Settantadue
Милая,
милая, милая
Milaya, milaya,
milaya
Dolce, dolce, dolce
Novosibirsk,
28 Novembre 2013
Милая,
милая, милая
Нежный
мой ангел
земной
Только
однажды был
счастлив я
В
день нашей
встречи с
тобой
Milaya, milaya, milaya
Nežnyy
moy angel zemnoy
Tol’ko
odnaždy byl sčastliv ya
V
den’ našey vstreči s toboy
Dolce, dolce, dolce
Mio delicato angelo della terra
Solo una volta sono stato felice
Il giorno del mio incontro con te
(Милая, милая, милая, Philipp
Kirkorov)
-Riferito
a Lev e Aljona-
-Ehi, Puškin! Dove vai adesso?-
La domanda gli era stata rivolta da
Aleksandr Dmitrievič Volkov, un suo compagno di classe della scuola
serale, mentre uscivano da quest’ultima.
Aveva ventitré anni, un padre ex
muratore invalido in seguito alla caduta da un’impalcatura, una madre donna di
servizio che guadagnava terribilmente poco e due fratelli minori da mantenere.
Per questo aveva lasciato il Ginnasio
otto anni prima, ma adesso aveva un lavoro stabile e sufficientemente
remunerato e aveva ripreso a studiare.
Era un ragazzo semplice e simpatico,
sempre molto gentile con Lev perché “Mi sembri un tipo a posto, e se la gente
tratta come un Dio Putin, che è uno dei più grandi delinquenti del secolo, io
posso trattare normalmente un ex terrorista che mi sta simpatico”.
Si sedeva sempre al banco vicino al suo
e tutte le sere gli chiedeva: “Come sta la famiglia?”, come se Lev avesse una
famiglia normale di cui poter parlare tranquillamente proprio come la sua.
Aleksandr considerava Lev un mezzo
genio, perché rispondeva sempre a tutte le domande e scriveva dei temi
fantastici, pieni di idee e di disarmante sincerità, sapeva tutto sulla
letteratura russa e sulle vite dei suoi scrittori preferiti e anche
l’insegnante lo guardava un po’ impressionata, colpita dal fatto che uno
studente così brillante fino a un anno prima fosse in prigione.
Se le cose fossero andate diversamente,
in quel momento Lev avrebbe fatto scintille ad Akademgorodok.
Ma aveva ancora il tempo di diventare
l’eroe della facoltà.
E sorrideva, Dar’ja Anatol’evna
Rasputina, perché all’inizio era preoccupata all’idea di avere un pregiudicato
in classe, ma adesso quel pregiudicato era il suo alunno migliore, il suo
orgoglio assoluto.
Lev, poi, usciva dalla classe come se
andasse incontro a qualcosa di straordinario, anche quando doveva solo tornare
a casa da suo padre, e questo contribuiva a renderlo tanto simpatico agli occhi
di Aleksandr.
“Quando esci di prigione è tutto
straordinario”, gli aveva spiegato Lev. “E nel mio caso lo era anche prima,
nonostante tutte le difficoltà. Mio padre è straordinario, casa mia è
straordinaria, la mia fidanzata è straordinaria, anche se studia a Varsavia e
mi manca da morire. La mia città è straordinaria, l’inverno è straordinario. Io
non lo so, se sono straordinario, ma la mia vita è straordinaria e io sono
semplicemente troppo felice”.
Faceva il caldarrostaio e voleva
diventare professore di russo.
Sì, decisamente, era straordinario
anche lui.
-Vado a prendere le fedi- gli rispose
Lev quella sera. -Per il mio matrimonio- specificò, sognante.
-Già che ti sposi a ventidue anni,
tu...- sorrise Aleksandr, tra l’ammirato e l’incredulo.
-Lei ne ha quindici, ma tra due giorni
ne compie sedici-
-Aljona, vero? Hai parlato di lei anche
nel tema iniziale di presentazione. Tu hai fatto “La mia fidanzata”. Ma
vogliamo parlare del primo giorno? “Mi chiamo Lev Fëdorovič Puškin, ho
ventidue anni e l’11 Gennaio mi sposo”. Siamo rimasti tutti sconcertati...
E tu, assolutamente serafico e raggiante!-
-Quando torna per il suo compleanno te
la presento. È mitica, magica, Al. Pattina come la Slutskaya, non so se hai
presente. Prima di partire per Varsavia ha passato il test per l’argento,
mentre quel bastardo di Iosif Jusupov quello per l’interoro. L’anno prossimo
parteciperà ai Mondiali Juniores di Sofia, in Bulgaria, la mia Aljonka, e
purtroppo anche Jusupov, che si crede una perfetta via di mezzo tra
Pljuščenko e Jagudin, ma ha deliri d’onnipotenza, quello, credimi. Hanno
passato entrambi le selezioni, come singoli, però, naturalmente, e grazie al
cielo, perché entrambi vogliono far carriera come singoli, come la Slutskaya,
Pljuščenko e Jagudin, appunto.
