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Autore: Pervinca95    13/09/2013    7 recensioni
Avete presente "La guerra dei mondi" di Steven Spielberg? Ecco, immaginate qualcosa di vagamente simile in cui i protagonisti, però, sono due ragazzi del liceo e il cui unico sentimento capace di accomunarli è l'odio reciproco: David Trent e Sarah Anderson.
Il primo è il tipico bello e dannato, arrogante fino al punto giusto e indisponente oltre i limiti dell'immaginazione.
La seconda è una ragazza come tante, determinata e testarda, che non ha intenzione di farsi mettere i piedi in testa da nessuno; al contempo, però, è anche sensibile e dolce, un'inguaribile romantica.
*REVISIONE E CORREZIONE IN CORSO- POSSIBILI AGGIUNTE*
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Dal capitolo tredici:
Con la mano libera mi afferra il polso e lo stringe.- Sarei comunque in grado di fermarti in tempo, quindi la tua minaccia non mi sfiora nemmeno di striscio-
Sollevo un sopracciglio scettica.- Non è vero, non ce la faresti- replico convinta.
- Vuoi scommettere?-
- Ci sto-
- Ok, allora, se io vinco...- Fa una pausa e guarda il soffitto in fase meditativa, dopo poco riporta lo sguardo su di me, ma una strana luce illumina i suoi occhi.- Se io vinco tu dovrai spogliarti-
Genere: Romantico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico, Sovrannaturale
Capitoli:
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L'inizio della fine








Ho perso il conto delle ore che ho schiacciato qua dentro, e ancora non sono uscita.
Credo siano trascorse all'incirca... cinque ore, o forse di più, non ne ho la più pallida idea.
Spero solo che quello stupido troglodita si ricordi di farmi uscire, altrimenti credo che ritroveranno soltanto i miei resti.

Oltretutto ho l'impellente bisogno di andare in bagno e l'urgente necessità di mangiare qualcosa. Sono certa che tra poco il mio stomaco farà il suo teatrale ingresso in scena con un boato talmente forte da essere scambiato per l'arrivo di un ciclone.
Chissà perché ma ho il presentimento che quell'animale non si ricorderà di farmi uscire, o magari lo farà intenzionalmente, in tal caso può considerarsi morto... sempre che prima non muoia io.

Sento l'ultima campanella della giornata suonare e di scatto mi alzo in piedi.
Se ne andranno via tutti, e chiuderanno la scuola, e non mi troverà nessuno, e morirò qua dentro per la fame, per la sete e per il freddo... no, non voglio morire così giovane per colpa di quella feccia immonda.
Cavolo, ma qualcuno dovrà pur venire ad aprire questo maledetto sgabuzzino! Un custode, un addetto alla sicurezza, insomma qualcuno di competente!

Il fatto che, già adesso, non riesca più ad udire neanche un passo non è che mi faccia stare tranquilla. Le mie orecchie di pipistrello odono solo degli schiamazzi e qualche voce in lontananza, quasi sicuramente degli studenti che se ne stanno felicemente tornando a casa. Perfetto. L'unica scema ancora intrappolata in questo tugurio sono io. 
Quel troglodita si è rivelato essere più intelligente di quanto pensassi. Mi ha chiusa in questo sgabuzzino cercando di tenermi il più lontano possibile non solo dalla preside, ma anche dagli altri.
La sua specie si sta evolvendo... dopo grandi sacrifici di neuroni e mancate sinapsi ha raggiunto lo stadio di animale troglodita a tratti intelligente. Notevole. Un grande passo per i trogloditi, un piccolo passo per l'umanità. 

Sbuffo spazientita e mi scosto un ciuffo di capelli dall'occhio. 
Qui non arriva nessuno ed è passato già un po' di tempo da quando la campanella ha suonato. Perfetto, Sarah fattene una ragione, questa sarà la tua tomba. 
Adesso non sento più niente, sono sparite anche le voci. E io sono sola, affamata, infreddolita, incavolata come una iena e ricoperta di farina. Allegria! 

