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Autore: Natalja_Aljona    15/09/2013    2 recensioni
Novosibirsk, 2013.
Aljona Sergeevna Dostoevskaja e Lev Fëdorovič Puškin, l’aspirante pattinatrice e l’ex terrorista.
Lei quindici anni di sogni, lui ventidue anni di illusioni.
Lei scandalosamente bionda, coraggiosa e incosciente come poche.
Lui troppo impulsivo e troppo innamorato.
Lei frequenta il penultimo anno del Ginnasio, lui ha passato sei anni in carcere per un attentato a Putin.
Perché lui davvero non ci riusciva, a non idealizzare quel Paese, quella Siberia feroce e opprimente, il cuore bianco e grigio della sua Russia sanguinaria e corrotta, a non cullare l'illusione di una Patria gloriosa sotto le macerie della violenza fine a se stessa e le sue stesse cicatrici di ragazzino che credeva ciecamente nel suo mondo immaginario, nei suoi miti bellissimi e impossibili, perché non c'era davvero quella gloria, non c'era davvero quella Patria.
Non c'era davvero quella luce, c'erano solo loro.
Lev con la pelle mangiata dalla prigione e il cuore rubato da Aljona e Aljona fatta di ghiaccio, musica, libri e capelli.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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Settantadue

Settantadue

Милая, милая, милая

Milaya, milaya, milaya

Dolce, dolce, dolce

 

Novosibirsk, 28 Novembre 2013

 

Милая, милая, милая

Нежный мой ангел земной

Только однажды был счастлив я

В день нашей встречи с тобой

 

Milaya, milaya, milaya

Nežnyy moy angel zemnoy

Tol’ko odnaždy byl sčastliv ya

V den’ našey vstreči s toboy

 

Dolce, dolce, dolce

Mio delicato angelo della terra

Solo una volta sono stato felice

Il giorno del mio incontro con te

(Милая, милая, милая, Philipp Kirkorov)

-Riferito a Lev e Aljona-

 

-Ehi, Puškin! Dove vai adesso?-

La domanda gli era stata rivolta da Aleksandr Dmitrievič Volkov, un suo compagno di classe della scuola serale, mentre uscivano da quest’ultima.

Aveva ventitré anni, un padre ex muratore invalido in seguito alla caduta da un’impalcatura, una madre donna di servizio che guadagnava terribilmente poco e due fratelli minori da mantenere.

Per questo aveva lasciato il Ginnasio otto anni prima, ma adesso aveva un lavoro stabile e sufficientemente remunerato e aveva ripreso a studiare.

Era un ragazzo semplice e simpatico, sempre molto gentile con Lev perché “Mi sembri un tipo a posto, e se la gente tratta come un Dio Putin, che è uno dei più grandi delinquenti del secolo, io posso trattare normalmente un ex terrorista che mi sta simpatico”.

Si sedeva sempre al banco vicino al suo e tutte le sere gli chiedeva: “Come sta la famiglia?”, come se Lev avesse una famiglia normale di cui poter parlare tranquillamente proprio come la sua.

Aleksandr considerava Lev un mezzo genio, perché rispondeva sempre a tutte le domande e scriveva dei temi fantastici, pieni di idee e di disarmante sincerità, sapeva tutto sulla letteratura russa e sulle vite dei suoi scrittori preferiti e anche l’insegnante lo guardava un po’ impressionata, colpita dal fatto che uno studente così brillante fino a un anno prima fosse in prigione.

Se le cose fossero andate diversamente, in quel momento Lev avrebbe fatto scintille ad Akademgorodok.

Ma aveva ancora il tempo di diventare l’eroe della facoltà.

E sorrideva, Dar’ja Anatol’evna Rasputina, perché all’inizio era preoccupata all’idea di avere un pregiudicato in classe, ma adesso quel pregiudicato era il suo alunno migliore, il suo orgoglio assoluto.

Lev, poi, usciva dalla classe come se andasse incontro a qualcosa di straordinario, anche quando doveva solo tornare a casa da suo padre, e questo contribuiva a renderlo tanto simpatico agli occhi di Aleksandr.

“Quando esci di prigione è tutto straordinario”, gli aveva spiegato Lev. “E nel mio caso lo era anche prima, nonostante tutte le difficoltà. Mio padre è straordinario, casa mia è straordinaria, la mia fidanzata è straordinaria, anche se studia a Varsavia e mi manca da morire. La mia città è straordinaria, l’inverno è straordinario. Io non lo so, se sono straordinario, ma la mia vita è straordinaria e io sono semplicemente troppo felice”.

Faceva il caldarrostaio e voleva diventare professore di russo.

Sì, decisamente, era straordinario anche lui.

-Vado a prendere le fedi- gli rispose Lev quella sera. -Per il mio matrimonio- specificò, sognante.

-Già che ti sposi a ventidue anni, tu...- sorrise Aleksandr, tra l’ammirato e l’incredulo.

