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Autore: The fifth Marauder    14/09/2013    3 recensioni
Piccoli attimi nell'infanzia o nell'adolescenza di alcuni dei nostri magici personaggi preferiti, giovinezze che noi diamo per scontate, e che eppure sono state modellatrici delle loro vite. Spero apprezziate!
«Gli adulti son sciocchi e immemori quando sottovalutano la giovinezza.»
[Raccolta di OneShot]
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Non erano molti quelli che ancora osavano avvicinarsi a Grimmauld Place. La cura di quel vicolo londinese era ridotta ai minimi storici, quasi fosse disabitata: sembrava, infatti, che a nessuno interessassero le condizioni della piccola piazzetta costernata di panchine che pullulava di cartacce abbandonate e rifiuti di varia natura, o che la vernice delle facciate esterne delle case si stesse staccando lasciando che le pareti mostrassero a nudo i mattoni di cui erano formati.
Cassonetti dell'immondizia che sembravano non svuotati da anni giacevano alla fine della strada, sotto montagne di buste di spazzatura che emanavano odori poco piacevoli.
Tutti, compresi gli abitanti, si stupivano però di una casa: la numero 12. Come una nota stonata in una lercia melodia, l'erbadel giardino sembrava essere stata tagliata con il righello, mentre le siepi di una precisione millimetrica tanto che sembrava opera di un ingegnere. Ed il cortile era solo una minima parte di tutto ciò che, di quella casa, denotava l'interesse maniacale per l'ordine e la cura della propria casa: la facciata che dava sulla strada sembrava aver appena ricevuto una mano di vernice nera lucida, così come le inferriate che minacciose erano vicine al marciapiede.
Niente poteva lasciare immaginare, ad un osservatore esterno, che quel posto fosse la dimora di una famiglia di maghi. Maghi oscuri, per la precisione.
Se qualcuno avesse osato oltrepassare il portone di ferro che dava sull'entrata, si sarebbe trovato in un lungo corridoio, senza la minima traccia di polvere. Questo era pavimentato da un parquet scuro, e le pareti tappezzate di carta da parati con complicati motivi a fiori in stile vittoriano. Alla parete di fronte le scale, alla fine del corridoio, vi erano quelli che da lontano avrebbero potuto sembrare trofei di teste d'animali impagliate, ma che non potevano essere qualcosa di più diverso! Il naso camuso e le orecchie da pipistrello incorniciavano il brutto viso rugoso di alcuni elfi domestici, che con quei loro occhietti sguizzanti con lo sguardo il corridoio dall'entrata fino ad uno strano portombrelli che pareva ricavato dalla zampa di un troll.
Su per le scale vi si potevano trovare altri oggetti strani, come libri dai nomi runici o aggeggi magici pericolosi. 
Un elfo domestico dall'aria particolarmente arcigna era chino sul raffinato corrimano in mogano, mentre lo lucidava con movimenti tanto bruschi che la pezza che aveva legato alla vita a mo' di ombelico — l'unico "indumento" che gli era permesso portare — minacciava pericolosamente di sfilarglisi di dosso.
«KREACHER! Vieni subito qui!» tuonò una voce dal piano superiore facendo trasalire il servetto.
«Signora! Arrivo immediatamente, mia signora!» cantilenò in risposta lui, salendo le scale con tutta la velocità che le sue gambette tozze riuscissero a permettergli. 
«Perché c'hai messo così tanto?!» una furiosa Walburga Black si ergeva in tutta la sua statura, fissando l'elfo che aveva appena superato la soglia della sua camera. Anche se era alta soltanto un metro e mezzo in più rispetto all'elfo, il petto gonfio e l'espressione austera la facevano sembrare, in confronto a quello, molto più grande.
«Oh, padrona! Lei deve perdonare Kreacher, padrona, ma Kreacher era di sotto! Vede, è lento a salire le scale...» biascicò quello a mo' di scuse, inchinandosi tanto da sfiorare il pavimento col suo raccapricciante naso adunco.
«Non tollero dover aspettare! Lo sai che fine fanno gli elfi domestici che perdono efficienza a causa dell'età?!» gridò lei, passandosi il dito, in un cenno significativo, orizzontalmente sull'attaccatura del collo.
«Sua magnificenza, Kreacher la prega di non tagliare la testa di Kreacher! Kreacher è contento di servire sua magnificenza!» piagnucolò, aggrappandosi ad un lembo della lunga veste della signora Black, che lei strattonò violentemente.
