Buondì a tutti.
Ci tenevo a ringraziare le persone che hanno messo
questa storia tra le preferite/seguite/ricordate. :D
Mi piacerebbe però ricevere anche qualche parere
tramite recensione. State pur tranquilli che non vi mangio xD
E ora vi lascio al nuovo capitolo-passato… enjoy!
HACKER
CAPITOLO III
Passato – 77 Montague Street
Pasta o ravioli? Era lì da tre giorni e aveva sempre preso
la pasta. Decise che per questa volta avrebbe preferito i ravioli.
Alice afferrò il
piatto e spostò il vassoio verso i secondi. Ora la scelta si spostava tra
patate e pesce, o tra patate e carne.
«La carne la fanno buona qui…» mormorò una voce alle sue spalle.
Alice si girò. Davanti
a lei stava una ragazza all’incirca della sua età, ma un po’ più bassa. Aveva
lunghi capelli castani raccolti in una coda e indossava un camice bianco da
laboratorio. Sorrideva, timida, e si mordeva il labbro nervosamente.
«Oh beh… grazie»
sorrise in risposta Alice e afferrò il piatto.
Si avviò per la sala e
si sedette ad un tavolo a caso. La ragazza la seguì e
si sedette con il proprio vassoio di fronte a lei. «Piacere, Molly Hooper.» disse allungando una mano.
Alice la strinse.
«Alice Moffat, il piacere è mio.»
Sorrisero entrambe,
poi Alice si mise in bocca il primo boccone. «Lavori
al laboratorio di chimica?» chiese, cercando di
iniziare una conversazione.
«Ehm… sì. Si capisce dal camice, vero?» sorrise Molly con discrezione.
Alice rise e annuì. «Beh, sì. Io sono specializzanda infermiera. All’ultimo
anno, pare…»
«Ti sei trasferita da
poco?» chiese Molly.
Alice annuì. «Sì. Ho appena lasciato l’America. Per una serie di motivi
ho preferito traslocare qui in Inghilterra. È stato quasi un trauma… è dura
lasciare la propria terra di origine.» sospirò
sconsolata.
Molly annuì
seriamente. «Lo posso immaginare… ma vedrai che ti troverai bene qui.»
«Sì, lo penso
anch’io.» Alice cambiò espressione e tornò a sorridere.
Il pranzo proseguì tra
chiacchiere varie. In poco tempo Molly le raccontò quasi tutta la sua vita e
Alice fu contenta di poter conoscere qualcuno e di poter
finalmente distogliere i propri pensieri da tutto ciò che stava al di fuori
dell’ospedale.
Alice non si sbilanciò
molto sul suo passato. Raccontò solo qualche aneddoto della sua vita, inventata
giorni prima sull’aereo che l’aveva portata a Londra, e concordata con i suoi
superiori, tra i quali il poco paziente Holmes. Di vero qualcosa c’era però. Qualche anno prima aveva preso la laura in medicina,
per esempio, ed era vissuta veramente in America, anche se per un breve
periodo. Doveva essere stata la sua quarta o quinta vita, non era difficile
confondersi. Aveva preso l’abitudine di dimenticare tutta la sua vita ogni
volta che ne cambiava una, conservando naturalmente le informazioni più importanti
in un angolo della sua mente, pronte ad essere scovate
quando ne avrebbe avuto bisogno. Infatti, nonostante fosse una persona molto
razionale, a volte le piaceva estraniarsi dal mondo e cominciare a fantasticare
su qualcosa di diverso, qualcosa che nella sua vita non sarebbe mai potuto accadere.
Fu verso la fine del
pasto che la porta si spalancò e lasciò entrare un ragazzo alto, dai folti
riccioli castani, con addosso un lungo cappotto blu scuro.
Alice non lo avrebbe degnato della minima attenzione se non fosse stato per il
rapido sguardo che il ragazzo diede alla stanza, prima di dirigersi verso un
tizio con la barba poco distante da loro. La cosa che la colpì particolarmente
furono i suoi occhi: azzurro chiaro, freddi, come il
ghiaccio. Esattamente come quelli di Mycroft Holmes.
