Serie TV > Sherlock (BBC)
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Autore: Gageta    13/09/2013    1 recensioni
«Dieci, nove…»
Trafalgar Square. Tower Bridge. History Museum. London Eye.
«…otto, sette…»
Un indizio. Tre esplosioni. Un unico, grande, enigma.
«…sei, cinque…»
Tre mesi dopo la sua falsa morte, Sherlock sarà costretto a tornare quando una nuova minaccia si affaccerà su Londra.
«…quattro, tre…»
E lei sarà lì per aiutarlo.
«…due, uno.»
O forse no?
Genere: Azione, Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson , Mycroft Holmes , Nuovo personaggio, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Buondì a tutti.

Ci tenevo a ringraziare le persone che hanno messo questa storia tra le preferite/seguite/ricordate. :D

Mi piacerebbe però ricevere anche qualche parere tramite recensione. State pur tranquilli che non vi mangio xD

E ora vi lascio al nuovo capitolo-passato… enjoy!

 

 

 

HACKER

CAPITOLO III

Passato – 77 Montague Street

 

 

Pasta o ravioli? Era lì da tre giorni e aveva sempre preso la pasta. Decise che per questa volta avrebbe preferito i ravioli.

Alice afferrò il piatto e spostò il vassoio verso i secondi. Ora la scelta si spostava tra patate e pesce, o tra patate e carne.

«La carne la fanno buona qui…» mormorò una voce alle sue spalle.

Alice si girò. Davanti a lei stava una ragazza all’incirca della sua età, ma un po’ più bassa. Aveva lunghi capelli castani raccolti in una coda e indossava un camice bianco da laboratorio. Sorrideva, timida, e si mordeva il labbro nervosamente.

«Oh beh… grazie» sorrise in risposta Alice e afferrò il piatto.

Si avviò per la sala e si sedette ad un tavolo a caso. La ragazza la seguì e si sedette con il proprio vassoio di fronte a lei. «Piacere, Molly Hooper.» disse allungando una mano.

Alice la strinse. «Alice Moffat, il piacere è mio.»

Sorrisero entrambe, poi Alice si mise in bocca il primo boccone. «Lavori al laboratorio di chimica?» chiese, cercando di iniziare una conversazione.

«Ehm… sì. Si capisce dal camice, vero?» sorrise Molly con discrezione.

Alice rise e annuì. «Beh, sì. Io sono specializzanda infermiera. All’ultimo anno, pare…»

«Ti sei trasferita da poco?» chiese Molly.

Alice annuì. «Sì. Ho appena lasciato l’America. Per una serie di motivi ho preferito traslocare qui in Inghilterra. È stato quasi un trauma… è dura lasciare la propria terra di origine.» sospirò sconsolata.

Molly annuì seriamente. «Lo posso immaginare… ma vedrai che ti troverai bene qui.»

«Sì, lo penso anch’io.» Alice cambiò espressione e tornò a sorridere.

Il pranzo proseguì tra chiacchiere varie. In poco tempo Molly le raccontò quasi tutta la sua vita e Alice fu contenta di poter conoscere qualcuno e di poter finalmente distogliere i propri pensieri da tutto ciò che stava al di fuori dell’ospedale.

Alice non si sbilanciò molto sul suo passato. Raccontò solo qualche aneddoto della sua vita, inventata giorni prima sull’aereo che l’aveva portata a Londra, e concordata con i suoi superiori, tra i quali il poco paziente Holmes. Di vero qualcosa c’era però. Qualche anno prima aveva preso la laura in medicina, per esempio, ed era vissuta veramente in America, anche se per un breve periodo. Doveva essere stata la sua quarta o quinta vita, non era difficile confondersi. Aveva preso l’abitudine di dimenticare tutta la sua vita ogni volta che ne cambiava una, conservando naturalmente le informazioni più importanti in un angolo della sua mente, pronte ad essere scovate quando ne avrebbe avuto bisogno. Infatti, nonostante fosse una persona molto razionale, a volte le piaceva estraniarsi dal mondo e cominciare a fantasticare su qualcosa di diverso, qualcosa che nella sua vita non sarebbe mai potuto accadere.