-Lei ne ha quindici, ma tra due giorni ne compie sedici-

-Aljona, vero? Hai parlato di lei anche nel tema iniziale di presentazione. Tu hai fatto “La mia fidanzata”. Ma vogliamo parlare del primo giorno? “Mi chiamo Lev Fëdorovič Puškin, ho ventidue anni e l’11 Gennaio mi sposo”. Siamo rimasti tutti sconcertati... E tu, assolutamente serafico e raggiante!-

-Quando torna per il suo compleanno te la presento. È mitica, magica, Al. Pattina come la Slutskaya, non so se hai presente. Prima di partire per Varsavia ha passato il test per l’argento, mentre quel bastardo di Iosif Jusupov quello per l’interoro. L’anno prossimo parteciperà ai Mondiali Juniores di Sofia, in Bulgaria, la mia Aljonka, e purtroppo anche Jusupov, che si crede una perfetta via di mezzo tra Pljuščenko e Jagudin, ma ha deliri d’onnipotenza, quello, credimi. Hanno passato entrambi le selezioni, come singoli, però, naturalmente, e grazie al cielo, perché entrambi vogliono far carriera come singoli, come la Slutskaya, Pljuščenko e Jagudin, appunto.

Per essere bravo è bravo, Jusupov, ma Dio se è odioso… La Dobrosjelova, la loro insegnante, o meglio ex, dato che adesso Al si sta allenando strenuamente a Varsavia con un’altra, è davvero molto brava, anche se ha una storia con un minorenne, vale a dire quello stalinista di Jusupov. Io andrò a vederla, a Sofia, ai Mondiali, anche se un po’ mi preoccupa un’altro viaggio all’estero, ma la Bulgaria, come la Serbia e la Bosnia-Erzegovina, dove sono andato quest’estate, mi sta simpatica. Non posso non andare a vederla, il pattinaggio è la sua vita, il suo futuro, come per me la letteratura. Sarebbe come se lei non assistesse ai miei futuri esami all’Università, anche se certo, quelli sono di più, e sono meno mondiali. Beh, comunque lei è fantastica. Troppo fantastica-

-Capisco...- mormorò Aleksandr, un po’ stordito dalla sua logorrea.

Lev lo guardò vagamente scettico.

-Sicuro?-

Aleksandr ricambiò con uno sguardo stupito.

-Certo...-

Il biondino sorrise, rassicurato.

-Adesso vado a prendere Sof’ja Igorevna, la sorella del mio migliore amico, la mia migliore amica, e andiamo insieme a ritirare le fedi e a organizzare un po’ di altre cose per il matrimonio. Lei è deliziosamente simile ad Aljonka, sai? Ma Sonjetschka è più dolce e gentile di Al. Per me Aljonka è милая, милая, милая (milaya, milaya, milaya, dolce, dolce, dolce), come canta Philipp Kirkorov. È la mia dolce, la più dolce, anche se, in realtà, lei è dolce solo perché io penso che lo sia. Per davvero non è tanto dolce. Per davvero è terribile. Però io la guardo, e lei è милая, милая, милая. Quando si accoccola contro il mio petto e mi dice che mi ama, mi ama e basta, disperatamente, con una mano sul mio cuore, in quei momenti è maledettamente dolce-

-Sembra un sogno, la tua Aljona. Sei tu che la sogni sempre. Forse a me non piacerebbe così tanto, ma è giusto così. Lei è il tuo sogno. La tua Aljona-

-Tu ce l’hai una ragazza? Una così dolce?-

-Più o meno-

-Più o meno la tua ragazza o più o meno dolce?-

-Si chiama Anželika. Anželika Nikolaevna Dalikova-

-E per te com’è?-

-Non così tanto. Non ancora. Però è importante. Ci tengo, a lei-

-Vai da lei, adesso?-

-Adesso torno a casa. Igor’ ed Ivan mi aspettano per provare le loro lezioni. Sono bravi, loro. Si impegnano, sia a scuola che a casa. Sono dei bravi bambini. Sono fiero di loro. Spero tanto che papà stia bene. Spero che la mamma non sia troppo stanca. Spero che, per tutti loro, oggi sia stata una bella giornata-

-Per te lo è stata?-

-Sì-

-Allora, in ogni caso, avrai la forza di migliorare la loro. Quelli come noi hanno la forza. Quelli come i tuoi fratelli, i tuoi genitori, mio padre e la mia Aljona ci rendono fieri. Loro, o sono già stati forti, o lo saranno. E comunque sono e saranno fieri di noi-

 

 

All my bags are packed, I’m ready to go
I’m standing here outside your door
I hate to wake you up to say goodbye
But the dawn is breakin’

It’s early morn
The taxi’s waitin’

He’s blowin’ his horn
Already I’m so lonesome I could die

 

Le mie valige sono fatte, sono pronta per andare
Sto qui fuori dalla porta di casa tua
Detesto doverti svegliare per salutarti
Ma la luce dell’alba sta entrando

È mattina presto
Il taxi sta aspettando

Sta suonando il clacson
Mi sento già cosi sola che potrei morire

(Leaving on a jet plane, John Denver)

-Riferito ad Aljona e Lev-

 

Varsavia, 28 Novembre 2013

 

Rynek Starego Miasta

Piazza del mercato della città vecchia

 

Mancavano due giorni al sedicesimo compleanno di Aljona e c’erano quattro gradi sotto zero, a Varsavia.

