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Autore: alessandra_abagnale    14/09/2013    2 recensioni
"Ti ripeto che tutto si risolverá, l'amore è forte"
Sorrisi.
"L'amore è forte" guardai la luna "io non più".
Genere: Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Alzai il cappuccio della felpa e accellerai il passo mentre camminavo verso la strada di casa.
Il sole era calato, una brezza leggera iniziava ad accarezzarmi le guance rosa e il ronzio dei lampioni prese ad intensificarsi non appena tutta la strada fu illuminata da quelle palle elettriche.
Era una normale sera di marzo, o era quello che credevo fosse.
Sentii un paio di voci ridacchiare alle mie spalle ma continuai a camminare non curante delle battute piene di disprezzo che iniziavano a riempire l'aria.
Sospirai e infilai le mani nelle tasche della tuta cercando di riscaldarle nel miglior modo possibile.
Lezioni finite tardi, auto senza benzina, ultimo pullman passato pochi minuti prima che arrivassi alla fermata.
-"Mostro" sentii urlare, poi qualcuno scoppiò a ridere.
-"Perchè puoi camminare da sola per strada? Dovrebbero togliervi questa possibilitá, non credi anche tu?" una voce femminile diversa da quella precedente alzò il tono di un'ottava per raggiungere le mia orecchie.
Sistemai meglio il cappuccio e portai le braccia al petto sentendo il cuore accellerare quasi corresse per una maratona.
Silenzio.
Riuscivo a sentire solo il mio respiro e i battiti del mio cuore che correva all'impazzata.
Tirai fuori dalla tasca il cellulare.
Nessun segno di vita.
Stupido telefono.
Lo portai comunque all'orecchio e simulai una chiamata quasi urlando.
-"Non credi che il trucco del telefono sia un po' vecchio?" una figura abbastanza alta mi spuntò avanti.
Sussultai lasciando cadere il cellulare sull'asfalto rompendolo in più pezzi.
-"Merda" bofonchiai.
Mi chinai velocemente per raccogliere i pezzi e sperare di ricomporli una volta tornata a casa.
-"Lascia stare, non ti servirá" sussurrò qualcuno alle mie spalle.
Una ginocchiata mi colpì in pieno viso facendomi distendere sulla schiena.
-"Che ti salta in mente?" sputai massaggiandomi lo zigomo indolenzito e pulendo il sangue colato fuori dal naso con la manica della felpa.
-"Persone come te non sono accettate in questa cittá" un calcio nelle costole mi fece piegare su me stessa.
Sentii un sapore metallico in bocca e sputai macchiando la strada di sangue.
-"Vi prego, lasciatemi andare" supplicai agonizzante.
-"Quando avremo finito potrai andare, te lo prometto" la figura avanti a me mi accarezzò la guancia prima di far incontrare violentemente il suo palmo freddo contro di essa.
Mi rannicchiai contro il muro e aspettai.
Aspettai che andassero via, che il sole sorgesse di nuovo , aspettai tanto.
Poi il buio.
Quando mi risvegliai era notte fonda, le stelle brillavano e un leggero strato di nebbia mi avvolgeva.
Tirai la borsa verso di me e trascinai i piedi verso casa.
Gli occhi continuavano a pizzicare e il labbro iniziò a bruciare fastidiosamente.
Passai il dito tremante su un taglio, piccolo o grande che fosse, che divideva in due parti quasi uguali il labbro superiore.
Entrai nel mio appartamento ed aspettai che il getto di acqua bollente riempisse la vasca bianca del mio bagno.
Tolsi con attenzione i vestiti sporchi rimanendo in biancheria.
Sfregai delicatamente il dorso della mano sullp zigomo violaceo a lasciai che altre lacrime continuassero a rigarmi il volto.
O quello che ne restava.
Guardai attraverso lo specchio del bagno il mio riflesso distrutto.
Zigomo gonfio, labbro spaccato e del sangue secco che aveva per fortuna smesso di colarmi dal naso.
Distrutta fuori e dentro.
Più dentro, per quanto sia difficile da comprendere.
Presi un respiro profondo e mi morsi la lingua per non lanciare un gemito straziante.
Respirare era difficile, quasi quanto aprire la bocca per mostrare uno di quei sorrisi finti che mi sarebbero serviti a far credere a chiunque che stessi bene.
Anche ridotta in quelle condizioni.
Perchè a me?
Perchè mostro?
