ماء
-Acqua-
Capitolo uno.
–More than a slave- (-Più di uno schiavo-)
Vino rosso. Come il sangue. I greci avevano un dio per questa
squisitezza offri taci dalla terra. Bacco.
Un gran bel dio, a mio parere, il quale può contare più di qualsiasi vita qui, a
Ubar.
Adoravo berne su calici, lasciarmi trasportare dalla sua
scia. Come se si trattasse di una seducente danzatrice del ventre, che ti
trascina con la sua sciarpa rossa, in un mondo di assuefazioni e di sesso, per
la maggior parte delle volte.
In pochi, uomini con gusti raffinati, come me, possono
comprendere la dolcezza dell’ebbrezza, la meraviglia del suo stato
confusionario che ti porta a un benessere col mondo intero, con tutto ciò che
ci circonda.
Sì, posso affermare con precisione che il vino sia la più grande invenzione del
mondo, come chi ha inventato la donna.
Non voglio dilungarmi ancora sui piaceri alcolici e di quanto
giovamento si possa trarre da esso.
La nostra, la mia, storia da “Mille e Una Notte”
deve andare avanti.
•
Era passata una notte da quando, quell’infimo pezzente
patriota, era stato rinchiuso nelle segrete del palazzo – il mio – reale
di Ubar.
Avevo l’imbarazzo della scelta su cosa fargli passare per il suo impudente
gesto, un gesto che solitamente, alla gente di carovane e altre popolazioni,
sarebbe costato la decapitazione immediata.
Mi sentii magnanimo in
quel momento. Forse perché accanto a me c’erano forse le più belle ragazze del circondario,
a servirmi e riverirmi come una divinità. Questa era la vita che mi spettava,
essendo erede di una grande personalità come mio padre. E come tale, col pugno
di ferro, dovevo mantenere l’ordine e fare sì che niente andasse a rotoli sotto
le mie grinfie.
Sì. Sapevo perfettamente di essere non proprio il miglior
signore del mondo, ma se non avessi agito così, episodi come quello del giorno
precedente, si sarebbero verificati dal sorgere del sole al calare del
tramonto.
Non lo avrei permesso.
Feci cenno a una mia guardia di portare qui lo sciatto
prigioniero, e così fu fatto in poco meno di cinque minuti.
Era ancora vestito con quegli stracci addosso, tranne il fatto che gli avevano
tolto la stoffa bianca dalla testa che lo aiutava a combattere il sole durante
le giornate più afose, evidentemente. Ma per quanto mi riguardava, tipi come
lui potevano anche morire bolliti sotto i cocenti raggi del sole.
Un sorriso beffardo mi si dipinse sul viso, mentre lo vedevo
entrare alla mia regale, e maestosa corte, in catene.
Appena lo portarono al mio magnifico cospetto, una guardia gli diede un calcio
dietro le ginocchia, facendolo atterrare su di esse. Il capo chino. Il viso
completamente intriso di sangue.
Ah, dimenticavo. Lo avevo fatto volutamente picchiare, così,
tanto per dargli un piccolo assaggio di cosa succedeva a infrangere le regole
della mia Ubar.
Feci un cenno alle mie amabili ancelle, divine, di
allontanarsi, sentendo tintinnare i bracciali che avevo, i quali erano di
finissimo oro lavorato in Siria, fatti importare apposta per me da mio padre,
prima che io occupassi posto al governo, come se avesse fatto in modo che alla
sua morte anche il mio aspetto fosse regale, come la sua città.
Anche quella volta piccolo straccione non proferì parola. Evidentemente
si stava purificando dal suo peccato contro la mia realissima persona. Era
davvero una grandissima soddisfazione vederlo in quelle condizioni ancora in
miserabili di quelle in cui versava prima.
Sorrisi beffardo mentre vedevo i rivoli di sangue uscire da
quel candido visino. Probabilmente si trattava di qualche popolazione che era,
sapevo per certo, stata esiliata in precedenza. Era troppo pallido. Quasi
effimero. Alzai un sopracciglio, notando che fosse un bel ragazzo, per essere
uno straccione.
-Ascolta infimo ladruncolo da quattro soldi. Ho deciso di
essere magnanimo con te…-
Cominciai a parlare delicatamente. Non avevo la minima intenzione
di spaventarlo, già lo avevo fatto alla fine, e per avere un buon servitore,
non serviva solamente la paura, ma anche , a piccole dosi, la bontà. Come in
quel caso.