Ad Al sembrava estate, e rideva perché poco prima al telefono Lev le aveva detto che a Novosibirsk c’erano già diciotto gradi sotto zero, e l’Ob’ e il lago erano già ghiacciati da quasi un mese.

La Rynek Starego Miasta era luminosa anche a Novembre, col cielo azzurro cupo anziché celeste intenso, ma sempre la solita allegria nel contrasto tra le tende bianche e i colori accesi delle bancarelle e dei palazzi che circondavano le piazze, alti e sgargianti, mille finestre che si affacciavano su mille sfumature di vita.

Alcuni ritrattisti esponevano i loro quadri e le loro caricature, appoggiati sulla strada di sampietrini, di fronte a uno dei tendoni del ristorante tipico Bazyliszek, sul quale campeggiava, ripetuto più volte, il nome della birra polacca Tyskie.

Aljona, Khadija e Svetlana erano lì con uno scopo ben preciso: comprare il vestito da sposa di Al.

La biondina scrutava con occhi febbrili ogni singolo abito appeso alle grucce, soppesandone tessuto, consistenza, lunghezza, dimensioni e tonalità di bianco.

-Questo cade troppo molle, è troppo poco aderente, a me i vestiti non aderenti stanno scomodi, non so dove metterla la stoffa che avanza. Quello ha quelle balze lì che non mi convincono, non le voglio le balze, mi fanno sembrare tondeggiante. Khristos, ma un vestito bianco semplice, dritto e stretto ci sarà?! Devo sposarmi, non andare a un matrimonio!-

Era in momenti come quelli che Khadija e Svetlana avrebbero voluto venderla a un appassionato di animali esotici, o meglio siberiani, a un collezionista di ragazzine bellissime e insopportabili o barattarla in cambio di una borsa o un paio di scarpe.

In tal caso loro ci avrebbero guadagnato e al compratore sarebbe sembrato di guadagnarci, perché Aljonka era tanto carina, graziosa e angelica, e incantava e stordiva con i suoi begli occhioni azzurri, ma loro, ch’erano immuni al suo fascino, e per questo erano le sue migliori amiche, avrebbero dato qualsiasi cosa per poterla internare o ibernare momentaneamente.

In un istante di particolare esasperazione, Svetlana si voltò verso un passante e gli chiese, in polacco:

-Vuole comprare una bella ragazza russa? La guardi, è bionda, alta, ha un bel fisico... Se la imbavaglia fa un affare!-

-Veramente sono sposato...-

-Eh, se la tiene di scorta! La chiude in cantina!-

-Ma non credo che mia moglie...-

-E va’ a quel paese, marito del cavolo! Non la stavo mica istigando all’adulterio! Pure come cameriera, se la può prendere in casa! Certo, renderebbe meno che come amante, ma...-

-Svetlana, vieni via. Signore, la scusi. Ci scusi. Svet perché è scema, io perché non l’ho fermata prima, Al perché esiste. Buona giornata a lei e a sua moglie! Andiamo via...-

Mentre si allontanavano a passi svelti, Khad lanciò a Svet uno sguardo fiammeggiante.

-Squilibrata mentale... Peggio di Al!-

-Addirittura?- commentò la stessa Al, colpita da quell’ultima affermazione.

-Tu sta’ zitta e scegli questo benedetto vestito!-

-Quello...- mormorò Aljona, rapita.

-Cosa?!- strillò Khadija, ancora furente.

-Fatemi vedere quello! Oddio...-

La più nordica delle tre amiche, la futura sposa e futura sedicenne, si precipitò a una bancarella dove un bagliore aveva catturato il suo sguardo.

Era un vestito di pizzo bianco con le spalline larghe, che arrivava giusto all’inizio delle cosce, scollato sulla schiena, aderente al punto giusto e con una sottile cintura di cuoio intrecciato da stringere in vita.

Era...

-Semplicemente fantastico!-

E costava pochissimo, era perfetto per lei, ch’era la reginetta dell’Ob’, ma solo per il pattinaggio.

-Le interessa, signorina?- le chiese languidamente un venditore dall’aria speranzosa, e Al per poco non gli saltò al collo.

-Sì, sì, sì, sì! Lo voglio!-

-Grandioso, signorina... Glielo prendo subito...-

-Subito!-

-Prima era impossibile. Adesso si è rincretinita- commentò Svetlana, e Khadija per poco non se la mangiò.

-Non farmi rispondere, Svet!-

-Però ha ragione. È bellissimo, Al-

Aljona sollevò sulle sue amiche uno sguardo sognante.

-È il mio vestito da sposa...-

Poco dopo trovarono anche le ballerine, sorvolando su quelle troppo corte, troppo larghe e troppo opache.

