Nota prima
di
iniziare: Ero piuttosto sicura di averlo scritto nei capitoli
precedenti ma non
sono riuscita a trovare il punto in cui dovrei averlo
scritto…e mi è venuto il
dubbio che forse ho lasciato fuori un pezzo di trama: Vincent Valentine
è il
reggente di Wutai in quanto era sposato con Yuffie Kisaragi che in vita
aveva
tenuto il comando. Alla sua morte la reggenza è passata a
loro figlio. Morto
pure lui la reggenza dovrebbe passare per via ereditaria a Kurenai ma!
Essendo Kurenai
stata troppo giovane, la reggenza è stata ripresa
temporaneamente da Vincent. Una
volta raggiunta l’età giusta è salita
al trono. Ecco. Se l’avevo già detto
meglio, piccolo ripasso…altrimenti vorrà dire che
dovrò andare a inserire
questa piccola info nei capitoli precedenti. Avrei potuto inserirlo qui
ma
credo che avrebbe dato un po’ di fastidio alla narrazione.
Sparai l’ultimo di una serie
di colpi contro il
bersaglio del poligono, poi mi voltai e raggiunsi Vincent, che mi aveva
osservato poco distante. Appoggiai Byakko sul ripiano in legno in modo
da
pulirla in seguito. Era la mia pistola personale: era stata un regalo
di
Vincent il giorno in cui ero riuscita a centrare tutti i bersagli del
poligono.
Erano passati ormai quattro anni dal
giorno in cui ero
arrivata a Wutai per la prima volta e da allora avevo cominciato ad
allenarmi
seriamente in tutte le discipline, guidata dai maestri di Wutai e da
Vincent
stesso, che mi aveva insegnato a sparare. Avevo imparato il
combattimento corpo
a corpo, anche se non sarei mai stata brava come Andrej, come pure le
basi per
le abilità ninja che mi ha permesso di avvicinarmi a Kurenai
ancora di più.
Ormai eravamo praticamente inseparabili.
È stata proprio Kurenai a
darmi finalmente il coraggio
necessario a dare un nome alla spada che mi aveva donato Sephiroth:
Jinsei no
Nagare. Lifestream. Ed è stata sempre Kurenai, quel giorno,
ad aiutarmi a
prendere un’altra decisione, forse più banale
all’apparenza ma cruciale per me
perché segnava ancora un altro punto di svolta nella mia
vita: mi sono tagliata
i capelli. Quei capelli che per la mia famiglia erano uno dei miei
pochi punti
di forza, l’unica cosa bella di me. Li ho tagliati il
più corto possibile e li
ho mantenuti così, lunghi solo qualche centimetro. Mentre mi
tagliava una
ciocca dopo l’altra, non avevo potuto fare a meno di pensare
come avrebbero
reagito i miei genitori vedendomi gettare via
“l’unica mia fonte di bellezza”. Mi
ero chinata in avanti per raccoglierne un ciuffo da terra e me lo ero
rigirata
tra le dita. Credo che mia madre si sarebbe messa a piangere vedendomi
in quel
momento. Non voglio pensare a come avrebbe reagito mio padre,
esattamente. Quello
che so è che non l’avrebbero accettato. So che non
avrebbero capito il perché di
quel gesto. Perché se non sei bella, cosa puoi sperare di
ottenere dalla vita?
Avevo sorriso, se solo avessero potuto sapere quello che una donna
può
diventare. Dopo un attimo Kurenai aveva esclamato: - Finito!
– e mi aveva porto
uno specchio. Ricordo la sensazione che provai nel passarmi le dita tra
i
capelli, ravvivandoli. Mi sentivo sopraffatta e non ero più
riuscita a
trattenermi. Scoppiai in una risata scrosciante. Mi sentivo libera.
Dopo tanto tempo,
forse per la prima volta da quando ero nata mi sentivo libera. Mi
sentivo
veramente solo padrona di me stessa, sentivo di poter fare qualunque
cosa, come
se quei lunghi capelli che avevo appena tagliato avessero rappresentato
l’ultimo
legame che mi teneva legata alle tradizioni della mia famiglia e a
tutto il
male che mi avevano fatto. Ero solo me stessa adesso. Non ero Yuri da
Nacom,
non ero la sorella minore, non ero la figlia dell’allevatore.
Ero solo Yuri. Yuri,
la tigre di Wutai.
- Non so perché continuo ad
assistere ai tuoi
allenamenti – commentò Vincent con un sorriso
malcelato. – Ormai non credo di
avere più niente da insegnarti.
Sapevamo entrambi che veniva qui per
tenermi
compagnia. Per parlare. Nel corso di questi quattro anni, lentamente,
con
cautela, avevo cominciato ad aprirmi con lui, a confidarmi. Vincent
Valentine
sarebbe sempre stato un nonno per Kurenai ma per me? Era diventato
ciò che mio
padre non era mai stato.
