Devi farla finita per ricominciare con noi.''
Queste erano le parole scritte sul fondo del volantino. Emanavano un aura inquietante, che faceva accapponare la penne, ma allo stesso tempo attraevano come la più potente delle calamite.
Genere: Dark, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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     Non è mai troppo tardi per scappare con il circo
 

Fissai come inebetita la mano tesa distrattamente verso di me, sbattendo le palpebre.
Merda.
Non ricevendo nulla la mano si abbassò, e il mio professore di letteratura, mr. Clowell si girò a guardarmi, e per un attimo mi fissò con la stessa espressione con cui io avevo fissato la mano.
Avevo ancora le braccia incrociate sul banco, visto che poco prima ci tenevo poggiata la testa sopra, con l'intenzione di schiacciare un pisolino.
Mi ero completamente dimenticata che la consegna del tema era quel giorno, l'avevo lasciato compiuto a metà in camera mia.
L'insegnante continuò a fissarmi, mutando la sua espressione in una sempre più severa. Stava ritirando i temi per i banchi, uno a uno, in modo tale che nessuno potesse sfuggire alla consegna, o tentare di finirlo all'ultimo minuto. In una mano stringeva una piccola pila di fogli, alcuni spillati, altri rilegati con cura, ed era quello in cima che stava osservando prima di rivolgere a me tutta la sua attenzione.
«Dov'è il suo tema signorina Monroe?» mr. Clowell era l'unico professore che non ci dava del tu, -e quando lo dava c'era da preoccuparsi- pur stando con noi dall'inizio del liceo, e quello era il terzo anno che passava con noi ormai.
Mi misi seduta dritta sulla sedia, mordendolo un labbro e guardandolo dritto negli occhi, cercando di avere l'aria meno colpevole possibile.
«L'ho dimenticato» dissi tutto d'un fiato con un tono di voce quasi normale.
Lui mi riservò un occhiata scettica, alzando lentamente un sopracciglio.
«Dimenticato?» ripeté, come se non avesse sentito bene.
«Esatto» Mi sarei presa a schiaffi. Se solo non mi fossi resa conto all'ultimo momento che era il giorno della consegna avrei inventato di certo qualcosa di meglio. ''Dimenticato'' Dio era vecchio come ''Il cane mi ha mangiato il compito''.
Rimanemmo in silenzio a fissarci per qualche secondo, poi lui sospirò rassegnato.
«Arya...» Iniziò a dire.
Oh accidenti... era il momento della ramanzina del professore stanco e comprensivo.
Deglutì e attesi che continuasse.
«Il tuo compito è andato male la settimana scorsa. Devo confessarlo, ne sono stato molto sorpreso negativamente. Mi hai deluso. Letteratura è sempre stata una materia in cui ti sei distinta.
«Ho parlato anche non gli altri professori. Non credo ti sorprenderà sapere che anche per loro vale lo stesso. I tuoi voti sono in caduta libera.»
Aveva ragione, non mi sorprendeva.
Mi fissai le mani e presi a torturarmi una pellicina.
Sentì che prendeva aria per continuare, ma evidentemente richiuse la bocca, perché non continuò. Tuttavia rimase lì.
«Aspetto il suo tema l'indomani sulla mia scrivania signorina Monroe. E le verrà sottratto un voto per il ritardo» detto questo riprese il suo giro.
Non riuscì a non sorridere, e a provare un improvvisa ondata d'affetto verso di lui. Non era così di pietra dopo tutto.
Prima di pranzo decisi di fare una deviazione per il bagno. Mentre mi lavavo le mani mi guardai allo specchio, cosa che non avevo accuratamente evitato quella mattina, e mi resi conto di avere un aspetto orribile: ero pallida come un cadavere, gli occhi erano gonfi e rossi e avevo le occhiaie.
Per forza che è stato indulgente con me, gli avrò fatto pena.
Per l'ennesima volta mi resi conto di quanto fosse banale il mio aspetto, ero una persona così anonima... portavo i capelli castano ramato sciolti, mi arrivavano appena sopra le spalle, e dato che l'ultima volta li avevo tagliata io stessa, in u patetico tentativo di fare qualcosa di particolare, mi ero ritrovata con un taglio parecchio strambo, senza ordine.
Gli occhi erano... gialli? Non mi ero mai impegnata a descriverne il colore, ma Emily li definiva ''sole ed erba'' perché in alcuni punti tendevano anche al verde... ma Emily non era mai stata un tipo tanto apposto.
Mi si strinse un nodo in gola al pensiero della mia migliore amica. Era passato più di un anno e ancora dovevo abituarmi a sedermi da sola in mesa.
Emisi un lungo sospiro tremolante, poi afferrai lo zaino e uscì. Prima finiva quella giornata meglio sarebbe stato.