Di pelle nera con il fiocchetto di vernice nera, adorabili.

Si sarebbe sposata così, Aljonka.

Con il corredo più economico del mondo, ma bella come solo una Nostal’hična sapeva essere.

 

So kiss me and smile for me
Tell me that you’ll wait for me
Hold me like you’ll never let me go
‘Cause I’m leavin’ on a jet plane
Don’t know when I’ll be back again
Oh, babe, I hate to go

 

Così baciami e sorridi per me
Dimmi che mi aspetterai
Stringimi come se non mi dovessi mai lasciare andare
Perché sto per partire con un jet
Non so quando tornerò
Oh, tesoro, detesto dover andare

(Leaving on a jet plane, John Denver)

-Riferito ad Aljona e Lev-

Novosibirsk, 28 Novembre 2013

 

Scoppiò un gran trambusto in Casa Gončarov, quando suonò il campanello.

Sof’ja gridò che era per lei, perché quel giorno Lev era venuto davvero solo per lei, ma il giovane Puškin era un mito per tutta la sua famiglia, e quando andava a trovarli gli si accalcavano tutti intorno, sempre entusiasti di vederlo.

Consideravano ostinatamente Lev un bravo ragazzo, e non avevano dubitato di lui neanche il giorno dell’arresto, quando Lidija aveva detto:

“Poverino, questo maledetto governo l’ha portato all’esasperazione. Ma un giorno i Putiniani pagheranno per tutto quello che hanno fatto a lui e ai suoi genitori”.

Anche quel giorno, puntualmente, gli corsero incontro.

Prima di tutto Sokrat e Ksenofont, rispettivamente di tredici e dodici anni, con le loro chiome rosse fiammanti, poi arrivò il biondo ventiquattrenne Nikolaj stropicciandosi gli occhi, un po’ assonnato, perché si era appena svegliato, e per ultima Sof’ja, con i suoi quattordici anni, i capelli biondi svolazzanti che le sbattevano sulla schiena e gli occhi luccicanti d’orgoglio, perché aveva sempre avuto un affetto e un’ammirazione sconfinati per il bel Levočka, e ora che stava per sposarsi era più che mai fiera di lui.

Lidija, la madre, era fuori a fare la spesa, mentre il padre, Igor’, faceva ancora il pittore a San Pietroburgo.

Erano una bella famiglia, i Gončarov, allegra e piena d’affetto, con pochi mezzi ma molte risorse, e credevano tanto in quel ragazzo che aveva vissuto il carcere sulla pelle e sognava la letteratura, il migliore amico di Nikolaj e Sof’ja.

Lev scompigliò i capelli rossi dei due piccoli, diede una pacca su una spalla a Nikolen’ka e abbracciò Sonja.

-Sei pronta, Sof?- le chiese poi, serio.

-Sì!-

Si era infilata gli stivali di fretta, aveva acchiappato il cappotto e se l’era messo mentre scendeva le scale.

-Possiamo andare?-

-Di già?- protestò Sokrat, guardandoli male.

-E scusa, Leva, ma cosa ci fai con questa qui, quando ti stai per sposare quella gran f...adorabile pattinatrice della Dostoevskaja?-

Lui guardò un’indispettita Sof’ja e un Sokrat molto serio in attesa di una risposta convincente.

-Lei... È la cosa più simile ad Aljona che io abbia sottomano-

Sonja sorrise e Sokrat guardò prima sua sorella, indubbiamente molto carina, ma terribilmente noiosa con la sua passione per la filosofia, e poi Levočka, e scosse la testa, scettico.

Possibile che Lev e Aljona, nonostante le storie grandiose che raccontavano sui Cosacchi e il fascino che esercitavano su di lui, in realtà fossero noiosi quanto sua sorella?

Oppure sua sorella era fantastica quanto loro?

 

-Cos’è che ti manca di più, di lei? Quale brandello dell’anima, scheggia del cuore o scintilla degli occhi?-

-Le sue mani. Le sue mani sempre tese ad abbracciarmi e accarezzarmi, sempre dolci e tenere, infuocate. Le sue mani gelose che mi stringevano possessivamente davanti alle altre ragazze, le sue mani fredde sotto la mia camicia, perché la mia ragazzina stava crescendo con me-

-È così bello quello che provi per questa ragazza...- sospirò Sof’ja, incantata. -E poi? Che cos’ha di speciale?-

-Pattina da Dio e sa tutto sui Cosacchi-

Che Aljona fosse fantastica sul ghiaccio Sof’ja lo sapeva, le era capitato più volte di vederla pattinare.

Era anche una bella ragazza, ma non le sembrava vanitosa.

Lev le aveva detto che lo era solo scherzosamente.

-Feliks, invece, è un genio della matematica. E a me della matematica non frega granché, lo sai, però è troppo bello e simpatico... Lev, glielo puoi dire tu? Glielo puoi dire tu che sono innamorata di lui?-

-Proprio di uno Jusupov dovevi innamorarti, Sof? Il fratello di Stalin!- borbottò Lev, contrariato.