Per essere bravo è bravo, Jusupov, ma Dio se è odioso… La
Dobrosjelova, la loro insegnante, o meglio ex, dato che adesso Al si sta
allenando strenuamente a Varsavia con un’altra, è davvero molto brava, anche se
ha una storia con un minorenne, vale a dire quello stalinista di Jusupov. Io
andrò a vederla, a Sofia, ai Mondiali, anche se un po’ mi preoccupa un’altro
viaggio all’estero, ma la Bulgaria, come la Serbia e la Bosnia-Erzegovina, dove
sono andato quest’estate, mi sta simpatica. Non posso non andare a vederla, il
pattinaggio è la sua vita, il suo futuro, come per me la letteratura. Sarebbe
come se lei non assistesse ai miei futuri esami all’Università, anche se certo,
quelli sono di più, e sono meno mondiali. Beh, comunque lei è fantastica.
Troppo fantastica-
-Capisco...- mormorò Aleksandr, un po’
stordito dalla sua logorrea.
Lev lo guardò vagamente scettico.
-Sicuro?-
Aleksandr ricambiò con uno sguardo
stupito.
-Certo...-
Il biondino sorrise, rassicurato.
-Adesso vado a prendere Sof’ja
Igorevna, la sorella del mio migliore amico, la mia migliore amica, e andiamo
insieme a ritirare le fedi e a organizzare un po’ di altre cose per il
matrimonio. Lei è deliziosamente simile ad Aljonka, sai? Ma Sonjetschka è più
dolce e gentile di Al. Per me Aljonka è милая,
милая, милая (milaya,
milaya, milaya, dolce, dolce, dolce), come canta Philipp Kirkorov. È la mia
dolce, la più dolce, anche se, in realtà, lei è dolce solo perché io penso che
lo sia. Per davvero non è tanto dolce. Per davvero è terribile. Però io la
guardo, e lei è милая,
милая, милая.
Quando si accoccola contro il mio petto e mi dice che mi ama, mi ama e basta,
disperatamente, con una mano sul mio cuore, in quei momenti è maledettamente
dolce-
-Sembra un sogno, la tua Aljona. Sei tu
che la sogni sempre. Forse a me non piacerebbe così tanto, ma è giusto così.
Lei è il tuo sogno. La tua Aljona-
-Tu ce l’hai una ragazza? Una così
dolce?-
-Più o meno-
-Più o meno la tua ragazza o più o meno
dolce?-
-Si chiama Anželika. Anželika
Nikolaevna Dalikova-
-E per te com’è?-
-Non così tanto. Non ancora. Però è
importante. Ci tengo, a lei-
-Vai da lei, adesso?-
-Adesso torno a casa. Igor’ ed Ivan mi
aspettano per provare le loro lezioni. Sono bravi, loro. Si impegnano, sia a
scuola che a casa. Sono dei bravi bambini. Sono fiero di loro. Spero tanto che
papà stia bene. Spero che la mamma non sia troppo stanca. Spero che, per tutti
loro, oggi sia stata una bella giornata-
-Per te lo è stata?-
-Sì-
-Allora, in ogni caso, avrai la forza di migliorare la loro.
Quelli come noi hanno la forza. Quelli come i tuoi fratelli, i tuoi genitori,
mio padre e la mia Aljona ci rendono fieri. Loro, o sono già stati forti, o lo
saranno. E comunque sono e saranno fieri di noi-
All
my bags are packed, I’m ready to go
I’m standing here outside your door
I hate to wake you up to say goodbye
But the dawn is breakin’
It’s
early morn
The taxi’s waitin’
He’s
blowin’ his horn
Already I’m so lonesome I could die
Le mie valige sono fatte, sono pronta
per andare
Sto qui fuori dalla porta di casa tua
Detesto doverti svegliare per salutarti
Ma la luce dell’alba sta entrando
È mattina presto
Il taxi sta aspettando
Sta suonando il clacson
Mi sento già cosi sola che potrei morire
(Leaving
on a jet plane, John Denver)
-Riferito
ad Aljona e Lev-
Varsavia, 28
Novembre 2013
Rynek Starego Miasta
Piazza del mercato della città
vecchia
Mancavano due giorni al
sedicesimo compleanno di Aljona e c’erano quattro gradi sotto zero, a Varsavia.
Ad Al sembrava estate, e
rideva perché poco prima al telefono Lev le aveva detto che a Novosibirsk
c’erano già diciotto gradi sotto zero, e l’Ob’ e il lago erano già ghiacciati
da quasi un mese.
La Rynek Starego Miasta era luminosa anche a Novembre, col cielo
azzurro cupo anziché celeste intenso, ma sempre la solita allegria nel
contrasto tra le tende bianche e i colori accesi delle bancarelle e dei palazzi
che circondavano le piazze, alti e sgargianti, mille finestre che si
affacciavano su mille sfumature di vita.
