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Autore: Rox the Fox    13/09/2013    3 recensioni
"Viaggiare, scoprire, volare, combattere. Nelle sue fantasie poteva, ma ciò non le bastava. Amava perdersi nei libri, nell’incanto delle parole, nella magnificenza delle storie così ben scritte e così ben pensate. C’era un qualcosa di impossibile che la rendeva sempre più curiosa. Nella sua società però, sognare non le era permesso."
Genere: Drammatico, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo I
Curiosità.

C’era una volta, tanto tanto tempo fa, un bellissimo lupo dal manto nero e lucido. Era maestoso, possente e tutto in lui sembrava parlare di morte e distruzione. Il bel lupo si credeva una divinità, un essere superiore a tutti gli altri animali che vivevano sulla Terra. Fu quando Dio lo punì che si accorse di essere stato un presuntuoso.

Eppure il suo dolore sembrava sconosciuto persino agli angeli.

La noia. Non c’era cosa peggiore della noia. Per Karin, essa portava il sonno ed era per questo che sentiva le palpebre pesanti, sul punto di chiudersi definitivamente. Ma non poteva, non le era assolutamente permesso. Soprattutto perché si trovava a scuola.
Stare all’ultimo banco non era esattamente il posto migliore dove seguire la lezione, ma lì era sicura di poter sfogare la sua fantasia senza essere inutilmente richiamata dagli insegnanti. Non che imparare non le interessasse, anzi, ma quelle cose le sapeva già. Afferrò la sua fedele e malandata penna nera e cominciò a disegnare sul proprio quaderno a righe. La vita le sembrava così noiosa, tutto era così palesemente monotono, attorno a lei. Non poteva nemmeno dire di sentirsi viva.
Gli eventi scorrevano davanti a lei come i fotogrammi di un film di cui era la spettatrice. Era così deprimente. Aveva tredici anni e non poteva pretendere di uscire il sabato sera per ritirarsi a chissà quale orario. In realtà non lo desiderava neanche. I suoi desideri erano completamente di un altro genere.
Viaggiare, scoprire, volare, combattere. Nelle sue fantasie poteva, ma ciò non le bastava. Amava perdersi nei libri, nell’incanto delle parole, nella magnificenza delle storie così ben scritte e così ben pensate. C’era un qualcosa di impossibile che la rendeva sempre più curiosa. Nella sua società però, sognare non le era permesso. I suoi compagni di classe la prendevano sempre in giro, le ragazze la etichettavano come “sfigata” per motivi del tutto futili. Non amava truccarsi, né vestirsi particolarmente bene o di marca. Lei preferiva studiare.
Cosa c’era di sbagliato in questo?Karin non riusciva a comprendere. Aveva un obiettivo e per compierlo aveva bisogno di studiare, di conoscere il mondo e i suoi pericoli. Dare importanza a cose secondarie come la bellezza, ignorando la mente, non le sembrava molto giusto. Soffriva, si sentiva diversa, ma taceva. Un innocente silenzio che prima o poi, lo sentiva, sarebbe sfociato in una rabbia immensa.
La campanella di fine ora suonò e si ritrovò ad osservare, completamente rapita, il disegno che aveva finito, quasi senza rendersene conto. Non era Leonardo da Vinci, sicuramente, ma a volte era soddisfatta di sé stessa. Aveva disegnato un lupo. Era un bellissimo lupo dall’espressione feroce in volto. I denti erano bianchi ed appuntiti, digrignati in un feroce ringhio.
Chi stai cercando di spaventare?” chiese mentalmente la giovane, con un leggero sorriso sulle labbra. Sistemò le cose nello zaino e si apprestò ad uscire dalla classe. L’autobus l’aspettava.