Molly dovette
accorgersi della sua improvvisa disattenzione al discorso, perché si bloccò e
guardò Alice con un sorriso divertito. «Anche tu lo hai notato, allora…»
Alice distolse lo
sguardo dal nuovo arrivato e tornò a guardare Molly. «Che cosa?» chiese
lentamente.
Molly arrossì
lievemente, poi si strinse nelle spalle. «Lui non
lavora qui, lavora con la polizia. Ma è in buoni
rapporti con il signor Brown, il capo del mio
reparto…» sorrise con una nota di tristezza.
Alice lanciò un’occhiata
al ragazzo, chino verso Brown. «Il suo nome è forse
Sherlock Holmes?» chiese con aria distratta, facendo finta di non essere troppo
interessata all’argomento.
Molly rimase un attimo stupita. «Lo conosci?»
«Ne ho sentito
parlare…» ribatté, rimanendo sul vago.
Molly annuì.
Alice le sorrise. «Ti
piace?» chiese noncurante.
Molly arrossì
violentemente e per poco non le andò di traverso un boccone. «Io… no, ma certo
che no… non lo conosco neanche!»
Alice sorrise e annuì
lentamente, mentre il giovane Holmes usciva dalla sala. Poi abbassò lo sguardo
verso il suo piatto. «Non vorrei metterti una spina nel fianco…» continuò
Alice.
Molly sembrò vagamente
sorpresa. «In che senso?» domandò leggermente preoccupata.
«Ho sentito che cerca
un coinquilino…» Alice tornò a guardarla e vide che stava leggermente
impallidendo.
«Ah…» fece in risposta. «Oh… ehm…» sembrava voler sorridere ma non ci
riusciva. «Non credo sarà facile… ha rifiutato praticamente
tutti…» aggiunse con sorriso debole.
Alice sogghignò. «Già,
me l’hanno detto…» Poi, dopo un attimo di silenzio, aggiunse «Ma
credo di sapere come convincerlo. Ho davvero bisogno di un coinquilino: non ho
abbastanza soldi per pagarmi un appartamento da sola e
quelli che ho messo da parte stanno rapidamente finendo…»
Vedendo la faccia
avvilita di Molly, Alice si affrettò a concludere il
discorso. «Non mi interessa lui, stai pure tranquilla.
Anzi, se potrò in qualche modo aiutarti a farti notare da lui lo farò.» Le sorrise, cercando di dipingersi in faccia
un’espressione abbastanza convincente. Di Sherlock Holmes le interessava
veramente poco, considerato il fratello poi, pensava di sapere con chi si
sarebbe trovata a che fare. Se avesse potuto avrebbe
anche evitato di avere un coinquilino, ma i soldi che Mycroft le aveva proposto
non erano pochi, e soprattutto non riusciva a dimenticare la sua espressione di
sfida quando le aveva fatto la proposta.
Molly arrossì
nuovamente e bofonchiò qualche altra parola sommessa sul fatto che non era vero
che le piacesse.
«Quindi
niente rancori?» chiese Alice, e Molly fu costretta ad annuire, seppur con
un’espressione tutt’altro che felice sul volto.
Alice sorrise
nuovamente e poi, con la scusa che cominciava a farsi tardi, la salutò e uscì
dalla mensa dopo aver svuotato il vassoio.
Percorse
i corridoi dell’ospedale, seguendo le indicazioni per il laboratorio di chimica. Era lì da poco e ancora non aveva
un’idea ben precisa della pianta del palazzo.
Alla fine dopo un paio
di sbagli riuscì a raggiungere finalmente il luogo che cercava. Prese un
respiro profondo ed entrò nella stanza.
Il laboratorio era esattamente
come se lo immaginava: era una stanza relativamente piccola e quasi tutta
occupata da un lungo tavolo dove erano appoggiate le
cose più varie, tra boccette e microscopi.
Il ragazzo di poco
prima era chino sul microscopio, intento ad analizzare chissà cosa, e non degnò
neanche di uno sguardo la nuova arrivata.
