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Autore: Mary CM 93    12/09/2013    1 recensioni
La storia di una ragazza, Angelique, dei suoi drammi famigliari, dei suoi amori e dissapori...di una ragazza bellissima, che vive giorno per giorno, un piccolo dramma dentro di sè...che tenterà di evadere da una realtà che l'ha sempre schiacciata...
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
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Avevo rispettato il volere di Jean e quella sera indossavo un vestito nero, che mi arrivava alle ginocchia, aderente, ma non volgare, un po’ di tacco, ma nulla di eccessivo. Quando mi vide uscire di casa, il mio accompagnatore mi propose uno dei suoi sorrisi migliori.
“Sei stupenda”- mi disse dolcemente accarezzandomi la guancia.
“Lo so…”-risposi, passandomi una mano fra i capelli.
 
“Senti sta sera spero tu ti senta a tuo agio, tendenzialmente sono persone simpatiche, ma sono anche particolari ed umorali, per di più è un gruppo numeroso…spero che tu possa passare una bella serata”-  affermò Jean mentre guidava.
Feci spallucce: “Non mi preoccupano mai le persone”- ma Jean sbuffò, forse un po’ irritato dai miei toni sempre freddi e superiori.
Arrivati al ristorante, che era di gran lusso, erano già tutti al tavolo, vedendoci entrare si alzarono subito e ci vennero incontro.
 
Fu in quel momento che li distinsi chiaramente, come sul palco la prima volta che li avevo visti: il direttore d’orchestra, un uomo molto formale dall’espressione seria, ma pacata ed affianco a lui una donna, la pianista, dai tratti dell’est, bella e formosa, anche lei molto posata, capelli raccolti lisci e biondissimi e degli occhi azzurro cielo, poco più in là un’asiatica vestita in modo davvero eccentrico, piena di fiori colorati, lustrini e paillette che esibiva un sorriso simpatico e smagliante, accanto a lei una donna ed uomo parecchio in carne che si somigliavano, vicino a loro una coppia che si teneva per mano, lei era la violinista, una bellissima ragazza, slanciata con lunghi capelli scuri, mi somigliava perfino un po’, ma il suo fidanzato non lo ricordavo affatto, i tratti mediterranei, alto e muscoloso, e per ultimo, lo riconobbi subito, c’era  il trombettista, sicuramente straniero, un tipo piccino, buffo e sorridente.
 
“Signori, questa è la mia meravigliosa fidanzata, Angelique!”- Jean mi aveva presentata compiaciuto della mia presenza e tutti mi avevano stretto la mano.
“Oh sì, ti ho vista ad un concerto di qualche tempo fa ed ho pensato: cazzo Jean che se la fa con quella super gnocca, eh… il nostro violoncellista…” –esclamò entusiasta, con un accento totalmente assurdo ed un linguaggio che faceva a pugni con il luogo sfarzoso in cui ci trovavamo, la tizia asiatica tirando una gomitata di complicità all’uomo ciccione di fianco a lei, che, di contro, rimase una statua.
Jean ridacchiò: “Sei veramente pazza. Scusate, vado a posare un momento le giacche, torno subito, trattatemela bene”- e si allontanò verso il camerino.
 
Poi una voce acuta, vagamente sensuale, mielosa, ma pungente mi attaccò- “Anche io mi ricordo bene di te, ricordo di aver pensato che fossi totalmente fuori luogo e che io mai mi sarei vestita in quel modo succinto ed aggressivo per un concerto di musica classica…”- era la violinista che mi strizzò l’occhio e poi si morse il labbro in modo provocante.
Come mi stavano trattando bene, in effetti.
“Si? Invece pensa che io non mi ricordo affatto di te…suonavi per caso?” – risposi con aria di sufficienza, sorridendole.
Lei si limitò a fulminarmi con gli occhi e, nel contempo, Jean tornò: “Bene dai, sediamoci così facciamo le presentazioni ufficiali”.
 
Una volta a tavola Jean mi fece da cicerone: “Amore, sei seduta di fianco al nostro mentore, nonché direttore d’orchestra Leopold De Vincent, sappi che è un grande onore”.
Leopold arrossì leggermente e mi presentò il resto del gruppo: “Lei è la mia carissima moglie, Soraya, viene dalla Russia, ma vive in Francia da quando siamo sposati, è una pianista eccezionale ed è anche insegnante di piano, mentre loro sono i fratelli Belcart, Blanche e Maurice, sono due cantanti lirici, nonché miei ottimi amici dall’infanzia, lo scorso concerto purtroppo non hai avuto il piacere di ascoltarli perché erano in Olanda, con una compagnia ben più importante della nostra direi, invece lei è Kristine, si è aggiunta recentemente al gruppo, è la nostra costumista, scenografa e truccatrice, ah beh poi c’è Rebecca, la violinista del gruppo, insieme a Jean è una nostra pupilla, lei e Jean sono nostri allievi da quando erano ancora bambini” –disse compiaciuto Leopold, ma fu interrotto dal trombettista: “Infatti, Rebecca, è così tanto che sei qui…ci chiedevamo: perché non te ne vai?”-e scoppiò in una stramba risata accompagnato da quella di Jean e Kristine.
Rebecca mi rivolse la parola, questa volta in modo civile: “Lui è quell’idiota del ragazzo di mia sorella, Ernesto, viene dal Messico e ci sarebbe potuto restare, ma purtroppo è da poco entrato nella compagnia” –terminò acida fulminando il trombettista, il quale precisò: “Sua sorella gemella, ma sono eterozigote per fortuna, mica me lo sarei preso un manico di scopa come Becca. E’ la mia ragazza da un anno, è un angelo, suona il flauto traverso e quando lo fa è così sexy…purtroppo ora è in Italia per un viaggio…mi manca così tanto il mio dolce amore”- esclamò a metà tra lo spiritoso ed il romantico, poi sussurrò fintamente: “Purtroppo mi devo sorbire la gemella, che non è dolce e nemmeno sexy, anzi è una stronzetta acida, ma shhh non dirle che te l’ho detto”- poi si voltò verso Rebecca e le sorrise beffardamente.
 