Fu verso la fine del pasto che la porta si spalancò e lasciò entrare un ragazzo alto, dai folti riccioli castani, con addosso un lungo cappotto blu scuro. Alice non lo avrebbe degnato della minima attenzione se non fosse stato per il rapido sguardo che il ragazzo diede alla stanza, prima di dirigersi verso un tizio con la barba poco distante da loro. La cosa che la colpì particolarmente furono i suoi occhi: azzurro chiaro, freddi, come il ghiaccio. Esattamente come quelli di Mycroft Holmes.

Molly dovette accorgersi della sua improvvisa disattenzione al discorso, perché si bloccò e guardò Alice con un sorriso divertito. «Anche tu lo hai notato, allora…»

Alice distolse lo sguardo dal nuovo arrivato e tornò a guardare Molly. «Che cosa?» chiese lentamente.

Molly arrossì lievemente, poi si strinse nelle spalle. «Lui non lavora qui, lavora con la polizia. Ma è in buoni rapporti con il signor Brown, il capo del mio reparto…» sorrise con una nota di tristezza.

Alice lanciò un’occhiata al ragazzo, chino verso Brown. «Il suo nome è forse Sherlock Holmes?» chiese con aria distratta, facendo finta di non essere troppo interessata all’argomento.

Molly rimase un attimo stupita. «Lo conosci?»

«Ne ho sentito parlare…» ribatté, rimanendo sul vago.

Molly annuì.

Alice le sorrise. «Ti piace?» chiese noncurante.

Molly arrossì violentemente e per poco non le andò di traverso un boccone. «Io… no, ma certo che no… non lo conosco neanche!»

Alice sorrise e annuì lentamente, mentre il giovane Holmes usciva dalla sala. Poi abbassò lo sguardo verso il suo piatto. «Non vorrei metterti una spina nel fianco…» continuò Alice.

Molly sembrò vagamente sorpresa. «In che senso?» domandò leggermente preoccupata.

«Ho sentito che cerca un coinquilino…» Alice tornò a guardarla e vide che stava leggermente impallidendo.

«Ah…» fece in risposta. «Oh… ehm…» sembrava voler sorridere ma non ci riusciva. «Non credo sarà facile… ha rifiutato praticamente tutti…» aggiunse con sorriso debole.

Alice sogghignò. «Già, me l’hanno detto…» Poi, dopo un attimo di silenzio, aggiunse «Ma credo di sapere come convincerlo. Ho davvero bisogno di un coinquilino: non ho abbastanza soldi per pagarmi un appartamento da sola e quelli che ho messo da parte stanno rapidamente finendo…»

Vedendo la faccia avvilita di Molly, Alice si affrettò a concludere il discorso. «Non mi interessa lui, stai pure tranquilla. Anzi, se potrò in qualche modo aiutarti a farti notare da lui lo farò.» Le sorrise, cercando di dipingersi in faccia un’espressione abbastanza convincente. Di Sherlock Holmes le interessava veramente poco, considerato il fratello poi, pensava di sapere con chi si sarebbe trovata a che fare. Se avesse potuto avrebbe anche evitato di avere un coinquilino, ma i soldi che Mycroft le aveva proposto non erano pochi, e soprattutto non riusciva a dimenticare la sua espressione di sfida quando le aveva fatto la proposta.

Molly arrossì nuovamente e bofonchiò qualche altra parola sommessa sul fatto che non era vero che le piacesse.

«Quindi niente rancori?» chiese Alice, e Molly fu costretta ad annuire, seppur con un’espressione tutt’altro che felice sul volto.

Alice sorrise nuovamente e poi, con la scusa che cominciava a farsi tardi, la salutò e uscì dalla mensa dopo aver svuotato il vassoio.

Percorse i corridoi dell’ospedale, seguendo le indicazioni per il laboratorio di chimica. Era lì da poco e ancora non aveva un’idea ben precisa della pianta del palazzo.

Alla fine dopo un paio di sbagli riuscì a raggiungere finalmente il luogo che cercava. Prese un respiro profondo ed entrò nella stanza.

