Ciò a cui realmente penso adesso non è il fallimento della missione - di certo qualcosa di misero e privo di significato -, né la sconfitta che ha subito la mia arte, bensì penso al mio maestro, Akasuna no Sasori.
Dunque non è riuscito a sopravvivere ...
Sento vorticare tutto ciò che ho intorno, mi metto seduto e affondo le dita nel terreno. Le lacrime mi rigano il viso, non riesco a trattenerle nemmeno con la mia grande forza di volontà.

Eppure egli era così convinto che la sua arte fosse invincibile, persino migliore della mia ...

Con questi pensieri, mi alzo barcollante, le gambe cedono perché non riesco a trovare la forza per stare lì, ritto. Ciò che più mi preme è vederlo, adesso. Mi faccio forza, faccio alcuni passi, diretto verso un baratro dal quale, sono certo, non uscirò facilmente. Sto lentamente sprofondando, lo capisco ogni secondo quando sento il cuore battermi nel petto, come se questo tenesse conto dei secondi che mancano per riuscire a vederlo nuovamente - e per l'ultima volta. Pochi passi, sono quasi arrivato. Per un attimo rimango malfermo sulle gambe, i pugni stretti lungo i fianchi, tremando nella penombra umida della spelonca. Alzo lo sguardo e varco l'entrata, guardandomi intorno, cercandolo. Attorno è tutto un tripudio marionette distrutte, ma non mi è difficile trovarlo. Non appena lo vedo, sento le gambe cedere nuovamente, i miei occhi si dilatano e, ancora una volta non riesco a trattenere le lacrime. Mi avvicino lentamente, sposto i capelli dal suo viso e pulisco il rivolo di sangue che esce dalle sue labbra schiuse.
Mai avrei pensato di potermi trovare in una simile situazione, pensavo che sarei morto prima io, elevandomi a opera d'arte suprema per mezzo di un'esplosione.
D'altronde, era stato Sasori stesso a dire - il primo giorno che feci la sua conoscenza - che i giovani come me non rimangono in vita a lungo. E adesso, vederlo qui, accasciato a terra esanime mi provoca un dolore sconfinato, sento una fitta al petto, mi manca il respiro.
Prendo le sue mani tra le mie, avrei dovuto fare quel gesto molto prima, quando lui ancora ne aveva percezione. Sembra così inutile, adesso, davanti alla grandezza della fine. Eppure questo tocco - il primo e l'ultimo - mi fa stare quasi meglio, le sue dita sono fredde. Istintivamente le porto alle mie labbra e successivamente le poggio sulla mia guancia. Avrei bisogno di lui adesso, so che dovrei fare qualcosa ma non riesco a fare altro se non rimanere qui, immobile, vicino a lui, come se ogni attimo fosse prezioso. È davvero questo ciò che avevo sperato? Volevo sì sentire il suo tocco sulla mia pelle, ma non così ... avrei dovuto rivelargli ciò che sentivo prima, sperando che lui provasse lo stesso per me ... Quanta amarezza, quanto disprezzo che adesso provo per me stesso, quanto è misera la mia condizione! Tocco con la punta delle dita il suo unico punto vitale, messo così in bella mostra sul petto, avvicino il mio volto al suo, lasciandomi abbagliare dalla sua bellezza e perfezione.
Ammiro il contorno delle labbra e le sfioro con la punta delle dita. Poi, scansandole lentamente, poggio le labbra sulle sue, facendo gocciolare delle lacrime sul suo viso.
Fisso ancora un attimo quella espressione per ricordarla, chiudo gli occhi per imprimerla meglio nella mia mente.

Senza guardarlo oltre mi alzo e mi allontano a passi pesanti, in preda alla disperazione.