Alcuni ritrattisti
esponevano i loro quadri e le loro caricature, appoggiati sulla strada di
sampietrini, di fronte a uno dei tendoni del ristorante tipico Bazyliszek, sul
quale campeggiava, ripetuto più volte, il nome della birra polacca Tyskie.
Aljona, Khadija e Svetlana
erano lì con uno scopo ben preciso: comprare
il vestito da sposa di Al.
La biondina scrutava con occhi febbrili
ogni singolo abito appeso alle grucce, soppesandone tessuto, consistenza,
lunghezza, dimensioni e tonalità di bianco.
-Questo cade troppo molle, è troppo
poco aderente, a me i vestiti non aderenti stanno scomodi, non so dove metterla
la stoffa che avanza. Quello ha quelle balze lì che non mi convincono, non le
voglio le balze, mi fanno sembrare tondeggiante. Khristos, ma un vestito
bianco semplice, dritto e stretto ci sarà?! Devo sposarmi, non andare a un
matrimonio!-
Era in momenti come quelli che Khadija
e Svetlana avrebbero voluto venderla a un appassionato di animali esotici, o
meglio siberiani, a un collezionista di ragazzine bellissime e insopportabili o
barattarla in cambio di una borsa o un paio di scarpe.
In tal caso loro ci avrebbero
guadagnato e al compratore sarebbe sembrato di guadagnarci, perché
Aljonka era tanto carina, graziosa e angelica, e incantava e stordiva con i suoi
begli occhioni azzurri, ma loro, ch’erano immuni al suo fascino, e per questo
erano le sue migliori amiche, avrebbero dato qualsiasi cosa per poterla
internare o ibernare momentaneamente.
In un istante di particolare
esasperazione, Svetlana si voltò verso un passante e gli chiese, in polacco:
-Vuole comprare una bella ragazza
russa? La guardi, è bionda, alta, ha un bel fisico... Se la imbavaglia fa un
affare!-
-Veramente sono sposato...-
-Eh, se la tiene di scorta! La chiude
in cantina!-
-Ma non credo che mia moglie...-
-E va’ a quel paese, marito del cavolo!
Non la stavo mica istigando all’adulterio! Pure come cameriera, se la può
prendere in casa! Certo, renderebbe meno che come amante, ma...-
-Svetlana, vieni via. Signore, la
scusi. Ci scusi. Svet perché è scema, io perché non l’ho fermata prima,
Al perché esiste. Buona giornata a lei e a sua moglie! Andiamo via...-
Mentre si allontanavano a passi svelti,
Khad lanciò a Svet uno sguardo fiammeggiante.
-Squilibrata mentale... Peggio di Al!-
-Addirittura?- commentò la
stessa Al, colpita da quell’ultima affermazione.
-Tu sta’ zitta e scegli questo
benedetto vestito!-
-Quello...- mormorò Aljona, rapita.
-Cosa?!- strillò Khadija, ancora
furente.
-Fatemi vedere quello! Oddio...-
La più nordica delle tre amiche, la
futura sposa e futura sedicenne, si precipitò a una bancarella dove un bagliore
aveva catturato il suo sguardo.
Era un vestito di pizzo bianco con le
spalline larghe, che arrivava giusto all’inizio delle cosce, scollato sulla
schiena, aderente al punto giusto e con una sottile cintura di cuoio
intrecciato da stringere in vita.
Era...
-Semplicemente fantastico!-
E costava pochissimo, era perfetto per
lei, ch’era la reginetta dell’Ob’, ma solo per il pattinaggio.
-Le interessa, signorina?- le chiese languidamente
un venditore dall’aria speranzosa, e Al per poco non gli saltò al collo.
-Sì, sì, sì, sì! Lo voglio!-
-Grandioso, signorina... Glielo prendo
subito...-
-Subito!-
-Prima era impossibile. Adesso si è
rincretinita- commentò Svetlana, e Khadija per poco non se la mangiò.
-Non farmi rispondere, Svet!-
-Però ha ragione. È bellissimo, Al-
Aljona sollevò sulle sue amiche uno
sguardo sognante.
-È il mio vestito da sposa...-
Poco dopo trovarono anche le ballerine,
sorvolando su quelle troppo corte, troppo larghe e troppo opache.
Di pelle nera con il fiocchetto di
vernice nera, adorabili.
Si sarebbe sposata così, Aljonka.
Con
il corredo più economico del mondo, ma bella come solo una Nostal’hična
sapeva essere.
So
kiss me and smile for me
Tell me that you’ll wait for me
Hold me like you’ll never let me go
‘Cause I’m leavin’ on a jet plane
Don’t know when I’ll be back again
Oh, babe, I hate to go
Così baciami e sorridi per me
Dimmi che mi aspetterai
Stringimi come se non mi dovessi mai lasciare andare
Perché sto per partire con un jet
Non so quando tornerò
Oh, tesoro, detesto dover andare
(Leaving
on a jet plane, John Denver)
-Riferito ad Aljona e Lev-
Novosibirsk,
28 Novembre 2013
Scoppiò un gran trambusto in Casa
Gončarov, quando suonò il campanello.