Non riuscii a notare le espressioni degli altri durante quel battibecco, che subito mi parlò il ragazzo di fronte a me, il tizio super muscoloso: “Io invece sono Antonio, sono siciliano ma passo qui il Natale con Becca”. Mi limitai a sorridere, forse Antonio era il più normale della serata.
Poi fu Jean a parlare, mi prese la mano, la baciò ed esordì: “Io sono Jean, sono un violoncellista e penso di amarti, piacere”.
Pose fine a quella scena tremendamente imbarazzante e smielata, la voce squillante di Kristine: “Oddio, ma come sono teneri, non sono teneri?” –incitò il gesto di Jean cercando consenso da tutti.  Rebecca, però, zittì il suo entusiasmo: “Insomma, tutti qui suoniamo e abbiamo a che fare con l’arte, tu invece Angelique? Cos’è che fai? Jean parlava dell’ultimo anno di liceo…”- e scosse la testa in segno di disappunto, proponendo poi un sorrisetto beffardo.
“Antonio, cos’è che fai tu invece?” –sapevo che quel palestrato italiano con l’espressione da marpione non sarebbe mai potuto essere un artista.
Rebecca tentò di prendere la parola, ma il siciliano fu più veloce di lei: “Ah, io lavoro in un bar giù al mio paese, sapessi facciamo le granite migliori del mondo lì, mentre nel tempo libero mi dedico al mio corpo e vado in palestra, si vede?” –esordì fiero mostrando il bicipite che scoppiava dalla maglietta aderente.
“Forte! Io invece, oltre a studiare, con l’intento naturalmente di fare l’università il prossimo anno, nel tempo libero mi diletto suonando l’arpa” –ma questa risposta me la gustai guardando la faccia basita di Becca, che peggiorò quando Blanche mi prese le mani e finalmente aprì bocca durante la serata: “Oh l’arpa, anche io da giovane la suonavo, e lasciamelo dire, hai delle mani meravigliose, le dita così affusolate…guarda Soraya che meraviglia” –ed anche la russa mi afferrò le mani contemplandole ed aggiungendo: “Ma cara, sarebbero perfette anche per suonare il piano, perché non vieni a seguire qualche lezione da me?”-fu, però, Maurice a dare la batosta finale: “Scommetto che sai anche cantare bene, hai delle labbra così belle che da lì possono uscire solo suoni melodiosi”.
Non volevo fare l’arrogante ma: “Sì…a dire il vero so anche cantare un po’…”.
Ed Ernesto entusiasta: “Ma allora unisciti a noi no?”
Jean gongolava visibilmente, tuttavia non voleva darlo troppo a notare, perciò decise di interrompere quella serie di complimenti che stavano lentamente uccidendo l’ego di Rebecca: “Scusate, vado un secondo alla toilette, tanto direi che Angelique ha già conquistato tutti”- e si alzò.
 
Soraya mi porse allora una domanda: “E come mai tutta questa affinità con la musica?”.
Tutto, ma non questo, faticai a rispondere: “Mia madre me l’ha trasmessa, suonava anche lei l’arpa, il piano e cantava molto bene”.
Leopold andò in visibilio: “Ma allora voglio conoscerla, portala ad uno dei nostri concerti!”.
Sapevo che saremmo giunti a questo punto, ma non volevo mettere in imbarazzo la tavolata, così cercai di far uscire le parole nel modo più spontaneo possibile: “Veramente mia madre è morta anni fa…”.
Si creò il gelo per qualche secondo, ma fu Becca a spezzarlo, e non potevo credere alle mie orecchie quando aprì bocca: “Ah, è per questo tuo trauma, suppongo, che tu abbia abbandonato la musica…un vero peccato, ma, sai, non è cosa per chiunque, ci vuole determinazione…” –a quell’affermazione tutti erano visibilmente amareggiati per il poco tatto, tranne Antonio che probabilmente non aveva neppure capito il senso del discorso.
Tuttavia, prima che Leopold potesse riprenderla, io sfoderai le mie armi peggiori: “Chissà cosa fa la tua di mamma invece…”.
Ammazzò un po’ tutti la mai ironia di pessimo gusto, Jean nel frattempo era di ritorno dal bagno, così Antonio, forse un colpo di genio, pensò bene di rompere l’atmosfera pesantissima: “Oh, io mo’ me lo prenderei pure il dolce, magari le fanno pure qui le granite, no amò?”-esclamò aspettando un sorriso dalla fidanzata, che proprio non arrivò.
Gli sorridemmo e poi ordinammo il dessert. Il resto della serata si concluse piacevolmente.
 
In macchina, mentre mi riaccompagnava a casa, Jean volle sapere il resoconto della cena: “Allora? Mi sembra che sia filato tutto liscio, no? Sei piaciuta moltissimo”
Eravamo arrivati davanti al vialetto, aprii la portiera della macchina, scesi ed ebbi l’ultima parola: “Piaccio sempre moltissimo a tutti…l’unica persona, però, a cui m’importa davvero piacere, sei tu”.
  
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