Perchè proprio io?
Urlai tirando un pugno contro lo specchio che si frantumò ai miei piedi.
Frammenti appuntini mi colpirono le gambe nude.
Chiusi l'acqua e tornai in cucina camminando con un espressione vuota sui frammenti dello specchio.
Sentii i piedi bruciare ma continuai a camminare lasciando il mio appartamento senza abiti.
Scalza, quasi nuda, infreddolita e agonizzante.
Nessuno era in strada per godersi uno pettacolo simile, magari gli artefici di tutto quello sarebbero stati contenti di vedermi in quelle condizioni.
-"Hanno ragione Als, sei un mostro" sussurrai a me stessa.
-"I mostri non esistono, non devono esistere" continuai abbozzando un sorriso.
Il riflesso candido della luna si specchiava in una pozzanghera sporca.
Poi apparve il mio viso.
-"Te lo meriti" mi guardai "meriti questo ed altro" sospirai.
-"Le persone come te non sono accettate in questa cittá. Le persone come te non sono accettate da nessuna parte" con un passo l'acqua iniziò a tremare così come il riflesso del mio volto.
-"Sei diversa, ed essere diversi è male" raccolsi da terra una bottiglia vuota di birra.
-"Ed ora sarai punita" feci incontrare violentemente il fondo della bottiglia verde contro il muro e questa si frantumò.
Raccolsi i pezzi di vetro dall'asfalto e cominciai a stringerli lentamente tra le mani.
Una lacrima salata incontrò la ferita sul labbro provocandomi fastidio.
Ripresi a camminare.
Il vetro verde era ancora stretto tra le mie mani.
Tanti puntini illuminati mi annebbiarono la vista poi osservai il ponte di ferro avanti a me.
Aprii le mani e mi liberai dei frammenti di vetro e raggiunsi la parte laterale del ponte.
Salii a fatica sulla superfice gelata e mi sedetti lasciando le gambe penzolare nel vuoto.
Il vento freddo mi abbracciava e il rumore dell'acqua al di sotto del ponte sembrò quasi perforarmi le orecchie.
Alzai le spalle un paio di volte poi mi fermai ad osservare la luna.
Così grande, bianca, rotonda, a dir poco perfetta.
Un debole raggio bianco illuminava le mie gambe dalle quale usciva qualche goccia di sangue per via dello specchio rotto.
Sospirai e chiusi gli occhi gettando la testa all'indietro.
Lasciai fuoriuscire una dolce melodia dalle labbra semi aperte e rilassai i muscoli del viso lasciando che tutto il dolore andasse via con le note da me cantate.
Ero piccola, forse troppo piccola quando mi accorsi di essere diversa.
Ero spaventata, come quella sera, forse di più Sentii una vocina nella mia testa urlare.
-"Sei un mostro" continuava a ripeterlo senza fermarsi un secondo.
Da piccola usavo quella parola per descrivermi.
E piangevo, tanto, ogni volta che ci pensavo.
Ma sapevo che in fondo non era colpa mia.
Come poteva esserlo?
Ero solo stata punita.
Nascere così ed essere considerata strana, diversa, malata.
Non credevo fosse una malattia alla fine.
Le malattie dopo un po' passano, si guarisce.
Io per quanto mi sforzassi non riuscivo a guarire.
Ero sempre quella.
Non conoscevo ancora l'amore.
Era solo un capriccio.
O volevo convincermi che lo fosse.
Un brivido mi attraversò la schiena percorrendomi la colonna vertebrale.
-"Le creature del diavolo" mi diceva spesso la mia maestra di religione.
Ed io piangevo, ancora.
Non ero una creatura del diavolo, non potevo esserlo.
Una bambina non può essere definita così.
Due trecce, guance rosa, allegra e pimpante.
Una bambina così non può essere una creatura del diavolo.
Troppo innocente.
Rimanevo zitta, ad ascoltare, fingendo che tutto quello non mi toccasse per nulla.
E invece mi uccideva, mi uccideva dentro, ogni volta sempre di più.
Come un coltello, feriva dannatamente.
La cosa più difficile era giustificare le lacrime durante quei discorsi.
Quanti mal di pancia improvvisati, quanti sorrisi forzati.
Poi l'amore arrivò, e non mi sentii più così sbagliata.
Come poteva una cosa che mi rendesse così felice essere sbagliata?