Almeno, però, non si è innamorata di Pavel Čechov, pensò, vagamente rassicurato.

 

 

Varsavia, 28 Novembre 2013


There’s is many times I’ve let you down
So many time I’ve played around
I tell you now they don’t mean a thing
Ev’ry place I go I’ll think of you
Ev’ry song I sing I’ll sing for you
When I come back I’ll bring your wedding ring

Ci sono state cosi tante volte che ti ho deluso
Cosi tante volte ho fatto la stupida in giro
Te lo dico ora, non contano nulla
Ovunque vada ti penserò
Qualsiasi canzone canterò la canterò per te
Quando tornerò, porterò la tua fede

(Leaving on a jet plane, John Denver)

-Riferito ad Aljona e Lev-

 

-Come ti fa sentire, lui?-

Aljona spense lo schermo del cellulare e alzò gli occhi su Svetlana.

Erano nella sua camera varsaviana, lei, Svet e Khadija, e le sue amiche l’avevano aspettata per ore mentre parlava al telefono con Lev, descrivendogli il vestito e le ballerine e facendosi descrivere le fedi, la torta e gli altri preparativi per il loro matrimonio.

Svetlana la guardava inquieta, in attesa.

Pensava ad Aljona che diceva a Lev: “Sei il migliore, sei fantastico” e a come splendevano i suoi occhi in quel momento, a quanto ci credeva, e Al pensava alla sua folle adorazione per lui e a come la faceva sentire quel ragazzo di cui presto avrebbe portato il cognome, all’anagrafe, sull’anello e nella pelle.

-Persa- rispose infine, in un sussurro.

E sorrise.

 

Now the time come to leave you
One more time let me kiss you
Then close your eyes, I’ll be on my way
Dream about the days to come
When I won’t have to leave alone
About the times I won’t have to say


Ora è venuto il momento di lasciarti
Permettimi di baciarti un’altra volta
Poi chiudi gli occhi, andrò per la mia strada
Sogno quando verrà il giorno
In cui non dovrò partire da sola
Il momento in cui non dovrò dire

(Leaving on a jet plane, John Denver)

-Riferito ad Aljona e Lev-

 

 

Novosibirsk, 28 Novembre 2013

 

-Allora, da dove cominciamo?- chiese Sof’ja, cercando disperatamente di attirare l’attenzione di Lev, ancora completamente trasognato e assorto nella contemplazione delle fedi che erano appena passati a ritirare in gioielleria.

In effetti poteva immaginare come si sentisse, doveva essere davvero emozionante.

Ma dovevano fare ancora molte altre cose, ed era il caso che si riprendesse al più presto.

-Aljonka mi ha chiesto cosa ci ho fatto scrivere. Ci credi? Quella ragazzina è...-

-...Un po’ stordita- concluse Sonja, seppur sorridendo.

-Un tesoro assoluto-

Fu allora che a Sof’ja sorse un dubbio.

-Lev... Cosa ci hai fatto scrivere?-

-Lev e Aljona, 11-01-2014-

La bionda ucraina s'illuminò e sospirò di sollievo, rassicurata.

-Fantastico!-

Lev si accigliò.

-Di preciso, Sof, cosa temevi che ci avessi fatto scrivere?-

-Qualcuno dei tuoi ideali patriottici e rivoluzionari tanto belli, ma poco adatti ad un matrimonio...-

-Quelli li metterò sulla torta-

Sof’ja si bloccò, raggelata.

-In che senso?-

-Ma vi sono forse al mondo fuoco e tormenti e una forza che valga a piegare la forza russa? Questa è sempre stata la mia frase, e la scriverò anche sulla parete della mia camera, la nostra camera, mia e di Aljona, proprio di fronte al letto-

-E vuoi farla scrivere sulla torta?-

-Certo-

-Va bene...-

-Poi, al posto dei soliti noiosi sposini di plastica o di qualsiasi altro materiale, vediamo se riusciamo a trovare un paio di Cosacchi. Cioè, finti-

-Sulla torta? Sempre sulla torta?-

-Certo-

-Va bene...-

Sof’ja aveva già capito che aiutare Lev ad organizzare il suo matrimonio sarebbe stata una delle esperienze più traumatiche della sua vita.

