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Autore: Aura    14/09/2013    1 recensioni
Diana cambia città, trasferendosi in un posto dove l'unica persona che conosce è Michele, un tempo suo mentore ma ora praticamente un estraneo, dopo dieci anni in cui non si sono né visti né sentiti. E quando lo rivede capisce che quello che prova è ben più della nostalgia di un'amicizia: ma Michele è anche il suo nuovo capo, e il ricordo del loro passato è troppo bello, così l'unica cosa sensata da fare è cercare di soffocare quel sentimento nascente.
Riprenderà in mano le bottiglie e ricomincerà a fare la barista, lasciando che Michele ancora una volta torni ad essere il suo mentore; lei dovrà solo preoccuparsi di tenere a bada i pensieri che hanno iniziato a tormentarla.
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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daiquiri        









Quando la macchina si fermò sotto casa Diana si slacciò stancamente la cintura di sicurezza, scese dalla macchina e a occhi chiusi lasciò che fosse il rumore dei passi di Michele a guidarla verso casa, fino in ascensore, dove si appoggiò allo specchio e aprì un poco le palpebre: era stata una bella giornata ma intensa e faticosa, era letteralmente distrutta.
Quando le porte dell'ascensore si aprirono Michele l'avvisò:
– Vieni tra un quarto d'ora: ti aspetto per la pizza.
Diana spalancò gli occhi e la bocca.
– Ma sei matto? A quest'ora? Sono le quattro, chi è che ti porta la pizza adesso?
Lui scosse la testa, mentre apriva la porta di casa sua.
– È surgelata, la scaldo solamente. Ehi, non mi guardare così: dovrai pur mangiare qualcosa!
Diana si arrese, sorridendo.
– A dopo, se ci arrivo.
– Lascio la porta socchiusa: non suonare il campanello, sveglieresti tutti. A parte noi qui ci abitano persone per bene,

Avendo tempo si fece una velocissima doccia, per levarsi di dosso l'appiccicume dell'alcol che si era rovesciata durante la serata, e fortunatamente quella la svegliò un po'.
Si infilò una tuta e attraversò in punta di piedi il pianerottolo, trovando la porta aperta come lui le aveva detto.
– Michi! – lo chiamò, a mezza voce, guardandosi intorno. – Sono qui!
Osservò la casa: era più bella e più grande della sua, arredata in modo minimalista ma curato. Una grande libreria troneggiava in salotto, occupando quasi tutta la parete. Non avendo avuto risposta decise di curiosare tra i volumi e i vinili riposti, chiedendosi se era umanamente possibile spaziare tra tutti quei generi. Poi si voltò, e ammirò la collezione di Dvd: che sciocca, si trattava di Michele, Google.
– Lo sai che non ti lascerò portare via niente di quello che vedi qui?
Diana sussultò, scoprendolo mentre era appoggiato allo stipite a guardarla. I suoi capelli erano umidi, sentiva fin da lì il profumo di bagnoschiuma, e quella combinazione le chiuse lo stomaco.
– Andiamo, – cercò di essere disinvolta. – adesso siamo vicini di casa: dove pensi che potrei dimenticarmeli?
Michele scosse la testa, attraversando la sala e raggiungendo la cucina, seguito da lei.
– Un libro. – diceva, – Un libro ti ho prestato e non l'ho più rivisto. Non se ne parla proprio.
Sembrava severo, eppure sentendo la sua voce non poteva fare a meno di sorridere.
– Certo che te le leghi al dito le cose: non ti ricordavi che mi hai sempre chiamato Daiana, ma quel libro mica te lo scordi! – sbuffò, sedendosi a tavola mentre lui tirava fuori le pizze dal forno.
Doveva cercare di parlare, per evitare di soffermarsi sul pensiero che più si fermava lì, in casa sua, più era imbarazzata.
– Allora, come sono andata stasera? – chiese, continuando a muoversi sulla sedia.
Michele le mise davanti il piatto, con un mezzo sorriso sarcastico.
– E tu dimentichi che non sono Frank: io non ti liscerò mai il pelo, dicendo che sei la migliore. – e bloccò il sorriso che stava spuntando sul viso di Diana, – specialmente perché non è così.
Di tutta risposta lei arricciò il naso, masticando di gusto.
– È la seconda allusione a lui che fai oggi: devo dedurre che non siete più in buoni rapporti?
– Ci arrivi solo adesso? Abbiamo sempre avuto idee diverse: a me interessava fare un buon lavoro con le risorse che avevamo a disposizione, a lui le grandi cose. Pavoneggiarci a migliori, presenziare a mille fiere, riempirci l'agenda di corsi in città sempre nuove.
Effettivamente era tipico di Frank: un tempo lo considerava un grande, ma poi, dopo aver conosciuto Michele, aveva iniziato a vederlo per quello che era, ovvero un montato. Bravo, per carità, ma pur sempre uno a cui interessava più apparire che essere.
– E Luca? – gli chiese. Sapeva che erano sempre stati amici, ancor prima del discorso della società; era stato infatti Luca a presentarlo a Frank.
Michele scrollò le spalle, bevendo un sorso di birra.
– Ci si sente. – disse, semplicemente.
Diana si concentrò sul cibo: stava crollando in piedi, più in fretta avrebbe finito la pizza prima sarebbe potuta andare a dormire.
– Che faccino. – commentò infatti Michele, – Ma non eri tu quella che voleva spaccare il mondo?
Sorrise, guardandolo di sottecchi.
– Una volta un vecchio saggio mi disse: quando avrai la mia età capirai, e spero che anche tu avrai qualcuno che ti romperà le scatole come tu fai con me. – Lo vide sorridere, e continuò. – Ironico che sia proprio quel vecchio saggio, stanotte, che mi tiene sveglia. – Gli lanciò uno sguardo complice e continuò a mangiare: non c'era bisogno di dire altro.