Il rumore delle posate contro i piatti mi infastidiva così tanto che avrei voluto buttare all'aria il tavolo. Avevo una bruttissima sensazione alla bocca dello stomaco... come una pallina da tenni informe che si ingrandiva man mano che reprimevo ogni azione.
Me ne stavo ferma impalata sulla sedia, tenendo lo sguardo fisso nel piatto.
C'era sempre quell'aria di tensione orribile, come se fossimo tutti una bomba ad orologeria.
Mia madre aveva gli occhi e il naso arrossati, aveva pianto, ancora.
Mio padre aveva movimenti lenti e controllati, era arrabbiato e pronto ad esplodere.
Avevo una sorella, ma andava all'università, e a diciotto anni se l'era praticamente svignata.
Decisi di bere dell'acqua, giusto per fare qualcosa, e me la versai nel bicchiere, solo che quando posai la bottiglia urtai il bicchiere pieno che allagò la tovaglia.
I miei alzarono gli occhi.
Subito afferrai dei fazzoletti e presi a tamponare l'acqua, per limitare i danni.
«E ti pareva, quando mai non doveva succedere una cosa del genere? Brava!» sbottò mio padre, a voce alta, in modo abbastanza cattivo, e accompagnò tutto da un forte e breve battito di mani.
«Non l'ho fatto mica a posta...» borbottai io in risposta, gli avrei volentieri frantumato il bicchiere in testa.
«Succede praticamente ogni sera! Sto iniziando a dubitarne. E non usare quel tono infastidito» continuo, ma non sembrava felice di doversi calmare.
Sentì il sangue andarmi alla testa, mi faceva così incazzare.
«Si ceto, verso l'acqua apposta sulla tavola, mi diverte un casino!» avevo alzato la voce senza accorgermene, e non fu una delle mie mosse migliori.
Non mi aspettavo minimamente lo schiaffo che susseguì quelle parole. Mio padre si era alzato così velocemente che la sedia era caduta e il mio bicchiere di vetro era caduto dal tavolo frantumandosi in mille pezzi.
Quasi caddi dal tavolo, il dolore arrivò dopo alcuni secondi, sentì la guancia pulsare.
Mia madre che aveva tenuto la testa bassa, facendo finta di non avere ne occhi ne orecchie improvvisamente la alzò, come se si fosse appena ridestata da un sogno. Osservo la scenda. Non disse nulla.
Mi alzai facendo di scatto, le lacrime agli occhi e il cuore che mi pulsava nelle orecchie.
«Non prendertela con me solo perché sei incazzato! Non è certo colpa mia se la tua vita è una merda!» l'avevo urlato in preda alla rabbia e al risentimento, ero arrivata al punto di rottura.
Erano anni che mia madre era depressa, e che mio padre si sfogava della sua rabbia depressa con me, trattandomi una merda sino a farmi piangere.
Mio padre odiava il suo lavoro, era un lavoro abbastanza buono, ma lo odiava. Odiava avere una mogli depressa, una figlia che non gli rivolgeva la parola e l'altra che lo faceva fin troppo spesso solo per contraddire le sue cazzate o rispondere ai suoi insulti.
Le mie parole servirono solo a farlo alterare di più, e questa volta ebbi bel due schiaffi, prima che potessi indietreggiare e digrignare i denti, mentre le lacrime iniziavano a scendere.
Erano settimane che litigavamo ogni giorno più del solito, e io non ce la facevo veramente più. Ero arrivata ad odiarlo ed era una delle cose più orribili in assoluto.
Come si poteva odiare il proprio padre senza sentirsi dei vermi ingrati?
Ma allo stesso tempo gli volevo bene, in fono era mio padre, ma lo odiavo, mi rendeva la vita un inferno. E questa cosa stava iniziando a farmi impazzire.
Mia madre rimase a guardare, spaesata, spostando il suo sguardo da me a suo marito.
Gli occhi neri di mio padre erano gli occhi di un pazzo, furibondi, non stava ragionando. Sapevo che il sol sentire la mai voce lo irritava, e quando mi vedeva felice diventava di umore pessimo, per poi mettersi di impegno fin quando il mio sorriso non si capovolgeva.
«Io ti odio!» era la prima volta che glielo dicevo, e fu stranamente liberatorio.
«Sei uno stronzo! Un egoista! Puoi tranquillamente prendere la tua insoddisfazione e ficcartela su per il retto, perché io, al contrario di te, voglio essere felice!»
Non so come ma ci ritrovammo a lottare, io tremavo e andavano a segno più suoi colpi che miei, ma non sentivo per nulla il dolore.
Stavo andando nel panico, non sapevo che fare, i colpi alla testa mi stordivano, e di certo già non ero lucida di mio in quel momento.
Gli diedi una manata in faccia ed afferrai il bicchiere vuoto di mia madre. Glielo scagliai in testa con tale forza che quello si frantumò, mio padre barcollò all'indietro reggendosi la testa, e dopo pochi secondi vidi del sangue fra le sue dita.
Rimasi impietrita, poi però mia madre strillò e si alzo per soccorrerlo. Io trasalì, fui presa dal panico e dall'orrore.