Il laboratorio era esattamente come se lo immaginava: era una stanza relativamente piccola e quasi tutta occupata da un lungo tavolo dove erano appoggiate le cose più varie, tra boccette e microscopi.

Il ragazzo di poco prima era chino sul microscopio, intento ad analizzare chissà cosa, e non degnò neanche di uno sguardo la nuova arrivata.

Alice rimase un attimo in silenzio, guardandosi intorno e aspettando che il ragazzo desse il minimo cenno di averla vista, ma invano. Così si azzardò a cominciare. «Ehm… lei è il signor Holmes?» chiese con una punta di insicurezza nella voce.

Il ragazzo alzò finalmente lo sguardo dal microscopio e la guardò. La squadrò da capo a piedi e poi tornò al suo lavoro. «Sì?» mugugnò.

Alice si morse un labbro. «Oh, beh… mi è stato detto che cerca un coinquilino per pagare l’affitto di un appartamento. Anch’io ne o bisogno quindi pensavo di…»

«Infermiera.»

Alice si bloccò. «Come scusi?»

Sherlock si alzò e le si avvicinò squadrandola. «Infermiera. Timida e insicura. Arrivata in Inghilterra da poco, probabilmente dall’occidente. È molto dedita al suo lavoro, al suo ultimo anno di specializzazione. Non ha conoscenze in Inghilterra, né parenti. Adora usare il computer? Portatile immagino…»

Alice atteggiò il volto in un’espressione di stupita curiosità. Stava per dire qualcosa quando il ragazzo continuò.

«La scorsa notte non ha dormito e stamattina ha fatto una veloce colazione al bar. Il pranzo l’ha mandato giù lentamente, magari parlando con un’amica. Ora è stanca e vorrebbe andarsene da questo posto ma la aspetta un turno pomeridiano e prima di iniziarlo vorrebbe concludere questa faccenda e avere un coinquilino prima di questa sera, probabilmente perché siamo alla fine della settimana è ha ancora ben poche possibilità di trovarne uno prima di iniziare a pagare l’affitto dell’appartamento ora in suo possesso per la settimana prossima.»

Alice rimase qualche secondo in silenzio, il tempo giusto perché il ragazzo credesse di averla stupita.

Poi cambiò espressione e sorrise. «Complimenti, ottime osservazioni. Tutte esatte per la verità… come fa…?»

«Scienza della deduzione…» Sherlock guardò l’orologio al polso. «Penso che lei sia in ritardo… e la mia risposta è no. Penso che non le sarei ben gradito. Buonasera…» disse, le voltò le spalle e tornò davanti al microscopio.

Alice rimase un attimo a guardarlo, inumidendosi le labbra con la punta della lingua. «Molto bene signor Holmes…» disse poi freddamente.

Sherlock si irrigidì.

«Mi lasci dire una cosa…» continuò imperturbabile Alice, «Se qualcuno non le sembra alla sua altezza ci sono due possibilità: o non lo è affatto, o lo è molto più di lei. Ci ha mai pensato? Forse certe proposte sarebbe meglio che le guardasse più da vicino prima di liquidarle con un simile tono. Ha una spiccata capacità d’osservazione, lo ammetto, ma non è il dio in terra. Potrei ripeterle parola per parola i procedimenti deduttivi con il quale lei è arrivato alle sue brillanti conclusioni, ma come lei ha giustamente notato sono in ritardo, e non ho intenzione di perdere tempo dietro a un ragazzino capriccioso…»

Sherlock girò lentamente la testa verso la ragazza, il volto che non lasciava trasparire la minima emozione.

La ragazza che aveva descritto poco prima era sparita del tutto. Al suo posto ora c’era l’esatto opposto. Una mente fredda e calcolatrice, per niente impressionata da lui e dai suoi metodi, e neanche tanto interessata alla proposta che gli aveva fatto. Ora vedeva una ragazza sicura di sé e piena di orgoglio. Niente lasciava trasparire la ragazza vivace e timida che era prima.