Alice rimase un attimo
in silenzio, guardandosi intorno e aspettando che il ragazzo desse il minimo
cenno di averla vista, ma invano. Così si azzardò a cominciare. «Ehm… lei è il
signor Holmes?» chiese con una punta di insicurezza
nella voce.
Il ragazzo alzò
finalmente lo sguardo dal microscopio e la guardò. La squadrò da capo a piedi e
poi tornò al suo lavoro. «Sì?» mugugnò.
Alice si morse un
labbro. «Oh, beh… mi è stato detto che cerca un
coinquilino per pagare l’affitto di un appartamento. Anch’io ne
o bisogno quindi pensavo di…»
«Infermiera.»
Alice si bloccò. «Come
scusi?»
Sherlock si alzò e le si avvicinò squadrandola. «Infermiera.
Timida e insicura. Arrivata in Inghilterra da poco, probabilmente
dall’occidente. È molto dedita al suo lavoro, al suo ultimo anno di
specializzazione. Non ha conoscenze in Inghilterra, né parenti. Adora usare il
computer? Portatile immagino…»
Alice atteggiò il
volto in un’espressione di stupita curiosità. Stava per dire qualcosa quando il
ragazzo continuò.
«La scorsa notte non ha dormito e
stamattina ha fatto una veloce colazione al bar. Il pranzo l’ha mandato giù
lentamente, magari parlando con un’amica. Ora è stanca e vorrebbe andarsene da
questo posto ma la aspetta un turno pomeridiano e prima di iniziarlo vorrebbe concludere questa faccenda e avere un coinquilino prima di
questa sera, probabilmente perché siamo alla fine della settimana è ha ancora
ben poche possibilità di trovarne uno prima di iniziare a pagare l’affitto
dell’appartamento ora in suo possesso per la settimana prossima.»
Alice rimase qualche
secondo in silenzio, il tempo giusto perché il ragazzo credesse di averla
stupita.
Poi cambiò espressione
e sorrise. «Complimenti, ottime osservazioni. Tutte
esatte per la verità… come fa…?»
«Scienza della
deduzione…» Sherlock guardò l’orologio al polso. «Penso
che lei sia in ritardo… e la mia risposta è no. Penso che non le sarei ben
gradito. Buonasera…» disse, le voltò le spalle e tornò
davanti al microscopio.
Alice rimase un attimo
a guardarlo, inumidendosi le labbra con la punta della lingua. «Molto bene
signor Holmes…» disse poi freddamente.
Sherlock si irrigidì.
«Mi lasci dire una
cosa…» continuò imperturbabile Alice, «Se qualcuno non le sembra alla sua altezza ci sono due possibilità: o non lo è affatto, o lo è
molto più di lei. Ci ha mai pensato? Forse certe proposte sarebbe
meglio che le guardasse più da vicino prima di liquidarle con un simile tono. Ha
una spiccata capacità d’osservazione, lo ammetto, ma non è il dio in terra.
Potrei ripeterle parola per parola i procedimenti deduttivi con il quale lei è arrivato alle sue brillanti conclusioni, ma
come lei ha giustamente notato sono in ritardo, e non ho intenzione di perdere
tempo dietro a un ragazzino capriccioso…»
Sherlock girò
lentamente la testa verso la ragazza, il volto che non lasciava trasparire la
minima emozione.
La ragazza che aveva
descritto poco prima era sparita del tutto. Al suo posto ora c’era l’esatto
opposto. Una mente fredda e calcolatrice, per niente impressionata da lui e dai
suoi metodi, e neanche tanto interessata alla proposta che gli aveva fatto. Ora
vedeva una ragazza sicura di sé e piena di orgoglio. Niente lasciava trasparire
la ragazza vivace e timida che era prima.
Alice lo squadrò,
seria, poi si avvicinò e gli passò un bigliettino leggermente stropicciato.
Continuando a fissarlo negli occhi disse: «Questo è il
mio numero signor Holmes. Se accetterà sarò felice di
darle un indirizzo…» Poi fece qualche passo indietro. Rimase ancora qualche
secondo in silenzio, giusto per dargli modo di osservarla ancora un attimo, poi
si rilassò, un sorriso le comparve sul volto e tornò ad
essere la ragazza timida e insicura di prima. «Beh, le auguro una buona
serata!» esclamò felicemente. Poi si girò con un sorriso sprezzante e uscì.