Una dozzina di secondi più tardi mi ritrovavo a correre per le strade buie della città, il mio respiro si condensava in nuvolette di fumo, faceva freddo, e l'aria fredda mi si appoggiava sulla pelle del viso come lame.
Non sapevo dove stavo andando, magari il più lontano possibile dalla mia vita e da quello che era appena accaduto.
Non riuscivo a pensare a nulla, sentivo solo la testa che mi scoppiava, non facevo nemmeno attenzione alla strada davanti a me.
Non seppi per quanto avevo corso quando mi fermai, ma riconoscevo vagamente il posto. Non sapevo come ci ero arrivata, ma era parecchio lontano dato che di solito lo raggiungevo con la metropolitana le rare volte che ci ero andata.
Mi ritrovavo al vecchio stazionamento dei treni, e non era esattamente uno dei posti migliori dove vuoi trovarti una notte, ma per fortuna era ancora il tramonto, e i drogati ed i barboni che lo frequentavano ad una certa ora non si vedevano ancora.
C'erano diverse file di vecchi binari arrugginiti, qualche conteiner polveroso e decadente e parecchie siringhe a terra, insieme a un paio di attrezzi per fare i piercing alla lingua.
Avevo le gambe molli, e non sapevo se mi avrebbero sorretto ancora per molto dato che tremavano incontrollabilmente sotto il mio peso.
Mi strofinai il viso umido di lacrime e decisi che era meglio trovare un posto per sedersi altrimenti sarei crollata a terra come un salame.
C'erano delle casse vuote di fronte a uno dei container, e dopo aver controllato se fossero in grado di reggermi mi ci sedetti. Continuai a tenere lo sguardo fisso d'avanti a me, senza guardare qualcosa in particolare. Non riuscivo a pensare a nulla, avevo la mente vuota ed ero stranamente calma, e dato che non correvo più stavo iniziando realmente a sentire il freddo.
Mi strofinai le mani per riscaldarle e poi me le infilai nella tasca della felpa.
Di lì a poco la temperatura sarebbe scesa, e io mi sarei letteralmente congelata. A casa non potevo tornarci, e non avevo soldi con me, quindi non potevo andare in un albergo. Valutai l'idea di fermarmi lì con i senzatetto, con un fuoco acceso in un bidone della spazzatura, di certo era meglio di nulla ma non era un idea molto attraente.
Desiderai ardentemente una via di fuga da tutto quello, un qualsiasi modo che m permettesse di lasciarmi alle spalle tutto.
Sarei dovuta tornare strisciando a casa? No. Piuttosto la morte.
Alzai di scatto la testa, perché persa nei miei pensieri com'ero non avevo notato che avevo notato la melodia che aleggiava nell'aria.
Sarebbe dovuta essere una musichetta allegra, come quella dei venditori di noccioline, ma lo strumento che la produceva doveva avere qualcosa che non andava, perché era moscia e triste, e aveva una certa aria sinistra.
Mi guardai in torno e notai che sul binario successivo a quello dove ero io, sulla mia destra a parecchi metri di distanza c'era un clown, con tanto di parrucca arancione capellino, scarpe enormi blu e classica tuta arancione a pois di tutti i colori.
La sua visione mi stordì, perché tutto quel colore non c'entrava proprio in quell'ambiente grigiastro.
Dato che mi dava le spalle non potevo vederlo bene, ma ero sicura che stesse suonando una fisarmonica, di sicuro era quella che emetteva l'inquietante musica, doveva essere parecchio vecchia e malandata.
Rimasi a fissarlo in tutta tranquillità, come se lo stessi guardando attraverso una televisione.
Il fatto che fosse tutto reale mi piombò addosso come un cazzotto quando si voltò a guardarmi, senza indugiare con lo sguardo, come se sapesse che mi trovavo esattamente lì.
Sentì un brivido salirmi lungo la schiena alla visione del suo viso truccato, e capì che quella situazione era abbastanza spaventosa. Che ci faceva uno vestito da clown a suonare nel bel mezzo del nulla? E soprattutto: da dove era sbucato?
Sentì una piccola ondata di panico e mi alzai rigida, cercavo di avere un aria più naturale e tranquilla possibile, ma di sicuro stavo fallendo miseramente.
Il clown smise di suonare.
Oh Dio. Ora si che avevo paura. Mi stava fissando incessabilmente e io iniziai a sudare freddo. Volevo correre via, ma mi limitai a girarmi e camminare nella direzione opposta alla sua facendo appello a tutto il mio autocontrollo.