Lui mi osservava rimanendo sempre in silenzio. La pelle un
po’ abbronzata, sudatissima, un po’ sudicio ma un buon bagno, sarebbe diventato
il migliore dei miei fiorellini. Era un po’ che non possedevo un ragazzo tra le
mie ancelle, da quando quel tipo, un piccolo ratto di fogna lecca piedi, Nitori
se non ricordo male. Comunque sia era davvero una spina nel fianco. Santi Dei,
non dava nemmeno il tempo di farmi sbrigare i miei… Bisogni reali.
E comunque ero davvero entusiasta di aver scelto la mia
prossima preda maschile, sarebbe stato pane per i miei denti.
Dato che con la mia frase non andai avanti, vidi il moro
guardarmi dritto negli occhi, con i suoi blu, oltremare, serissimo, ma sempre
mantenendo un totale rispetto, e di questo gli devo dare assoluto adito, ma
proferì parola.
-Avete deciso di farmi fuori definitivamente invece che una
sofferenza lunga e dolorosa?-
Chiese in modo, ormai come sempre, sfacciatissimo. Non mi
alterai, anzi, risi, ma non perché la cosa mi avesse divertito, semplicemente
l’unica cosa che mi faceva ridere era sbeffeggiare i tipetti fuggiaschi come
lui.
-Oh no, mio caro, entri a far parte della mia corte… Dimmi se
questa non è magnanimità…-
Mi alzai lentamente dalla mia distesa immensa di cuscini,
avvicinandomi con cautela a lui. Rimase immobile – non poteva fare altro dato
che se avesse mosso un solo muscolo, le mie guardie lo avrebbero stordito a suo
di bastonate nelle meningi – a fissarmi.
Gli catturai il viso tra le mani, guardandolo dritto negli
occhi. Il suo viso così delicato e privo d’imperfezioni, a parte la sporcizia,
era tutto per me.
Ghignai.
-Tienitela stretta, questa vita.-
Sussurrai prima di vedere che il ragazzino scostò la testa
dalle mie mani, con violenza abbassando lo sguardo. Almeno aveva avuto la
decenza di non sfidarmi con lo sguardo – per quanto mi piacesse il colore dei
suoi occhi.
-Bravo così.-
Ancora un sussurro, emise la mia regale bocca, e poi mi alzai
in piedi, poiché mi ero dovuto chinare per poterlo guardare seriamente in
faccia. Feci un segno con uno schiocco di dita, e le mie guardie, per i polsi,
lo portarono nelle stanze adiacenti per poterlo far lavare e cambiare. Le mie
“dame” di compagnia dovevano avere tutte, profumi delicati, come delle rose, e
pelli bianchissime da sembrare quasi statue di porcellana, ed allietare la mia
dura vita di pascià.
Passai tutto il pomeriggio accompagnato dai miei fidatissimi
leoni, addestrati e delle mie bellissime danzatrici, ma arrivò in fretta la
sera, l’ora di cena. Il momento che preferisco.
I balli s’interrompono, come l’immancabile fermarsi del
tempo, nel mio cervello, e i servitori facevano entrare la cena.
Immense leccornie da tutto il mondo, fichi freschi ed
essiccati, cocchi trasportati dai nuovi mondi, le spezie profumatissime che
insieme alle candele davano un che di tremendamente speziato a tutto
l’ambiente.
Inalai a fondo quel profumo. Casa mia. Mia.
Una delle portate fu condotta al mio cospetto dal mio nuovo
“acquisto”, e ne fui lieto che lo avevano fatto vestire come adornavano le mie
bellissime ancelle. Mi crogiolai di quella visione quasi paradisiaca, decidendo
che, sì, quella notte sarebbe stato alle mie dipendenze.
Mi morsi un labbro, anche a discapito di farmi male con i
denti taglienti e acuminati che mi ritrovavo, mentre lo vedevo piegarsi per porgermi
il vassoio, e poi offrimi un leggero saluto.
Lo tirai da un polso, senza troppi preamboli, facendolo
sedere accanto a me. Mi avrebbe servito direttamente quella sera. Ahn, che
bello, qualcosa di nuovo con cui giocare. Non vedevo assolutamente l’ora di
qualche cambiamento, alla mia corte.
-Oggi avrai l’onore di servirmi-
Dissi, conciso, mentre vidi un leggerissimo cambiamento
d’espressione negli occhi dell’altro, notando che la sorpresa pervase il suo
viso per una frazione di secondo, troppo breve da fargli presente, ma non
troppo affinché io me ne accorgessi.