Mi sedetti accanto a lui sperando che
riprendesse il
discorso che aveva interrotto quando avevo smesso di sparare. Mi stava
parlando
di Yuffie, di come gliela ricordavo a volte. Non era una cosa che
faceva
spesso, parlare di Yuffie, ma quando succedeva mi trovavo letteralmente
a
pendere dalle sue labbra. Attraverso le sue parole era diventata il mio
modello, la mia aspirazione…avevo anche cominciato a
vestirmi come lei,
inconsciamente o meno.
Vincent si schiarì la gola.
– Ha continuato ad amarmi
fino all’ultimo battito del suo cuore. Io non potevo fare a
meno di amarla,
dopo essermi lasciato alle spalle i fantasmi del passato, non potevo
fare a
meno di metterla al centro del mio mondo. L’ho amata fino
alla fine, la amo
ancora adesso, anche se non ho mai creduto davvero di meritarla
– guardò dritto
davanti a sé, sembrava osservare i fori dei proiettili nelle
sagome di cartone.
Io aspettai che riprendesse a parlare, paziente. – Quando
Sephiroth è venuto da
me, all’inizio non potevo fidarmi. E come poteva essere
altrimenti – riprese
continuando a guardare in lontananza. – Avrei potuto capire
subito che era
cambiato, se solo avessi avuto la volontà di starlo a
sentire, ma lui era così
insistente…ostinato come non l’avevo mai visto,
che mi costrinse a guardare più
da vicino. Sono stati i suoi occhi a convincermi, alla fine. Lo sguardo
che
aveva quando parlava di te… fu allora che capii. Non era
più il mostro che
avevo conosciuto, ma il Soldier di prima classe, eroe di
Midgar…anzi, no – si
corresse voltandosi finalmente a guardarmi. – Non era
più nemmeno quello. Era
un uomo. E la cosa che lo rende un uomo più di tutto il
resto è proprio il
fatto che adesso, con te, lui si consideri tale.
Ripensai all’ultima volta in
cui avevo visto
Sephiroth, alle ultime parole che ci eravamo detti. Potevo rivivere
tutta la
scena alla perfezione nella mia mente, non era passato un giorno senza
che ci
pensassi. “Per quanto avessi
voluto
illudermi di poter essere un uomo con te, un uomo normale, rimango un
mostro”
mi aveva detto.
Sbattei le palpebre nel
tentativo di ricacciare indietro le lacrime. Chissà cosa
aveva fatto durante
quei quattro anni. Aveva viaggiato? Stava bene?
- Ti sta aspettando – mi
disse Vincent come se mi avesse letto nel pensiero.
Lo fissai. Non sapevo cosa rispondere.
Afferrai Byakko
e cominciai a pulirla con movimenti automatici. Un pensiero aveva
cominciato a
formarsi nella mia mente e mi diceva che era arrivato il momento.
- Stai partendo, vero? –
esclamò Kurenai, balzando
fuori alle mie spalle. Ero così abituata al suo brutto vizio
di origliare certe
conversazioni che non sobbalzai nemmeno. Non sapevo nemmeno come
facesse a
sapere con tale precisioni quali conversazioni ascoltare e quali no.
- Ho aspettato anche troppo tempo
– ammisi finendo di
pulire la pistola. Mi alzai in piedi e la rimisi al suo posto, nella
fondina
che avevo fissato intorno alla vita, sul fianco destro.
- Vorrei tanto venire con te
– confessò Kurenai
lanciandomi le braccia intorno al collo per abbracciarmi.
Tirò su col naso,
quasi in lacrime. – Ma…
La strinsi a mia volta e annuii. Da un
anno era salita
al trono di Wutai al posto di Vincent, aveva delle
responsabilità verso il suo
paese. Lo capivo.
Vincent fece qualche passo e
coprì la distanza che ci
separava. Appoggiò una mano sulla spalla della nipote e la
strinse
affettuosamente. – Vai – le disse serio. È
importante per tutti noi, dicevano i suoi occhi. Negli anni
avevo imparato
a sentire anche le parole che Vincent non pronunciava con la bocca,
dopo un po’
diventava impossibile non leggere nei suoi occhi quello che non diceva.
Kurenai sorrise e lo
abbracciò. Poi abbracciò di nuovo
anche me prima di correre via per parlare con Andrej. Ormai non
c’era nessuna
forza al mondo che avrebbe potuto trattenere quei due a Wutai.
Mi rivolsi a Vincent, approfittando di
quegli ultimi
momenti da soli. – Grazie. Di tutto – dissi e mi
avvicinai timidamente per
abbracciarlo, come aveva fatto Kurenai. Avrei voluto dirgli che per me
era il
stato il padre che non avevo mai avuto. Lo guardai negli occhi ma alla
fine mi
trattenni. Lo sapeva.
- Ti presento l’Highwind IV!
– esclamò Kurenai
facendomi entrare nell’aeronave di famiglia. –
Veloce! Affidabile! Resistente!
La seguii ridacchiando. – La
fai sembrare un prodotto
pubblicitario!
- Abbi pazienza, tigre! – mi
disse Andrej da dietro il
timone. – È da quando è nata che vuole
impossessarsi di questa nave e
finalmente c’è riuscita.