Lasciai andare via tutte le preoccupazioni con la paura che avevo di uscire allo scoperto.
Non mi interessava quello che pensava la gente.
Non più di tanto.
Ero felice, non dovevo più nascondermi, non ne avevo più bisogno, e mi andava bene così.
Alla mia ragazza no.
Lei era debole e non sono stata brava a proteggerla abbastanza.
Così me l'hanno portata via.
Era troppo per lei, ma non ha nessuna colpa.
Sono le persone ad essere troppo cattive. Lei era solo fragile, ma non era colpa sua, davvero.
Mi guardai le mani insanguinate e piansi, consumando le ultime lacrime rimaste.
Riaprii gli occhi e guardai in basso.
Una strana sensazione mi strinse lo stomaco.
Ero crollata, mi ero frantumata, proprio come il mio specchio.
Caduta a terra e rotta in mille pezzi.
Pezzi che mai più nessuno sará in grado di rimettere insieme.
Un auto nera sfrecciò alle mie spalle frenando di colpo.
Sentii la portiera aprirsi e il rumore di due scarpe eleganti toccare l'asfalto.
-"Sei impazzita? Scendi da lì" l'uomo appena sceso dall'auto ulrò avvicinandosi lentamente.
-"Ho sempre provato ad immaginare cosa si provasse a lanciarsi da un'altezza del genere" sorrisi guardandolo e tirai su con il naso.
-"Ascolta, qualunque cosa sia successa può risolversi" allungò le mani avanti a lui e si avvicinò.
-"Non muoverti" sibilai.
-"Non muovo più un altro passo se scendi da lì" continuò estraendo il cellulare dalla tasca della giacca.
Scossi la testa ridendo.
-"È inutile" gli occhi si riempirono nuovamente di lacrime salate
-"È l'unica soluzione rimasta"
-"Cosa ti è successo? Possiamo chiamare la polizia, risolveranno tutto loro" digitò un numero velocemente.
-"È l'unica soluzione" continuai a ripetere guardando avanti a me.
-"Per fare cosa? Delusione amorosa?"
-"No, per essere libera" lo guardai straziata.
-"Io posso aiutarti davvero" mosse un altro passo.
-"Non muoverti" strillai "Nessuno può aiutarmi" portai le mani tra i capelli.
-"Sei una ragazza così bella, troverai un altrq persona che saprá amarti, ascoltami" mi guardò.
-"Me l'hanno portata via" strinsi gli occhi.
-"Chi? Chi hanno portato via?"
-"L'unica ragione di vita, senza di lei non sono più nulla" abbassai lo sguardo.
-"Sono certo che tua sorella non vorrebbe che ti buttassi da venticinque metri in acqua" allungò ancora le braccia. 
-"Mia sorella?" risi istericamente "la mia ragazza" fissai i suoi occhi "la mia ragazza è andata via"
-"Si risolverá tutto lo stesso, tornerá, vedrai" mi porse la mano aperta.
-"Loro hanno detto che non c'è posto per una come me in questa cittá" sospirai "in nessuna cittá c'è posto per.. una come me" mi indicai spalancando gli occhi.
-"Ti ripeto che tutto si risolverá, l'amore è forte"
Sorrisi.
-"L'amore è forte" guardai la luna "io non più".
Mi diedi una spinta leggera è tutto intorno a me iniziò ad accellarare.
l vento mi scompigliava i capelli che svolazzavano liberi in tutte le direzioni.
Le lacrime cessarono di appannarmi gli occhi.
Un sorriso comparve sul mio volto e lasciai che ogni tensione lasciasse il mio corpo.
La luna quella notte era più grande della terra.
Era una di quelle notti di luna piena dove gli innamorati invece di ascoltare il suo silenzio e la sua musica argentata, le chiedevano nervosi di parlare, di spiegarsi, di invadere il loro destino per sapere quale strada avrebbe preso il loro amore.
Ma lei rimaneva in silenzio, brillando come una sfera candida illuminando gli innamorati con i suoi flebili raggi.
E loro sorridevano.
Quella sera anche io sorridevo, illuminata dalla luce bianca e chiara della luna.
E cadevo leggera, come una piuma che si poggia leggiadramente al suolo, come una farfalla dalle ali colorate che si posa su un fiore profumato.
Chiusi gli occhi e galleggiai nell'aria prima che tutto quello finisse.
La sera del 21 marzo morii.
Ero finalmente libera

 
  
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