– Diana.
– No. – bofonchiò.
Daiana? Svegliati, non puoi dormire qui, nella mia cucina.
– Tipregosolocinqueminuti...



Quando aprì gli occhi un senso di smarrimento la colse: non era a casa sua. E non era neanche nel suo nuovo appartamento. Si rigirò, scoprendo di essere su un divano, e mettendo a fuoco la stanza vide l'enorme libreria, che le suggerì immediatamente che era a casa di Michele. Istintivamente si toccò le guance: se avesse sbavato sul suo divano non sarebbe stata più in grado di guardarlo negli occhi; no, era tutto a posto.
Si alzò, spostando la coperta che lui le aveva messo, e a passi malfermi raggiunse la cucina, da cui sentiva arrivare dei rumori.
– Scusami. – disse, affacciandosi alla porta.
Michele sollevò lo sguardo dal giornale, e poi tornò a leggere, senza degnarla di una parola.
– Ehi, raggio di sole, ti ho chiesto scusa: non l'ho fatto apposta! – prese le sue chiavi, appoggiate sul tavolo, e si girò borbottando. – Me ne torno a casa mia.
C'erano momenti in cui sentiva che tra di loro scorreva la stessa sintonia perfetta di quando si erano conosciuti, e degli altri momenti in cui lui la guardava come se fossero due estranei, e lei fosse una da tenere a debita distanza.
Attraversò il pianerottolo, gelando con lo sguardo il tecnico dell'ascensore che l'aveva vista uscire da una casa ed entrare in un altra, e si chiuse la porta alle spalle. Che fosse venuto lui a dirle quando era l'ora di andare al lavoro: per conto suo sarebbe potuta rimanere a casa, non le aveva fatto sapere niente.
Andò direttamente nella sua camera e si buttò sul letto.


– Vado un attimo... – provò a dire, ma Diana lo bloccò:
– No, ti prego stai qui! Avevi detto che saresti stato con me, ed è solo la seconda sera. – gli ricordò.
Michele aveva sbuffato bonariamente e si era messo comodo, appoggiandosi alla ghiacciaia.
Diana, tra un Cuba e l'altro che metteva sul bancone davanti alla marmaglia di gente gli sorrise, ringraziandolo.
Quel pomeriggio si era presentato come se niente fosse alla porta di casa sua, per dirle l'ora per cui si sarebbe dovuta far trovare pronta, come se lei quella mattina non l'avesse praticamente mandato a quel paese. Così Diana aveva sorvolato sul fatto che lui era stato scortese, e l'aveva invitato a entrare per un caffè.
Ed era tornato tutto come prima.
Stava iniziando a prendere più confidenza con il lavoro, ma la sua presenza accanto a lei la faceva sentire più sicura: quando aveva un dubbio, quando si sentiva fuori luogo, bastava che lo guardasse, ed ecco che la determinazione tornava a spingerla. Voleva che Michele fosse fiero di lei.