Kurenai gli fece una smorfia poi si
rivolse verso di
me. - Dove dobbiamo andare?
Sospirai. – Non so dove sia
adesso…ho sempre pensato
di tornare a Nacom, nei boschi dietro al paese dove usavamo
incontrarci. Forse
mi ha lasciato qualche indizio.
- Dopo quattro anni? –
domandò Andrej subbioso mentre
accendeva i motori dell’aeronave. Era perplesso, potevo
vederlo. Nemmeno io ero
certa di quello che avrei trovato dopo tanto tempo ma era
l’unica cosa che
potevo fare.
Scrollai le spalle. – Al
momento non ho altre opzioni.
Andai a sedermi in uno dei sedili
imbottiti, quello da
cui potevo guardare meglio fuori. Ero così nervosa che
dovetti trattenere un
brivido. Ero quasi certa che Sephiroth non si sarebbe trovato
lì. Perché mai
avrebbe dovuto aspettarmi nello stesso punto da quattro anni? Ma se
invece l’avesse
fatto? Se la ricerca fosse stata così facile e
l’avessi incontrato subito? Cosa
gli avrei detto? Chiusi gli occhi e appoggiai la fronte contro lo
spesso vetro
dell’oblò. Non importava quanto tempo avrei dovuto
impiegare per trovarlo,
decisi, anche se avessi dovuto impiegare mesi ci sarei riuscita.
Dopotutto lui
mi aveva aspettato per quattro anni: me l’aveva promesso, non
avevo nessun
dubbio a riguardo.
Sospirai e mi strinsi le braccia
intorno al busto. Ma cosa
sarebbe successo quando finalmente ci saremo ritrovati una di fronte
all’altro?
Il viaggio durò diverse ore
e più il tempo passava e
più diventavo nervosa. Quando finalmente
l’aeronave si fermò, mi era salita una
tale nausea che non sapevo dire come mai non mi trovavo con un secchio
in mezzo
alle ginocchia. Ignorai il malessere e mi alzai in piedi, non avevo
tempo per
quello, e raggiunsi Kurenai che stava guardando fuori da uno degli
oblò più
grandi. Ci eravamo fermati sopra il bosco.
- Dovrete calarvi lungo il cavo
d’ancoraggio – spiegò
Andrej incrociando il mio sguardo. – Non
c’è abbastanza spazio per atterrare.
- E che problema
c’è? – esclamò Kurenai, che
stava già
scivolando verso il suolo. Andrej ed io ci scambiammo un sogghigno e la
seguimmo.
Una volta toccato il suolo nessuno
disse più una
parola. Non potevo e Kurenai e Andrej lo capivano, rimanendo in
silenzio a loro
volta. Ero tornata in questo luogo per la prima volta dopo tanto
tempo…ed era
cambiato così tanto. Non il posto. Potevo ancora riconoscere
ogni roccia, ogni
albero. Intravidi anche i resti di quell’albero che Sephiroth
aveva abbattuto
durante quel suo allenamento solitario tanti anni prima. No, era la
situazione
a essere cambiata. Noi eravamo cambiati. Io ero cambiata. Ero diventata
una
donna e quello che avevo sempre desiderato da tutta la vita: una
guerriera.
Solo diventandolo ero riuscita a capire che non era tutto quello che
volevo,
nella mia mente di ragazzina diventare una guerriera aveva
rappresentato
acquisire la capacità di diventare indipendente, di
liberarmi dalle pastoie che
mi legavano alla mia famiglia. Non avevo capito che avrebbe significato
tutto
questo e ancora mi mancava qualcosa.
Impiegai poco tempo a capire che
lì non avrei trovato
niente. Stavo per girarmi verso Andrej e Kurenai per suggerire di
tornare all’Highwind
quando un rumore attirò la mia attenzione. Un chocobo mi
stava osservando da
poco lontano, il suo becco di un giallo brillante e le penne un
po’ arruffate,
di un intenso colore nero. Feci per balzare in piedi ma mi bloccai a
metà del
gesto, non volevo rischiare di spaventarlo e farlo scappare. Il chocobo
mi
squadrò da capo a piedi poi con un
“kwhèèèè!”
cominciò a camminare verso di me
senza esitazione.
Quando solo mezzo metro ci divideva
l’una dall’altra,
alzai una mano per accarezzarlo e anche qui, il chocobo non
sembrò avere
problemi.
- Lei Lan? – dissi esitante
e ottenni subito un
entusiasta “kwéé” di
risposta. Non potevo crederci che fosse rimasta lì per
tutti quegli anni, da sola nel bosco si era inselvatichita ed era
riuscita
addirittura a cambiare colore, da rosso a nero. Mi voltai verso Kurenai
e
Andrej. – Era il mio chocobo – spiegai commossa.
Kurenai mi sorrise. – Posso?
– domandò indicando Lei
Lan. Annuii e la lasciai avvicinare. Kurenai toccò le
morbide piume del collo
dell’animale. – Non avevo mai visto un chocobo
così da vicino – mi confessò. A Wutai
non li usiamo per spostarci e li ho sempre visti solo da lontano.
