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Autore: AsanoLight    15/09/2013    1 recensioni
Una raccolta di flash-fics e One-shots sul personaggio di Tokitatsu ed il rapporto che ha con il fratello Hirato.
Vari inserti anche sulla pairing Hirakari.
Genere: Demenziale, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Akari, Hirato, Tokitatsu, Tsukitachi
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie '♣ Karneval Parade'
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Titolo: A Night on the Starry Sky
Pairing: Hirakari
Personaggi: Akari, Hirato
Avvertenze: One Shot
Wordcount: 1245






Akari entrò nello studio di Hirato con passo felpato, aprendo la porta con delicatezza. Quasi fu sorpreso dall’aver trovato il comandante appisolato alla sua scrivania, con la testa nascosta tra le conserte braccia. Respirava piano e silenzioso, una vista che strappò un dolce sorriso al dottore. Gli si avvicinò senza tanti preamboli, poggiando il mento nell’incavo della sua spalla e baciandogli il retro dell’orecchio.

«Buongiorno, dormiglione», gli mormorò smielato, respirandogli vicino e rafforzando la presa attorno al suo collo, «Non ti ammazzerò mica se stringo un po’ più forte, vero?».

«Nessuno è mai morto d’amore», rispose franco il comandante, con la testa ancora bassa, sorridendo tuttavia rasserenato. Si voltò e si lasciò affogare in quel lucido tramonto che erano i suoi occhi mentre portava una mano al suo collo sfiorandolo.

Akari era docile quella sera. Si lasciava accarezzare mansueto, come se la paura che qualcuno potesse fare improvvisamente irruzione nello studio fosse stata l’ultimo dei suoi problemi. Hirato si prese allora le sue libertà e decise di azzardare cercando di allentare la cravatta del dottore ma la sua mano gli impedì ogni altro movimento, bloccandogli fermamente il polso.

«Aspetta», mormorò interrompendo un bacio.

«Cosa c’è che non va?»

«Andiamo in terrazza»

«In terrazza?», ripeté il comandante in uno smaliziato sorriso.

Il dottore annuì serio ed imbarazzato. Hirato comprese.

C’era aria di romanticismo, poteva sentirlo.

 

«Non mi sarei mai aspettato che Akari-san decidesse mai di fare qualcosa di sua iniziativa», commentò sereno, osservando il firmamento e disperdendo il suo sguardo tra le stelle che popolavano il cielo notturno. Akari teneva entrambe le braccia poggiate al parapetto, il mento a sua volta alzato, in direzione di quel cielo, lo stesso che stava in quel momento fissando il comandante con aria incerta, cercando di capire cosa ci avesse trovato di più interessante del suo volto.

Voleva attenzioni, odiava ammetterlo perfino a se stesso.

Avanzò verso il corvino, mantenendo un’espressione imbronciata, e gli afferrò la mascella con una mano portandolo a voltarsi verso di lui.

«Dovresti riposarti di più Hirato», sibilò, e lentamente avvicinava il suo viso a quello del comandante, «Cominci ad avere le occhiaie».

Il corvino non attese altri segnali, gli parve di cogliere la fretta di Akari nell’unire quella bocca alla sua e d’un tratto anche lui sentì la stessa urgenza, lo stesso desiderio di sfiorargli le labbra, le stesse sulle quali si fiondò passionalmente dopo nemmeno un secondo, con gli occhi semichiusi, cingendo allo stesso tempo la vita del dottore. Silente, Akari se ne stava docile tra le sue braccia, si lasciava spogliare solo con lo sguardo mentre la brezza autunnale accarezzava i loro corpi.

Hirato sorrise, lasciando che le loro membra aderissero completamente le une alle altre, completandosi come fossero state tessere d’un puzzle.

Passava le sue nude mani tra i capelli di Akari e capiva che era amore. Si riempiva narici, polmoni ed anima del suo odore, finché il cuore non gli scoppiava in petto e non gli pareva di bruciare.

Allora capiva che era davvero innamorato.

Capiva che era al settimo cielo.

 

«Stringiti forte a me, Akari»

 

Gli sibilò sensualmente quelle parole nell’orecchio, aumentarono i battiti del suo cuore quando non udì nessuna protesta da parte nel ricercatore ma la sua unica risposta, una stretta aumentata sul suo cappotto, il mento incastrato nell’incavo della sua spalla.

Hirato cinse la vita del dottore con le sue grandi mani e gli baciò l’orecchio mentre, avvolto dal vento, si sollevava in aria, staccandosi dalla terrazza della Seconda Nave.

