Capitolo 11
L’ira dello schiavo
Erano passate tre settimane. Durante quel
periodo, Kayla fu mandata in viarie missioni di recupero e difesa, senza che
potesse parlare ancora con Erol, dopo che l’aveva nominata sua vice. Rimase
lontana da Haven, facendo in totale due notti di sonno in città in tutto quel
lungo periodo. Erol le aveva detto che, dopo un breve periodo di sistemazione,
anche lei avrebbe potuto partecipare alle missioni che si svolgevano alla
prigione. Erol aveva paura che non fosse d’accordo, o che per qualche motivo si
spaventasse da quello che dovevano fare. In fin dei conti, era pur sempre una
ragazza. Certo, aveva quasi ventidue anni, ed era una guardia Krimzi, ma non si
sapeva mai. Decise di prepararla, alla loro prossima missione, facendole
scoprire poco a poco quello che facevano.
Una delle cose per cui gioiva di essere
diventata una luogotenente, era il fatto che non doveva più portare
quell’assurdo casco. Ringraziava ogni giorno Erol di averle dato quella
possibilità. E cercava di mettersi d’impegno per non essere un peso. Seguiva
tutte le missioni che le venivano affidate senza dire “bah”, ascoltava
suggerimenti, dritte, consigli e la sua pazienza, la sua bravura accresceva di
giorno in giorno.
Erol decise di portarla alla prigione, per
farle capire, una volta per tutte, cosa facevano.
≪Questa è
la sezione più importante. È qui dove... facciamo gli esperimenti. E dove
teniamo i prigionieri destinati.≫. Kayla si guardò intorno. Le celle erano piene
di persone dall’aria rassegnata. Guardò Erol un po’ spaventata, non tanto
sicura di quello che le diceva. ≪Qui... c’è il mio pupillo. Non sappiamo come si
chiama, perché è muto, ma sarà la persona destinata a diventare un’arma umana.≫. Kayla
fece un respiro profondo, avvicinandosi alla cella. Guardò dentro. Quello che
vide, all’inizio, erano dei capelli biondi, dalla radice verde. Poi lo sguardo
le scese verso il resto del ragazzo. Gli occhi blu spenti, le braccia nude
dalla pelle che, da abbronzata, doveva essersi schiarita in fretta, ≪Erol... qui avete fatto un errore... c’è...
un ragazzino, in quella cella... avrà si e no quindici anni!≫. ≪e allora? Buono comunque per gli
esperimenti!≫.
≪Erol... come puoi permettere una
cosa del genere? È ancora un bambino!≫.
≪Kayla, è più grande di quanto
sembri. Non preoccuparti per lui. Continuiamo il giro.≫.
La portò in un altra sezione
della prigione. Una sezione orribile. Lì, le disse Erol, erano tenuti gli
esperimenti falliti ancora in vita. ≪Lì
c’è Sasha, ha subito un incrocio tra eco rosso ed eco blu, per questo ha la
pelle... beh... Quello invece è Derrich, Eco blu allo stato puro. Speriamo
smetta presto di muoversi così per la cella. E lì... c’è una chicca.≫. alzò un braccio, indicando il
soffitto. Kayla alzò la testa dove le indicava Erol, raggelandosi. C’era un ragazzo
appeso, legato con un numero immaginabile di catene. ≪E... e quello chi sarebbe?≫. ≪È uno dei ragazzi ancora sotto
gli esperimenti. Maiko. Ha manifestato un’indole... molto aggressiva. Ha
massacrato due guardie a morsi. Pensare che prima degli esperimenti era una creatura
mite e gentile...≫.
≪Erol... ma a cosa servono,
veramente, tutti questi esperimenti? Non avevate detto che non avreste mai
fatto del male a delle persone?≫.
Erol le depose un braccio sulle spalle:≪Il
barone, e noi di conseguenza, abbiamo bisogno di nuove armi. Questi esperimenti
servono a creare super guerrieri per la guerra. Ora ti mostrerò...≫. Una guardia li raggiunse,
ansimante:≪Erol...
comandante Erol, deve venire subito...≫.
≪Che è successo, Dossy?≫. ≪Kairi... Kai è stata catturata!≫. Erol guardò allarmato Kayla, e
seguì la guardia, accompagnato da Kayla.
Davanti all’ufficio del Barone,
Erol lasciò la ragazza di guardia assieme ad un altro paio di guardie, lì per
lo stesso motivo. ≪Comandante
Erol, venga avanti!≫.
S’udì il Barone chiamare. Kayla guardò Erol, mostrandogli che lei era con lui.
Erol fece un respiro profondo ed entrò. Il barone era ancora ricoperto di
fasciature, le protesi che i medici gli avevano proposto non erano ancora
pronte, ma anche così aveva l’aria dura. ≪Signore...≫. mormorò il comandante,
inchinandosi. ≪Erol.