Lasciai Kurenai con Lei Lan per
qualche minuto mentre
mi costrinsi a fare un altro giro della radura, anche se ormai sapevo
che non
vi avrei trovato nessun indizio.
Andrej mi si affiancò.
– Dove pensi di andare adesso?
– mi domandò notando i miei scarsi risultati.
Scrollai le spalle e guardai verso
ovest, dove sapevo
trovarsi Nacom. – Si torna a casa a quanto pare.
- Non ho capito cosa vorresti scoprire
qui – disse
Kurenai portandosi dietro Lei Lan con una cavezza che avevamo
improvvisato con
un pezzo di corda.
- È inutile continuare ad
aggirarsi alla cieca tra gli
alberi. Probabilmente non sapranno niente di Sephiroth, ma forse
sapranno dirmi
qualcosa di Shin o di Seimei. Glielo devo dopotutto.
Feci un respiro profondo, cercando di
scacciare via il
nervosismo che mi stava assalendo, e mi inoltrai nella piazza
cittadina, certa
che qualcuno avrebbe riconosciuto e mi si sarebbe avvicinato. Passarono
diversi
minuti, qualcuno ogni tanto mi lanciava un’occhiata e credevo
stesse per
riconoscermi, prima di capire che non l’avrebbero fatto. Mi
squadravano, certo,
così come squadravano Andrej e Kurenai. Dopotutto eravamo
due ragazze e un
ragazzo vestiti con abiti da combattimento e armati fino ai denti.
Avrei dovuto
capirlo subito che non saremmo passati inosservati in un paesino dalla
mentalità arretrata come Nacom, soprattutto Kurenai ed io.
Avvistai dall’altra parte
della piazza una ragazza che
conoscevo. Feci cenno ad Andrej e Kurenai di aspettarmi e la raggiunsi.
– Keira
– la chiamai per attirare la sua attenzione.
La ragazza si voltò verso
di me e mi squadrò un paio
di volte, lanciò un’occhiata dietro di me verso
Andrej e Kurenai, poi fece
tornare l’attenzione su di me. – Ci conosciamo?
– mi domandò.
Rimasi di stucco. Va bene non
riconoscermi vedendomi
passare per strada, ma nemmeno parlando faccia a faccia nessuno era in
grado di
ricordarsi di me?
Per un attimo temetti di aver
sbagliato persona ma no,
era proprio Keira. Non eravamo state amiche da giovani. Non ero mai
stata amica
di nessuno nel villaggio ma lei la ricordavo bene. Era stata il mio
ideale di
bellezza per anni, avevo invidiato i suoi capelli, il suo viso, la
forma dei
suoi fianchi…tutto. Avevo creduto che se fossi diventata
come lei, se fossi stata lei, sarei
stata felice.
Adesso i suoi capelli avevano
cominciato a sbiadirsi,
non erano ancora striati di grigio ma avevano perso quel colore pieno
di un
tempo. Il suo viso era sciupato, con una grossa ruga che le solcava la
fronte. Era
incinta e anche il suo corpo aveva, prevedibilmente, perso la linea di
un
tempo.
- Volevo sapere – cominciai
ma venni interrotta da due
bambine che mi sfrecciarono davanti e andarono ad appendersi al vestito
di
Keira. Due bambine e un terzo in arrivo, quindi. – Volevo
avere notizie di due
ragazzi che vivevano qui – ripresi una volta che fu riuscita
a zittire le
figlie.
- Ah – sospirò
Keira capendo subito di chi stavo
parlando. – Seimei e Shin. Quattro anni fa
c’è stata una tragedia. La casa dove
vivevano ha preso fuoco. Non sanno come sia successo. Shin viveva
già lontano
quando è successo. Seimei è stato
l’unico sopravvissuto. Gli altri fratelli, la
sorella, la madre e il padre…sono morti tutti. Suppongo che
non potesse più
restare qui – fece una pausa lasciando vagare lo sguardo
verso dove era sorta
la mia casa.
- Keira! – urlò
qualcuno poco lontano. Lei sobbalzò,
afferrò le bambine per mano e cominciò a
dirigersi velocemente verso l’uomo che
la chiamava.
- È mio marito –
mi disse in tono di scusa. – Devo
proprio andare.
- Aspetta – la fermai, visto
che aveva già cominciato
ad allontanarsi. – Non mi hai detto dove sono adesso Shin e
Seimei.
Keira rallentò senza
però fermarsi. Scrollò le spalle,
come se non capisse che importanza potesse avere. – Sono anni
che nessuno ha
più notizie di loro. Quando Seimei se
n’è andato da qui so che aveva intenzione
di raggiungere Shin a Junon.
Cercai di ringraziarla ma ormai non
era più portata
d’orecchio. Raggiunsi Andrej e Kurenai che mi avevano
pazientemente aspettata
dove li avevo lasciati. Lanciai loro un sorriso di ringraziamento. In
quel
momento non credevo di riuscire a parlare.
Keira, la ragazza che per anni avevo
desiderato
essere, adesso ricopriva il ruolo che mio padre aveva voluto per me.
