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Autore: IamShe    16/09/2013    12 recensioni
Non è buffo? È mio marito e padre di mio figlio, ma non conosce quel qualcuno che è la causa scatenante delle mie azioni; quel qualcosa a cui la mia vita si relaziona per essere tale. «Shinichi Kudo» dico. Non lo conosce, sa soltanto che è il mio amico d’infanzia.
Sorrido, afflitta. Di che mi lamento? In fondo è davvero così.

Ran è sposata ed ha un figlio, ma il marito e padre del suo bambino non è Shinichi. Lui è mancato per dieci lunghi anni e continua a mancare. Eppure, anche quando credeva di aver finalmente voltato quella maledetta pagina, di aver dimenticato quel nome, si ritrova a dover fare i conti col suo passato. Un passato che è più vicino di quanto voglia ammettere.
Genere: Erotico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Ran Mori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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#6 Il passato che ritorna
 
 
Cammino in fretta verso casa dei miei genitori, e strofinandomi le braccia con le mani tento di diffondere in me un po’ di calore. Dopo che quelle di Shinichi mi hanno lasciato, è difficile riuscire a credere di potermi riscaldare senza di lui. Ci sono ricascata, e non ho fatto nulla per impedirlo: per la terza volta non sono riuscita a resistergli. Avrò mai la forza necessaria per risolvere questa situazione? Sarò mai capace di lasciarlo completamente, senza più ripensamenti o tentazioni, senza più dubbi? Sospiro. So già qual è la risposta. Salgo le scale dell’agenzia, velocizzando leggermente il passo. Mille immagini mi attraversano la mente, proiettandomi in un passato che, per assurdo, pare molto più roseo di questo presente. Mi fermo e lascio che scorrano davanti a me: rivedo i passi di me e Conan scivolare su per le scale, le sue braccia attrarmi a lui ed aiutarmi a salirle quella sera che ero troppo stanca per camminare ancora sui tacchi. Oppure quella mattina che ero così assonnata per andare all’università, che mi prese in braccio ed gli circondai il collo con le mani, assaporando il suo profumo. Più passavano gli anni, più Conan prendeva la fisionomia di Shinichi, e più io avevo bisogno di lui. Il nostro rapporto divenne sempre più profondo, più intimo, più diretto. Sapevo d’amarlo, di adorarlo, ma non credevo di vederlo come un uomo. Fin quando conobbi Shirai, e poi lo feci conoscere ai miei, ero convinta che Conan fosse il fratello che aveva allietato con la sua dolcezza le ferite che Shinichi mi aveva inferto. Ma quando Shirai cominciò a venire sempre più spesso a casa, il rapporto che avevo instaurato con il mio fratellino si disintegrò nel giro di poche settimane. Nonostante c’avessi parlato, ed avessi provato a chiedere cosa avesse, Conan non rispose più a nessuna domanda. La notte, quando tornava in camera mia a dormire, non mi rivolgeva parola, e se io provavo a chiedergli com’era andata la giornata, lui dissolveva ogni mia curiosità con un “ho sonno, parliamo domani”. Ma quella chiacchierata, il giorno dopo, non arrivava mai. Poi ci fu quel bacio. Quel bacio caldo e passionale che mi tormentò l’anima per il resto delle ore che passavo a casa, lontana da lui. Non riuscivo a togliermelo dalla testa, e sulle mia labbra erano sempre più marcati i segni che c’avevano lasciato le sue. Shirai non mi aveva mai baciata così, io non ero mai stata baciata così. Un bacio come quello, penetrante, sconvolgente, violento, forte e sicuro, era tutto ciò che avrei dovuto evitare in quel periodo. E le sue occhiate maliziose non facevano che peggiorare la situazione.
La forza che impiego nello sbattere a terra il mio allievo è un po’ troppa, ma me ne accorgo tardi: un sonoro applauso giunge sino alle mie orecchie, quando i miei occhi guizzano sul corpo gracile del ragazzino che sto allenando. Dolorante, si contorce su se stesso, mantenendosi il fianco con un mano.
“Unpei-kun!” mi accovaccio su di lui, preoccupata. “Scusami, non volevo farti del male. Tutto apposto?”
Gli poggio una mano sulla sua, quando lo vedo alzarsi poco a poco, ancora un po’ affaticato.
“Certo, che botta!” esclama.
Sorrido, aiutandolo a rimettersi all’in piedi. “Pensavo che saresti riuscito a schivarlo” gli dico, rallegrandomi del tono convincente che assume la mia scusa: in realtà sono io quella distratta, che ha altro da pensare ed è incapace a trattenere la propria forza.
“Mouri-san... sono solo cintura verde. Mi sopravvaluta.”
“Dieci minuti di pausa, ok?” annuncio a lui e agli altri ragazzini, sorridente. I miei allievi si muovono verso gli spalti, sedendosi a gruppo, e bevendo litri di acqua ed integratori. Mi giro verso il mio borsone, poco più in là, intravedendo Shirai, che mi saluta, ed una figura vicino a lui. Il tempo si ferma.