Sherlock abbassò lo sguardo sul bigliettino, dove erano state
scarabocchiate una serie di cifre. Respirò a fondo e si portò
le dita alle labbra, pensieroso.
***
«Allora? Com’è andata, ha accettato?» sorrise Molly, mentre si sedevano a uno dei tavoli della
mensa dell’ospedale.
Alice sorrise in risposta e scosse la testa. «Sinceramente non lo so
ancora… ma credo che abbia rifiutato… come credi dovrei interpretare
il fatto che non mi abbia ancora chiamato dopo che gli ho lasciato il
mio numero ieri pomeriggio?»
Molly sembrò
sollevata. «Oh, beh… in effetti… credo abbia rifiutato, sì…»
Quel giorno pranzarono
in fretta. Infatti Molly doveva iniziare un po’ prima
il suo turno, ma Alice era intenzionata a prendere un caffè insieme a lei,
quindi volevano finire velocemente di mangiare. Ma a metà pranzo dovettero interrompere il pasto.
La porta si aprì e
Sherlock Holmes fece il suo ingresso, in sciarpa e giacca blu. Inizialmente
Molly e Alice non ci fecero caso, pensando che volesse solo parlare ancora una
volta con il signor Brown, ma Sherlock, dopo una rapida occhiata, si avviò proprio
verso di loro.
Alice ingoiò il
boccone e lo guardò avvicinarsi con gli occhi socchiusi.
Sherlock si fermò di
fronte a loro e guardò sprezzante la ragazza di fronte a sé. «Suono il violino
quando mi pare e piace, anche nel bel mezzo della notte se mi va…»
Alice lo guardò con
aria altezzosa. «Quindi?»
«A volte mi chiudo in
silenzio e non rivolgo la parola a nessuno, anche per
giorni interi…» continuò Sherlock.
«Amo il silenzio…»
«Non cucino, non
pulisco, tengo tutto in disordine.»
«Non ho praticamente effetti personali…»
«Se sto pensando, non
voglio che mi si rivolga la parola, neanche se la casa sta andando a fuoco.»
«Potrei sparire per
giorni interi, o per settimane, senza dare mie notizie…»
ribatté Alice.
Sherlock aprì la bocca
per ribattere ma si fermò. «Qual è l’indirizzo?» chiese infine.
Alice sorrise
vittoriosa. «77 Montague Street[1].
Stasera, alle sette.»
Sherlock indugiò
ancora qualche secondo, poi si voltò e se ne andò.
Molly guardava la sua
amica, esterrefatta.
«Che stronzo…» mormorò
Alice sovrappensiero fissando la porta da dove era appena uscito. «Senza
offesa, Molly…» disse poi, voltandosi verso l’amica, «…ma non mi sembra un buon
ragazzo da avere come fidanzato…»
Molly la fissò,
incapace di dire alcunché. «Come… come ci sei
riuscita?»
Alice si strinse nelle spalle. «Ne ho conosciute di persone come lui, anche peggiori. So
come parlarci…» Sorrise.
***
«Le faccio i miei
complimenti signorina Moffat…» disse la voce di Mycroft
al cellulare.
«Aspetto i soldi sul
mio conto per la fine della settimana, Holmes, grazie.» e chiuse la
comunicazione. Non le andava per niente di trattare al telefono con Mycroft, e
comunque il taxi era quasi arrivato a destinazione. Alice afferrò la sua borsa
e scese, pagando poi il tassista. «La ringrazio.»
«Buonasera!» disse
poi, salutando Sherlock Holmes, in piedi davanti alla porta del 77, le mani in
tasca e l’espressione truce.
Alice gli sorrise allegra, e suonò il campanello. Un signore dall’aria
gioviale si affacciò alla porta. «Moffat?» chiese.