Era
invecchiata, più dei venticinque anni che doveva avere,
sembrava stanca e
triste.
Nessuno mi aveva riconosciuta. Nel
villaggio dove
avevo passato quasi tutta la mia vita nessuno era stato in grado di
riconoscermi, anzi, mi credevano morta.
Mi passai stancamente una mano sulla
faccia. Avevo
difficoltà a processare tutto quanto in pochi secondi. E
ancora non avevo idea
di dove potesse trovarsi Sephiroth.
Mi sentii appoggiare una mano sulla
spalla. – Tutto
bene? Hai scoperto qualcosa? – mi sorrise Kurenai.
- Credono tutti che sia morta
– dissi in un soffio,
abbandonando le braccia lungo i fianchi.
Kurenai spalancò gli occhi
ma non disse niente. Non
credo ci sia niente che uno possa dire dopo una cosa del genere.
- Quindi, che si fa? – si
intromise Andrej a braccia
conserte. Odiava aspettare e non ne poteva più di girare in
tondo senza sapere
cosa fare.
- Andiamo a Junon – risposi
sbuffando. – È l’unica
cosa che mi viene in mente in questo momento.
Gli occhi di Kurenai si illuminarono.
– Possiamo
andarci in sella a dei chocobo?
Scoppiai a ridere, tornando
immediatamente di buon
umore. – Siete sempre sicuri di voler venire con me?
- Non possiamo certo lasciarti
divorare metà della
popolazione di Midgar mentre cerchi il tuo amato –
sbottò Andrej mentre si
dirigeva verso il negozi d’oggetti per comprare
dell’erba ghisal. Il suo tono
era brusco ma sapevo che stava ridendo sotto i baffi. A Wutai lui era
l’unico
che mi chiamava col soprannome che avevano scelto per me la
“Tigre di Wutai”
per prendermi affettuosamente in giro e non perdeva occasione per
creare nuove
battute o nuovi giochi di parole. Lo adoravo per questo.
Raggiungemmo la pianura fuori del
villaggio per
catturare due chocobo per loro. Volevano provarci loro stessi, quindi
li
lasciai fare. Mi limitai a restare un po’ in disparte a
osservarli, sarebbe
stato uno spasso vedere cosa si sarebbero inventati ma dopo un
po’ non fui più
in grado di concentrarmi sui miei amici. Le parole di Keira mi avevano
molto
colpita. Mi credevano morta. Tutti quanti, per anni, avevano pensato
che fossi
morta. Ripensai all’ultima volta che Seimei mi aveva vista,
pestata a sangue e
tra le braccia dell’uomo che aveva appena ucciso la nostra
famiglia e dato
fuori alla nostra casa.
Il senso di colpa mi colpì
con una fitta allo stomaco.
Era colpa mia: perché non avevo mai trovato il coraggio per
scrivere loro? Eravamo
rimasti solo noi tre, perché non avevo potuto far loro
sapere che ero viva? Mi avevano
fatto un funerale? Nascosi il viso tra le mani sentendomi bruciare gli
occhi.
Qualcuno mi poggiò una mano
sulla spalla. Alzai lo
sguardo e mi trovai a fissare Kurenai. Non disse una parola, mi strinse
in un
abbraccio strettissimo e non mi lasciò andare. Dopo un
attimo un altro paio di
braccia ci circondò e mi ritrovai stretta in mezzo ai miei
due migliori amici. Dopotutto
anche loro erano la mia famiglia. Mi lasciai andare a un pianto
vigoroso e una
volta cominciato sembrava non fossi più in grado di
smettere. Quand’era stata l’ultima
volta che avevo pianto così? Non riuscivo a ricordarmelo.
Piansi e piansi. Per
tutto quello che avevo passato e per tutto quello che avevo tenuto
stretto
dentro di me. I miei amici non si mossero finché non mi fui
calmata ed ero così
grata per il conforto che mi davano senza volere niente in cambio,
nemmeno una
spiegazione.
Mi lasciarono andare ed entrambi mi
sorrisero senza
dire una parola. Non potei fare a meno di ricambiare. Soddisfatti, si
girarono
e ricominciarono a inseguire i loro futuri chocobo. Finalmente serena,
sollevato l’ultimo peso dal cuore, scoppiai a ridere. Erano
così imbranati, ma
li lasciai fare.
Dopo aver visto fallire i loro
tentativi per più di
un’ora li raggiunsi continuando a ridere. Presi
l’ultima erba ghisal che ci era
rimasta e tornai dopo poco con due esemplari per loro due.
- Dopotutto ero la figlia di un
allevatore di chocobo!
– esclamai spronando Lei Lan alla corsa, partendo tutti e tre
in direzione di
Junon.
- Come sai che vive ancora qui?
– domandò Andrej
salendo dietro di me le scale per l’appartamento di Shin.
Digrignai i denti. – Non lo
so, And. Lo sto solo sperando tanto
tanto altrimenti dovremo appena
metterci a cercarlo.
- A che piano hai detto che si trova?
– si intromise
Kurenai prima che lui ed io cominciassimo a litigare, come spesso
accadeva in
queste situazioni.