«Lasciami!» urlò, come se avesse paura che le callose manine dell'elfo potessero infettarle il vestito. «Non ti ho chiamato per ricordarti che manca poco perché tu faccia la stessa fine dei tuoi parenti,» e qui l'elfo cercò di trattenere un singulto, «ma perché tu mi prometta di sorvegliare Sirius durante la mia assenza.»
Il sorriso servile della creatura si trasformò in un ghigno mentre lui esclamava, mostrando gli aguzzi denti: «Certo! La padrona sa che con Kreacher il vagabondo Black è sotto controllo!»
*

«Esci di qui.»
«La padrona ha detto a Kreacher che Kreacher deve tenere d'occhio il moccioso Black!»
«Va' da Regulus, allora!» sbuffò per la decima volta Sirius, ingobbito sulla scrivania, gli occhi incollati sulla pergamena che aveva di fronte. Al risolino stridente dell'elfo sentì la rabbia salirgli al cervello, mentre quasi perforava il foglio nel tentativo di mettere un puntino su una i. Odiava Kreacher più di quanto odiasse sua madre, e solo perché, ovviamente, lui eseguiva alla lettera i suoi ordini.
«A Kreacher piacerebbe davvero tanto, oh sì, a Kreacher piace molto più Regulus, Regulus è tanto bravo con Kreacher...»
«ALLORA VA' DA LUI!» lo interruppe il giovane voltandosi di scatto verso l'elfo, fermo sulla soglia della porta della sua camera da circa una decina di minuti.
«... Ma il bravo Regulus non ha bisogno della mia sorveglianza, per essere obbediente!» concluse Kreacher, strisciando i piedini bitorzoluti sul pavimento. 
«Ok,» lo fissò torvo il ragazzo «basta che te ne stai in silenzio e senza dar fastidio.» 
«Ma la padrona non ha detto a Kreacher di dover fare silenzio!» flautò l'altro in risposta. 
Il ragazzo lo guardò corrucciato. Non aveva scelta, sapeva che non sarebbe riuscito a liberarsi di quell'elfo appiccicoso in nessun modo. Rassegnato, ficcò la pergamena nel cassetto della sua scrivania, accanto al libro Storia della Magia di Batilda Bath. Possibile che, qualunque cosa facesse — o non facesse — doveva spuntare quel naso adunco che così poco sopportava? O che ovunque andasse sua madre doveva mettergli alle calcagna quel segugio, quel... Quel coso, dalla faccia orrida e bitorzoluta e gli occhietti neri che scintillavano di piacere quando lui esprimeva il suo disappunto per ordine della "padrona Black"?
Con un gesto plateale si scostò il lungo ciuffo dagli occhi grigi, mentre con innaturale eleganza si portava sul letto e afferrava dal comodino un libro a caso, cercando di non sentirsi addosso lo sguardo esasperante di Kreacher. Adagiandosi sulle coperte, gettò a terra ciò che vi era sopra: incarti di caramelle, due paia di calzini sporchi e una piuma spezzata a metà finirono sparse sul pavimento. Gli occhi di Kreacher si assottigliarono, mentre con un sonoro schiocco della lingua attirava l'attenzione del ragazzo, i cui capelli disordinati si intravedevano da dietro il suo libro di Incantesimi.
«La camera di vagabondo Black è molto disordinata.» esclamò con la sua vocina stridente.
«Sì, e allora? È camera mia, no?!» fece Black, cercando di sembrare meno irritato di quanto in realtà non fosse.
«Madama Black ha ordinato a vagabondo Black di tenere la sua camera pulita e ordinata!» cantilenò Kreacher, che non sembrava per nulla intenzionato a lasciarlo in pace. 
«Ma la camera è pulita e ordinata!» sbottò Sirius, i polpastrelli bianchi mentre stringeva con rabbia i margini della copertina rigida del libro.
«Il vagabondo mente! Guarda!» 
Sirius alzò malvolentieri gli occhi dal libro — non perché stesse leggendo, non aveva letto nemmeno una frase da quando l'aveva aperto — e si guardò intorno. Beh, certo, la stanza non poteva essere definita ordinata. Vestiti stropicciati erano ammucchiati alla meno peggio su una sedia. La sua cravatta oro-scarlatta era arrotolata sul pavimento, accanto ad una piuma d'aquila spezzata, e la moquette era nascosta da talmente tanti fogli che sembrava vi si fosse riversata un'intera libreria sopra. «Beh, è la mia stanza, che te ne frega?» gli rispose disinteressato, dopo aver deciso che era impossibile continuare a sostenere che fosse tutto in ordine.