Forse potrei tentare di sfondare la porta, al massimo mi romperei una spalla, però perlomeno sarei libera.
Rinvigorita dalla mia ultima ancora di salvezza e confidante nella mia forza, retrocedo fino ad arrivare con le spalle al muro per prendere una piccola rincorsa. Osservo con decisione l'ostacolo frapposto tra me ed il mondo esterno. Lo annienterò, fosse l'ultima cosa che faccio.
Per un attimo trattengo il respiro, poi scatto in avanti per ricoprire la breve distanza tra me e la maledetta porta. Proprio nel momento in cui sto ruotando il busto per colpire il pannello con la spalla, la porta si apre con un colpo secco. 
Quello che avviene dopo accade ad una tale velocità da lasciarmi per più di un attimo stordita. Avverto la mia faccia schiacciarsi come quella di un gatto persiano, la fronte rimbalzare su una superficie dura e liscia ed infine il mio povero sedere incontrare poco pacificamente il pavimento. 

<< Ottimo. Con questa facciata sei rinsavita completamente >> sento dire a Trent con un tono beffardo. E potrei giurare che sul suo viso ci sia dipinto un ghigno divertito. 

Sollevo la testa e gli lancio un'occhiata colma d'odio. Sì, il ghigno c'è eccome. Vorrei tanto levarglielo a suon di schiaffi e pugni. Anzi, perché no? Con qualche porta sbattuta ripetutamente sul volto sarebbe decisamente più appagante. 
Mi alzo in piedi e mi tasto la faccia per controllare che il naso non mi si sia incavato del tutto. << Ti rendi conto di quanto tempo tu mi abbia fatto trascorrere qua dentro? >> sbraito spostando un ciuffo di capelli dal viso. 

Fa una smorfia disinteressata e poi spallucce. << Non mi è sembrato poi così tanto, almeno ti è servito a schiarirti le idee. >>

Assottiglio lo sguardo e muovo un minuscolo passo avanti, intenzionata a mettergli le mani addosso. << Di sicuro mi sono schiarita le idee su come vendicarmi degnamente, su questo non ho più dubbi >> affermo con un cenno del capo ed un piccolo sorriso minatorio.

<< Allora sarò costretto a rinchiuderti qua dentro un'altra volta. È un circolo vizioso, Anderson. >> Sul suo volto stavolta compare un sorrisetto derisorio capace di mandarmi il sangue al cervello nel giro di pochi secondi. 
Perché Dio ha deciso di privarmi di una forza sovrumana capace di stroncare in due questo deplorevole abominio? Mi sarei accontentata anche della facoltà di scagliare attacchi di dissenteria con lo sguardo. 

Mentre sono intenta a fulminarlo con i miei lampeggianti occhi ridotti a due fessure, lui apre la porta e mi fa segno di precederlo con un sopracciglio alzato ed il suo tipico sorrisetto da schiaffi.
Trattenendo tutti gli insulti che il mio cervello sta sciorinando alla velocità della luce, gli sfilo accanto ed esco rapidamente da quel tugurio, finalmente libera di assaporare la libertà.  

Giusto il tempo di guardarmi attorno che una spiacevole verità si insinua nella mia testa con la delicatezza di un mattone di piombo. << Mi hai fatto perdere il pulmino! >> strillo infuriata, voltandomi ad osservarlo con gli occhi leggermente spalancati. << Come cavolo faccio a tornare a casa? >> Mi passo le mani tra i capelli con disperazione e li attorciglio come un'isterica nel vano tentativo di calmarmi. 
Inutile. Di questo passo l'unica cosa che riuscirò a fare sarà lasciarmi calva. 
Abbandono l'anti-stress improvvisato e lascio ricadere le braccia con uno sbuffo. 

<< Vedi Anderson? Non ti conviene metterti contro di me, ti si ritorce tutto contro >> afferma la feccia con un sorriso provocatorio, poi mi volta le spalle e s'incammina con le mani nelle tasche dei pantaloni. << Buona passeggiata >> sono le sue ultime parole pronunciate con un tono canzonatorio, prima di scoppiare a ridere. 