Sof’ja gridò che era per lei, perché
quel giorno Lev era venuto davvero solo per lei, ma il giovane Puškin era un
mito per tutta la sua famiglia, e quando andava a trovarli gli si accalcavano tutti
intorno, sempre entusiasti di vederlo.
Consideravano ostinatamente Lev un
bravo ragazzo, e non avevano dubitato di lui neanche il giorno dell’arresto,
quando Lidija aveva detto:
“Poverino, questo maledetto governo
l’ha portato all’esasperazione. Ma un giorno i Putiniani pagheranno per tutto
quello che hanno fatto a lui e ai suoi genitori”.
Anche quel giorno, puntualmente, gli corsero
incontro.
Prima di tutto Sokrat e Ksenofont,
rispettivamente di tredici e dodici anni, con le loro chiome rosse fiammanti,
poi arrivò il biondo ventiquattrenne Nikolaj stropicciandosi gli occhi, un po’
assonnato, perché si era appena svegliato, e per ultima Sof’ja, con i suoi
quattordici anni, i capelli biondi svolazzanti che le sbattevano sulla schiena
e gli occhi luccicanti d’orgoglio, perché aveva sempre avuto un affetto e
un’ammirazione sconfinati per il bel Levočka, e ora che stava per sposarsi
era più che mai fiera di lui.
Lidija, la madre, era fuori a fare la
spesa, mentre il padre, Igor’, faceva ancora il pittore a San Pietroburgo.
Erano una bella famiglia, i
Gončarov, allegra e piena d’affetto, con pochi mezzi ma molte risorse, e
credevano tanto in quel ragazzo che aveva vissuto il carcere sulla pelle e
sognava la letteratura, il migliore amico di Nikolaj e Sof’ja.
Lev scompigliò i capelli rossi dei due
piccoli, diede una pacca su una spalla a Nikolen’ka e abbracciò Sonja.
-Sei pronta, Sof?- le chiese poi,
serio.
-Sì!-
Si era infilata gli stivali di fretta,
aveva acchiappato il cappotto e se l’era messo mentre scendeva le scale.
-Possiamo andare?-
-Di già?- protestò Sokrat, guardandoli
male.
-E scusa, Leva, ma cosa ci fai con
questa qui, quando ti stai per sposare quella gran f...adorabile
pattinatrice della Dostoevskaja?-
Lui guardò un’indispettita Sof’ja e un
Sokrat molto serio in attesa di una risposta convincente.
-Lei... È la cosa più simile ad
Aljona che io abbia sottomano-
Sonja sorrise e Sokrat guardò prima sua
sorella, indubbiamente molto carina, ma terribilmente noiosa con la sua
passione per la filosofia, e poi Levočka, e scosse la testa, scettico.
Possibile che Lev e Aljona, nonostante
le storie grandiose che raccontavano sui Cosacchi e il fascino che esercitavano
su di lui, in realtà fossero noiosi quanto sua sorella?
Oppure sua sorella era fantastica
quanto loro?
-Cos’è che ti manca di più, di lei? Quale
brandello dell’anima, scheggia del cuore o scintilla degli occhi?-
-Le sue mani. Le sue mani
sempre tese ad abbracciarmi e accarezzarmi, sempre dolci e tenere, infuocate.
Le sue mani gelose che mi stringevano possessivamente davanti alle altre
ragazze, le sue mani fredde sotto la mia camicia, perché la mia ragazzina stava
crescendo con me-
-È così bello quello che provi per
questa ragazza...- sospirò Sof’ja, incantata. -E poi? Che cos’ha di speciale?-
-Pattina da Dio e sa tutto sui
Cosacchi-
Che Aljona fosse fantastica sul
ghiaccio Sof’ja lo sapeva, le era capitato più volte di vederla pattinare.
Era anche una bella ragazza, ma non le
sembrava vanitosa.
Lev le aveva detto che lo era solo
scherzosamente.
-Feliks, invece, è un genio della
matematica. E a me della matematica non frega granché, lo sai, però è troppo
bello e simpatico... Lev, glielo puoi dire tu? Glielo puoi dire tu che sono
innamorata di lui?-
-Proprio di uno Jusupov dovevi
innamorarti, Sof? Il fratello di Stalin!- borbottò Lev, contrariato.
Almeno, però, non si è innamorata di
Pavel Čechov, pensò, vagamente rassicurato.