– Stefano continua a dirmi che devo inventarmi un ruolo. – sbuffò, quando furono in macchina. – Cecilia era la scatenata, lui e Fabio sono l'oggetto del desiderio delle ragazzine e l'altro? Come si chiama, Gianni? Beh, lui fa il tenebroso.
– E io chi sarei, secondo Stefano? – chiese, divertito.
– Ah, ma è chiaro: tu sei il boss!
Michele rise di gusto, mentre parcheggiava.
Daiana, tu sarai quella che intimidirà i ragazzini che provano a voler bere gratis. – la prese in giro.
– Mi darai un'ascia da usare?
– Certo, e anche un arco.
Ridacchiò, seguendolo verso casa. Iniziava ad avere paura: quel giorno aveva dormito, e non era più così stanca come la sera prima, ma forse lui avrebbe preferito evitare di invitarla ancora, vedendo come aveva reagito quella mattina. Non doveva fargli capire che se lo aspettava, assolutamente.
– Allora domani mattina andiamo al Daiquiri ad allenarci?
– Tarda mattinata o primo pomeriggio.
Diana si stiracchiò vistosamente, mentre l'ascensore saliva al loro piano.
– Allora sarà meglio che io non perda tempo davanti alla tv vada a letto immediatamente. – dichiarò.
– Come, non mangiamo? – le chiese aggrottando le sopracciglia, quando raggiunsero il pianerottolo. Si fermò con le chiavi in mano, a guardarla.
– Oh, beh, – balbettò intimidita, – io non pensavo...
Michele le sorrise.
– Non vuoi la pizza? E va bene, ti faccio un piatto di pasta. – disse, voltandosi e andando ad aprire la sua porta. – Ricordati di non suonare.
Diana rimase sul pianerottolo, a guardare la porta che si accostava. Ma come faceva Michele a farla sentire sempre così? Più cercava di ricordare e più poteva giurarlo: in passato non lo aveva mai, mai considerato bello. Non perché non lo fosse, ma perché lo vedeva come una figura enormemente più adulta di lei: Diana non aveva neanche vent'anni, e lui aveva una vita intera di esperienze sulle spalle. Michele era il suo mentore, insieme era come se non avessero sessualità, non c'era mai stato un dubbio su quello. E ora, più guardava il suo viso, rude ma bello, più sentiva la sua voce, più voleva sprofondare.
Pur di staccarsi quei pensieri dalla mente cercava in lui la figura che aveva sempre significato, richiedendo la sua approvazione, permettendogli di insegnarle nuove cose, ma non stava funzionando; anziché riportarla allo stadio di ammirazione asessuata Michele diventava semplicemente più desiderabile ai suoi occhi, e al tempo stesso più irraggiungibile. Lo sapeva, lui non l'avrebbe mai guardata, e lei non voleva rendersi ridicola, correndogli dietro per poi essere rifiutata, e rovinando non solo quello che in quei giorni avevano ricostruito, non solo quella che sarebbe stata la sua nuova vita, ma anche il ricordo della loro amicizia.

– Sai a cosa stavo pensando? – disse, entrando nella sua cucina . Michele era girato di spalle, così lei continuò. – Ora ho la stessa età che avevi tu quando ci siamo conosciuti: non è incredibile? Mi sembravi
così grande, e ora io ho la stessa età.
– Un paio in meno, bambina. – sottolineò, mettendo i piatti sul tavolo.
Diana gli diede a vaschetta di gelato che aveva portato: voleva contribuire alle loro cene.
– Che differenza fa?
Alzò eloquentemente un sopracciglio e si sedette di fronte a lei.
– Pare che ce ne sia molta, stando a quello che mi ha detto Stefano, a come hai reagito quando ti ha dato della trentenne. – stappò il vino rosso e gliene versò un calice, per poi versarsene per sé.
– Il gusto del mangiare. – divagò Diana, ricordando come secondo lui ogni pasto andava accompagnato dalla giusta bevanda. Annusò il vino e gli porse il bicchiere, per un brindisi. Michele lo guardò per qualche istante, poi lo fece scontrare svogliato contro il suo.
– E comunque io preferisco pensare che ci sia una differenza. – dichiarò, iniziando a mangiare.
Solitamente gli avrebbe chiesto una spiegazione, ma in quel momento qualcosa la induceva a non farlo, nonostante quell'affermazione fosse rimasta nella sua testa continuando a vorticare, in cerca di una soluzione.




Nda: allora, innanzitutto un grazie enorme a Bloomsbury, che ha letto e commentato i primi due capitoli, riempiendomi di gioia. Lo sai che non sei costretta, vero? ;-)
E secondo di tutto... voi non avete la minima idea di quanto mi stanno facendo dannare questi due protagonisti: ricordatevi, non è colpa mia ma è colpa loro. Capirete più in là, non temete.
Viva il fandom delle originali. Sì, vi sto un po' allisciando, si sa mai che mi prendiate in simpatia ;-)

   
 
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