- Secondo piano – ripetei.
– Ci siamo. Si trova in
fondo a questo corridoio.
Mi fermai sull’ultimo
scalino. Mi sentivo un groppo
alla gola. Cosa sarebbe successo una volta percorsi quegli ultimi metri
e
avessi bussato a quella liscia porta verde. Avrebbe aperto mio fratello
o uno
sconosciuto? E se Shin davvero viveva ancora lì, mi avrebbe
riconosciuta? Avevo
immaginato questa situazione così tante volte nella mia
mente nei quattro anni
passati, avevo vagliato ogni possibilità.
Vedendo che non sembravo avere
intenzione di muovermi,
Kurenai mi spinse con forza sulla schiena e solo i miei riflessi mi
permisero di
mantenere l’equilibrio senza aggrapparmi alla balaustra.
Mi girai a fissarla con rimprovero.
– Un attimo –
sibilai tra i denti.
- Guarda che è inutile
tergiversare – mi rimproverò
Kurenai salendo gli ultimi scalini e appoggiandosi alla balaustra per
guardare
in basso, verso la strada, dove avevamo lasciato Lei Lan e gli altri
due
chocobo ad aspettarci. – Se aspetti
un’illuminazione o qualcosa del genere non
arriverà, e lo sai.
Andrej invece fece spallucce. - E poi
magari non abita
nemmeno più qui.
Raddrizzai la schiena. – Ora
vado – dissi e raggiunsi
la porta dell’appartamento senza nemmeno respirare. Ripresi
una boccata d’aria
solo dopo aver suonato il campanello.
Sentii dei passi avvicinarsi
dall’altra parte della
porta. Il cuore mi martellava una piccola marcia nel petto. Lanciai
un’occhiata
veloce verso Kurenai e Andrej: erano di fianco a me ma avevano comunque
lasciato un paio di passi di distanza tra di noi, in modo da lasciarmi
un po’
di spazio.
La porta si aprii e davanti a me
c’era Shin. Fino a un
momento prima non avrei saputo dire che emozione avrei provato
vedendolo di
nuovo dopo tanto tempo, che tipo di reazione avrei avuto. In quel
momento,
l’unica cosa che mi sentii di fare fu sorridergli. Nonostante
l’imbarazzo,
nonostante quel soffio di paura che provavo per quello che era
successo, ero
felice di rivedere mio fratello maggiore.
L’espressione sulla sua
faccia però non cambiò. Rimase
freddamente cordiale, con un filo di curiosità, forse un
po’ confusa:
l’espressione di chi si trova davanti a un estraneo. Non mi
aveva riconosciuta.
Da mio fratello mi ero aspettata
qualcosa di più, ma
una parte di me lo capiva. Negli ultimi anni ero diventata una donna:
gli
ultimi tratti infantili erano svaniti, i lunghi capelli con i quali mi
aveva
sempre visto erano spariti, sostituiti da un corto taglio che nel
nostro
villaggio raramente si vedeva anche addosso agli uomini, e i miei
occhi… beh, i
miei occhi erano diventati verde acqua.
- Shin – gli dissi.
– Sono io – feci una pausa,
sperando che bastasse quello per accendere un bagliore di
riconoscimento nel
suo sguardo. – Sono Yuri – aggiunsi quando questo
non successe.
Solo allora Shin sbarrò gli
occhi. – Com’è possibile?
– esclamò con la bocca spalancata ma
già con le braccia distese per stringermi
in un abbraccio. Sorrisi ancora più di prima e lo abbracciai
a mia volta.
– Credevamo che fossi morta!
– mi spiegò guardandomi
in viso, registrando tutti i cambiamenti che erano avvenuti in me. Mi
sfiorò i
capelli con un sorriso ironico, se c’era una persona che
poteva capire perché
li avevo tagliati, era lui, ma quando si rese conto del colore dei miei
occhi,
la sua espressione si scurì.
- I tuoi occhi sono di un colore
diverso – notò con
tono piatto.
Mi sciolsi dal suo abbraccio.
– Oh, sono solo lenti a
contatti – gli spiegai sforzando una breve risata. Non potevo
certo dirgli la
verità. – Sono molto di moda a casa.
Feci un gesto verso Kurenai. Notando i
suoi occhi
color rubino, Shin sembrò accettare la mia spiegazione e
mise l’argomento da
parte. La fissò ancora per un lungo istante, prima di
tornare a guardare verso
di me. Sapeva di aver già visto Kurenai da qualche parte,
dopotutto avevano
trasmesso l’incoronazione per televisione quando era
successa. Trovai assurdo
che mio fratello avesse più facilità a
riconoscere un’estranea che aveva visto
in televisione piuttosto che me. Credo comunque che non
collegò Kurenai alla reggente
di Wutai, non in quel momento comunque, e con una leggera scrollata di
spalle
spostò di nuovo l’attenzione su di me.
- Sì, ma dove
sei
stata? – volle sapere notando certamente la scelta che avevo
fatto del termine
‘casa’ visto che entrambi sapevamo che non stavo
parlando di Nacom.