Varsavia, 28
Novembre 2013
There’s is many times I’ve let you down
So many time I’ve played around
I tell you now they don’t mean a thing
Ev’ry place I go I’ll think of you
Ev’ry song I sing I’ll sing for you
When I come back I’ll bring your wedding ring
Ci sono state cosi tante volte che ti ho deluso
Cosi tante volte ho fatto la stupida in giro
Te lo dico ora, non contano nulla
Ovunque vada ti penserò
Qualsiasi canzone canterò la canterò per te
Quando tornerò, porterò la tua fede
(Leaving
on a jet plane, John Denver)
-Riferito ad Aljona e Lev-
-Come ti fa
sentire, lui?-
Aljona spense lo schermo del cellulare
e alzò gli occhi su Svetlana.
Erano nella sua camera varsaviana, lei,
Svet e Khadija, e le sue amiche l’avevano aspettata per ore mentre parlava al
telefono con Lev, descrivendogli il vestito e le ballerine e facendosi
descrivere le fedi, la torta e gli altri preparativi per il loro matrimonio.
Svetlana la guardava inquieta, in
attesa.
Pensava ad Aljona che diceva a Lev:
“Sei il migliore, sei fantastico” e a come splendevano i suoi occhi in quel
momento, a quanto ci credeva, e Al pensava alla sua folle adorazione per lui e
a come la faceva sentire quel ragazzo di cui presto avrebbe portato il cognome,
all’anagrafe, sull’anello e nella pelle.
-Persa- rispose
infine, in un sussurro.
E sorrise.
Now
the time come to leave you
One more time let me kiss you
Then close your eyes, I’ll be on my way
Dream about the days to come
When I won’t have to leave alone
About the times I won’t have to say
Ora è venuto il momento di lasciarti
Permettimi di baciarti un’altra volta
Poi chiudi gli occhi, andrò per la mia strada
Sogno quando verrà il giorno
In cui non dovrò partire da sola
Il momento in cui non dovrò dire
(Leaving
on a jet plane, John Denver)
-Riferito
ad Aljona e Lev-
Novosibirsk, 28 Novembre 2013
-Allora, da dove cominciamo?- chiese
Sof’ja, cercando disperatamente di attirare l’attenzione di Lev, ancora
completamente trasognato e assorto nella contemplazione delle fedi che erano
appena passati a ritirare in gioielleria.
In effetti poteva immaginare come si
sentisse, doveva essere davvero emozionante.
Ma dovevano fare ancora molte altre
cose, ed era il caso che si riprendesse al più presto.
-Aljonka mi ha chiesto cosa ci ho
fatto scrivere. Ci credi? Quella ragazzina è...-
-...Un po’ stordita- concluse Sonja,
seppur sorridendo.
-Un tesoro assoluto-
Fu allora che a Sof’ja sorse un dubbio.
-Lev... Cosa ci hai fatto scrivere?-
-Lev e Aljona, 11-01-2014-
La bionda ucraina s'illuminò e sospirò
di sollievo, rassicurata.
-Fantastico!-
Lev si accigliò.
-Di preciso, Sof, cosa temevi che ci
avessi fatto scrivere?-
-Qualcuno dei tuoi ideali patriottici e
rivoluzionari tanto belli, ma poco adatti ad un matrimonio...-
-Quelli li metterò sulla torta-
Sof’ja si bloccò, raggelata.
-In che senso?-
-Ma vi sono forse al mondo fuoco e
tormenti e una forza che valga a piegare la forza russa? Questa è
sempre stata la mia frase, e la scriverò anche sulla parete della mia
camera, la nostra camera, mia e di Aljona, proprio di fronte al letto-
-E vuoi farla scrivere sulla torta?-
-Certo-
-Va bene...-
-Poi, al posto dei soliti noiosi
sposini di plastica o di qualsiasi altro materiale, vediamo se riusciamo a
trovare un paio di Cosacchi. Cioè, finti-
-Sulla torta? Sempre sulla
torta?-
-Certo-
-Va bene...-
Sof’ja aveva già capito che aiutare Lev
ad organizzare il suo matrimonio sarebbe stata una delle esperienze più
traumatiche della sua vita.
-Non so che modello di torta prendere,
però-
-Tipo, Lev-
-Tipo cosa?-
-Tipo di torta. Cosa c’entra il
modello?-
-Ah, non lo so. Allora, vediamo...
Vorrei qualcosa come...-
-Una sacher-
-Cosa c’entra la sacher?-
-Il modello, anzi il tipo di torta.
Dev’essere una sacher. Non accetto obiezioni, non si discute-
-Una sacher? Beh, sì, si può fare...