Potrei ucciderlo ora, tanto nessuno lo verrebbe a sapere. Nessuno saprebbe che sono stata io. Be', forse qualcuno potrebbe sospettarlo visti e considerati tutti i precedenti di minacce, insulti, provocazioni e vendette tra me ed il troglodita, ma a coloro che avranno il coraggio di testimoniare a mio sfavore potrei sempre pensare a tempo debito. 
Mi riscuoto dai miei pensieri tutt'altro che legali non appena percepisco i suoi passi farsi man mano più distanti. 

<< No, fermo, tu non vai da nessuna parte! >> urlo additandolo e camminando come una furia verso di lui.

Arresta il passo e ruota il capo per guardarmi visibilmente scocciato. << Che vuoi ancora? >> biascica con uno sbuffo.

Voglio liberare il mondo della tua presenza fastidiosa rifilandoti un colpo tra capo e collo. << Cosa voglio?! Cosa voglio?! >> sbraito parandomi di fronte a lui, nonostante sia dieci centimetri più bassa. << Mi sembra ovvio, come minimo devi riportarmi a casa >> dichiaro convinta, portando le mani sui fianchi per apparire più minacciosa. << Sana e salva possibilmente >> aggiungo, non essendo una cosa poi così tanto ovvia con lui. 

Solleva un sopracciglio per poi guardarmi come se fossi una pazza. << Ti faccio presente che per colpa tua ho perso pure io il pulmino, e credo di abitare molto più lontano di te. >>

<< Non puoi saperlo >> ribatto prontamente, togliendomi della farina dalla faccia.

Alza gli occhi al cielo. << In che quartiere abiti? >> chiede con un'aria scanzonata.

<< Riverdale. >>

<< Appunto, è più vicino del mio, perciò smettila di rompere e buona passeggiata >> taglia corto superandomi ed incamminandosi verso l'uscita della scuola.

Non ho parole, prima mi rinchiude dentro uno sgabuzzino e poi la colpa è mia se ha perso il pulmino. Se il suo cervello da troglodita fosse abbastanza evoluto avrebbe capito che segregarmi in quelle quattro mura sarebbe stato controproducente anche per lui. A quest'ora ce ne staremmo entrambi sul pulmino e non saremmo costretti a vederci. 

Sbuffo innervosita dalla situazione e m'incammino verso i bagni per pulirmi la faccia. Non voglio immaginare cosa potrebbe pensare la gente nel vedermi in queste condizioni. Magari che sono vittima di bullismo o che invece di studiare sto a fare battaglie di farina con gli amici. La scadente pazienza di cui dispongo oggi non mi farebbe sopportare né le occhiate interrogative delle persone né le domande insistenti di mio fratello. Rischierei di sbottare e compiere una strage. 

Dopo una decina di minuti sono fuori dalla scuola con la mia tracolla in spalla. Comincio ad avanzare per uno dei tanti sentieri cementati in mezzo al giardino, cercando di accelerare man mano il passo per arrivare a casa prima che cali il sole. 

D'improvviso alzo la testa ed osservo il cielo. È da questa mattina che mi sembra strano. Il sole è coperto da delle minacciose nuvole grigie screziate di nero, eppure non sembra che stia per piovere, non c'è quell'atmosfera tipica da temporale, quel lieve vento freddo che ti fa chiudere le finestre e ritirare i panni stesi. 
Mi blocco sul posto ed osservo basita come il colore del cielo stia cambiando rapidamente. Le uniche distese azzurre tra il grigiore delle nuvole stanno scomparendo per tingersi di... rosso? Non è possibile. Per il tramonto è ancora presto. Che cosa sta succedendo? Sembra che il cielo stia prendendo fuoco. 

Scorgo della gente uscire dalle proprie abitazioni ed altre persone affacciarsi dai terrazzi, tutti intenti a guardare il cielo.

<< Sta per arrivare un tornado, Fred? >> sento urlare da una donna verso quello che penso sia suo marito.

<< Non credo, non riesco a capirlo, ma deve essere qualcosa di grosso >> le risponde a sua volta strillando e mantenendo il naso per aria. 