 

«Hai paura dell’altezza, Akari?», gli domandò d’un tratto, trattenendogli con forza la vita, come temesse potesse cadere da un momento all’altro. Il dottore restò con gli occhi chiusi, scosso da un brivido di freddo, senza muovere un muscolo con il timore che Hirato potesse lasciare improvvisamente la presa. Negò con il capo, e fece salire le braccia fino alla sua nuca, avvinghiandovisi: «Non dire idiozie razza di bastardo. Hai un’opinione così bassa di me?».

«Forse la stessa che Akari ha di me», gli rispose di tono Hirato in un sorriso, mentre strisciava affettuosamente il mento sul collo del dottore. Akari arrossì ed aggrottò la fronte irritato.

Aveva colto nel segno.

 

«Pensavo di averti detto di voler rimanere sulla terrazza», mormorò d’un tratto cambiando discorso e cominciando a prendere confidenza con l’altezza ed aprire a mano a mano gli occhi. Sussultò osservando e luci della città sotto il suo corpo, disperse nel vuoto.

 

«Qualcosa ha catturato la tua attenzione, Akari?», chiese Hirato, avvinghiandoglisi con più forza, soffocando un sorriso nella sua spalla. Il dottore annuì e vinse la paura dell’altezza staccandosi dalla clavicola e cercando gli occhi dell’altro.

Assentì poi nuovamente con un cenno del capo ed avvicinò il volto a quello del comandante: «Stavo pensando a quanto belle sono le luci sotto di noi. E’ come se fossero diventate lo specchio del cielo». «Akari-san è poetico questa sera», si lasciò sfuggire Hirato in un sorriso, «Oltre ad essere particolarmente romantico. A cosa aspiri, Akari? L’altra notte non ti è forse bastata?».

Il dottore s’infuriò all’udire di quelle parole e strinse un pugno mostrandoglielo davanti alla faccia e suscitando la risata ancora più divertita del comandante, che lasciò andare un suo fianco per racchiudere la sua mano e proteggerla.

«Come sei carino», si lasciò sfuggire unendo le sue labbra a quelle del ricercatore, «Non potermi nemmeno colpire, con il timore di cadere...».

«No», borbottò Akari, prendendogli d’un tratto il viso tra le mani e guidando il comandante in un profondo bacio, che gli tolse quasi il respiro tanta l’intensità, che lo lasciò di stucco non aspettandosi una risposta tanto onesta, «Non mi è bastata. E credo non sia bastata neppure a te». Hirato sorrise, raggiunse ancora una volta le labbra del dottore e volò ancora più in alto, lontano di fuochi della città, come cercasse di avvicinarsi di più alla Luna.

Ma non osò staccarsi da quelle morbide labbra.

 

«Sei un talentuoso bugiardo, Akari», gli sussurrò d’un tratto, sfiorandogli una coscia e stringendolo ancora più forte a sé, «Continui imperterrito a ripeterti quanto odi ricevere queste mie coccole, quanto odi essere sfiorato, toccato, amato... Ma alla fine sei sempre qui, accanto a me».

Il ricercatore abbassò paonazzo lo sguardo, stringendosi alla nuca del comandante, sentendo la pelle, sotto i pantaloni di tela, sussultare sotto il tocco accorto di Hirato.

Aveva ragione. Era un dannato bugiardo. Ma entrambi giocavano la stessa partita.

Alzò il mento e lo baciò ancora una volta, come per dargli ragione senza proferire parola.

Una ragione che tuttavia riempiva il petto di Hirato di orgoglio ed il suo cuore di amore.

 

 

 

«Ce ne torniamo a bordo, che ne dici Akari-san?». Il dottore annuì silenziosamente, lasciando scorrere le sue mani attorno al colletto della camicia di Hirato, d’un tratto impaziente di spogliarlo e lasciarsi possedere, la stessa impazienza che era sicuro di avergli trasmesso.

Hirato sogghignò una volta posati entrambi i piedi a terra e gettò Akari sul divano del studio. Lo fissò poi per un attimo in volto, come se stesse attendendo gli dicesse qualcosa ma il dottore non parlò. Si lasciò portare via del comandante nella sua camera, preso in braccio come fosse stato una principessa, imbarazzato dall’essere scrutato dagli occhi robotici delle pecore ed al contempo divorato dall’impazienza.

 

«L’altra notte non ti è forse bastata?»

Le parole di Hirato gli riecheggiavano nella mente e si mescolavano con l’odore della sua pelle. Baciò il petto coperto dalla camicia e sospirò.

 

No”, pensò, “Quando ami non ti basta mai”.

 

Ma non gliel’avrebbe mai detto.

   
 
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