 

-Non so che modello di torta prendere, però-

-Tipo, Lev-

-Tipo cosa?-

-Tipo di torta. Cosa c’entra il modello?-

-Ah, non lo so. Allora, vediamo... Vorrei qualcosa come...-

-Una sacher-

-Cosa c’entra la sacher?-

-Il modello, anzi il tipo di torta. Dev’essere una sacher. Non accetto obiezioni, non si discute-

-Una sacher? Beh, sì, si può fare... Può andare...-

-Si farà, perché va-

-D'accordo. Però non credo che ne basterà una. Quindi, vediamo... Ne facciamo una con la citazione di Gogol’, una con Lev e Aljona e la data, una con Gloria ai Cosacchi! e sotto il Gu-Rai!, il loro grido di guerra, e in un’altra ci scriviamo A morte Putin! Che ne dici, Sof?-

-Oh, perfetto. Dà proprio l’idea del matrimonio. Se non fosse per quella con Lev e Aljona e la data, che confonde un po’ le idee, sarebbe perfetto come banchetto per una rimpatriata di militari. Si chiederanno tutti il motivo della presenza di Aljona vestita da sposa-

-Addirittura?-

-Ma adesso dimmi, Lev: a cosa hai pensato come colonna sonora durante la cerimonia? Perché è sicuro che tu con l’organo non ci vai d’accordo...-

-Infatti! Dunque, io direi, in quest’ordine: I wanna marry you di Bruce Springsteen, No-one but you e I want it all dei Queen e infine Long road to ruin dei Foo Fighters. Poi Al vuole far cantare Da raskinem sa njom di Ceca a Svetlana, che è la più intonata delle sue amiche...-

-Per rompere con lei. A un matrimonio. Lev, ma veramente tu ti vuoi sposare con Only the good die young in sottofondo? E poi Long road to ruin?!-

-Sono delle bellissime canzoni!-

-Per un matrimonio?-

-Beh, sì, anche! Descrivono le nostre personalità! Queste canzoni non sono adatte a un matrimonio, ma io e Aljona siamo adatti al matrimonio e queste canzoni sono adatte a noi!-

-Lev, tu non mi hai invitata per aiutarti ad organizzare il tuo matrimonio. L’hai fatto per farmi assistere impotente all’impietosa distruzione, al massacro del sogno e dell’ideale del matrimonio-

 

-Davvero sposi quell’angelo di Aljonka? Quella ragazzina ha i pattini al posto delle ali, e poi è talmente dolce...-

Lev s’illuminò, a quelle parole.

Allora non era l’unico a pensare che la sua Aljona fosse dolce!

Stanislav Andreevič Baškov, il mitico ex Cosacco proprietario de I Cosacchi dell’Ob’, era dello stesso parere.

-Allora siamo d’accordo, Stas? Il locale è prenotato per l’11 Gennaio. Puoi mettere qualche manifesto fuori, qualcosa tipo “Lev e Aljona just married”, “Lev and Aljona married today”?-

-Sì, sì, stai tranquillo! Poi però i manifesti me li tengo, mi fanno pubblicità. Lei è una promessa del pattinaggio, e tu... L’ho sempre saputo che saresti diventato qualcuno, anche quando eri solo uno scricciolo biondissimo e incredibilmente impertinente con una passione decisamente folle per le tempeste di neve. Come tua madre, d’altronde. Che bella che era, che è, tua madre. Una come lei, la splendente Nasten’ka Rostova, poteva sposare solo Fëdor Puškin, il figlio di Aleksandr. Tua nonna non me la ricordo, del resto sono del ’74, io. Ma era una ragazza sleale, o almeno lo è stata. Prima e adesso non so-

-Adesso è una donna sleale- mormorò Lev, cupo.

Gli venivano i brividi, se ripensava al suo incontro con Natal’ja di qualche mese prima.

Per fortuna, però, era riuscito a impedirle di vedere suo padre.

Da Fedja quella sgualdrina doveva stare lontana.

Era stata lei la prima ad andarsene, no?

Stanislav capì che quell’argomento aveva turbato Lev, e cambiò argomento.

-Tu, invece, sei un ragazzo fortunato. Ooh, what a lucky man he was!- canticchiò non troppo intonato, citando Lucky man di Emerson, Lake & Palmer.

-Lo so- sorrise Lev, fiero. -Aljonka, invece, è милая, милая, милая-

Sof’ja, accanto a lui, alzò gli occhi al cielo, seppure molto intenerita.

-Dai, Levočka, adesso andiamo. Dobbiamo ancora scegliere i vestiti che indosserai, no?-

-Già...- sospirò il biondo Puškin, rabbrividendo. -I vestiti che indosserò-

 

-Quella-

La voce squillante e decisa di Sof’ja fece sussultare il ventiduenne.

-Che? Cioè?- farfugliò, confuso.

-Quella camicia. Guardala! È perfetta! È la tua!-

Lev inarcò un sopracciglio, non poco perplesso.

-Me l’hanno rubata?-

-Non lo sapevi? Questo negozio si rifornisce direttamente dal tuo armadio-

Il ragazzo inizialmente sgranò gli occhi, ma poi scosse la testa, consapevole che non poteva essere vero.

Sonja, nel frattempo, batté ripetutamente la testa contro una colonna tra un reparto di camicie e un altro.

-Prendila!- gli intimò minacciosa, vedendo che il suo migliore amico aveva ancora lo sguardo perso nel vuoto e un’aria immensamente ebete e stupida dipinta sul bel viso.