“Oddio!” mi lascio scappare, senza riuscire a trattenermi, col cuore che mi batte all’impazzata. Ma è solo qualche istante: la mente finalmente si decide a mettersi in moto, e mi capacita dell’ennesimo scherzo che mi ha teso la memoria. Non è Shinichi. È soltanto Conan senza occhiali, soltanto quello che mi ha baciato l’altra notte. Così passionale, così bello, così diretto. È soltanto quello identico a lui, quello che indossa la divisa del Teitan allo stesso modo, quello che assiste ai miei allenamenti.
“Che c’è? Hai visto un fantasma?” mi domanda il mio ragazzo, stranito per il mio improvviso sussulto.
“Più o meno...” gli rispondo, mentre mando un sorriso stentato al mio fratellino. Posso più continuare a chiamarlo così? Due fratelli non fanno quello che facemmo noi in cucina poche sere fa, ed inoltre, non provano questa strana sensazione di appartenersi uno all’altro, come noi due. Accanto a lui c’è Ayumi, la sua adorabile amichetta d’infanzia. Quella che ha una cotta per lui, ma che l’unico che sembra non essersene accorto, o fa finta di non saperlo, è proprio Conan.
Lui mi guarda ed io lo fisso con insistenza: dannazione, rimettiti quegli occhiali, ora.
“Avevi intenzione di uccidere quel ragazzino? Vacci piano, bellezza!” mi abbraccia dolcemente Shirai, poi avvicina le labbra al mio orecchio: “amore, la settimana prossima parto per l’Hokkaido. Starò circa due settimane... però purtroppo dovremo passare Natale lontani.”
Colgo al volo l’occasione per distogliere lo sguardo dal mini Shinichi. Lo distanzio, facendo l’offesa: “devi andare per forza?”
Lui annuisce. “Non dirmi nulla. È importante... potrebbe farmi salire di livello. Tu, piuttosto, non farmi stare in pensiero. Cerca di non uccidere nessuno durante la mia assenza.”
Alzo le spalle, sedendomi accanto ad Ayumi, mentre Conan mi fissa con un’espressione indecifrabile sul viso. Tremo, e quasi sento il cuore bloccarsi, quando dice: “non preoccuparti, Tendo. Ci penserò io a lei, durante la tua assenza.”
Gli sguardi corrono su di lui frenetici, intrappolati da quella nota di malizia che albergava la sua voce. Shirai alza un sopracciglio, Ayumi lo aggrotta, ed io non riesco a togliergli gli occhi di dosso.
“Be’, stai attento, che poi io sono geloso.” Replica il mio fidanzato, sorridente. Ma Conan non impiega molto a smorzare il suo entusiasmo, e pungente, reclama: “figurati... al massimo posso darle qualche bacetto ingenuo...” mi guarda malizioso, e poi sorride: “tutto, per consolare la mia sorellona.”
Arrossisco all’istante, interponendomi tra i due. Shirai non sa cosa pensare, mentre io non so dove guardare. È una situazione imbarazzante. Ayumi mi fissa truce, ma non osa chiedere all’amico se stesse scherzando o meno. Considerato che nessuno prende parola, mi giro verso Conan e lo prendo per la cravatta. Lo spingo ad alzarsi, ed una volta all’in piedi, lo trascino per qualche metro.
“Come è dolce il mio fratellino” ridacchio, rivolgendomi agli altri due. Ayumi ha gli occhi pieni di lacrime, ma Shirai è quello che meno di tutti sta capendo cosa stia accadendo. “Vi dispiace se gli dico una cosa in privato? Si tratta di mia mamma.”
E senza nemmeno attendere la loro risposta, fuggo via verso gli spogliatoi. Consapevole che non ci sia nessuno all’interno di quello femminile, apro la porta e la chiudo dietro di me, furibonda.
“Sei impazzito!?” gli urlo contro, mentre lui ride. Si appoggia ad un lettino, e pianta gli occhi azzurri nei miei.  “Preferirei che quello che è successo l’altra notte rimanesse tra noi due!”
“Il tuo ragazzo la prende male se baci il tuo fratellino?” mi sfotte, abbassando il capo. Fa qualche passo e si avvicina, mentre io indietreggio.
“Io non ho baciato te” mi affretto a dire. “È l’inverso.”
“Tu me l’hai lasciato fare, però.”
Comincio a stizzirmi, non voglio che s’accorga che mi è piaciuto. “Come, scusa? Non mi hai dato nemmeno il tempo di rendermi conto di quello che stavi facendo!”
“Non hai fatto nulla per liberarti” insiste, ed io sbuffo.
“Mi hai bloccata al muro!”
“Sei una karateka... credo che tu riesca a liberarti, se vuoi...”
Il suo atteggiamento mi fa storcere il labbro. È vero, avrei potuto interromperlo molto prima, ma qualcosa mi ha bloccato. Poco prima che mi baciasse ho rivisto gli occhi di Shinichi nei suoi ed ho perso qualsiasi facoltà mentale o motoria. Per un attimo, ho pensato di star baciando lui.
“...o no?”
Alzo lo sguardo, e mi rendo conto che persa nei miei pensieri non mi sono nemmeno accorta di quanto s’è avvicinato. Le sue labbra sono di nuovo vicinissime, il suo corpo è attaccato al mio. Il suo peso mi spinge di nuovo contro il muro, dove il mio polso destro è tenuto fermo dalla sua mano.