Poi una scossa. Sento la terra tremarmi sotto i piedi con una forza tale da confondermi mentalmente e farmi cadere a terra come un sacco di patate. Immediatamente si levano delle urla di terrore da parte della gente riversa sulla strada e meno di un attimo dopo la paura s'insinua in me con la silenziosità di una nube di fumo.

<< Cosa sta succedendo?! >> strilla un'altra donna, mettendosi le mani nei capelli con uno sguardo di puro terrore.

<< Saranno delle scosse di assestamento, niente panico >> vocia un uomo barbuto, guardando le persone intorno a sé. << Niente panico. >>

Mi rialzo in piedi barcollante e deglutisco con la gola secca, ma appena riesco a stendere le ginocchia vengo rispinta a terra a causa di un'altra scossa, stavolta più intensa e capace di spaccare la strada attraverso delle crepe che si stanno diramando lungo il suolo come serpenti. 
Ed una crepa arriva fin sotto di me, tra le mie gambe e le mie braccia.

<< Spostati! Veloce! >> mi urla l'uomo barbuto con gli occhi fuori dalle orbite.

Mi sollevo di scatto e corro tra la gente senza essere quasi più in grado di ragionare lucidamente. Una donna mi si avvicina e mi tocca i capelli con fare materno. << Stai bene tesoro? >>

Annuisco a scatti e titubante, successivamente avvertiamo un'altra scossa che fa diffondere il panico tra la folla; chi comincia a scappare da una parte, chi dall'altra, chi si butta a terra ed invoca perdono a Dio. 
La donna mi stringe per le spalle e di riflesso mi avvicino a lei alla ricerca di riparo.

D'un tratto qualcosa di estremamente luminoso e veloce attraversa una nube di piombo per puntare contro di noi. Sgrano gli occhi terrorizzata mentre il cuore mi confonde la mente col suo battito frenetico e martellante. 
Le persone cominciano ad urlare e nel tumulto vengo allontanata dalla donna che prima mi teneva stretta. Un attimo dopo un boato devastante si propaga per l'intera area, facendo tremare l'aria con le sue turbolenti onde sonore. Chiudo gli occhi impaurita e casco a terra per via delle spinte incassate dai corpi della gente che guizzano da una parte all'altra in preda al delirio. 
Spalanco le palpebre e mi volto in direzione dello schianto con uno sguardo allucinato. 
Nel momento in cui vedo volare calcinacci e pezzi di cemento in tutte le direzioni, mi copro la testa e strizzo gli occhi per proteggermi. Nonostante le braccia con cui mi sono avvolta,  un pesante frammento mi colpisce con violenza sulla tempia destra lasciandomi per qualche secondo stordita. 

<< La casa! La mia casa! >> grida un uomo in preda alla disperazione.

Alzo la testa e vedo un intero condominio, poco distante da me, completamente distrutto. Disintegrato.
Delle persone si avvicinano per vedere cosa sia cascato dal cielo e, non so per quale stupido motivo, dopo essermi risollevata decido di seguire la folla.
Quando mi sporgo con la testa per riuscire a scorgere di cosa si tratti, mi si accappona la pelle con orrore: una palla infuocata, ecco cosa è sceso giù a quella velocità.
Non ho mai visto niente di simile, mai.

<< Altre, ne stanno cascando altre! >> Una vecchia signora indica il cielo e si getta a terra, prendendosi i capelli fra le mani. << È finita, moriremo tutti! >> urla impazzita, quasi strozzandosi con le sue lacrime.

Un uomo le si avvicina e la solleva, per poi sussurrarle delle parole all'orecchio in un vano tentativo di calmarla. 
Ed io nel frattempo osservo l'intera scena ammutolita, completamente preda del panico. 

<< Sta uscendo qualcosa da questa palla! Sta uscendo qualcosa! >> Un altro urlo, stavolta più stridulo proveniente da una donna.
Le persone si avvicinano incuriosite mentre io rimango immobilizzata sul posto.
Non riesco a sentirmi le gambe, sento solo del sangue colarmi lentamente dalla tempia. Niente di più. Questo è tutto ciò che mi tiene ancora in contatto con la realtà. 

