Quando vide la chiamata in arrivo
inizialmente pensò che si fosse messo il telefono in tasca senza il
blocco tasti: Michele non la chiamava, né le mandava messaggi; o
suonava il campanello oppure le lasciava dei bigliettini attaccati
alla porta, se stava uscendo ed era particolarmente di fretta.
–
Pronto? – rispose, sospettosa.
– Pensavo che non rispondessi
più. Ascolta, vai al lavoro da sola, stasera: io ho un appuntamento
con il capo, a Vicenza.
– Ok.
– Ascoltami attentamente: se
Katisha arriva in ritardo dille che la prossima volta può evitare di
venire. Stefano rimarrà al suo posto, voglio che invece Fabio e
Gianni gli si mettano uno a destra e uno a sinistra, in modo che
rimarrà aperto solo un lato del bancone, stasera non ci sarà il
pienone e quindi può bastare.
– E io? – chiese, accorgendosi
che non l'aveva nominata.
– Ricordati che oggi arriva il
fornitore delle bottiglie, e quindi devi essere lì un po' prima.
Devi dargli i vuoti, le casse piene fattele portare direttamente nel
magazzino. Fai in modo che le cameriere lascino sempre la sala
pulita, voglio che facciano il giro per raccogliere i bicchieri ogni
volta che sono libere.
Diana capì che cosa intendeva: doveva
prendere il suo posto, quella sera. Si grattò la tempia, dubbiosa.
–
Michele, sono due mesi che lavoro al Daiquiri. – disse, chiedendosi
tra sé e sé se i suoi colleghi l'avrebbero ascoltata.
– Ma che
cosa dici? – si arrabbiò, – Sei più grande di tutti loro, non
iniziare a farmi questi discorsi.
Si morse le labbra e fece un
sospiro: doveva dimostrargli che la sua fiducia era ben riposta, ce
la poteva fare. Sapeva come funzionava un locale, e in passato aveva
gestito dei negozi: sarebbe stata in grado di unire le due cose.
–
Intendevo dire, sono due mesi che lavoro al Daiquiri: so che il
mercoledì arriva il fornitore del vetro, e so come ti aspetti che
vadano le cose. Passa una buona serata, quando finisci la riunione
con il capo se vuoi rimani in giro, prenditi del tempo
libero.
Michele, più tranquillo, si lasciò andare a una risata,
smascherandola.
– Sai che non mi freghi, vero?
Diana
controllò l'orologio: avrebbe dovuto sbrigarsi.
– Dove mi hai
lasciato le chiavi?
Solo Fabio sembrò poco convinto del fatto
che Michele avesse lasciato a lei il comando,
– Ma dai, –
cercava di aizzare Gianni, che stava preparando diligentemente la sua
postazione, – è la più nuova qua dentro! – si lamentò, dando a
intendere che lo considerava un favoritismo.
Diana gli si parò
davanti.
– Fabio quanti anni hai? Da quanto tempo lavori qui?
Hai lavorato in altri posti prima? E cosa facevi? – Fissò lo
sguardo serio del ragazzo, e continuò. – Io ho ventotto anni, sì,
lavoro qui da due mesi, ma prima gestivo un negozio in centro a
Torino, avevo dieci persone sotto di me. Prima ho fatto la vice
responsabile in un store con quanti, cinquanta venditori? E prima
ancora lavoravo nei bar e nelle discoteche: per anni. Fidati che ci
sono stata più io di te dietro a un bancone, e se anche non fosse tu
non hai le competenze necessarie per sostituire Michele una
sera, io sì. O ti metti al lavoro o vai in sala: porto qui Agnese al
tuo posto e le insegnerò a fare un dannatissimo Cuba.
Fabio la
guardò, dall'alto in basso, e si slacciò il grembiule.
– Dici?
– la minacciò.
Diana si girò.
– Agnese! – chiamò la
ragazza che stava mettendo i tovagliolini e le cannucce nei privé. –
Tu e Fabio stasera vi scambiate di posto, vieni qui.
La ragazza
spalancò gli occhi e corse al bancone, ignorando Fabio che le stava
passando accanto dandole una spallata.
– Cosa devo fare? –
chiese, eccitata.
Diana le mostrò la sua postazione, riempì una
bottiglia d'acqua e le mise in fila una cinquantina di bicchieri di
plastica, spiegandole cosa doveva fare per riempirli.