Alice annuì, «e il
signor Holmes» aggiunse poi, indicando l’uomo al suo fianco con una mano. «Holmes, il proprietario di casa, il signor Lyons…»
L’uomo li salutò
calorosamente e li fece entrare. Salirono un paio di rampe di scale e si
ritrovarono in un appartamento moderno, piccolo ma accogliente.
Alice si guardò
intorno con aria soddisfatta, poi guardò Sherlock. «Allora? Cosa ne pensa?»
Sherlock fece un giro
per la stanza e diede un’occhiata alle camere da letto
e alla cucina. «Direi che il frigorifero è abbastanza largo…»
Alice lo guardò
accigliata. «Il frigorifero?»
Sherlock sogghignò.
«Come infermiera spero che non le diano fastidio i
cadaveri…»
Alice non rispose, ma continuò a
osservarlo mentre si guardava intorno. Poi il suo telefono squillò.
(7:14
pm)
Vieni.
M
Alice sbuffò.
«Qualcosa ch non va?»
chiese Sherlock, dedicando una particolare attenzione al cellulare della
ragazza.
«Sì… il lavoro.» rispose secca Alice
mentre portava la propria borsa nella camera che aveva deciso
essere sua. Tirò fuori la borsa con il computer, ci infilò dentro un pacco di
fogli per appunti e tornò nel salotto. «Devo andare… non so a che ora tornerò.»
Poi, poco prima di uscire si voltò verso Sherlock, che si guadava intorno con
aria soddisfatta. Ritirò la frase che stava per pronunciare e uscì.
***
Quando tornò erano le undici di sera. Aprì la porta lentamente,
cercando di non fare rumore, ed entrò. Sherlock era sdraiato sul divano, il
braccio steso e… che cos’erano quelli?
Ma vi distolse subito l’attenzione per
posarla sulla sala intera. Sherlock non scherzava quando parlava di disordine.
Se prima sembrava un appartamento pulito e ben ordinato, ora sembrava che ci
fosse appena stata una battaglia. C’erano fogli e libri dappertutto e… Alice si
avvicinò a una mensola vicino a un quadro. Sopra di essa, oltre ad alcuni
libri, c’era un teschio. Alice lo prese in mano esterrefatta e se lo rigirò tra
le dita: era proprio vero. Stava per rimetterlo a posto quando cadde un
sacchettino. Si chinò per raccoglierlo e vide che conteneva una sottile
polverina bianca. Il suo cuore perse un battito: conosceva fin troppo bene
quella cosa.
«Stai frugando nella
mia roba?»
Alice si girò di
scatto e per poco il sacchettino non le cadde a terra. «Cos’è questa?» chiese,
sventolando il sacchettino.
Sherlock gli lanciò
un’occhiata disinteressata, poi richiuse gli occhi. «Qualche problema?»
Alice lo guardò a
bocca aperta. Deglutì, fissando il pavimento e cercando di mantenere la calma.
«Per me può fare tutto quello che vuole, ma non ho intenzione di avere problemi
con la polizia o roba del genere…»
«Perché, ne hai già
avuti?» Sherlock balzò in piedi e gli tolse il sacchetto di mano, infilandolo
poi nuovamente sotto il teschio.
Alice non rispose ma
si limitò a fissarlo. Poi sbuffò e si diresse in cucina, decisa a buttare giù
qualcosa prima di andare a letto. Afferrò una scatola di biscotti nella
credenza, probabilmente messa lì dal signor Lyons
come regalo di benvenuto, e afferrò il latte dal sacchetto di plastica della
sua ben misera spesa appena fatta al negozio dell’angolo. Si preparò una tazza
di latte e si sedette al tavolo della cucina, facendosi tranquillamente spazio
tra le cose appoggiate lì dal suo coinquilino senza un ordine logico.
«Come ci riesci?»
Alice lanciò
un’occhiata alla porta, dove Sherlock la osservava con interesse. «Riesco a
fare cosa?»
«A cambiare
personalità…»
Alice lo guardò di
sbieco. «Come scusi…?»
Sherlock sorrise e si
sedette sulla sedia di fronte a lei, unendo poi le punte delle dita e facendo
saettare gli occhi sul suo volto, studiandola. «Quanti anni hai?»
Alice ghignò.
«Abbastanza.»