Alice lo squadrò, seria, poi si avvicinò e gli passò un bigliettino leggermente stropicciato. Continuando a fissarlo negli occhi disse: «Questo è il mio numero signor Holmes. Se accetterà sarò felice di darle un indirizzo…» Poi fece qualche passo indietro. Rimase ancora qualche secondo in silenzio, giusto per dargli modo di osservarla ancora un attimo, poi si rilassò, un sorriso le comparve sul volto e tornò ad essere la ragazza timida e insicura di prima. «Beh, le auguro una buona serata!» esclamò felicemente. Poi si girò con un sorriso sprezzante e uscì.

Sherlock abbassò lo sguardo sul bigliettino, dove erano state scarabocchiate una serie di cifre. Respirò a fondo e si portò le dita alle labbra, pensieroso.

***

«Allora? Com’è andata, ha accettato?» sorrise Molly, mentre si sedevano a uno dei tavoli della mensa dell’ospedale.

Alice sorrise in risposta e scosse la testa. «Sinceramente non lo so ancora… ma credo che abbia rifiutato… come credi dovrei interpretare il fatto che non mi abbia ancora chiamato dopo che gli ho lasciato il mio numero ieri pomeriggio?»

Molly sembrò sollevata. «Oh, beh… in effetti… credo abbia rifiutato, sì…»

Quel giorno pranzarono in fretta. Infatti Molly doveva iniziare un po’ prima il suo turno, ma Alice era intenzionata a prendere un caffè insieme a lei, quindi volevano finire velocemente di mangiare. Ma a metà pranzo dovettero interrompere il pasto.

La porta si aprì e Sherlock Holmes fece il suo ingresso, in sciarpa e giacca blu. Inizialmente Molly e Alice non ci fecero caso, pensando che volesse solo parlare ancora una volta con il signor Brown, ma Sherlock, dopo una rapida occhiata, si avviò proprio verso di loro.

Alice ingoiò il boccone e lo guardò avvicinarsi con gli occhi socchiusi.

Sherlock si fermò di fronte a loro e guardò sprezzante la ragazza di fronte a sé. «Suono il violino quando mi pare e piace, anche nel bel mezzo della notte se mi va…»

Alice lo guardò con aria altezzosa. «Quindi

«A volte mi chiudo in silenzio e non rivolgo la parola a nessuno, anche per giorni interi…» continuò Sherlock.

«Amo il silenzio…»

«Non cucino, non pulisco, tengo tutto in disordine.»

«Non ho praticamente effetti personali…»

«Se sto pensando, non voglio che mi si rivolga la parola, neanche se la casa sta andando a fuoco.»

«Potrei sparire per giorni interi, o per settimane, senza dare mie notizie…» ribatté Alice.

Sherlock aprì la bocca per ribattere ma si fermò. «Qual è l’indirizzo?» chiese infine.

Alice sorrise vittoriosa. «77 Montague Street[1]. Stasera, alle sette.»

Sherlock indugiò ancora qualche secondo, poi si voltò e se ne andò.

Molly guardava la sua amica, esterrefatta.

«Che stronzo…» mormorò Alice sovrappensiero fissando la porta da dove era appena uscito. «Senza offesa, Molly…» disse poi, voltandosi verso l’amica, «…ma non mi sembra un buon ragazzo da avere come fidanzato…»

Molly la fissò, incapace di dire alcunché. «Come… come ci sei riuscita?»

Alice si strinse nelle spalle. «Ne ho conosciute di persone come lui, anche peggiori. So come parlarci…» Sorrise.

***

«Le faccio i miei complimenti signorina Moffat…» disse la voce di Mycroft al cellulare.

«Aspetto i soldi sul mio conto per la fine della settimana, Holmes, grazie.» e chiuse la comunicazione. Non le andava per niente di trattare al telefono con Mycroft, e comunque il taxi era quasi arrivato a destinazione. Alice afferrò la sua borsa e scese, pagando poi il tassista. «La ringrazio.»

«Buonasera!» disse poi, salutando Sherlock Holmes, in piedi davanti alla porta del 77, le mani in tasca e l’espressione truce.

Alice gli sorrise allegra, e suonò il campanello. Un signore dall’aria gioviale si affacciò alla porta. «Moffat?» chiese.