Può andare...-
-Si farà, perché va-
-D'accordo. Però non credo che ne
basterà una. Quindi, vediamo... Ne facciamo una con la citazione di Gogol’, una
con Lev e Aljona e la data, una con Gloria ai Cosacchi! e sotto
il Gu-Rai!, il loro grido di guerra, e in un’altra ci scriviamo A
morte Putin! Che ne dici, Sof?-
-Oh, perfetto. Dà proprio l’idea del
matrimonio. Se non fosse per quella con Lev e Aljona e la data, che
confonde un po’ le idee, sarebbe perfetto come banchetto per una rimpatriata di
militari. Si chiederanno tutti il motivo della presenza di Aljona vestita da
sposa-
-Addirittura?-
-Ma adesso dimmi, Lev: a cosa hai
pensato come colonna sonora durante la cerimonia? Perché è sicuro che tu
con l’organo non ci vai d’accordo...-
-Infatti! Dunque, io direi, in
quest’ordine: I wanna marry you di Bruce Springsteen, No-one but you e
I want it all dei Queen e infine Long road to ruin dei Foo
Fighters. Poi Al vuole far cantare Da raskinem sa njom di Ceca a
Svetlana, che è la più intonata delle sue amiche...-
-Per rompere con lei. A un matrimonio. Lev, ma veramente
tu ti vuoi sposare con Only the good die young in sottofondo? E poi Long
road to ruin?!-
-Sono delle bellissime canzoni!-
-Per un matrimonio?-
-Beh, sì, anche! Descrivono le
nostre personalità! Queste canzoni non sono adatte a un matrimonio, ma io
e Aljona siamo adatti al matrimonio e queste canzoni sono adatte a noi!-
-Lev, tu non mi hai invitata per aiutarti ad organizzare il tuo
matrimonio. L’hai fatto per farmi
assistere impotente all’impietosa distruzione, al massacro del sogno e
dell’ideale del matrimonio-
-Davvero sposi quell’angelo di Aljonka?
Quella ragazzina ha i pattini al posto delle ali, e poi è talmente dolce...-
Lev s’illuminò, a quelle parole.
Allora non
era l’unico a pensare che la sua Aljona fosse dolce!
Stanislav Andreevič Baškov, il
mitico ex Cosacco proprietario de I
Cosacchi dell’Ob’, era dello stesso parere.
-Allora siamo d’accordo, Stas? Il
locale è prenotato per l’11 Gennaio. Puoi mettere qualche manifesto fuori,
qualcosa tipo “Lev e Aljona just
married”, “Lev and Aljona married today”?-
-Sì, sì, stai tranquillo! Poi però i
manifesti me li tengo, mi fanno pubblicità. Lei è una promessa del pattinaggio,
e tu... L’ho sempre saputo che saresti diventato qualcuno, anche quando eri
solo uno scricciolo biondissimo e incredibilmente impertinente con una passione
decisamente folle per le tempeste di neve. Come tua madre, d’altronde. Che
bella che era, che è, tua madre. Una come lei, la splendente Nasten’ka Rostova,
poteva sposare solo Fëdor Puškin, il figlio di Aleksandr. Tua nonna non me la
ricordo, del resto sono del ’74, io. Ma era una ragazza sleale, o almeno lo è
stata. Prima e adesso non so-
-Adesso è
una donna sleale- mormorò Lev, cupo.
Gli venivano i brividi, se ripensava al
suo incontro con Natal’ja di qualche mese prima.
Per fortuna, però, era riuscito a
impedirle di vedere suo padre.
Da Fedja
quella sgualdrina doveva stare lontana.
Era stata lei la prima ad andarsene,
no?
Stanislav capì che quell’argomento
aveva turbato Lev, e cambiò argomento.
-Tu, invece, sei un ragazzo fortunato. Ooh, what a
lucky man he was!- canticchiò non
troppo intonato, citando Lucky man di
Emerson, Lake & Palmer.
-Lo so- sorrise Lev, fiero. -Aljonka,
invece, è милая,
милая, милая-
Sof’ja, accanto a lui, alzò gli occhi
al cielo, seppure molto intenerita.
-Dai, Levočka, adesso andiamo.
Dobbiamo ancora scegliere i vestiti che indosserai, no?-
-Già...- sospirò il biondo Puškin,
rabbrividendo. -I vestiti che indosserò-
-Quella-
La voce squillante e decisa di Sof’ja
fece sussultare il ventiduenne.
-Che? Cioè?-
farfugliò, confuso.
-Quella camicia. Guardala! È perfetta! È la
tua!-
Lev inarcò un sopracciglio, non poco
perplesso.
-Me l’hanno
rubata?-
-Non lo sapevi? Questo negozio si rifornisce direttamente dal tuo armadio-
Il ragazzo inizialmente sgranò gli
occhi, ma poi scosse la testa, consapevole che non poteva essere vero.
Sonja, nel frattempo, batté
ripetutamente la testa contro una colonna tra un reparto di camicie e un altro.
-Prendila!- gli intimò
minacciosa, vedendo che il suo migliore amico aveva ancora lo sguardo perso nel
vuoto e un’aria immensamente ebete e stupida dipinta sul bel viso.
-Ma si può?-
-Se la paghi, sì. Questo
negozio vende camicie, Lev. A chi le compra!-
-E noi siamo qui per comprare una
camicia, appunto. Beh, sì, questa mi pare adatta... È molto carina, molto
azzurra...-
Era una camicia a sottili righe
verticali turchesi e bianche, e Lev dovette ammettere che era proprio il suo
genere, cosa che Sof’ja sapeva molto bene.