Ho il cuore che comincia ad accelerare, in sintonia col fiato, che prende a mancare.
“Conan-kun!”
Butto lo sguardo sulla porta, è ancora socchiusa.
Sento il mio cuore tamburellare all’impazzata, ma non ho la forza necessaria per fermarlo. C’è qualcosa che mi impedisce di dare una fine a questa stupidaggine, ma ignoro cosa sia...
“Ran...” sussurra il mio nome, troncandone il suffisso che di solito utilizzava. Solo il mio nome, come mi chiamava Shinichi. In quel modo particolare come solo lui ci riusciva, che ogni volta che il mio nome fuoriusciva dalle sue labbra, io rimanevo per ore a sentirne l’eco nel mio cervello. Quanto mi manca... quanto avrei voluto averlo al mio fianco, quanto vorrei sapere dov’è...
“...perché non capisci?”
Conan mi gira il capo e mi bacia. Lecca le mie labbra come fossero crema ed apre la mia bocca con la stessa tenacia di quella notte. Permette ai nostri denti di sbattere l’uno contro l’altro, di ubriacarci del sapore della salive di entrambi. Ed io non lo fermo, non voglio, non posso. Sono in balia delle sue sensazioni, del suo straordinario potere di portarmi indietro nel passato, di dare luce alle mie speranze, quando la porta dello spogliatoio si apre.
 “Ran-neesan, dov’è Con...” la voce di Ayumi si frantuma come sabbia che cade da un polso poco stretto. Sembra cadere a terra, sembra avere consistenza per poi distruggersi alla nostra vista. Gli occhi della ragazzina si riempiono di lacrime e di speranze morte, di illusioni spezzate. Le mie stesse illusioni, speranze e sogni. Deglutisce, indietreggia e fugge via.
“Ran?” chiede lui, ancora con quel tono adulto, ancora come Shinichi, mentre io non riesco a togliermi lo sguardo deluso della piccola nel vederci. Era come se fossi io, dieci anni prima.
“Sei un cretino!” gli urlo contro, mentre avanzo verso la porta e velocizzo il passo. Voglio raggiungerla, voglio trovarla, voglio parlarle.
Arrivo all’uscita della palestra in pochi secondi, e mentre tento di scorgerla, giro il capo a destra e a sinistra: la trovo lì, che sta andando via, con le mani a stringersi le braccia, e col passo veloce. Dimezzo la distanza che c’è tra noi, e capisco che sta piangendo. La fermo con un braccio, obbligandola a girarsi.
“Ayumi-chan, per favore, non fare così!”
Lei cerca di liberarsi; ma sia per la debolezza, sia per il pianto, sia per i singhiozzi che la obbligano a respirare con fatica, non riesce a farlo. “P-perché!? Perché proprio lui?! P-perché tra tanti?! N-non è giusto, t-tu sei già f-fidanzata!”
“Ayumi-chan...” la blocco alle spalle di un tronco d’albero, forzandola a guardarmi negli occhi.
“Lasciami! Lo sapevi! Lo sai cosa provo per lui!! Perché?!”
Respingo le lacrime all’interno, consapevole che debba essere prima io a dare forza a lei.
“Ehi... alla tua età ero innamorata pazza di un ragazzo, che poi è sparito nel nulla. Ayumi-chan, tu sei ancora in tempo, non ripetere il mio stesso errore, per favore. Se ciò che senti non è corrisposto non vivere nella speranza che non sia così. Vai avanti, perché sennò ti ritroverai come me. A cercare il suo fantasma nel riflesso degli occhi di qualcun altro.”
A cercare il suo fantasma nel riflesso degli occhi di qualcun altro. Da quel giorno, ho sempre sperato che Ayumi sia riuscita in ciò che io ho sempre fallito: dimenticarlo, cancellarlo, e cercare un’altra sfumatura di occhi.
Apro la porta dell’agenzia di mio padre, interrompendo finalmente il flusso dei miei ricordi. È martoriante entrarci e non saperne più come uscire.
“Papà? Mamma?” li chiamo, dirigendomi verso la cucina. Non aspetto neanche che rispondano, che li ritrovo lì, vicini al tinello, intenti a cambiare il pannolino a mio figlio. È mio padre a farlo, e sembra anche entusiasta. Non so come, ma diventare nonno l’ha migliorato. Litiga di meno con mia madre, e ciò non può farmi che piacere.
“Come si è comportato?” domando, avvicinandomi alla cosa più bella che abbia fatto in vita mia. Mi curvo verso di lui, ed accarezzandogli il viso, gli lascio un bacio sulla fronte. Lui schiamazza e fa alcuni versi strani. Credo sia felice di rivedermi.
“Benissimo” risponde mia madre. “Anche tu da piccola eri molto tranquilla. Non piangevi mai.”
Io abbozzo un sorriso, pensando che stessi risparmiando tutte le mie lacrime per Shinichi.
“Ha mangiato?”
“Sì” replica mio padre, sorridente e fiero. “Ha bevuto tutto il latte.”
“Bene” dico, soddisfatta.
“Tu dove sei stata?” mi domanda l’avvocato, con ingenua curiosità.