Alice annuì, «e il signor Holmes» aggiunse poi, indicando l’uomo al suo fianco con una mano. «Holmes, il proprietario di casa, il signor Lyons…»

L’uomo li salutò calorosamente e li fece entrare. Salirono un paio di rampe di scale e si ritrovarono in un appartamento moderno, piccolo ma accogliente.

Alice si guardò intorno con aria soddisfatta, poi guardò Sherlock. «Allora? Cosa ne pensa?»

Sherlock fece un giro per la stanza e diede un’occhiata alle camere da letto e alla cucina. «Direi che il frigorifero è abbastanza largo…»

Alice lo guardò accigliata. «Il frigorifero?»

Sherlock sogghignò. «Come infermiera spero che non le diano fastidio i cadaveri…»

Alice non rispose, ma continuò a osservarlo mentre si guardava intorno. Poi il suo telefono squillò.

(7:14 pm)

Vieni. M

Alice sbuffò.

«Qualcosa ch non va?» chiese Sherlock, dedicando una particolare attenzione al cellulare della ragazza.

«Sì… il lavoro.» rispose secca Alice mentre portava la propria borsa nella camera che aveva deciso essere sua. Tirò fuori la borsa con il computer, ci infilò dentro un pacco di fogli per appunti e tornò nel salotto. «Devo andare… non so a che ora tornerò.» Poi, poco prima di uscire si voltò verso Sherlock, che si guadava intorno con aria soddisfatta. Ritirò la frase che stava per pronunciare e uscì.

***

Quando tornò erano le undici di sera. Aprì la porta lentamente, cercando di non fare rumore, ed entrò. Sherlock era sdraiato sul divano, il braccio steso e… che cos’erano quelli?

Ma vi distolse subito l’attenzione per posarla sulla sala intera. Sherlock non scherzava quando parlava di disordine. Se prima sembrava un appartamento pulito e ben ordinato, ora sembrava che ci fosse appena stata una battaglia. C’erano fogli e libri dappertutto e… Alice si avvicinò a una mensola vicino a un quadro. Sopra di essa, oltre ad alcuni libri, c’era un teschio. Alice lo prese in mano esterrefatta e se lo rigirò tra le dita: era proprio vero. Stava per rimetterlo a posto quando cadde un sacchettino. Si chinò per raccoglierlo e vide che conteneva una sottile polverina bianca. Il suo cuore perse un battito: conosceva fin troppo bene quella cosa.

«Stai frugando nella mia roba?»

Alice si girò di scatto e per poco il sacchettino non le cadde a terra. «Cos’è questa?» chiese, sventolando il sacchettino.

Sherlock gli lanciò un’occhiata disinteressata, poi richiuse gli occhi. «Qualche problema?»

Alice lo guardò a bocca aperta. Deglutì, fissando il pavimento e cercando di mantenere la calma. «Per me può fare tutto quello che vuole, ma non ho intenzione di avere problemi con la polizia o roba del genere…»

«Perché, ne hai già avuti?» Sherlock balzò in piedi e gli tolse il sacchetto di mano, infilandolo poi nuovamente sotto il teschio.

Alice non rispose ma si limitò a fissarlo. Poi sbuffò e si diresse in cucina, decisa a buttare giù qualcosa prima di andare a letto. Afferrò una scatola di biscotti nella credenza, probabilmente messa lì dal signor Lyons come regalo di benvenuto, e afferrò il latte dal sacchetto di plastica della sua ben misera spesa appena fatta al negozio dell’angolo. Si preparò una tazza di latte e si sedette al tavolo della cucina, facendosi tranquillamente spazio tra le cose appoggiate lì dal suo coinquilino senza un ordine logico.

«Come ci riesci?»

Alice lanciò un’occhiata alla porta, dove Sherlock la osservava con interesse. «Riesco a fare cosa?»

«A cambiare personalità…»

Alice lo guardò di sbieco. «Come scusi…?»

Sherlock sorrise e si sedette sulla sedia di fronte a lei, unendo poi le punte delle dita e facendo saettare gli occhi sul suo volto, studiandola. «Quanti anni hai?»