– Gianni
ti preparerà la postazione mentre tu ti eserciti, non ti
preoccupare: farò in modo che tu stasera non debba fare altro. –
la rassicurò, mentre lei entusiasta provava a versare. – Dalle un
occhio, per favore. – sussurrò a Gianni, mentre scendeva dalla
pedana e andava a sentire che cosa voleva il Dj, che si stava
sbracciando verso di lei.
La metà della serata era passata
senza particolari problemi: aveva fatto un cartellone attaccando
delle cannucce colorate in modo che formassero una scritta che
segnalava la postazione di Agnese come preferenziale per Cuba, Vodka
Lemon e Chupiti; Fabio aveva ingoiato il rospo e stava iniziando a
sciogliersi, scherzando con le altre cameriere.
Diana faceva il
giro incessantemente, per accertarsi che tutto stesse andando bene,
dal guardaroba ai bagni; e aveva convinto il capo dei buttafuori a
darle un auricolare, in modo che sarebbe potuta intervenire in caso
di bisogno.
Salì sulla pedana, andando accanto a Stefano che era
appoggiato alla fila di frigorigeri e se la rideva per come Agnese si
stava impegnando.
– Non la prendere in giro. – disse
bonariamente.
– No, no, – si giustificò lui, – se la cava
alla grande: un ragazzo prima non ha letto un cartello e voleva un
Long Island, stava iniziando a lamentarsi ma Agnese ha sbattuto un
po' gli occhi e lui si è accontentato di un Cuba.
– Quando
c'era casino sono venuta ad aiutarla con la cassa, sembra che sia
andato tutto bene. Cosa ne pensi? – gli chiese, sospirando.
–
Sei stata brava: per un attimo ho avuto paura che Fabio ti mettesse i
piedi in testa, ma lo hai gestito alla grande. Vecchietta. –
la prese in giro, facendola ridere. – Oh, – disse poi,
indicandole l'ingresso. – guarda chi è arrivato! Boss! – si
sporse dal bancone per salutare con Michele, in una sorta di cinque
alto, e salutò le ragazze che erano con lui.
– È andato tutto
bene, non ti preoccupare. – lo informò svelta Diana, vedendo che
osservava Agnese dietro al bancone, poi premette l'auricolare
all'orecchio, ascoltando. – Arrivo subito. – rispose,
schiacciando il tasto del microfono.
Michele la stava
squadrando.
– Che roba è? – borbottò, – È tutto a
posto?
– È un auricolare, – spiegò, mentre scendeva dalla
pedana, – va tutto bene: qualche problema nel bagno delle signore,
ma me la cavo io. Tu sei di riposo. – lo assicurò, prima di
dileguarsi tra la gente.
Dopo aver sedato la piccola emergenza,
una ragazza che inizialmente sembrava stesse male ma poi scoprì
essere solo in crisi perché il ragazzo l'aveva tradita, Diana si
stiracchiò e tornò in sala.
Si sedette sui gradini della scala
che portava all'ufficio e spiò verso il banco, Michele e le ragazze
con cui era arrivato.
Erano tre, e sembravano avere una grande
confidenza con lui: gli stropicciavano i capelli, bevevano dal suo
bicchiere, una aveva addirittura provato a portarlo a ballare,
dovendo poi arrendersi. Furono raggiunti da un altro uomo, circa
della stessa età di Michele, e rimasero al bancone da Stefano, che
preparò da bere per tutti.
Diana non faceva altro che guardare le
ragazze: labbra rosse e lucide, ciglia nere che sbattevano maliziose,
capelli lunghi e sciolti, sembravano fatte con lo stampino, ma,
doveva ammetterlo, uno stampino incredibilmente bello.
Non aveva
mai scoperto il genere di donna che interessava a Michele, forse era
quello. E forse tra di loro c'era la sua ragazza: aveva dato per
scontato che lui fosse single, ma sapeva che nonostante sapesse per
alcuni versi lo conoscesse intimamente in realtà lui poteva
benissimo aver avuto una ragazza per tutto quel tempo senza che lei
se ne accorgesse.
Continuò a guardarli, mentre il suo stomaco
sembrava attorcigliarsi: o magari una di loro lo sarebbe presto
diventata.
Un fischio all'orecchiò la fece sussultare.
–
Quindi? – le diceva la voce metallica, all'auricolare.