Sherlock sospirò e si
lasciò andare sullo schienale della sedia. «Eliminato l’impossibile, ciò che
resta, seppur improbabile, dev’essere la verità.»
Alice si accigliò. «Sa,
vero, che sta facendo un discorso senza senso?»
«Non lo è nella mia
testa…» Fece una smorfia.
«Allora perché non mi
rende partecipe del discorso presente nella sua testa
così posso capirci qualcosa anch’io?»
Sherlock sembrò
ignorare totalmente la sua richiesta. «Mi hai detto che se qualcuno non mi
sembra alla mia altezza, o non lo è affatto, o lo ho
più di me. Di quale gruppo fai parte?»
Alice non rispose
subito, bevendo qualche sorso dalla tazza. «Lei cosa ne dice?»
Sherlock sorrise
enigmatico. «Di solito fanno tutti parte del primo.»
Alice ghignò. «Considerando che ha accettato di aiutarmi a pagare
l’affitto di questa casa, direi che mi considera parte del secondo gruppo. O mi
sbaglio?» Sherlock non rispose mai alla sua domanda, o
almeno non direttamente. In quel momento si limitò solo a fissarla.
«Mi manca ancora
qualcosa…» Tamburellò con le dita sul tavolo, pensieroso, mentre Alice lo
guardava interrogativa.
Poi il cellulare di
Alice sul tavolo lanciò un debole squillo, e gli occhi di entrambi saettarono
verso di esso. Alice allungò una mano e lo afferrò, sorridendo poi dopo aver
letto il messaggio. «Buone notizie: faccio ufficialmente parte del secondo
gruppo.»
Sherlock annuì tra sé
e sé, come in risposta a un suo pensiero. «Non c’è
altro modo, immagino.»
Alice sbuffò e tornò
alla sua tazza di latte. Se Sherlock preferiva fare il misterioso, di certo lei
non lo avrebbe pregato a fare il contrario.
Non si scambiarono una parola fino alla fine della sua piccola
cena. Dopodiché si alzò stiracchiandosi, con l’intenzione di andare a
sdraiarsi. «Potrebbe darsi che domani mattina quando si sveglierà
non ci sarò. Le auguro una buona notte, Holmes.»
«Non serve, non dormirò. E comunque…
Sherlock, grazie.»
***
L’uomo si grattava
distrattamente il mento, osservando il paesaggio di Parigi illuminato dalle
prime luci dell’alba dall’alto della stanza d’albergo che occupava. Le luci
della torre Eiffel lontana brillavano ancora debolmente nella debole luce
mattutina.
«È andato… il piano è
completamente andato.»
L’uomo alla finestra
annuì, spostando lo sguardo sull’uomo seduto poco distante. «Ripetimi il suo
nome…»
«Maybe,
signore.»
L’uomo cominciò a passeggiare
avanti e indietro, gli occhi preoccupati dell’altro puntati addosso.
«Trovatelo.»
«Sembra si tratti di
una donna, signore…»
L’uomo fermò il suo
passo e guardò l’altro furioso. «Vuoi fare lo spiritoso?»
L’interpellato
scosse
velocemente la testa e si alzò, sfuggendo lo sguardo dell’uomo alla finestra.
«Faremo del nostro meglio…»
«Credo di non essermi spiegato bene…
Voi la troverete. È chiaro?»
L’uomo annuì
velocemente e con un lieve cenno di saluto uscì dalla stanza.
Che fosse uomo o donna
gli importava ben poco, voleva solo che non lo intralciasse più. E l’unico modo
per non essere intralciato, era tenerla sotto controllo.
Note:
[1] Nel racconto “Il rituale dei Musgrave”
della raccolta “Le memorie di Sherlock Holmes”, Sherlock fa riferimento al
fatto che nei primi tempi in cui abitava a Londra viveva a Montague
Street, dietro l’angolo del British Museum. Ho pensato di infilarcelo qui. Il 77 non esiste, così evito problemi.
La mia conoscenza in campo medico si
limita alle puntate di Scrubs che ho visto, quindi
che Alice sia specializzanda l’ho presa da lì…