-Ma si può?-

-Se la paghi, sì. Questo negozio vende camicie, Lev. A chi le compra!-

-E noi siamo qui per comprare una camicia, appunto. Beh, sì, questa mi pare adatta... È molto carina, molto azzurra...-

Era una camicia a sottili righe verticali turchesi e bianche, e Lev dovette ammettere che era proprio il suo genere, cosa che Sof’ja sapeva molto bene.

-Trentanove- disse la ragazzina alla commessa ch’era andata loro incontro, indicando il suo amico.

-Una trentanove di questa, che ‘sto demente si sposa-

La commessa sgranò gli occhi e guardò Lev con sgomento e una punta di delusione, ma si riprese in fretta.

-E non preferirebbe vedere un completo...-

-Oh, non gli parli di completi! Lui ignora quasi cosa siano, e poi non sono decisamente il suo genere. Lasci stare, grazie, va benissimo questa camicia. Poi passiamo ai jeans, Levočka, che ne dobbiamo assolutamente comprare un paio nuovi, con quelli logori che hai non ti lascio sposare. E infine le scarpe-

-Stivali, Sof. Porto gli stivali tutto l’anno, delle scarpe ricordo vagamente la forma-

-...Va bene, stivali. Ora però impegnati, mi raccomando!-

 

-Abbiamo finito, Leva! Tutto sommato sei stato abbastanza bravo, docile, non hai opposto resistenza-

-E come avrei potuto?- sospirò il biondino, esausto.

Avevano preso la camicia individuata da Sof’ja, un paio di jeans neri e uno di stivali di pelle nera quasi identici a quelli che Lev aveva già e che indossava anche in quel momento, ed erano letteralmente cresciuti con lui, ma nuovi.

Era così che si sposava un Puškin.

Era così che si era sposato suo padre.

Tutte le famiglie hanno una tradizione, e i Puškin avevano la tradizione di non essere tradizionali.

Con un sorriso stravolto ma felice recuperò il cellulare nella tasca dei jeans e telefonò ad Aljona.

 

Varsavia, 28 Novembre 2013

 

E per chi sta male come stavi tu…

(Il coraggio che non c’è, Laura Pausini)

-Riferito ad Igor’-

 

Aveva letteralmente piantato in asso le sue amiche, con molte scuse e poche spiegazioni, ma delle sue amiche una si stava per sposare e l’altra era fidanzata da prima che imparasse il significato della parola “fidanzamento”.

Lei lo era stata.

Non sposata, fidanzata.

E innamorata, tanto.

Con Andrej.

Di Igor’ no.

Di Igor’ non era solo innamorata.

Con Igor’ era...

Persa.

Per fortuna Via Józef Sowiński n.3 non era lontana.

Svetlana raggiunse senza fiato la casa di Agnieszka Kieszek e Zbigniew Wiśniewski, la coppia ospite di Pugačëv e Julajev, e si precipitò al campanello.

-Jestem Svetlana Korš… Skuzam Igor’ Julajev… Przepraszam że przeszkadzam…-

Sono Svetlana Korš… Cerco Igor’ Julajev… Scusate il disturbo…

-Nie martw się... Igorek jest poza…-

Non preoccuparti… Igorek è di là...

Il sorriso amichevole e i modi affabili di Agnieszka Kieszek la rassicurarono un poco, ma era comunque agitatissima.

Spettinata, stravolta e...persa.

Maledettamente persa.

-Igorek, przyjść! Jest twoja Svetlanka!-

Igorek, vieni! C’è la tua Svetlanka!

Igor’, nella sua camera, per poco non cadde dal letto.

Bloccò l'iPod sulle prime note di I've been waiting for you degli Abba, e sussultò nel realizzare ch’era vero, lui la stava aspettando.

Uscendo lanciò un’occhiata allo specchio, non era proprio al massimo della sua forma, tutto arruffato, con lo sguardo stravolto sebbene fosse soltanto pomeriggio, e come se non bastasse anche a piedi nudi.

Ma non importava, non poteva importare.

Svetlanka era lì.

Svetlanka avrebbe capito.

Arrivò in soggiorno col cuore in gola, confondendo i battiti con i brividi, e la guardò timidamente, in trepida attesa.

-Привет...- Privet… Ciao…, la salutò per primo, perché lei era ammutolita.

-Andiamo di là?-

 

I, I don’t know what you do

You make me think that you

Possibly could release me

I think you’ll be able to

Make all my dreams come true

And you ease me

 

Io, io non so cos’hai fatto

Mi fai pensare che tu

Forse potresti liberarmi

Penso che riusciresti

Ad avverare tutti i miei sogni

E mi alleggerisci

(I’ve been waiting for you, Abba)

-Riferito ad Igor’ e Svetlana-

 

Svetlana lo seguì, ma quando arrivarono in un angolo abbastanza appartato del lungo corridoio che portava alle camere da letto non riuscì più a resistere.

Lo fermò per un braccio e gli rivolse uno sguardo disperato.

In quel momento lei aveva gli occhi più azzurri che mai e lui di un limpido verde acqua.