-Oh… C’è quell’uva che adoro…-
Il moro si allungo, prendendo quello che gli chiesi e me la
porse, come se dovessi mangiarlo da solo.
Ah, povero stolto inetto, le ancelle non mi servono solo per bellezza e ad allietare
la mia vista, sono utili anche per riverirmi e viziarmi, cioè rinfrescare la
mia regale persona e soprattutto imboccarmi.
Gli presi delicatamente il polso, potando la mano col
grappolo accanto alle mie labbra. Diedi un morso deciso, sogghignando. Lui mi
fissò, non sembrava aver cambiato espressione ma nei suoi occhi brillava una
luce di chi è seriamente interdetto per quello che ha visto. Presi un altro
morso, poi non resistessi e andai ad appoggiare le labbra contro il suo polso,
sorridendosi sopra. Schiusi le labbra passandoci la punta della lingua. Il
servetto per tutta risposta ritirò il polso verso di sé. Me lo aspettavo.
Insomma, altrimenti non sarebbe stato pane per i miei denti alla fine.
Fortunatamente, sempre con me, tenevo una sorpresa. Una
piccola polverina, afrodisiaca, che usavo sempre su quelle ancelle che non avevano
intenzione di allietare il mio corpo con il loro. Insomma, non posso che
ripetermi nel dire che se volevo qualcosa, ero disposto a tutto pur di
far sì che fosse mia.
E questa ne era la prova decisiva.
Si trattava di un piccolo afrodisiaco, di cui ora
sfortunatamente per il mio racconto, non ricordo il nome. Ne conosco solo la
provenienza, un piccolo coleottero che, essiccato e ridotto in polvere, forse
era il più potente afrodisiaco in circolazione. Se non si stava attenti alle dosi,
si rischiava un infarto, ed io non ne volevo sapere di avere un morto sulla
coscienza. Per questo mi ero fatto insegnare, dai miei scienziati di corte,
come e quanto usarne.
Dopo quel piccolo teatrino, dove la mia preda si era
dimostrata restia alle mie attenzioni, decisi in un lampo di usufruire del quel
piccolo colpo di fortuna che mi avevano fornito i miei fedeli servitori. Feci
segno a una delle mie ancelle, di portare due calici puliti e del buon vino, il
più corposo e forte che avessero, insomma, volevo fargli credere che si trattassero
degli effetti dell’alcool e non di un afrodisiaco.
I calici arrivarono, lucenti e pulitissimi. Splendidi.
Il ragazzo mi guardò un po’ perplesso, si leggeva
perfettamente in faccia che non aveva la minima idea di quello che sarebbe successo
da quel momento in poi. Versai prima il suo bicchiere, passandoglielo. Mi
guardò ancora.
-A cosa devo tanta gentilezza, signore?-
Parlava lentamente, con voce calma, quasi atona, ma nella
curvatura delle sopracciglia si leggeva un velo di preoccupazione. Io sorrisi
appena, tentando di nascondere la soddisfazione del mio atto.
-Oh, beh prendilo come un piccolo regalo di benvenuto, per
festeggiare la tua entrata alla mia corte, non credi?-
Riempii il mio di calice, alzandolo appena. La cosa di cui il
ragazzo non si accorse, era che riuscii a mettere la suddetta polvere
afrodisiaca nascondendo il piccolo sacchetto in cui la tenevo, dietro alla
brocca di vino. Appena passato il bicchiere al moro, lo ficcai nella manica,
larghissima. Il misfatto era stato compiuto. Ottimo, ora bastava aspettare i
risultati.
Alzai il calice in segno di brindisi. Mi stava guardando come
se lo stessi prendendo in giro. La realtà era quella, ma come potevo
convincerlo se non con una scusa di quel genere. Sospirò, alzando anche lui,
appena un po’ il calice.
-Non vedo cosa ci sia da festeggiare, ma lei è il padrone,
non posso dissentire…-
Sussurrò semplicemente, toccando poi il bordo del mio
bicchiere con il suo, e fece un unico sorso. Già era stato stupido a prendere
uno dei miei vini più forti, come se fosse acqua fresca. Infatti, quando tolse
il bicchiere dalla bocca, dopo esserselo scolato tutto, assunse un’espressione
di disgusto.
Risi e presi il suo bicchiere e lo poggiai accanto ad
un’infinità di piatti ormai vuoti.