“Oh... sono andata a fare dei servizi. Dovevo comprare alcune cose per la casa” butto lì, quasi spontanea. Sto diventando brava anche a mentire.
“Se me l’avessi detto ti avrei accompagnato” continua mia madre.
“Non preoccuparti, non ce n’era bisogno” insisto.
Comincia a fissarmi, mettendomi in imbarazzo. Distolgo lo sguardo, incapace a sostenere il suo, così indagatore e curioso.
“Tutto bene?” chiede. So che sta sospettando di qualcosa.
“Certo” dico, con un tono lievemente ambiguo. Devo impormi d’essere convincente. Essere convincente.
Lei si zittisce, almeno per il momento sembra che sia riuscita a persuaderla.
“Tua madre mi ha detto che Shirai-kun aveva bisogno di un detective”, il silenzio è dissolto dalla voce di mio padre. “Potrei sapere perché... non ha chiamato me?”
Deglutisco, cercando d’utilizzare il massimo della sensibilità che possegga.
“Be’... credo che si senta leggermente in imbarazzo con te. Sai... sei mio... padre.” Azzardo, ma in realtà il suo ragionamento stranisce anche me.
“E allora?” fa lui, leggermente infastidito.
“Su, Kogoro!”, mio madre sembra salvarmi dalle sue grinfie, con la sua voce divertita. “Shinichi-kun è più bravo di te, bisogna ammetterlo.”
“E questo chi lo dice?” continua lui, con un sopracciglio inarcato.
“Non fare il suscettibile, dai” tenta di graziarlo mia madre, ed io vorrei solo dileguarmi. “Sono giovani, sono cose loro.”
Mio padre brontola qualcosa di incomprensibile, lasciando la cucina e prendendo in braccio Conan. Mia madre lo guarda uscire, poi porta gli occhi su di me. Temo che voglia iniziare qualche discorso sconveniente.
“Ran... va tutto bene, vero?”
“Sì, mamma.”
“Con Shirai-kun?”
“Sì, bene.”
Continua a fissarmi, poi abbassa gli occhi e fa qualche passo verso l’ufficio.
“Hai lo stesso sguardo di quello che avevo io quand’ero lontana da tuo padre, lo sai?”
Mando giù un po’ di saliva, mentre una gocciolina di sudore mi cavalca la fronte. “Che vuoi dire?”
“Hai lo sguardo di una donna che aspetta, che aspetta che succeda qualcosa che risolva la situazione. Ma non succederà mai nulla, se non sarai tu a fare in modo che accada.”
Non rispondo, la sento muovere dei passi verso il salone.
“Domenica è il compleanno di tuo padre, vorrei organizzargli una festa a sorpresa. Invita un po’ di gente...” Si volta di nuovo verso di me, con gli occhi penetra nei miei: “anche Shinichi-kun, se vuoi.”
Con un effimero luccichio negli occhi capisco che è riuscita a leggermi nella mente. Non ho più niente da dirle, e lei va via dalla cucina, lasciandomi da sola. Sola, in compagnia dei miei più fastidiosi ricordi. Sola, nella stessa cucina di quella notte del primo bacio.
 
 
Sono le sette passate e Shirai ancora non è tornato. Le voci dalla televisione accesa in salotto mi arrivano con un certo fastidio mentre allatto il mio piccolo Conan, aggrappato alla mia mammella con gli occhi chiusi. Quasi dorme. Mi strappa un sorriso ogni volta che lo fa. Lo cullo tra le mie braccia e lo riscaldo col mio petto. Lui apre leggermente le palpebre, mi guarda e schiamazza, divertito dalle mie smorfie. Capisco che è abbastanza sazio per non volerne più, e pulendolo un po’, lo tengo sulla mia spalla per farlo digerire. Gli batto dolcemente la mano dietro la schiena, mentre lo sento rilassarsi sul mio corpo e abbandonarsi al mio calore. Nel frattempo do un’occhiata alla televisione: stanno trasmettendo un programma pomeridiano che si occupa delle news del momento, ma principalmente tende a farsi gli affari dei personaggi famosi.
La voce stridula della conduttrice mi infastidisce, ma rimango ad ascoltarla.
“Dicono gli studiosi” annuncia lei, rivolgendosi ad altri due dello staff, con un irritante sorriso sulle labbra. “Che i mariti tendono a tradire le loro mogli dopo aver avuto un figlio, a causa dell’impossibilità di ritrovare un equilibrio sano con la propria compagna.”
Tradimenti.  Che meraviglia: l’argomento del secolo. Mi avvicino al telecomando, ma prima che possa afferrarlo ascolto un’ultima frase fastidiosa.