–
Quindi cosa? La ragazza sta bene, l'ho lasciata con una sua amica.
–
Sì, intendevo dire: faccio ancora entrare la gente?
Diana guardò
l'ora.
– No, è ora di iniziare ad alzare le luci: tra una
mezz'oretta saremo chiusi.
Decise di concedersi una sigaretta,
sperando che il il gusto del tabacco l'aiutasse a portare via l'amaro
in bocca: ancora una volta, per motivi diversi, Padova la faceva
sentire inadeguata, e dopo una serata come quella non poteva
accettarlo.
Sperava di essersi caricata abbastanza, e invece una
volta tornata dentro il castello mentale che si era costruita,
ricordandosi che doveva essere fiera di sé, crollò. Indossò il suo
miglior sorriso, notando che Michele e le sue amiche si erano
dileguati, e iniziò la chiusura.
Si trattenne in ufficio per
assicurarsi un' ultima volta che avessero contato i soldi
correttamente, poi spense anche l'ultima luce e chiuse il locale,
salutando grata il buttafuori che l'aveva aspettata.
– A domani,
Giacomo!
– Brava Diana, sei stata brava! – la salutò lui,
guardandola salire in macchina prima di far partire la sua
Harley.
Arrivata sotto casa cercò con gli occhi la 159 di
Michele, ma non la vide al solito posto. Salì in casa, finalmente
non doveva più costringersi di sorridere, ora il suo riflesso nello
specchio dell'ascensore le restituiva lo smarrimento che
provava.
Prese una coppetta di gelato dal freezer e tornò
nell'ingresso a mangiarla, seduta per terra contro la porta, per
riuscire ad ascoltare i rumori del pianerottolo; quando si addormentò
Michele non era ancora tornato.
Sussultò mentre il campanello
la svegliava, lanciando in aria la vaschetta di gelato ormai sciolto
che aveva appoggiato alla pancia.
Intontita, senza capire bene
cosa stesse facendo, aprì istintivamente. Michele la guardava
sconcertato, e abbassando lo sguardo verso la sua maglietta capì: il
gelato le si era versato addosso, e anche per terra da quello che
vedeva. Cosa doveva dirgli, per giustificarsi, che la notte prima era
stata colta da un momento di pazzia e si era addormentata alla porta
sperando di sentirlo quando sarebbe rientrato?
– Ti dispiace?
Non è il momento, devo farmi una doccia. – gli disse, richiudendo
la porta prima che le lacrime scendessero senza il suo permesso.
–
Vieni da me, dopo, così mi racconti di ieri. Vado a prepararti un
caffè.
Si sentiva come in piena crisi premestruale, avrebbe
voluto spalancare la porta e urlargli dietro, chiedendogli se l'unica
cosa che gli interessava di lei era sapere cosa aveva combinato nel
suo preziosissimo locale. Evitò, tenendo a bada quell'insano
istinto, e si trascinò in bagno, dove alla vista del suo riflesso
nello specchio non fu più capace di trattenere le lacrime.
Anche
la sua guancia era sporca di cioccolato, forse prima di dormire si
era lasciata andare a un pianto perché il trucco le era colato
tutto, e per concludere l'opera i capelli sembravano un roseto che
non aveva una potatura da decenni.
Michele forse aveva passato la
notte fuori con una di quelle ragazze, e lei finiva ridotta in quelle
condizioni.
Il morale era così a terra che nemmeno quando fu
vestita e pettinata se la sentiva di attraversare il pianerottolo e
andare da lui: il pensiero di come l'aveva vista, il pensiero di
quello che era successo la notte prima, sembravano impossibili da
affrontare.
Michele suonò al campanello, e lei rimase immobile,
sperando che lui non la sentisse e pensasse che si fosse
riaddormentata.
Ma invece lui suonò di nuovo.
– Daiana...
–Si sentì chiamare, da fuori dalla porta.
Asciugò la
lacrima depressa e solitaria sulla sua guancia, e capì che presto o
tardi avrebbe dovuto affrontarlo.
– Eccomi. – sorrise, aprendo
la porta. Allargò il sorriso, vedendo il suo sguardo dubbioso. –
Ehi, scusa il ritardo, ma non so se avevi notato i miei capelli
richiedevano un lavaggio intensivo. – disse superandolo, diretta
verso il suo appartamento.