Lanciai un’occhiata ai miei servitori, alle ancelle dicendo
di lasciarmi in colloquio privato con il novellino. Colloquio. Certo.
Il moro, infatti, si chiese per quale arcano motivo, forse
anche oscuro agli dei, ora fossero tutti scomparsi tranne me e lui, soli, in
unimmensa stanza di un rosso porpora, nella soffusa luce delle candele, e quei
profumi inebrianti, dolcissimi ma alcuni un po’ piccanti per il naso.
Non parlammo molto. Io finii di consumare alcune portate del
mio abbondante e delizioso pasto, mentre osservavo le reazioni dell’altro. Si
era fatto rosso in viso, aveva cominciato togliendosi il foulard di colore
porpora che le guardie gli avevano costretto a mettere. E, diavolo, se non era
tremendamente invitante.
Scostai l’ultimo piatto col piede, facendo tintinnare la
cavigliera d’oro che avevo. Mi avvicinai a lui lentamente premendogli una mano
sulla fronte.
-Non stai bene?-
Lui scosse la testa, e gli indicai la distesa immensa di
cuscini per riposarsi. Lui non se lo fece ripetere due volte e si stese di
essi, sentendolo sprofondare nel confort e nella loro immensa morbidezza.
Lo seguii io a ruota, mettendomi accanto a lui, con un gomito
poggiato sui cuscini e la mano contro la faccia. Lo osservavo, era davvero
bellissimo, cavolo, il miglior topo di fogna che avessi mai avuto tra le
grinfie.
Allungai una mano lentamente, scostandogli i capelli dal viso
sudatissimo. Assottigliai gli occhi. Era normale che stesse così, l’alcool
buttato giù così, senza aver mangiato e l’afrodisiaco.
-Come va?-
Chiesi inizialmente stendendomi del tutto e tornando ad
accarezzargli una guancia. Perfetto, tutto secondo i miei piani, come sempre,
dopotutto.
-Non bene, signore. Non bene…-
Ammise debolmente socchiudendo gli occhi e beandosi delle mie
carezze. Calma Rin. Sospira delicatamente avvicinandomi ancora di più a lui,
con la fronte su quella del moro. Sussultai. Era caldissimo. Chissà dove altro
era caldo. Febbre non era, sapevo gli effetti di quel mix. Lentamente premetti
poi il naso dopo, su quello dell’altro.
-Come ti chiami?-
Ecco una cosa che non gli avevo ancora chiesto. Fino a che
non compresi che sarebbe diventato un perfetto concubino, non mi era mai
premuto di chiedere il nome. Ma ora sì. Socchiusi gli occhi osservando le sue
labbra, poi gli alzai per perdermi nei suoi occhi.
-Haruka…-
Sospirò accaldatissimo. Non resistetti e chiusi il suo labbro
inferiore tra le mie, schioccando un tenue bacio, lento, morbido come
dell’argilla. Le carni si fusero per quel millisecondo, e fu il paradiso
all’istante. Non aveva reagito, anzi aveva avvicinato ancora di più il viso per
godersi il contatto. Sospirai piano, proferendo poi.
-Mi piace.-
Mi stagliai sopra di lui. La luce soffusa lo rendeva
assolutamente perfetto. La pelle scoperta ancora un po’ adornata dai veli di
seta e i foulard di lino, era come vedere la pelle di una pesca bagnata di
sudore. Accarezzai il suo viso, al che, come risposta, lo vidi socchiudere gli
occhi e allungare le mani sul mio viso. L’afrodisiaco fece subito effetto. Tra
l’alcool insieme non sapeva sicuramente controllarsi, i suoi freni inibitori
erano andati via, disciogliendosi in quel turbine di passione e di piacere.
Fu mio.
Tutta la notte.
Gridò il mio nome, per tutto quel tempo.
La luna di sicuro sarà arrossita, ma come potevo notarlo, ero
completamente concentrato su Haruka.
Lo spazio sharkoso
dell’autrice.
Buongiorno
care amiche da casa. Anche questa settimana una puntata di Free è andata e i
miei feels RinHaru
diventano sempre più grandi. Quindi, per mia magnanima concessione, ho deciso
di pubblicare il primo ed ufficiale capitolo della storia, dato che quello dell’altra
volta era solo un mero prologo.
Spero abbiate gradito, grazie del sostegno dei commenti e di tutto quanto.
Continuate così!
Fue~