“Mentre le donne tradirebbero molto di più prima della nascita di un pargolo...” cambio programma, sbuffando. Gli studiosi dicono? Che importa a me di cosa dicano, non è una questione scientifica, e non c’è bisogno di una laurea: se ami non tradisci. Ed io purtroppo non amo Shirai, e lo so fin dal primo momento in cui scoprii d’esser incinta. Ricordo bene quel giorno: io e Shinichi, o meglio, io e Conan in quel periodo ci parlavamo davvero poco. Avevo scoperto la sua vera identità da un po’, e l’idea di averlo in casa mia, a gironzolare e a far finta d’essere mio fratello mi creava non pochi problemi. Da quanto capii però sarebbe dovuto durare ancora per poco: la sua amica, Ai Haibara, era riuscita nella formulazione dell’antidoto definitivo, quello che gli avrebbe ridato la sua vita. Non sapevo se esserne felice o triste: lo odiavo per avermi mentito, ma finalmente avrei potuto averlo tutto mio, come da sempre speravo e desideravo. Ero fidanzata con Shirai da un bel po’, ma quando Conan mi rivelò la verità, sapevo già in cuor mio cosa desiderassi davvero. Ma non glielo dissi. Ero orgogliosa ed arrabbiata, frastornata per tutto quel tempo passato. Passarono i giorni e più mi sentivo male: giramenti di testa e senso di nausea continuo albergavano nelle mie giornate, e quando mi resi conto del ritardo di cinque giorni, mi decisi a correre in farmacia. Non dissi nulla a nessuno. Comprai il test e lo feci, a casa. Era positivo.
Avverto la chiave girare nella toppa della serratura, annunciando la venuta di Shirai. La sua vista interrompe il fiume in piena dei miei ricordi, e per un attimo lo ringrazio mentalmente d’averlo fatto. Odio ripensare a quegli istanti. È lì che la mia vita è cambiata, che si è innescato un ingranaggio che ha deciso ogni scelta che mi sarebbe dovuta appartenere. Ero incinta quindi dovevo sposarmi. Quando lo dissi a Shirai lui apparve dapprima un po’ sconvolto, poi cominciò a balbettare. Organizzammo il matrimonio velocemente, non c’era scelta. Non ebbi il coraggio di dirgli che amavo un altro, qualcuno che era scomparso per dieci anni ma che era sempre restato con me, in realtà.
Avrei dovuto privare a mio figlio un padre, per uno sciocco e stupido amore adolescenziale? Non ce la feci.
“Oh?” mi richiama mio marito, spazientito. Credo di essere di nuovo naufragata nei miei pensieri, scordandomi completamente della sua presenza.
“Oh, bentornato.”
“Grazie” replica, leggermente brusco. Credo che sia arrabbiato con me, perché ultimamente non gli sto dedicando nessun’attenzione particolare. So che meriterei d’essere fucilata come moglie.
“Sei stralunata da un po’ di tempo”, ecco, appunto. Come temevo. “Cosa ti turba?”
Per un attimo il mondo si oscura. Quella domanda, quelle parole...
“Ran, non stai mangiando troppo poco, ultimamente?”
La voce di mia mamma Eri mi risuona nelle orecchie, costringendomi a lasciar andare via quelle labbra per qualche secondo, per far sì che me le ritrovi a pochi centimetri di distanza, sedute a tavola con me.
Non faccio che ripensare a quei due baci. Mi chiedo cosa stia accadendo, e mi domando come sia possibile che io non riesco a resistergli.
“Figurati, è una tua impressione”, cerco di essere gentile, ma non la guardo. Ho gli occhi fissi su di Conan, sulla bocca di Conan. Quasi mi incanto a guardarlo masticare.
“Sarà, ma a me sembra che tu stia dimagrendo.”
Abbasso il volto sulla mia porzione di riso al curry, addentandola con disgusto. Effettivamente, dopo quei bacio, non riesco a trovare la voglia di mandar giù cibo. Mi hanno sconvolta, disorientata. Baci da vero uomo, ed inoltre, io... mi sono sentita donna. Una vera donna, per la prima volta. Perché non mi accade quando bacio Shirai, quando faccio l’amore con Shirai?
“Forse qualcosa la turba...”
Alzo gli occhi su di lui con la giusta lentezza per notare il suo  ghigno malizioso stampato sul viso, che non fa altro che aumentare vertiginosamente la temperatura delle mie guance. Allargo le palpebre, impaurita. Non voglio che i miei sappiano ciò che è successo tra noi!
“Davvero, tesoro? Problemi con Shirai-kun?”
“Eh?” mi volto verso mia madre, e all’istante scuoto il capo. “No, non mi turba nulla.”
Il mio tono è un po’ troppo forte, e mentre parlo fisso Conan, che abbassa il capo, ridente.
“Va be’, io vado di là. Non ho più fame.”
Quello che credevo il mio ingenuo fratellino si alza dal tavolo e posa il tovagliolo accanto al suo piatto, mentre mia madre gli urla contro che anche lui mangia pochissimo. Rimango un altro po’ in salotto con i miei. Papà si alza e si mette davanti alla tv, alla ricerca di un programma di Yoko Okino. Aiuto mia mamma a sparecchiare, ma vicino al lavabo mi dice di andare a dormire, che mi vede troppo stanca. Provo ad obiettare, ma appurata la sua tenacia, sbuffo e mi arrendo. Intenta a mettermi comoda, mi chiudo in bagno e mi metto il pigiama. Entro in camera mia: è al buio, e neanche so se Conan è qui o se è giù vicino al computer. Mi rimbocco le coperte e mi copro, socchiudendo leggermente gli occhi. Dopo qualche minuto, avverto una presenza intrufolarsi nel mio letto, ed abbracciarmi da dietro. Sobbalzo, impaurita, quando un risolino mi arriva alle orecchie.