Dopo aver finito i compiti, a pomeriggio inoltrato, la ragazza sistemò il suo zaino, dove mise un quaderno e qualche penna. Poi uscì di casa, curandosi di chiudere la porta a chiave, visto che i genitori erano a lavoro. Si preoccupò di non farsi vedere da nessuno e si avviò verso il boschetto del paese. Adorava farlo.
Isolarsi dal mondo, stare in mezzo alla natura, evitare i contatti con esseri umani fastidiosi. Essere diversi non era poi così male. Lì, tra il nulla e il tutto, come lo amava chiamare lei, poteva sfogarsi liberamente, aprire la mente e chiudere gli occhi. Si era creata un mondo apposta per farlo. Il bosco era la sua casa, gli alberi erano suoi amici, mentre i rovi le erano avversi.
Un giorno mi ricovereranno in un manicomio, ne sono certa.” pensò la ragazzina, divertita, mentre si sedeva sul tappeto di foglie colorate dall’autunno. Poggiò lo zaino al suo fianco e portò le ginocchia coperte dai jeans al petto. Prese poi il suo quaderno e lo sfogliò, pensierosa. Alcune pagine erano piene di parole e scarabocchi. Karin si soffermò su una in particolare, mordicchiando nervosamente il tappo scuro della penna: “Sono ancora al capitolo sei, ma manca qualcosa… forse è meglio che io scriva un prologo?In effetti alcune cose nemmeno si capiscono…
Si passò una mano fra i capelli rossi e lunghi e li legò in una coda alta, per praticità. Ci aveva pensato tantissimo e alla fine si era decisa. Avrebbe scritto un libro. Quando aveva sette anni, Karin possedeva una fantasia fuori dal comune. Si divertiva da matti inventando personaggi di tutti i tipi, luoghi con nomi strani e impronunciabili e creature dalle fattezze bizzarre o macabre. Eppure quando aveva preso quella decisione, la fantasia sembrava essere sparita nel vortice del nulla, come evaporata. Ma lei non si era data per vinta. L’aveva forzata, l’aveva costretta ad uscire di nuovo e, pian piano, non senza fatica, ce la stava facendo. Molto piano. Ci aveva messo un anno pieno a scrivere quei maledetti sei capitoli. E si era pure dimenticata il prologo!Non che all’inizio avesse la trama completa nella sua testa, ma un abbozzo era più che sufficiente. Tirò un lungo sospiro e chiuse gli occhi. Non sarebbe stato così difficile, o almeno lo sperava. Riaprì gli occhi e puntò le iridi azzurre sul foglio bianco successivo al capitolo sei.

Prologo.
In un mondo ormai rovinato e corrotto dalla società, ci può essere la speranza?La risposta è ovvia. No. L’uomo si sottomette al Male, scambiandolo per il Bene e così, come un ingenuo bambino va tra le braccia di chi ha la caramella più buona. Ma essa è composta da fiele e bugie. L’anima corrotta non può più tornare linda e pura, non può più tornare vergine. Questo era il triste pensiero di Shinichi Shigehito, giovane e braccato ribelle, che, pur di non rinunciare alla propria libertà, aveva abbandonato tutto, si era messo contro tutti. Ciononostante si definiva un codardo, poiché fuggiva, nascondendosi di volta in volta, sfruttando le proprie abilità di mago. Non aveva il coraggio necessario ad affrontare gli Immortali. Perché della sua terra dovevano esserci quello scempio di esseri viventi?Molti, anzi, non vivevano nemmeno; erano morti, ma camminavano e parlavano ancora e, purtroppo, uccidevano. Ormai quel luogo era diventato un maledetto cimitero per gli esseri umani. Chi si ribellava faceva una fine terribile. La cosa che più stupiva il biondino era che l’intero mondo era assoggettato a creature leggendarie, temibili e oscure. I draghi. Enormi lucertole sputa fuoco che erano riuscite a pensare, a capire, ad imporsi. E così riuscirono a praticare la legge del più forte.
Loro dominavano, gli umani dovevano semplicemente obbedire. Eppure non sarebbero dovuti esistere. Era inconcepibile la sola presenza nel mondo di esseri abominevoli come draghi, vampiri, licantropi e fate.
Erano tanti, troppi, di tutte le razze e persino di fazioni diverse. Shin lo sapeva: era totalmente inutile opporsi ad una forza maggiore se si era deboli, ma lui e i suoi compagni non lo erano. Loro, i ribelli, avevano la magia dalla loro parte e

Si fermò di colpo, alzando lo sguardo dal foglio. Puntò le iridi azzurre su un cespuglio poco distante. Aveva sentito un flebile rumore provenire proprio da lì. Forse qualche animale selvaggio?Con la guardia alzata osservò il luogo a sé circostante. Sentì l’aria farsi improvvisamente fredda e notò il cielo scurirsi, rendendo quel luogo lugubre e misterioso. Un brivido le traversò la schiena e trattenne il fiato per qualche istante. Era come se da un momento all’altro dovesse spuntare dal fogliame una qualsiasi creatura mistica pronta a guidarla verso la salvezza o la dannazione. E invece non accadde nulla. Le nuvole si spostarono, il sole tornò ad illuminarla con i suoi caldi raggi.
Con imbarazzo si rese conto che era stato il vento a soffiare, spostando delicatamente le foglie degli alberi e i cespugli. Abbassò lo sguardo, delusa. Di nuovo la sua fantasia l’aveva ingannata, facendole credere di poter fuggire da quella noiosa realtà priva di senso. In fondo alla sua mente giaceva una speranza quasi morente: incontrare qualche essere fantastico, vivere avventure epiche, diventare qualcuno, un’eroina, magari.
Eppure era scientificamente impossibile e ne era consapevole. Karin, però, amava cullarsi in quella dolce illusione fatta di sogni e deboli speranze. Uscì dal quaderno alcuni fogli, dove vi erano disegni e scarabocchi, appunti e macchie colorate. Scrutò con un debole sorriso quelli che erano i personaggi che lei stessa aveva creato. I buoni, i cattivi e i pentiti. Si soffermò maggiormente sul protagonista principale. L’aveva creato magro, alto, bello, ma sofferente in viso. L’espressione era triste, segno di un evidente passato oscuro e di una lotta psicologica assurda contro sé stesso. Questo perché, secondo Karin, creare un personaggio senza alcun problema, sarebbe stata un’utopia. Shinichi Shigehito doveva essere un diavolo con la corazza d’angelo, un dannato tra i beati, un ribelle tra le pecore. Ecco perché Shin doveva essere bello: perché doveva essere un’illusione e la tipica immagine del buono associato al bello.
Passò avanti, ma si bloccò di colpo. Scrutando il cielo, riuscì a constatare approssimativamente l’ora e capì che era meglio tornare a casa, prima di incontrare qualche grande lupo cattivo. Raccolse le sue cose e si alzò.

