L’estate ormai giungeva al termine, mentre i giorni passavano tutti uguali, senza identità. Io ero afflitto da un enorme dolore, un dolore che il tempo non era capace di estinguere. Aspettavo una persona che ormai non arrivava più, la cosa che più fa paura è che quella persona rappresentava la felicità. Preso dal dolore decisi di andare a fare un viaggio con il mio migliore amico, Leopold. Lui conosceva tutto di me, sapeva i miei gusti, ammirava i miei pregi ed accettava i miei difetti. Era capace di scoprire cosa mi tormentasse; solo di una cosa era inabile: rendermi felice. Nonostante tutto partimmo, iniziò il nostro svago, il modo capace di colmare il vuoto. Arrivammo a destinazione un posto un po’ lugubre, ma comunque grazioso e accettabile. Entrammo in albergo e salimmo nelle nostre camere, la camera aveva tutti i suoi confort e io assalito dalla gioia saltai come un pazzo sul letto. Il nostro primo giorno di vacanza era già finito, eppure non avevamo fatto niente, stanchi del viaggio, non appena ci eravamo sdraiati sul letto, crolliamo dal sonno. La mattina seguente ci alzammo e decidemmo di andare in giro a conoscere di più il luogo. Il tempo trascorse, i secondi si trasformarono in minuti, i minuti in ore, e le ora a sua volta in giorni. Il divertimento c’era stato e forse fin troppo, ma la solitudine mi assaliva e mi stringeva la gola come un nodo; Leopold aveva provato in tutti i modi di distrarmi ma, il modo doveva essere ancora inventato. Avevo cercato l’identità al tempo, ai giorni, ma trovai solo amarezza e solitudine, perfino il mio miglior amico si era arreso. Ormai ero solo aspettando che il tempo consumasse il mio corpo fino a renderlo inerme.