- A Wutai.
Corrugò la fronte ancora di
più. – Perché non hai mai
scritto?
Distolsi lo sguardo, spostandolo sul
muro dietro di
lui. Tornai a guardarlo. – Non ci sono riuscita.
Shin fece un passo in avanti
afferrandomi per le
spalle. – Dov’è Sephiroth?
Quel…quel mostro.
Mi irrigidii. Non mi piaceva quando le
persone
diventavano così fisiche con me. – Non lo so.
Dov’è Seimei?
Sentendo il nome dell’unico
altro membro della nostra
famiglia ancora in vita, Shin mi lasciò andare e fece un
passo indietro,
tornando sotto lo stipite della porta. Si passò una mano sul
viso e sospirò. –
Ti ricordi quattro anni fa, quando sei venuta a trovarmi?
Feci un verso affermativo.
- Ricordi quelle strane persone che
abbiamo incontrato
alla fiera?
Sospirai e mi coprii gli occhi con una
mano,
massaggiandoli con indice e pollice. Questa
davvero, davvero, davvero avrei preferito evitarla, pensai.
Avevo saputo
dal primo momento in cui li avevo visti che mi avrebbero portato guai.
– Le
truppe di Nanaki – conclusi stancamente.
Shin mi guardò sorpreso dal
modo in cui li avevo
chiamati. Tutti li conoscevano come Progetto Jenova o, ancora
più
semplicemente, come le truppe di Cosmo Canyon. Erano poche le persone
che le
conoscevano con quel modo.
- Sì. Come fai a saperlo?
Abbassai la mano e riaprì
gli occhi. – Me ne ha
parlato Vincent Valentine.
- Vincent Valentine? –
ripeté mio fratello, sempre più
confuso. – Il reggente di Wutai?
- Non è più il
reggente di Wutai – lo corressi e a
quel punto non me ne fregava niente di non essere chiara. Di trovarmi
faccia a
faccia con una setta di fanatici non era mai stato nei miei piani.
– Seimei? –
insistetti.
Shin era tornato a fissare Kurenai.
Dopo un attimo
spalancò gli occhi. L’aveva riconosciuta ma non
disse una parola a riguardo.
- Dopo – fece una brevissima
pausa, in cerca del
termine giusto – “l’incidente”
è venuto qui, naturalmente. All’inizio non ero
nemmeno riuscito a capire di cosa stava parlando. Ci sono voluti due
giorni
prima che riuscisse a spiegarmi cosa era successo.
Si fermò a guardarmi,
ripensando a chissà cosa. –
Ancora adesso, non so quando bene sia stato di ricordarsi i fatti.
Quello che
so è che era certo che fosse tutta colpa di Sephiroth.
– si lasciò scappare una
risata nervosa. – Sephiroth, capisci? Un uomo morto da cento
anni era venuto a
casa nostra per uccidere la mia famiglia e dare fuoco alla mia casa.
Non
riuscivo a credergli ma lui ne era così certo –
sospirò, cominciando a
tormentarsi l’orologio che aveva legato al polso. –
e ha deciso che l’avrebbe
trovato per ucciderlo.
Shin scosse la testa con una smorfia.
– Non potevo
andare con lui. Avevo un lavoro, mi sto per sposare, io… non
potevo lasciare
tutto per andare a inseguire un fantasma. Poi ha incontrato il progetto
Jenova.
È andato a Cosmo Canyon, è entrato a far parte
delle truppe. Lo hanno
addestrato, credo. Sono dalle tracce di Sephiroth da quella volta. Io
ormai sono
anni che non lo vedo più. Ogni tanto mi invia delle lettere
ma non parliamo più
tanto. – Scrollò le spalle. –
L’ultima volta che ho sentito Seimei, più di tre
settimane fa, sembravano sulla buona strada.
Sentii un brivido scendermi lungo la
schiena. Se le
truppe di Nanaki fossero riusciti a trovare Sephiroth ci sarebbe
certamente
stato uno scontro. Sephiroth avrebbe combattuto. Non credevo che un
branco di
soldatucci potesse essere in grado di sconfiggerlo, ma se anche fosse
stato, il
numero delle vittime sarebbe stato alto. – Come faccio a
trovarlo? – scattai
preoccupata.
- L’unica è
andare a Cosmo Canyon ma, Yuri, non credo
sia una buona idea – mi disse mentre avevo già
cominciato a girarmi per tornare
dai chocobo e rimetterci in viaggio.
- Devo andare. Seimei potrebbe essere
in pericolo –
gli spiegai cominciando ad allontanarmi.
Shin mi afferrò un braccio,
fermandomi. – Hai tutto il
diritto di volerti vendicare – mi rassicurò
condiscendente. – Ma devi essere
realistica. Non è compito tuo questo. Devi lasciar fare a
chi ne è in grado.
- Io… - cominciai, per
spiegargli la situazione. Si
stava preoccupando per me non sapendo che erano anni ormai che ero in
grado di
occuparmi di me stessa.