-Trentanove- disse la ragazzina alla
commessa ch’era andata loro incontro, indicando il suo amico.
-Una trentanove di questa, che ‘sto
demente si sposa-
La commessa sgranò gli occhi e guardò
Lev con sgomento e una punta di delusione, ma si riprese in fretta.
-E non preferirebbe vedere un
completo...-
-Oh, non gli parli di completi! Lui
ignora quasi cosa siano, e poi non sono decisamente il suo genere. Lasci stare,
grazie, va benissimo questa camicia. Poi passiamo ai jeans, Levočka, che
ne dobbiamo assolutamente comprare un paio nuovi, con quelli logori che hai non
ti lascio sposare. E infine le scarpe-
-Stivali, Sof. Porto gli stivali tutto
l’anno, delle scarpe ricordo vagamente la forma-
-...Va bene, stivali. Ora però impegnati,
mi raccomando!-
-Abbiamo finito, Leva! Tutto sommato
sei stato abbastanza bravo, docile, non hai opposto resistenza-
-E come
avrei potuto?- sospirò il biondino, esausto.
Avevano preso la camicia individuata da
Sof’ja, un paio di jeans neri e uno di stivali di pelle nera quasi identici a
quelli che Lev aveva già e che indossava anche in quel momento, ed erano
letteralmente cresciuti con lui, ma nuovi.
Era così che si sposava un Puškin.
Era così che si era sposato suo padre.
Tutte le famiglie hanno una tradizione,
e i Puškin avevano la tradizione di non essere tradizionali.
Con un sorriso stravolto ma felice
recuperò il cellulare nella tasca dei jeans e telefonò ad Aljona.
Varsavia, 28
Novembre 2013
E per chi
sta male come stavi tu…
(Il coraggio
che non c’è, Laura Pausini)
-Riferito
ad Igor’-
Aveva letteralmente piantato in asso le
sue amiche, con molte scuse e poche spiegazioni, ma delle sue amiche una si
stava per sposare e l’altra era fidanzata da prima che imparasse il significato
della parola “fidanzamento”.
Lei lo era stata.
Non sposata, fidanzata.
E innamorata, tanto.
Con Andrej.
Di Igor’ no.
Di Igor’ non era solo innamorata.
Con Igor’ era...
Persa.
Per fortuna Via Józef Sowiński n.3 non era lontana.
Svetlana raggiunse senza fiato la casa
di Agnieszka Kieszek e Zbigniew Wiśniewski, la
coppia ospite di Pugačëv e Julajev, e si
precipitò al campanello.
-Jestem Svetlana Korš… Skuzam
Igor’ Julajev… Przepraszam że
przeszkadzam…-
Sono Svetlana Korš… Cerco Igor’ Julajev… Scusate il
disturbo…
-Nie martw się... Igorek jest poza…-
Non preoccuparti… Igorek è di là...
Il sorriso amichevole e i modi affabili
di Agnieszka Kieszek la rassicurarono un poco, ma era comunque agitatissima.
Spettinata, stravolta e...persa.
Maledettamente persa.
-Igorek, przyjść! Jest twoja Svetlanka!-
Igorek, vieni! C’è la tua Svetlanka!
Igor’, nella sua camera, per poco non
cadde dal letto.
Bloccò l'iPod sulle prime note di I've
been waiting for you degli Abba, e sussultò nel realizzare ch’era vero, lui
la stava aspettando.
Uscendo lanciò un’occhiata allo
specchio, non era proprio al massimo della sua forma, tutto arruffato, con lo
sguardo stravolto sebbene fosse soltanto pomeriggio, e come se non bastasse
anche a piedi nudi.
Ma non importava, non poteva importare.
Svetlanka era lì.
Svetlanka avrebbe
capito.
Arrivò in soggiorno col cuore in gola,
confondendo i battiti con i brividi, e la guardò timidamente, in trepida
attesa.
-Привет...- Privet…
Ciao…, la salutò per primo, perché lei era ammutolita.
-Andiamo di là?-
I, I don’t know what you do
You make me think that you
Possibly could release me
I think you’ll be able to
Make all my dreams come true
And you ease me
Io, io non
so cos’hai fatto
Mi fai
pensare che tu
Forse
potresti liberarmi
Penso che
riusciresti
Ad avverare
tutti i miei sogni
E mi
alleggerisci
(I’ve been
waiting for you, Abba)
-Riferito
ad Igor’ e Svetlana-
Svetlana lo seguì, ma quando arrivarono
in un angolo abbastanza appartato del lungo corridoio che portava alle camere
da letto non riuscì più a resistere.
Lo fermò per un braccio e gli rivolse
uno sguardo disperato.
In quel momento lei aveva gli occhi più
azzurri che mai e lui di un limpido verde acqua.