Quando fui certa di aver messo una distanza ragionevole fra noi due iniziai a correre, mettendo più metri e container possibili fra me e lui.
Estenuata dalla corsa, dato che avevo già le gambe molli per quella di prima, fui costretta a fermarmi dietro a un container verde vomito abbastanza malandato. Mi ci poggiai con la schiena boccheggiando e cercando di prendere aria. Di sicuro ora avevo messo una notevole distanza fra me e quel clown sinistro. Decisi di affacciarmi e di controllare, ma quello che avrei dovuto vedere come una statuetta lontana piena di colori non era più al suo posto.
Deglutì faticosamente cercando di restare calma, magari se ne era andato, magari era una persona normale e si era offesa dal mio comportamento.
Tirai un sospiro di sollievo e mi voltai, trovandomelo davanti.
Sgranai gli occhi e urlai, era ad un metro di distanza da me tutto sorridente e con un aria tranquilla.
Mi appiattì ancora di più al container, con la gola che mi bruciava dalla potenza dell'urlo che avevo cacciato, stranamente non sembravo averlo turbato.
Continuai a fissarlo ad occhi sgranati e per la prima volta capì di ritenere inquietanti e spaventosi i clown, col loro trucco bianco e rosso e i vestiti assurdi.
Quello sembrò non notare la mia espressione di terrore e continuò a fissarmi sorridente con i suoi occhi verde giada, la fisarmonica era posata ai suoi piedi e, proprio come avevo immaginato, era piuttosto malandata.
Ci fissammo ancora per qualche secondo, poi lui fece un passo avanti e allungò una mano, porgendomi un... volantino.
Fissai meravigliata il mezzo di carta. Era uno di quelli che si vestivano in modo assurdo per pubblicizzare ristoranti e cose così? Ma se lo era che ci faceva in quel posto deserto?
Il clown mosse un po' la mano e annuì, in un gesto di incoraggiamento.
Allungai incerta la mano tremante e afferrai il volantino, tenendo lo sguardo su di lui.
Lui abbasso la mano e il suo sorriso si allargò, mi rivolse un piccolo inchino e prese la fisarmonica da terra, voltandosi per andarsene.
Io fissai incredula il volantino, e rialzai la testa per chiedergli cosa fosse, ma il clown non c'era più.
Rimasi a fissare il vuoto con la bocca spalancata e il volantino stretto in mano.
Questo si che è parecchio strano... sto forse impazzendo? Ma se il clown fosse stata una visione io non avrei il volantino in mano ora.
Deglutì di nuovo e mi apprestai a studiare il pezzo ci carta che tenevo in mano.
Era il volantino di un circo, c'era disegnato sopra il classico tendone, ma era... insolito.
Di solito i volantini dei circhi erano vivaci e allegri, questo era tutto in tinte scure, e il colore predominante era il nero. Proprio come la musichetta era abbastanza inquietante. Ma forse era un circo a tema sulla paura... ma non sapevo che i circhi ricorressero a dei temi.
Il volantino non diceva il nome del circo, e l'unica altra scritta oltre agli inviti a partecipare alla visione degli spettacoli e all'elenco dei numeri l'unica altra scritta era quasi sul bordo finale.

''Devi farla finita per ricominciare con noi.''

Sentì i peli sul braccio rizzarsi e mi strinsi nelle spalle, sentendo un brivido di inquietudine scivolarmi lungo la schiena. Ma non smisi di fissarle.
Erano allo stesso tempo così inquietanti e così affascinanti.
Per un attimo ripensai al mio desiderio di avere una via di fuga. Poteva mai essere un segno? Andare via col circo?
Ma io non sapevo fare nulla, e di sicuro non avrebbero preso una minorenne che voleva scappare di casa.
D'un tratto compresi le parole del volantino, e sgranai gli occhi. Ecco la soluzione.
Era questo il mio destino? Dovevo andare via col loro? Non era forse il desiderio di ogni bambino andare via col circo? Ma io non ero una bambina...
In effetti era il mio desiderio di bambina scappare col circo, mentre le altre volevano diventare principesse io mi immaginavo a fare il clown o il trapezista. Ma avevo smesso di sognarlo da tempo, avevo pensato che ormai era tardi.
Sentì un sorriso raggiante illuminarmi le labbra.
Ma che stavo dicendo? Non è mai troppo tardi per scappare con il circo.


 

  
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