“Sono... un... fantasma...” lo sento ridere, con voce frivola e camuffata, mentre cerca di impaurirmi e scuotermi le braccia.
“Conan...-kun!” urlo, col cuore in tachicardia. “Mi è preso un infarto! Sei impazzito?”
Sento il suono della sua risata senza la possibilità di ammirarla. Nell’oscurità dell’ambiente, riesco ad intravedere soltanto un leggero luccichio azzurro. È quello dei suoi occhi.
“Buuuuh” fa il verso del fantasma, ma al mio pugno sul suo petto, la smette e scoppia di nuovo a ridere.
“Sei un idiota.” Gli dico.
“Non ero un cretino?” chiede ironico, ricordando ciò che gli urlai contro nello spogliatoio, qualche giorno fa.
“Soprattutto.” Sembra che lui aspetti che continui la frase. Perciò aggiungo: “Ayumi-chan ci ha visti.”
“Mmmh” rilascia un mugugno, poi vedo i suoi denti aprirsi un varco nell’oscurità, brillando alla fioca luce della luna. “E allora?”
“E allora?” mi avvicino a lui, minacciosa, ma me ne pentendo un istante dopo. Siamo nella stessa stanza, nello stesso letto, sotto le stesse coperte. “Ci è rimasta malissimo, poverina!”
Lui sbuffa, poi allunga una mano verso il mio fianco. Comincia ad accarezzarlo, ed io rabbrividisco.
“Non posso farci nulla.” Si avvicina, mi lascia un bacio sul lobo dell’orecchio, e scende lungo la guancia.

“No, Con...” sto per dire, ma la sua voce mi blocca. Sento il suo fiato sul lobo, sembra quasi rendersi conto che amo quel tipo di baci.
“Vuoi fare l’amore con me, Ran?” Mi giro verso di lui, ma a parte la luce nei suoi occhi, non riesco a vedere nulla.  Il cuore mi tamburella nel petto, impazzito e irrefrenabile. Ha usato di nuovo solo il mio nome. Proprio come Shinichi. Come se me lo stesse chiedendo lui.
“Eh?” rispondo con un filo di voce.
“Con me, Ran...” ripete dolcemente, ho quasi voglia di piangere. Sento in lui Shinichi, vedo in lui Shinichi, riesco quasi a toccarlo e convincermi che non sia mai andato via. Conan mi gira la testa, e lascia che le nostre labbra si uniscano di nuovo, proprio come qualche giorno fa.
Mi prende il capo tra le mani, mentre avverto la sua lingua scivolare sulla mia, leccando la saliva nella mia bocca. La mia temperatura aumenta vertiginosamente, senza più voglia nemmeno di fermarlo: è così simile a Shinichi, così lui. Per la prima volta, potrei averlo tutto mio.
Socchiudo gli occhi, mentre gusto il sapore dei suoi denti farsi spazio nella mia bocca. Sento le sue mani ricadere sul mio corpo, e scivolare sui miei fianchi. Ci lasciamo cadere sul materasso, dove Conan mi alza la camicetta: percorre le mie gambe, sfiora i glutei e risale sino alla vita. Si aggrappa e si struscia a me, mi stringe a lui, aumenta il ritmo dei suoi baci.
«Ti sto chiedendo di fargli mangiare il tuo cioccolato. È come se lo mangiassi un po’... anche io.»
Arrossisco violentemente, ma la sua frase ha il potere di farmi smettere di piangere. Riesco quasi a sorridere. 
«Perché?»
«Perché lui mi somiglia.»
Lui stesso lo disse quel giorno di tanti anni fa: gli somiglia, e tanto. Lascio scivolare le mani sulla maglia del suo pigiama. Porto le dita sotto, e rabbrividendo, gli sfioro la pancia allenata e piatta. Ha un fisico meraviglioso: rimango incantata nel scrutarlo, ma sebbene sia accaldata, avverto le lacrime gonfiare le mie palpebre. Sta per alzarsi e togliermi la camicia, quando io lo blocco. E il sangue finalmente mi confluisce al cervello, permettendomi di ragionare.
Mi alzo, accendo la luce e mi allontano. Oddio...
“Tutto... questo... non... ha... motivo d’essere!” balbetto, incredula. Lui mi guarda, non sbatte nemmeno le palpebre. Comincio a piangere, ininterrottamente: il ricordo di quel detective mi tartassa ancora adesso. Ma non voglio pensarlo o cercarlo ancora, non prima di sentire il soffio della voce del ragazzino che è sdraiato sul mio letto:
Dev’esserci per forza un motivo?”
Lui me lo chiede, ed io non riesco a fare a meno di pensare che il destino sembra prendersi gioco di me. Quella frase, la sua frase, quella che mi ha fatto innamorare... riascoltata a distanza di dieci anni, quando tutto è cambiato, con la stessa voce, con lo stesso tono, con gli stessi occhi azzurri. Ma non ho più forze per affrontare altro, non ho più voglia di sentirlo invadere la mia vita così. Attraverso qualcun altro.
“Perché?” mormoro, poi alzo il tono e lo ripeto: “perché?”
Conan mi guarda, imperterrito, ma non risponde. Aspetta che sia io a dirlo:
PERCHÉ SEI UGUALE A LUI?!”