Sul tavolo, oltre al caffè, Michele
aveva appoggiato anche un paio di brioche, e lei ne prese una
chiedendosi se si fosse era fermato a prenderle di ritorno da casa
della ragazza con cui aveva passato la notte. Almeno in qualche cosa
l'aveva pensata, per vendicarsi scelse quella al cioccolato,
lasciando a lui quella vuota.
Fece colazione come se niente fosse,
e poi, mentre lui era ancora a metà brioche, uscì sul terrazzino a
fumare una sigaretta.
– Tutto bene, ieri sera? – le chiese,
seguendola.
– Oh, sì. – rispose particolarmente entusiasta, –
E tra parentesi inizialmente Giacomo era dubbioso, e poi ha detto che
sono stata un genio a chiedergli l'auricolare: forse dovresti copiare
la mia idea. Fabio ha alzato un po' la cresta, è per quello che l'ho
mandato in sala e ho chiesto ad Agnese di salire al banco, ma a fine
serata mi ha chiesto scusa, quindi tutto risolto.
Michele incrociò
le braccia.
– Sì, quello me l'ha spiegato Stefano, ha detto che
l'hai rimesso a posto proprio bene, ma non avevo dubbi. No, ti
chiedevo, perché prima eri... così?
Diana ci mise molto impegno
a spegnere la sua sigaretta, non sapeva davvero cosa dirgli.
Era
gelosa, era insicura, era disperata perché si sentiva male al
pensiero di quello che provava per lui. Perché Michele era anche
molto, troppo, altro.
– Non avevo niente, mi sono addormentata
davanti alla tv, era un bel film. – lo liquidò, entusiasta per la
spiegazione che copriva tutto, gelato e trucco sciolto.
Michele
aggrottò le sopracciglia, ma lei lo ignorò, tornando dentro. Sì,
era gelosa, gelosa da stare fisicamente male.
– Posso mettere su
un po' di musica? – disse, andando in sala e scegliendo un cd, già
sapendo che lui non le avrebbe mai permesso di toccare il giradischi
e uno dei suoi idolatrati vinili.
Non voleva scappare da lui,
dandogli modo di chiedersi ancora che cosa potesse avere, ma d'altra
parte non aveva voglia di altri silenzi, né di altre domande.
Mise
Surfer Rosa dei Pixie, skippando diretta alla settima traccia, Where
is My Mind, lasciandosi poi cadere sul divano e ascoltandola a tutto
volume, grazie al meraviglioso impianto di Michele.
– Ehi, –
disse lui raggiungendola, – non dirmi che l'hai scelta per Fight
Club, tamarra.
Le fece scappare un sorriso.
– Sai, –
urlò per sovrastare la musica, e Michele prese il telecomando
abbassando il volume a livelli più accettabili. – sai, tanta gente
pensa che io abbia una cultura musicale di tutto rispetto, eccetto
te: ti assicuro che ce l'ho, solo che è più varia, non mi soffermo
solo su generi di nicchia. Comunque hai mai ascoltato la versione
live di questa canzone con i Placebo? – capì dal suo sguardo che
per una volta poteva essere lei a fargli scoprire qualcosa, e si tirò
su, soddisfatta. – Ce l'ho in macchina, se andiamo al lavoro con la
mia te la faccio ascoltare.
Gli prese il telecomando dalle mani,
fece ripartire la canzone e alzò il volume.
Non aveva voglia di
altri silenzi, né di altre domande.
Seduta accanto a lui, sul
divano, abbracciando un cuscino, avrebbe voluto piangere
silenziosamente, mentre la musica la stordiva e allo stesso tempo
esaltava i suoi sentimenti; ma si limitò a respirare, lasciando che
il semplice contatto del suo gomito la addolcisse.
– Almeno potresti dirmi che sono
stata brava ieri sera. – si ribellò rianimandosi quando, dopo che
la canzone finì anche per la terza volta, si decise a spegnere.
–
Non mi aspettavo niente di diverso, è questo che ti devo dire?
–
Se le tue aspettative nei miei confronti si abbassassero magari
potrei beccarmi un “brava”, ogni tanto. – incrociò le gambe e
si girò verso di lui.
– Se le mie aspettative fossero state
basse forse non ti avrei detto di trasferirti qui. – strinse gli
occhi a due fessure, guardandola, e si alzò.