-Puoi farmi sentire persa come fa Lev con Aljona?-

Igor’ guardò le dita di Svet intorno al suo braccio e poi guardò lei, la chioma castano chiaro sparsa sul cappotto blu, lo sguardo intenso e appassionato che però gli sfuggiva, perché lei lo spostava febbrilmente dal suo viso alla sua spalla alla sua felpa, ansiosa e terrorizzata.

Ed Igor’ non si sentì più il martire quindicenne che rimboccava le coperte a sua madre e sorreggeva suo fratello quando le crisi di pianto per la famiglia che avevano perso erano più violente di lui e dei suoi ventitré anni, il pessimo studente sempre a rischio che faceva i compiti alla meno peggio a letto nel cuore della notte, mentre ascoltava sul suo iPod una canzone più triste di lui e sapeva benissimo di non essere preparato per la prossima verifica e nemmeno per la prossima giornata.

Non era più lui.

Varsavia l’aveva guarito, Svetlana a Novosibirsk gli sembrava irraggiungibile, ma in realtà era lui ad esserlo.

Aveva il cognome di un eroe, Igor’, eppure si era sempre sentito una nullità.
Ma era vero, Salavat Julajev era troppo diverso da lui, era uno di quelli che si facevano sentire, che si ribellavano, mentre lui era così schivo...

E allora la abbracciò, perché a Varsavia Svetlana era vera, non il sogno proibito di Novosibirsk.

La strinse e c’erano le sue mani, sulla schiena di Svet, e lui ce l’aveva la forza, ce l’aveva il coraggio!

-Perdonami, Svet... Per tutto quello che non siamo stati a Novosibirsk-

Le accarezzò una guancia con le dita, la guardò come Svetlana non pensava che sapesse guardarla, con tutta quella dolcezza.

-A onda si se ti pojavio kao da si magija i za noć uradio da se opet rodim ja a od sebe sam bila starijaNemam ja godine, nemam ime ni prezime, s tobom krv sam promenila, sebe sam pobedila-

E poi sei arrivata tu come per magia e mi hai fatto rinascere in una notte quando io ero più vecchio di me stesso... Io non ho età, non ho nome né cognome, ho cambiato il mio sangue con te, ho sconfitto me stesso.

Svetlana sussultò, riconoscendo quelle parole in serbo, quelle parole che le aveva detto Aljona quasi tre mesi prima, riferite proprio ad Igor’.

Del resto la cantante si chiamava come lei, e, stando alla logica astrusa di Aljona, che leggeva il futuro nelle canzoni serbe, non poteva essere una coincidenza.

-Ma allora Aljona aveva ragione...-

-Aljona ha sempre ragione. Anche quando a noi sembra che farnetichi-

-Quindi è vero che sa già i nomi dei nostri figli...-

Quella frase Igor’ non la capì, e non l’avrebbe capita prima del 2018, ma non aveva certo bisogno di capire quella frase per baciarla.

 

I’ll be your mirror

Reflect what you are, in case you don’t know

I’ll be the wind, the rain and the sunset

The light on your door to show that you’re home

When you think the night has seen your mind

That inside you’re twisted and unkind

Let me stand to show that you are blind

Please put down your hands

‘Cause I see you

I find it hard to believe you don’t know

The beauty that you are

But if you don’t let me be your eyes

A hand in your darkness, so you won’t be afraid

 

Sarò il tuo specchio

Che riflette ciò che sei, nel caso tu non lo sappia

Sarò il vento, la pioggia e il tramonto

La luce sulla tua porta per dimostrare che sei a casa

Quando pensi che la notte abbia visto la tua mente

Che dentro sei contorto e spietato

Lasciami dimostrare che sei cieco

Per favore metti giù le mani

Perché io ti vedo

Trovo difficile credere che tu non sai

La bellezza che sei

Ma se non mi lasci essere i tuoi occhi

Una mano nell’oscurità, così non avrai paura

(I’ll be your mirror, Velvet Underground)

-Riferito a Svetlana ed Igor’-

 

 

 

 

Note

 

Милая, милая, милая (Milaya, milaya, milaya, Dolce, dolce, dolce),Philipp Kirkorov.


Привет!

Finita la prima settimana di scuola, finito il Capitolo 72 ;)

Vediamo i preparativi del matrimonio di Lev e Al, alternandoci tra Novosibirsk e Varsavia.

Al fa impazzire Khad e Svet, mentre Lev si porta Sof’ja, la sorella di Niko, a fare compere.

Sarà molto importante, la piccola Sof.

La descrizione della Rynek Starego Miasta di Varsavia è il più fedele possibile, esiste tutto quello che ho scritto ;)

E poi ci sono Igor’ e Svet, e finalmente la loro dichiarazione, che spero davvero vi sia piaciuta.

L’incontro tra Lev e Natal’ja, avvenuto qualche mese fa, qui l’ho solo nominato, ma in uno dei prossimi capitoli ne scriverò più approfonditamente.

 

A presto! ;)

Marty

 

 






 

 

 

 

 

  
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