-Puoi farmi sentire persa come fa Lev
con Aljona?-
Igor’ guardò le dita di Svet intorno al
suo braccio e poi guardò lei, la chioma castano chiaro sparsa sul cappotto blu,
lo sguardo intenso e appassionato che però gli sfuggiva, perché lei lo spostava
febbrilmente dal suo viso alla sua spalla alla sua felpa, ansiosa e
terrorizzata.
Ed Igor’ non si sentì più il martire
quindicenne che rimboccava le coperte a sua madre e sorreggeva suo fratello
quando le crisi di pianto per la famiglia che avevano perso erano più violente
di lui e dei suoi ventitré anni, il pessimo studente sempre a rischio che
faceva i compiti alla meno peggio a letto nel cuore della notte, mentre
ascoltava sul suo iPod una canzone più triste di lui e sapeva benissimo di non
essere preparato per la prossima verifica e nemmeno per la prossima giornata.
Non era più lui.
Varsavia l’aveva guarito, Svetlana a
Novosibirsk gli sembrava irraggiungibile, ma in realtà era lui ad esserlo.
Aveva il cognome di un eroe, Igor’,
eppure si era sempre sentito una nullità.
Ma era vero, Salavat Julajev era
troppo diverso da lui, era uno di quelli che si facevano sentire, che si
ribellavano, mentre lui era così schivo...
E allora la abbracciò, perché a
Varsavia Svetlana era vera, non il sogno proibito di Novosibirsk.
La strinse e c’erano le sue mani, sulla
schiena di Svet, e lui ce l’aveva la forza, ce l’aveva il coraggio!
-Perdonami, Svet... Per tutto quello
che non siamo stati a Novosibirsk-
Le accarezzò una guancia con le dita,
la guardò come Svetlana non pensava che sapesse guardarla, con tutta quella
dolcezza.
-A onda si se ti pojavio
kao da si magija i za noć uradio da se opet rodim ja a od sebe sam bila starija…
Nemam ja godine, nemam ime
ni prezime, s tobom krv sam promenila, sebe sam pobedila-
E poi sei arrivata tu come per magia e
mi hai fatto rinascere in una notte quando io ero più vecchio di me stesso...
Io non ho età, non ho nome né cognome, ho cambiato il mio sangue con te, ho sconfitto
me stesso.
Svetlana sussultò, riconoscendo quelle
parole in serbo, quelle parole che le aveva detto Aljona quasi tre mesi prima,
riferite proprio ad Igor’.
Del resto la cantante si chiamava come
lei, e, stando alla logica astrusa di Aljona, che leggeva il futuro nelle
canzoni serbe, non poteva essere una coincidenza.
-Ma allora Aljona aveva ragione...-
-Aljona ha sempre ragione. Anche
quando a noi sembra che farnetichi-
-Quindi è vero che sa già i nomi dei
nostri figli...-
Quella frase Igor’ non la capì, e non
l’avrebbe capita prima del 2018, ma non aveva certo bisogno di capire quella
frase per baciarla.
I’ll be your mirror
Reflect what you are, in case you don’t know
I’ll be the wind, the rain and the sunset
The light on your door to show that you’re home
When you think the night has seen your mind
That inside you’re twisted and unkind
Let me stand to show that you are blind
Please put down your hands
‘Cause I see you
I find it hard to believe you don’t know
The beauty that you are
But if you don’t let me be your eyes
A hand in your darkness, so you won’t be afraid
Sarò il tuo
specchio
Che riflette
ciò che sei, nel caso tu non lo sappia
Sarò il
vento, la pioggia e il tramonto
La luce
sulla tua porta per dimostrare che sei a casa
Quando pensi
che la notte abbia visto la tua mente
Che dentro
sei contorto e spietato
Lasciami
dimostrare che sei cieco
Per favore
metti giù le mani
Perché io ti
vedo
Trovo
difficile credere che tu non sai
La bellezza
che sei
Ma se non mi
lasci essere i tuoi occhi
Una mano
nell’oscurità, così non avrai paura
(I’ll be your mirror, Velvet Underground)
-Riferito
a Svetlana ed Igor’-
Note
Милая,
милая, милая (Milaya, milaya, milaya, Dolce, dolce, dolce),Philipp Kirkorov.
Привет!
Finita la prima settimana
di scuola, finito il Capitolo 72 ;)
Vediamo i preparativi del
matrimonio di Lev e Al, alternandoci tra Novosibirsk e Varsavia.
Al fa impazzire Khad e
Svet, mentre Lev si porta Sof’ja, la sorella di Niko, a fare compere.
Sarà molto importante, la
piccola Sof.
La descrizione della Rynek Starego Miasta di Varsavia è il
più fedele possibile, esiste tutto quello che ho scritto ;)
E poi ci sono Igor’ e
Svet, e finalmente la loro dichiarazione, che spero davvero vi sia piaciuta.
L’incontro tra Lev e
Natal’ja, avvenuto qualche mese fa, qui l’ho solo nominato, ma in uno dei
prossimi capitoli ne scriverò più approfonditamente.
A presto! ;)
Marty