Il giorno dopo si svegliò stranamente attiva, cosa alquanto strana, essendo quello uno dei giorni di sempre, dove sarebbe dovuta andare a scuola. Non vi era vacanza, né un evento speciale. Semplicemente vi era una strana euforia che l’aveva sorpresa, quella mattina, possedendola. Sentiva che quel giorno sarebbe accaduto qualcosa di sorprendente, di diverso dal solito.
Dopo essersi preparata, uscì di casa e si avviò verso la fermata dell’autobus, quasi saltellando. Quella mattina durante il viaggio casa-scuola, notò quei particolari nel paesaggio a cui prima di allora non aveva rivolto lo sguardo. Tutto sembrava diverso sotto le sue iridi cristalline, invece niente era mai cambiato. Stava semplicemente guardando il mondo con più attenzione. Per esempio, per la prima volta aveva notato, tra le colline e i campi, una piccola chiesa di stile anonimo ed esternamente spoglia. Era così isolata che Karin si stupì sinceramente di non averla mai notata. Era come se in realtà, quell’edificio non ci fosse mai stato. Eppure la sua struttura decadente, rivelava quella che era l’effettiva età della chiesa. La sua mente cominciò a fantasticare, come d’abitudine e si accorse casualmente di essere giunta alla meta. Un’altra giornata scolastica doveva essere affrontata, ma lei non ne aveva assolutamente voglia. Scese dal veicolo e si guardò intorno con aria assente, fino a che non notò alcuni fogli a terra. Qualcuno era chino su di essi, per raccoglierli. La rossa si avvicinò e fece per aiutare un giovane ragazzo pallido e magro, dai capelli chiari, biondi, del colore dell’oro.
<< Grazie… >> mormorò timidamente, senza alzare lo sguardo su di lei. Karin sorrise appena: << Di niente… >>
Gli occhi si posarono su uno di quei fogli e lesse qualcosa che la incuriosì.
Trattato sull’Uomo. (Esami di Demagogia)
Non osò leggere oltre, per educazione e raccolse il foglio. Appena finirono i due si alzarono, e la ragazzina gli porse il fascicolo che aveva raccolto: << Tieni… >>
<< Grazie ancora e scusa per il disturbo. >> disse lui di nuovo, sorridendo appena. Lei l’osservò attenta. Aveva due occhi bellissimi, azzurri, anche se sotto di essi vi erano due terribili occhiaie. Sembrava un morto vivente, pensò la giovane, pensierosa.
<< Sei uno studente universitario? >>
<< Sì... e tu delle medie! Dovresti essere a scuola, non parlare con uno sconosciuto! >> disse lui, giocando nervosamente con l’angolo di uno dei tanti fogli che teneva tra le braccia. Karin però non sembrava convinta: << Non ci sono università nei dintorni. >>
Il ragazzo indietreggiò: << Devo andare. >>
Corse via, senza darle il tempo di rispondere e Karin si ritrovò sola, perplessa e incuriosita. Demagogia. Non aveva mai sentito una parola del genere. Si sentì felice. Qualcosa di diverso era finalmente accaduto!Le sue aspettative si erano realizzate, più o meno.
Ma adesso che qualcosa era finalmente cambiata, non sarebbe di certo andata a scuola. Si guardò attorno, sistemandosi meglio lo zaino sulle spalle. Nessuno sembrava aver fatto caso a lei e andò nella direzione opposta alla scuola, proprio dove era andato il misterioso ragazzo.






Nota di quella sfigata dell'autrice: era tanto, troppo tempo che volevo mettere questa storia. Ma prima dovevo completarla. Ecco, l'ho completata... vi prego fatemi sapere che ne pensate. *supplica*
   
 
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