Altre grida, stavolta di puro terrore. Istintivamente mi tappo le orecchie e forzo le mie pesanti e scoordinate gambe a correre, seguendo persone a caso in mezzo alla calca.
Non ho una meta, ho solo paura. Non capisco più nulla, è come se un manto di nebbia avesse offuscato i miei sensi. Il cuore mi rimbomba nelle orecchie in modo assordante e la gola secca mi impedisce di liberare le urla che mi riempiono la testa.   

Durante la corsa mi volto e focalizzo lo sguardo su un uomo che sta correndo accanto a me. Vorrei avvicinarmi a lui e chiedergli aiuto, chiedergli cosa sta succedendo, vorrei... d'improvviso un qualcosa gli circonda la vita e lo strattona all'indietro ad una velocità allucinante, come per effetto di un elastico scattato a ritroso. 
Sbarro gli occhi per la paura e mi giro per seguire la traiettoria dell'uomo, ma ciò che vedo mi lascia senza parole: c'è un qualcosa, una specie di enorme macchina vivente provvista  di lunghi tentacoli verdi che si muovono in tutte le direzioni e alle cui estremità sono intrappolate delle persone.

Osservo quello scenario raccapricciante con gli occhi fuori dalle orbite, la mente in blackout e le gambe piantate sul posto per l'incapacità di muoversi. 
Che cosa sta succedendo? Chi sono quei mostri? Cosa... Mi sento afferrare per un braccio e vengo strattonata via con brutalità. 

Sto correndo, ma non vedo. I miei occhi non riescono a mettere a fuoco nulla di ciò che mi circonda, non so chi mi stia tenendo per il polso, non so verso quale meta stiano procedendo le mie gambe, non so dove sia la mia famiglia, non so cosa vogliano quei mostri e non so cosa faranno a quelle persone. Non so niente. Mi sento la testa vuota, ma al contempo pesante. 

Lancio istintivamente un urlo non appena un albero incendiato ci casca davanti sbarrandoci il passaggio. Ed è proprio in quel momento, mentre il mio cervello sembra ricollegarsi alla mia facoltà visiva, che riconosco una testa di capelli castano chiaro. David Trent.
Lo sento imprecare tra i denti e riprendere a correre in un'altra direzione, verso una stradina buia e apparentemente deserta. 

E mentre intorno il mondo sembra sfaldarsi pezzo per pezzo, noi continuiamo a scappare lontano da quei mostri, lontano dalla civiltà, lontano da tutto. Persino dalle nostre normali vite appena deviate su un terreno ignoto. 
Ad un certo punto Trent vira in prossimità di alcune scale e mi strattona di rimando. 
Scendiamo i gradini di un seminterrato con la stessa furia cieca mantenuta per tutta la corsa, poi gli sento aprire una porta a calci e spingermi dentro. Blocca la porta con tutto ciò che gli capita a tiro: sedie, tavoli, attaccapanni, portaombrelli. Rimango a guardarlo per qualche istante, tremante in ogni parte del corpo, infine mi lascio scivolare a terra una volta appurato che di lì a poco le gambe non mi avrebbero più sorretta.

Una fioca luce subentra dalla rettangolare finestra sul livello della strada. Per un attimo sono tentata di non guardare lo scenario che si cela oltre di essa, ma poi, forse spinta dalla poca razionalità di cui godo in questo momento, mi perdo ad osservare fuori. 
Dalla mia posizione riesco soltanto a vedere le imperiose nuvole grigie incombere sulla città, ma ciò che più mi sconvolge è il silenzio. Un silenzio innaturale, forse perché probabilmente saranno scappati tutti.

<< Curati quella ferita, stupida. >> La voce ammonitrice ed infastidita del troglodita giunge alle mie orecchie con la stessa piacevolezza di una nota stonata in una sinfonia perfetta. 