Ho le lacrime agli occhi, ma non posso più mostrargliele. Apro la porta e la sbatto dietro di me, fuggendo via.
Ritorno al presente, e dopo essermi quasi dimenticata la domanda, rispondo col primo nome che mi viene in mente. “A Conan” butto subito lì, in difensiva.
“Già” replica, secco.
Shirai non mi bacia neppure e posa le chiavi sul solito scatolone. Conan dorme a pancia all’ingiù sul mio divano, nella totale spensieratezza delle sue giornate, e lui nemmeno lo calcola.
“È comparso un altro biglietto.”
Strabuzzo un po’ gli occhi. “Ah, davvero?”
“Eccolo” me lo lancia, ed io lascio che ricada sul salotto, non riuscendo a prenderlo a volo.
Lo leggo velocemente.
- Incrocio le dita per scaramanzia quando vedo i cartelli per i sordi. Non ne esistono? Eppure, io, in Italia, li ho visti 16 volte. Però una volta sola mi basta per quelli inglesi. Il peggio è con quelli grechi: 13 volte, prima che io possa capire. Per fortuna che in Giappone non sembrano esserci. -
“Noto che... il nostro Mr X si diverte molto con gli indovinelli.”
“Ci capisci qualcosa?” mi chiede lui.
Scuoto il capo. “No... vuoto totale. Però... sono sicura che Shinichi ci riuscirà. Dobbiamo avvisarlo di questo nuovo indizio.”
Shirai mi guarda per alcuni interminabili secondi, poi sorride: “Certo, avevo già in programma di chiamarlo.”
Deglutisco. Per un attimo ho avuto il timore che possa aver cominciato a sospettare della mia ambigua tendenza a fidarmi del detective.
“Ci sei molto legata, vero?”
Appunto. La sua domanda suona ancora più acuta nel sostanziale silenzio dell’ambiente. Mi volto a guardarlo, e spero con tutte le mie forze che il mio corpo non mi tradisca in un momento simile.
“È... un mio caro amico.”
“Non mi hai mai parlato di lui” continua, non sembra demordere. Diciamo che non ho proprio voglia di cominciare una discussione del genere. “Come mai?”
“Non c’era molto da dire...” sono a disagio. Molto a disagio. Non so fino a che punto io riesca a mentire.
“Be’, se ci sei così affezionata ci sarà un motivo.”
Deglutisco. “Ci conosciamo fin dall’infanzia... abbiamo frequentato tutte le scuole insieme. Credo sia normale.”
Sembra esserci un attimo di pace, ma il mio idillio dura ben poco. Mio marito sgancia una bomba, ed è anche mortale: “Era lui il ragazzo per cui stavi male quando ti ho conosciuta?”
Socchiudo le palpebre. Colpita ed affondata.
“Non mi hai mai rivelato il nome del fantomatico uomo che ti ha spezzato il cuore.”
Inspiro l’aria necessaria per racimolare le parole nella mia gola: “Era lui, sì.”
Lui scoppia a ridere. “Lo sapevo... me lo sentivo... perché non me lo hai detto?”
“Non... non lo so. Non mi piaceva parlare di lui, a quel tempo.”
“Quindi l’amavi?” chiede. Prego il cielo che un fulmine colpisca casa mia ed interrompa questa assurda e stupida conversazione.
“Sì, Shirai, ma ero piccola e ingenua. Sono cresciuta con lui e credevo che tra noi potesse esserci qualcosa in più. Non è successo.”
Il mio vano tentativo di concluderla è andato in fumo, perché mio marito questa sera sembra avere molta voglia di parlare: “E lui? Anche lui ti amava?”
“Non... non lo so.”
“È per questo che soffrivi per lui?”
“Lui era... lontano.” Mi guardo le dita e le attorciglio uno nell’altro, cercando di distrarmi in qualcosa. Provo anche a farmi male: il dolore può mascherare la più forte delle emozioni. “Ma è una storia vecchia ormai, Shirai.”
“Sì, ma è comunque stato il tuo primo amore. Mi sarebbe piaciuto saperlo. A quanto pare ignoro gran parte della tua vita.”
“Non è vero. E poi lui non c’entra con noi.”
Mio marito inarca un sopracciglio, poi fa un sorriso sadico. “Ah, no?”
Alzo gli occhi a lui e sento il cuore. Vorrei dirgli la verità, ma non è questo il momento. Non so che parole usare, cosa dirgli. Non so nemmeno io cosa voglio farmene della mia vita. “N-no.”
“Tutto quello che ha a che fare con te, ha a che fare anche con me. È stato il tuo primo amore... non credi che io avrei dovuto saperlo?”
Annuisco leggermente. So che ha ragione.
“Sarai sincera con me, da adesso in poi?”
Lo guardo, e a stento riesco ad annuire.