Durante una retata guidata da Ruperttikjakmos, abbiamo trovato una persona dal
canale davvero molto sviluppato. Forse, uno dei più sviluppati tra gli abitanti
della città. A casa tua, Erol. Tu avevi sotto mano una persona...≫. ≪Signore, è la mia fidanzata. Non
potevo...≫.≪Erol, quando ti sei arruolato,
sapevi che avresti dovuto sacrificare qualcosa, al momento opportuno. Vuoi
sacrificare la salvezza della tua città per una ragazzina?≫. Erol guardò Kai, bloccata con
delle grosse manette, minuscola in mezzo alle tute rosse delle KG. ≪Io desidero la salvezza della
città, ma...≫.
≪Allora. Ruperttikjakmos, hai qui
il rilevatore del canale?≫.
≪Certamente, mio signore... Il
comandante Erol ha sì un buon canale, ma...≫. ≪Perfetto. Se non vuoi che la tua
bella sia sacrificata, andrai tu al suo posto. Convinto?≫. Erol stette per parlare, che
Kai lo precedette. ≪Erol,
per favore, non farlo. Non puoi... fare una cosa del genere per me. Io voglio
la salvezza della mia città, quasi quanto la vuoi tu. Ma io non posso
perderti...≫.
Erol, sconvolto, dovette appoggiarsi al muro, per non cadere, mentre il Barone
fece segno di portarla via. Mentre uscivano dalla porta, qualcosa scattò dentro
di lui, e cercò di avventarsi verso i suoi stessi compagni, ma una voce
suadente e una stretta d’acciaio lo bloccarono, spedendolo contro la scrivania
del Barone. ≪Ma
comandante, non ha sentito il barone? Bisogna saper sacrificare qualcosa, nella
vita... Andate pure, voi.≫.
pronunciò in direzione delle guardie che circondavano la ragazza. Erol guardò
con disperazione quelli che dovevano essere i suoi compagni portare via la sua
amata, mentre il capitano Ruperttikjakmos lo teneva sotto sorveglianza. Questi
alzò lo sguardo con un luccichio sadico negli occhi, verso il Barone:≪Signore, chiedo il permesso di
occuparmi del comandante... per evitare che in futuro si comporti...≫. ≪Capitano, tacete, per carità. Si
occuperà di lui il numero 3309. Vieni pure avanti.≫. Kayla sentì che la chiamavano e
si avvicinò:≪Cosa
devo fare?≫.
≪Punisci il tuo comandante, con il
fucile. Qui e subito.≫.
Kayla si tolse il fucile dalle spalle, mentre le altre guardie mettevano Erol
in posizione, togliendogli i pezzi dell’armatura. Erol la guardava rassegnato,
in ginocchio ad aspettare. Kayla implorò perdono sottovoce, dando il primo
colpo. Le veniva terribilmente naturale, mentre versava silenziose lacrime.
Erol non emetteva un gemito, fece solo un lieve grugnito dal dolore quando
l’arma gli colpì una spalla, per via della mano poco abituata di Kayla. Era la
sua punizione, aveva attaccato dei compagni, e ora veniva punito. Quando Kayla
ebbe finito, era svenuto, con un fil di sangue che gli scivolava dalla testa
tra i capelli. ≪Ben
fatto, 3309, davvero ben fatto.≫.
la lodò il barone. ≪Ora
portalo a casa, e sta’ attenta che non faccia sciocchezze.≫.
Kayla si sentiva malissimo. Lei...
era diverso essere costretti a pestare un vagabondo, un criminale o il proprio
comandante. Era diverso per luoghi, costumi, conseguenze... e sentimenti.
Quello che provava per Erol non spariva mai, ma la faceva soffrire,
annebbiandola in una foschia viziosa di ossessione. Il suo che era amore che
non era amore. Che era una passione sfogata nelle battaglie, un desiderio
soddisfatto solo con la morte di mostri e persone, una rabbia manifestata di
notte, nei bar, rendendola pari ad uno scaricatore di porto. E ora, essere
costretta a picchiare, alzare le mani... a far del male alla persona che la
faceva sentire importante, che amava dentro di sé, nascosta dalle tende della
sua ossessione, le aveva aperto ferite che pensava fossero cicatrici. Arrivati
a casa sua, lo portò fin dentro, e gli pulì le ferite. Erol si svegliò,
guardandola sconfitto:≪Non
è colpa tua. Solo mia, che non sono stato attento. Kai morirà. Non è abbastanza
forte...≫.
per la prima volta in vita sua, Kayla lo vide piangere. Erol, il comandante che
non piangeva mai, che non aveva mai pianto, se non da bambino. Adesso piangeva.
Dentro, sentì una fitta terribile. Avrebbe tanto assurdamente voluto che lui
piangesse per lei... Lo salutò ed uscì.
L’aria calda della sera, l’aria
soffocante di polveri e fumi, di eco e disperazione le fecero girare la testa.
Montò sulla moto, mettendosi una nuova maschera sul suo viso stanco, una nuova
maschera per nascondere agli altri, a chi non sapeva capiva conosceva o amava,
e andò a casa. C’era la sua tv, il suo barattolo gigante di gelato, la sua
poltrona e la sua soap opera. Lì, avrebbe potuto aspettare il domani, sperando
che non facesse troppo male.