Non lo ascolto e persisto a guardare fuori dalla finestrella. 
Ho così tanta paura che non riesco a formulare un solo pensiero che non sia una domanda ricolma d'ansia. Questo silenzio inquietante fa apparire tutto così... morto. 
Mi chiedo cosa ne sarà di me? Dove si sarà rifugiata la mia famiglia? E perché sono apparsi quei mostri? Che cosa vogliono da noi?
Per la mente mi vorticano così tanti quesiti senza risposta da rendermi ancora più agitata rispetto a quanto non sia già. 

<< Ehi, ci senti? >> mi chiede Trent quasi allarmato. Si appoggia sui talloni e mi volta la testa verso di lui con una mano.
Per la prima volta, da quando è cominciato quest'inferno, incontro i suoi occhi ambrati. Gli stessi occhi che per ben quattro anni ho cercato di rifuggire perché infastidita dalla vena derisoria, beffeggiatrice e presuntuosa che li permeava. Sembra quasi strano che solo adesso mi renda conto di quanto sia caldo il colore delle sue iridi, completamente l'opposto del mio: freddo, glaciale, azzurro.

Le sue mani si spostano sulle mie spalle e d'improvviso mi sento scuotere piano. << Mi senti? >> insiste, stavolta con una sfumatura ansiosa sia nella voce che nello sguardo.

Annuisco e sospira. << Temevo che la caduta di quella specie di meteorite ti avesse resa sorda, ma a quanto pare sei solo sotto shock >> constata lasciandosi cadere a terra per sedermisi di fronte.

<< Tu... tu eri lì? >> Non riconosco nemmeno la mia voce tanto è flebile e rauca. Mi sembra di non parlare da anni, eppure le ultime parole le ho rivolte a Trent ormai chissà quanto tempo fa. Non ho neanche idea di quanto tempo sia trascorso da quando tutto questo pandemonio ha avuto inizio. 

<< Stavo fumando nel giardino della scuola >> dichiara senza staccare i suoi occhi dai miei. << Ho visto tutto. >> E nel momento in cui pronuncia quest'ultima frase mi sembra di scorgere un qualcosa di diverso attraversare le sue iridi come una freccia. Che sia... consapevolezza?

<< Cosa sono? >> domando stringendomi le gambe contro il petto, quasi in un banale tentativo di proteggermi. 

<< Non lo so >> risponde in fretta, abbassando il capo per scrutare il pavimento con uno sguardo assorto. 

Per un po' di tempo restiamo in silenzio, immersi in riflessioni che mai avremmo immaginato di fare. Di colpo mi torna alla mente l'immagine di quell'uomo che correva vicino a me. Deglutisco spaventata e pianto i miei occhi su di lui. << Che... che cosa hanno fatto a quelle persone? >>

Solleva la testa con lentezza ed un attimo più tardi il suo intenso sguardo mi piomba addosso con il peso di un macigno. Mi scruta a fondo per qualche istante, facendomi improvvisamente sentire piccola sotto la forza dei suoi occhi. << Non lo vorresti davvero sapere >> afferma con un tono basso, quasi in un sussurro. Alla fine fa un cenno del mento nella mia direzione e m'indica il tinello alle sue spalle con un altro cenno. << Curati quella ferita >> ordina inespressivo. 

Scuoto la testa e rilascio un tremulo sospiro. << Non ce la faccio ad alzarmi, mi tremano le gambe >> sussurro guardandolo di sottecchi nella penombra della stanza. 

Mi osserva per un millesimo di secondo, forse meno, poi si alza in un gesto fluido e si dirige ad aprire alcuni cassetti della piccola cucina. Lo seguo con lo sguardo e controllo ogni suo gesto nel tentativo di capire che cosa stia facendo esattamente. 
Estrae uno strofinaccio e lo mette sotto l'acqua, poi si volta nella mia direzione e me lo lancia con poca delicatezza.
Neanche a dirlo, il pezzo di stoffa cade a terra e s'impregna del sudicio sul pavimento, ma sono ancora troppo scossa per lamentarmi, così lo raccatto e comincio a passarlo sulla tempia per asportare il sangue incrostato.

I miei occhi si perdono nel vuoto, al contrario dei miei pensieri che invece ritornano sullo stesso terreno. << Cosa ne sarà della mia famiglia? >> chiedo in un sussurro quasi impercettibile.