Alice ghignò. «Abbastanza.»

Sherlock sospirò e si lasciò andare sullo schienale della sedia. «Eliminato l’impossibile, ciò che resta, seppur improbabile, dev’essere la verità.»

Alice si accigliò. «Sa, vero, che sta facendo un discorso senza senso?»

«Non lo è nella mia testa…» Fece una smorfia.

«Allora perché non mi rende partecipe del discorso presente nella sua testa così posso capirci qualcosa anch’io?»

Sherlock sembrò ignorare totalmente la sua richiesta. «Mi hai detto che se qualcuno non mi sembra alla mia altezza, o non lo è affatto, o lo ho più di me. Di quale gruppo fai parte?»

Alice non rispose subito, bevendo qualche sorso dalla tazza. «Lei cosa ne dice?»

Sherlock sorrise enigmatico. «Di solito fanno tutti parte del primo.»

Alice ghignò. «Considerando che ha accettato di aiutarmi a pagare l’affitto di questa casa, direi che mi considera parte del secondo gruppo. O mi sbaglio?» Sherlock non rispose mai alla sua domanda, o almeno non direttamente. In quel momento si limitò solo a fissarla.

«Mi manca ancora qualcosa…» Tamburellò con le dita sul tavolo, pensieroso, mentre Alice lo guardava interrogativa.

Poi il cellulare di Alice sul tavolo lanciò un debole squillo, e gli occhi di entrambi saettarono verso di esso. Alice allungò una mano e lo afferrò, sorridendo poi dopo aver letto il messaggio. «Buone notizie: faccio ufficialmente parte del secondo gruppo.»

Sherlock annuì tra sé e sé, come in risposta a un suo pensiero. «Non c’è altro modo, immagino.»

Alice sbuffò e tornò alla sua tazza di latte. Se Sherlock preferiva fare il misterioso, di certo lei non lo avrebbe pregato a fare il contrario.

Non si scambiarono una parola fino alla fine della sua piccola cena. Dopodiché si alzò stiracchiandosi, con l’intenzione di andare a sdraiarsi. «Potrebbe darsi che domani mattina quando si sveglierà non ci sarò. Le auguro una buona notte, Holmes.»

«Non serve, non dormirò. E comunque… Sherlock, grazie.»

***

L’uomo si grattava distrattamente il mento, osservando il paesaggio di Parigi illuminato dalle prime luci dell’alba dall’alto della stanza d’albergo che occupava. Le luci della torre Eiffel lontana brillavano ancora debolmente nella debole luce mattutina.

«È andato… il piano è completamente andato.»

L’uomo alla finestra annuì, spostando lo sguardo sull’uomo seduto poco distante. «Ripetimi il suo nome…»

«Maybe, signore.»

L’uomo cominciò a passeggiare avanti e indietro, gli occhi preoccupati dell’altro puntati addosso. «Trovatelo.»

«Sembra si tratti di una donna, signore…»

L’uomo fermò il suo passo e guardò l’altro furioso. «Vuoi fare lo spiritoso?»

L’interpellato scosse velocemente la testa e si alzò, sfuggendo lo sguardo dell’uomo alla finestra. «Faremo del nostro meglio…»

«Credo di non essermi spiegato bene… Voi la troverete. È chiaro?»

L’uomo annuì velocemente e con un lieve cenno di saluto uscì dalla stanza.

Che fosse uomo o donna gli importava ben poco, voleva solo che non lo intralciasse più. E l’unico modo per non essere intralciato, era tenerla sotto controllo.

 

 

 

Note:

[1] Nel racconto “Il rituale dei Musgrave” della raccolta “Le memorie di Sherlock Holmes”, Sherlock fa riferimento al fatto che nei primi tempi in cui abitava a Londra viveva a Montague Street, dietro l’angolo del British Museum. Ho pensato di infilarcelo qui. Il 77 non esiste, così evito problemi.

La mia conoscenza in campo medico si limita alle puntate di Scrubs che ho visto, quindi che Alice sia specializzanda l’ho presa da lì…

   
 
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