“Mi dispiace averti mentito. E scusa se... se ti sto trascurando” dico, dopo qualche minuto, in preda ad una crisi di pianto che però non trova la forza per uscire. So per certo d’essere in torto marcio, che lui non meriterebbe tutto questo, eppure non trovo la forza di dare una svolta alla situazione. Io ho bisogno di Shinichi, ed è un bisogno fisico e mentale. Ho bisogno del suo sorriso e del suo profumo per addolcirmi le giornate, e delle sue mani per renderle più sicure. Riuscirò mai a trovare in Shirai tutto questo? Forse sono io ad esagerare. Forse sto davvero tentando di cedere ad una tentazione che ho arginato per troppo tempo, forse è solo un capriccio. Ma allo stesso tempo credo che forse potrei davvero chiedere il divorzio, forse un giorno Conan capirà quando gli spiegherò perché i suoi genitori non vivono insieme. Ma è la scelta giusta? Io so cosa significa vivere coi genitori separati e non potrei mai far sì che patisca le stesse pene anche mio figlio.
“Ah, te ne sei accorta?” sorride, ma non è per nulla divertito.
“Sì... mi... mi dispiace.”
“Non dirmi che sei entrata nella depressione post-parto” mi guarda, tentando di sorridere.
Io scuoto il capo. “Sono solo un po’ stanca.”
“Lascia che ti rilassi, allora...” sussurra. “
Lui si avvicina, sedendomi accanto. Mi sfiora la guancia con le labbra, socchiudendo gli occhi a quel contatto. Io rabbrividisco. Mi sembra tutto così finto, costretto. Non voglio, o almeno sento che il mio corpo non chiede lui. Chiudo anche io le palpebre, tentando di assaporarmi il momento. Shirai mi attrae a lui con le mani dietro la schiena, e il mio volto va a sbattere sul suo. Adesso le sue labbra mi prendono la lingua, e con i denti vanno a stuzzicarla. Sono restia a cedere, non è il tocco di Shinichi questo. Lo sento, lo avverto, è diverso dal suo. Non è lui ed io vorrei tanto che non fosse così. Ma non posso fermarmi, non posso sottrarmi per sempre ai miei doveri coniugali. Così cerco di fingere. Lascio che mi baci e lascio che mi tocchi. Debbo lottare contro una forza sconosciuta crescente in me che tende a contrastare la sua voglia di farmi sua per continuare, ma non demordo. Lascio che mi prenda in braccio e che mi trascini sul letto. Lì mi libera del mio vestito, lo getta in alto, verso la spalliera del letto. Sono nuda di fronte a lui ed ho paura. Ma non glielo dico, non lo fermo. Shirai sembra non accorgersi di nulla, e quando è dentro di me, stringo i denti dal dolore. Non so quanto duri quest’incubo: non sento nulla, né piacere né voglia di provarci. Giro il capo e guardo la finestra, stringendo sotto i miei pugni la stoffa delle lenzuola. E mentre lui raggiunge il massimo piacere, lascio che una lacrima scorra sul mio viso.

 







Rieccomi! Bene xD Diciamo che ero tentata di aggiornare direttamente domani, però poi ho trovato il tempo e il modo di farlo adesso e...insomma...l'ho fatto xD Abbiamo un capitolo dedicato al passato, a quello che è stato, a quello che (apparentemente) sembra non esserci più: scopriamo dunque perché Ayumi si è comportata in quel modo freddo nello scorso chap (primo flashback) e che le corna di Shirai erano davvero, ma davvero, ben radicate prima ancora che questi si sposassero. Piaciuta la famosa frase, rivisitata in questa chiave? xD Ran comincia a capire qualcosina....
C'è da aggiungere che Eri ha capito tutto XD (le mamme sanno sempre tutto u.u) e che Shirai chiede informazioni/spiegazioni su Shinichi. Eppure... non sembra sospettare di nulla. Anzi, si riprende anche tutti i diritti che ha su Ran... e la povera decide di accontentarlo, sebbene che più che un rapporto era una violenza. Spero di non aver reso le cose troppo crude, cioè... si deve capire lo stato d'animo di Ran e la sua riluttanza, ma senza esagerare xD 
Debbo avvisarvi che ho deciso di cambiare la periodicità ad una settimana, quindi per questi ultimi tre chap ci rivedremo 23, 30 settembre e 7 ottobre. 
Vi lascio allo spoiler, e... alla prossima. <3


Spoiler #7 Il momento più bello
“Si può sapere che ti prende?” le domando, e il mio tono è tutt’altro che gentile.
“No, dimmelo tu che ti prende.” Sbotta lei. “Devo forse ricordarti la tua vita?”
“Ma di che stai parlando?” alzo un po’ la voce, ma me ne pento all’istante: non voglio che Shinichi senta questa conversazione.
“Ran, ti svegli? Il tizio che è nella stanza accanto è la causa di tutti i tuoi pianti! Dieci anni fa è scomparso senza una ragione precisa, e tu lo accogli così? Come se nulla fosse!?”
“Non è scomparso...” mormoro, ma lei mi blocca: “Ah, giusto. Ti telefonava una volta ogni cinque sei mesi, quando gli andava. Ti rendi conto che io ho visto la mia migliore amica piangere per quel tipo ogni giorno?! Poi torna, e tu che fai?”
“Senti, Sonoko...” provo a parlare, ma lei copre di nuovo la mia voce: “E ti rendi conto che sei riuscita a riprenderti un po’ solo grazie a tuo marito? Come puoi perdonarlo, Ran?”



Al 23 settembre! Buon inizio scuola a tutti!
Tonia

 
   
 
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