Alle mie orecchie giunge uno sbuffo. << Cosa vuoi che ne sappia, siamo nella stessa schifosa situazione >> mi fa presente con un tono seccato. 

Le sue parole mi raggiungono come uno schiaffo in pieno viso. Ma non tanto per la fitta di dolore che mi causano, ma più che altro per il fastidio. Alzo la testa e lo fulmino con un'occhiata. << È tutto quello che sai dire? È il massimo che sai fare per consolare una persona? >> 
Diamine, potrebbe avere un po' più di tatto. Non chiedo un abbraccio, ma almeno una parola di conforto dopo tutto ciò che siamo stati costretti a vedere, dopo che le nostre precedenti vite sono state spazzate via in un soffio, dopo aver disperso le persone a cui più teniamo. 

Il suo sguardo si fa gelido come una lastra di ghiaccio. << Non ho mai consolato nessuno, non credo che comincerò per te >> taglia corto appoggiandosi al bancone della cucina con il fondoschiena.

Se non fossi tanto impaurita, infreddolita e scossa gli avrei già messo le mani intorno al collo. << Grazie >> sputo fuori con una buona dose di acidità e risentimento.

Fa spallucce ed una smorfia menefreghista. << Prego. >>

Espiro lentamente per distendere i nervi ed appoggio la testa al muro alle mie spalle. 
Chiudo gli occhi e permetto che un sospiro carico di tensione fuoriesca dalle mie labbra. 
Ho voglia di piangere, ma non posso farlo davanti a lui. Odio piangere davanti agli altri, persino di fronte ai miei familiari, la considero una debolezza. Anche se... in certi casi è così difficile trattenersi e reprimere l'istinto di sfogarsi, ma al contempo è così faticoso premere contro se stessi per lasciarsi andare.
In questo preciso momento sto facendo appello a tutte le mie forze pur di pensare in positivo e non piangere, ma non basta. Ora come ora non riesco ad immaginare nulla che possa andare per il verso giusto. Davanti ai miei occhi appare tutto così vuoto, oscuro e pericoloso che pensare in positivo mi sembra soltanto una grande idiozia. 

Sollevo stancamente le palpebre e forzo il mio intero corpo ad alzarsi da terra. Mi sento spossata, privata di tutte le forze. 
Per un istante barcollo come se la forza di gravità mi stesse giocando qualche scherzo, poi riesco a recuperare l'equilibrio e m'incammino guardinga verso la zona buia della casa alla ricerca di un letto o un divano. 

<< Che fai? >> Storco la bocca in una smorfia al suono della voce indagatrice di Trent. 

<< Cerco un posto per dormire >> rispondo secca. Tasto una superficie liscia e cerco di mettere a fuoco: un tavolino. Troppo duro, inutile.

Proseguo a brancolare nell'oscurità come un fantasma degno dei peggiori film horror, fino a quando un'intesa luce illumina tutto il non visibile; giro la testa e mi accorgo che Trent ha una mano posata sull'interruttore della luce ed un sopracciglio sollevato in una muta domanda canzonatoria.

<< C'è un divano lì >> mi fa notare indicandolo con la testa.

Senza proferire parola mi ci vado a sedere. Tasto la sua liscia superficie per appurare che non sia rotto in qualche punto ed infine mi distendo. Nel momento in cui adagio la testa sul bracciolo, tutto si fa nuovamente buio. Rabbrividisco per la paura ed il freddo e mi concentro sulla figura di Trent che passo dopo passo si sta avvicinando a me.

<< Una notte a testa >> dice soltanto, prima di distendersi a terra e portare le braccia dietro la nuca.

Annuisco piano. << Ok >> acconsento in un sussurro. Almeno questo glielo devo, del resto è stato lui a portarmi via da quella strada e a nascondermi qui. 

Mi raggomitolo su me stessa e rilascio l'ennesimo sospiro della serata. Poco dopo la mia mente si fa più leggera ed i miei muscoli tesi si rilassano, fino a che non mi sento sprofondare nel sonno insieme all'unico pensiero sopravvissuto all'oblio che mi circonda: la mia famiglia.












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