– Perché vuoi
avere sempre l'ultima parola? – borbottò, e Michele dalla cucina
rise.
– Lo sai che ho sempre ragione.
Stava prendendo le
tazze dal lavandino e mettendole nella lavastoviglie, come se lei non
fosse già più lì.
– Però, qualche rara volta, potresti
dirmelo. Così, mi farebbe bene. – disse a mezza voce,
appoggiandosi allo stipite della porta della cucina. Si sentiva molto
più vulnerabile in quel momento, in cui in cui gli chiedeva una
semplice gratificazione, che poco prima, quando aveva ascoltato la
stessa canzone più volte davanti a lui, sfogando un sentimento che
involontariamente era stato proprio lui a provocarle.
Ma era
perché nascosto in quelle parole c'era qualcosa di più, che non
sapeva e non voleva esprimere, una richiesta diversa.
– E no, –
continuò, dopo un lungo silenzio durante il quale Michele l'aveva
semplicemente guardata. – non mi risponderai stasera, non mi
risponderai un'altra volta: non credi che ogni tanto potresti
dirmelo? Sei l'unico che potrebbe farlo, e l'unico da cui avrebbe un
valore.
Michele le porse il pacchetto di sigarette, precedendola
nella terrazza.
– Sai, Daiana, quando ci siamo conosciuti
continuavo a meravigliarmi: avevi solo diciotto anni ed eri così
sicura di te. – soffiò una boccata di fumo. – Certo, volevi
essere ricoperta di complimenti, ma era come se volessi sottolineare
quello che tu già sapevi.
– I tuoi complimenti però li sentivo
diversi, quando me li facevi. Ero davvero fiera quando riuscivo a
strappartene uno, anche misero. – ricordò, mentre un amaro sorriso
di rimpianto le addolciva il volto. A quei tempi era tutto molto più
semplice.
– Ora ti vedo: sei più matura e ti sei ridimensionata
nella tua testa, paradossalmente ti fai più paranoie adesso, ma in
fondo sei ancora orgogliosa di quello che sei, e di quello che sai.
Se qualcuno ieri sera ti avesse detto che eri stata brava, e
sicuramente lo avranno fatto, avresti reagito come allora. Saresti
stata contenta, ma tu per prima sai di aver fatto un bel
lavoro.
Diana trattenne un nuovo sorriso, lasciando che a tradirla
fosse solo la fossetta, raccogliendo a piene mani quel mezzo
complimento mascherato.
Sospirò, poi, capendo che lui non aveva
intenzione di proseguire.
– Qual'è la fine di questa
riflessione, tu che mi chiedi perché ti assillo continuando a
chiederti se ho fatto un buon lavoro?
– Tu per prima lo sai. Io
non sono più importante di te, della opinione che hai di te stessa,
né di tutte quelle persone che te lo hanno detto ieri: loro lavorano
con me, e se ti hanno giudicato bene è come se avessi anche il mio,
di giudizio. Non devi aspettare che sia la mia approvazione a dartene
la certezza.
Diana tremò leggermente, forse per la leggera
brezza.
– Se tu sapessi. – Guardava dritto davanti a sé, i
palazzi illuminati dal sole, i le violette che iniziavano timide a
fiorire nei vasi sui balconi. Non sarebbe mai riuscita a guardarlo. –
Se tu solo sapessi cosa significherebbe per me. Non è questione che
non mi sento brava, se non me lo dici. Io vorrei che tu mi
apprezzassi: lo vorrei tanto, tu sei il mio mentore. – aveva
parlato a mezza voce, scandendo ogni parola, come se avesse voluto
soppesarle ad una ad una.
Si sentì rinchiudere nel suo
abbraccio, e nascose la faccia contro il suo petto.
– Sei stata
brava. – disse, con quella sua voce roca e bassa.
E pensò che
forse quello poteva bastarle.
Nda: Ma ciao fandom delle originali
:-D un aggiornamento domenicale non fa mai male, e visto che è
il mio ultimo giorno di malattia ho deciso di festeggiarlo così!
Ecco un nuovo capitolo, che spero vi piacerà, Diana inizia ad
essere più sicura di sè al lavoro ma con Michele non le
è altrettanto facile.
Grazie Bloomsbury, il fatto di sapere che tu sai leggendo questa
storia mi dà la forza di continuarla! Grazie grazie grazie!
Ascoltatevi i Pixies, pace amore e rock!