«A Kreacher importa, invece, oh sì se gli importa!» il sorrisetto cattivo era tornato sul volto dell'elfo, a cui Sirius sentiva borbottare in maniera sconnessa parole come «padrona Black» e «disordine».
Solo in quel momento Sirius capì dove l'elfo andava a parare.
«NON OSERAI!» ruggì, scattando in piedi e avvicinandosi minacciosamente all'elfo. «NON DEVI NEANCHE PROVARCI, SE NON VUOI FINIRE COME I TUOI PARENTI GIÙ PER LE SCALE!» un dito puntato in maniera minacciosa contro la punta del naso dell'elfo, lo sguardo fisso in quegli occhi completamente neri ricoperti dalle pieghe della pelle grigiastra.
«Oh, ma certo che Kreacher lo dirà alla padrona!» un velo di piacevole cattiveria malcelato nella voce insopportabilmente acuta dell'elfo.
«I-IO TI...» muggì Sirius, scattando in avanti e cercando di afferrare il polso dell'elfo. Quello tuttavia fu più veloce, e con un balzo all'indietro era fuori dalla sua portata, e uscito dalla camera  ora si precipitava giù per le scale, canticchiando a gran voce «Senza cena! Senza cena! Il vagabondo senza cena!»
«Sopravviverò benissimo senza cena, pezzo di deficiente!» tuonò Sirius prima di sbattere violentemente la porta della sua camera. Sapeva che non era vero. Erano due giorni che non toccava cibo che non erano le caramelle mandategli da James, il suo migliore amico, allegate alla lettera che gli era arrivata quella stessa mattina via gufo e a cui stava rispondendo prima che quell'orrido mostriciattolo lo interrompesse. Si accasciò a terra, la schiena contro il legno della porta. Quanto avrebbe ancora dovuto sopportare quella prigionia? Era ancora Luglio, non sarebbe tornato a scuola prima dell'inizio di Settembre, e lo zio Alphard era andato in viaggio. Spostò lo sguardo, indifferente, verso la luce arancione che penetrava dai vetri così maniacalmente lucidati. 
Quanto poco sentiva casa, e quanto era diverso, quel posto in cui si trovava in confronto alla sua camera ad Hogwarts. Perché l'anno era finito? Perché era tornato a casa? Sentiva persino la mancanza di Peter, che non gli era mai stato davvero molto simpatico. Aveva nostalgia di Remus e dei suoi occhi ambrati ridotti a fessure ogni volta che gli faceva una paternale per qualche birbanteria. Quanto voleva tornare con James, sotto il mantello di lui, a zonzo per il castello o giù per le cucine...
E poi, rannicchiato contro la porta e con il viso tra le mani, ebbe un sussulto.
«Ma certo!» urlò, le lacrime agli occhi. Sarebbe andato da James! Era stato lui, proprio in quella lettera, a proporgli di passare da lui per qualche giorno durante le vacanze! "Certo" si disse Sirius, mentre con euforia gettava a casaccio la sua roba nel proprio baule "non sono proprio un paio di giorni, ma..."
E mentre ridacchiava, isterico, afferrò una pergamena e vi scrisse sopra, a lettere cubitali un'unica parola: "ADDIO".
Lanciò un ultimo, speranzoso sguardo alla sua stanza: il suo disordine sembrava veramente fuoriluogo, in quella casa pulita fino all'ultimo granello di polvere; ma lui sapeva che la vera differenza col resto della sua famiglia dipendeva da altro. Dai suoi amici, dalla sua Casa, il Grifondoro, dai colori rosso-oro che tappezzavano ogni superficie della sua camera, lo stendardo del leone su uno sfondo rosso incollato alla parete con un incantesimo di adesione permanente, accanto alle foto di motociclette e ragazze in bikini...
E subito dopo aver assicurato il proprio baule alla sua Comet Duecentosessanta con un incantesimo Incarceramus, vi montò sopra e, con l'immagine di un'inorridita signora Black e di uno spaventatissimo Kreacher che sta per essere punito per non aver eseguito gli ordini impressegli nella mente, si lanciò dalla finestra e — «Al diavolo i babbani!» — prese quota e, dopo due eterne settimane, finalmente sentiva l'aria fresca squarciargli il viso, mentre si lasciava alle spalle la vecchia, muffita, odiata Grimmauld Place.
  
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