- Devi capire che non è
qualcosa di cui si dovrebbe
occupare una ragazza – continuò lui senza
ascoltarmi. – Devi lasciare che se ne
occupino gli uomini.
Sentii distrattamente Andrej fischiare
tra i denti e
annotai tra me e me di dargli un bel pugno più tardi.
“Non stuzzicate la tigre”
borbottava sempre in quelle situazioni.
Ero una persona diversa. Non avrei
più permesso a
nessuno di mettermi i piedi in testa, di dirmi quello che potevo o non
potevo
fare. Pensare di potermi dire cosa dovevo
fare.
Gli sorrisi dura, forzatamente.
Appoggiai una mano
sulla sua facendo una lieve pressione. – Lasciami andare
– gli dissi. Aspettai
un momento, quando lui non lo fece, mi tolsi la mano dal braccio e feci
per
allontanarmi ma Shin mi afferrò ancora una volta, con
più forza di prima. Fino
a qualche anno prima, mi avrebbe lasciato dei lividi della forma delle
sue dita
su tutto il braccio.
- Non ti permetto di andartene.
Per un attimo, vidi rosso. Alzai lo
sguardo per
fissarlo con gli occhi che mi scintillavano d’ira.
- Tu non hai idea di come stanno le
cose – gli
ringhiai contro. – È una cosa che posso fare io e
soltanto io. È una cosa che
devo fare da sola – afferrai il braccio con cui mi stava
trattenendo, utilizzando
senza fatica la stessa forza che stava usando lui, non di
più o avrei potuto
fargli dei danni permanenti, e costringendolo a mollare la presa. Mi
guardò
allibito. – Non permetterò più a
nessuno di pormi su uno scalino più in basso
di loro. Nessuna donna, nessun uomo. Nessuno. Mai più.
Solo allora Shin capì,
glielo lessi nello sguardo.
Realizzò che la katana e la pistola che portavo con me con
tanta disinvoltura
non erano né per bellezza né per fare scena.
Capì che non poteva cercare di
usare su di me i metodi che si erano sempre usati nella nostra
famiglia, perché
non lo avrei permesso. Vidi un’ombra di vergogna in lui
quando realizzò che
aveva cercato di comportasi con me come nostro padre aveva sempre
fatto, ma lo
perdonai: non si può crescere in una famiglia come la nostra
e uscirne intatto,
ma se solo ci avesse provato un’altra volta gli avrei
spezzato il braccio. Lo
sapevo io e lo sapeva anche lui.
Gli presi la testa tra le mani e gli
appoggiai un
bacio sulla fronte prima di girarmi per andarmene. Infilai due dita tra
le
labbra e fischiai, richiamando i chocobo. Appoggiai una mano sulla
balaustra e
mi tirai su, mantenendomi in equilibrio sul ginocchio, pronta a
saltare. Mi
girai a guardarlo un’ultima volta.
- Non sono più la piccola
ragazza del villaggio. Sono
la tigre di Wutai. Lo decido io il mio destino!
Saltai e atterrai in groppa a Lei Lan.
Andrej e
Kurenai mi seguirono un attimo dopo. Incitammo i chocobo e partimmo di
corsa.
Destinazione: Cosmo Canyon.
Eccolo
qua. Come al
solito mi scuso per il ritardo -.- la vita, la pigrizia e uno splendido
blocco
dello scrittore si sono messi in mezzo. Per farmi perdonare (per
l’ennesima
volta) ecco un bel capitolo lungo lungo. E una notizia!
…mancano solo due
capitoli alla fine. Ebbene sì, mi sono messa e ho fatto
quattro calcoli con la
trama e in due capitoli (belli lunghi anche loro, eh!) avrò
finalmente finito
Il mio maestro. Dai che manca poco!
Spero che
il capitolo
vi sia piaciuto. Un super ringraziamento a “the one winged
angel” che è stata
così gentile da leggere il capitolo in anteprima e mi ha
dato dei preziosi
consigli per migliorarlo e renderlo più omogeneo. Un bacione
:-*
Negli
appunti mi ero
segnata una scena da mettere subito dopo che Yuri, Andrej e Kurenai
saltano in
groppa ai chocobo ma scrivendo ho realizzato che…questa
storia è in prima
persona xD Lo so, dopo ventisei capitoli avrei dovuto accorgermene :-p
e
insomma, ho dovuto tagliare questa scena… mi dispiace un
po’ quindi ve la
ripropongo qui, dal punto di vista di Shin. Sono solo poche righe, non
emozionatevi ;) Un bacio a tutti. Alla prossima!
Shin corse alla balaustra e
guardò dabbasso. Vide sua
sorella allontanarsi cavalcando fieramente un chocobo nero. La
seguivano il
ragazzo e la ragazza che l’avevano accompagnata fino a quel
momento.
Ricordandosi l’aspetto di entrambi realizzò la
loro identità. Andrej Carpov e
Kurenai Kusaragi Valentine.
Ma allora chi era sua sorella? Chi era
la donna che
gli era comparsa davanti? La fiera guerriera seguita dai regnanti di
Wutai?
- Yuri, chi sei diventata?