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Autore: claudineclaudette_    16/09/2013    5 recensioni
Il mio nome è Yuri diventerò una guerriera! Il mio maestro…. Ma cominciamo dall’inizio!
La storia di una giovane che cerca di andare contro i pregiudizi della società in cui vive per riuscire a realizzare il suo sogno.
Dico solo un nome: Sephiroth! ...e una parola: Commenti! Perchè più commenti rendono gli autori più felici!
p.s. Lei non è una Mary Sue :p promesso!
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Sephiroth
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Altro contesto
Capitoli:
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Nota prima di iniziare: Ero piuttosto sicura di averlo scritto nei capitoli precedenti ma non sono riuscita a trovare il punto in cui dovrei averlo scritto…e mi è venuto il dubbio che forse ho lasciato fuori un pezzo di trama: Vincent Valentine è il reggente di Wutai in quanto era sposato con Yuffie Kisaragi che in vita aveva tenuto il comando. Alla sua morte la reggenza è passata a loro figlio. Morto pure lui la reggenza dovrebbe passare per via ereditaria a Kurenai ma! Essendo Kurenai stata troppo giovane, la reggenza è stata ripresa temporaneamente da Vincent. Una volta raggiunta l’età giusta è salita al trono. Ecco. Se l’avevo già detto meglio, piccolo ripasso…altrimenti vorrà dire che dovrò andare a inserire questa piccola info nei capitoli precedenti. Avrei potuto inserirlo qui ma credo che avrebbe dato un po’ di fastidio alla narrazione.

 

Sparai l’ultimo di una serie di colpi contro il bersaglio del poligono, poi mi voltai e raggiunsi Vincent, che mi aveva osservato poco distante. Appoggiai Byakko sul ripiano in legno in modo da pulirla in seguito. Era la mia pistola personale: era stata un regalo di Vincent il giorno in cui ero riuscita a centrare tutti i bersagli del poligono.

Erano passati ormai quattro anni dal giorno in cui ero arrivata a Wutai per la prima volta e da allora avevo cominciato ad allenarmi seriamente in tutte le discipline, guidata dai maestri di Wutai e da Vincent stesso, che mi aveva insegnato a sparare. Avevo imparato il combattimento corpo a corpo, anche se non sarei mai stata brava come Andrej, come pure le basi per le abilità ninja che mi ha permesso di avvicinarmi a Kurenai ancora di più. Ormai eravamo praticamente inseparabili.

È stata proprio Kurenai a darmi finalmente il coraggio necessario a dare un nome alla spada che mi aveva donato Sephiroth: Jinsei no Nagare. Lifestream. Ed è stata sempre Kurenai, quel giorno, ad aiutarmi a prendere un’altra decisione, forse più banale all’apparenza ma cruciale per me perché segnava ancora un altro punto di svolta nella mia vita: mi sono tagliata i capelli. Quei capelli che per la mia famiglia erano uno dei miei pochi punti di forza, l’unica cosa bella di me. Li ho tagliati il più corto possibile e li ho mantenuti così, lunghi solo qualche centimetro. Mentre mi tagliava una ciocca dopo l’altra, non avevo potuto fare a meno di pensare come avrebbero reagito i miei genitori vedendomi gettare via “l’unica mia fonte di bellezza”. Mi ero chinata in avanti per raccoglierne un ciuffo da terra e me lo ero rigirata tra le dita. Credo che mia madre si sarebbe messa a piangere vedendomi in quel momento. Non voglio pensare a come avrebbe reagito mio padre, esattamente. Quello che so è che non l’avrebbero accettato. So che non avrebbero capito il perché di quel gesto. Perché se non sei bella, cosa puoi sperare di ottenere dalla vita? Avevo sorriso, se solo avessero potuto sapere quello che una donna può diventare. Dopo un attimo Kurenai aveva esclamato: - Finito! – e mi aveva porto uno specchio. Ricordo la sensazione che provai nel passarmi le dita tra i capelli, ravvivandoli. Mi sentivo sopraffatta e non ero più riuscita a trattenermi. Scoppiai in una risata scrosciante. Mi sentivo libera. Dopo tanto tempo, forse per la prima volta da quando ero nata mi sentivo libera. Mi sentivo veramente solo padrona di me stessa, sentivo di poter fare qualunque cosa, come se quei lunghi capelli che avevo appena tagliato avessero rappresentato l’ultimo legame che mi teneva legata alle tradizioni della mia famiglia e a tutto il male che mi avevano fatto. Ero solo me stessa adesso. Non ero Yuri da Nacom, non ero la sorella minore, non ero la figlia dell’allevatore. Ero solo Yuri. Yuri, la tigre di Wutai.

- Non so perché continuo ad assistere ai tuoi allenamenti – commentò Vincent con un sorriso malcelato. – Ormai non credo di avere più niente da insegnarti.

Sapevamo entrambi che veniva qui per tenermi compagnia. Per parlare. Nel corso di questi quattro anni, lentamente, con cautela, avevo cominciato ad aprirmi con lui, a confidarmi. Vincent Valentine sarebbe sempre stato un nonno per Kurenai ma per me? Era diventato ciò che mio padre non era mai stato.

Mi sedetti accanto a lui sperando che riprendesse il discorso che aveva interrotto quando avevo smesso di sparare. Mi stava parlando di Yuffie, di come gliela ricordavo a volte. Non era una cosa che faceva spesso, parlare di Yuffie, ma quando succedeva mi trovavo letteralmente a pendere dalle sue labbra. Attraverso le sue parole era diventata il mio modello, la mia aspirazione…avevo anche cominciato a vestirmi come lei, inconsciamente o meno.

Vincent si schiarì la gola. – Ha continuato ad amarmi fino all’ultimo battito del suo cuore. Io non potevo fare a meno di amarla, dopo essermi lasciato alle spalle i fantasmi del passato, non potevo fare a meno di metterla al centro del mio mondo. L’ho amata fino alla fine, la amo ancora adesso, anche se non ho mai creduto davvero di meritarla – guardò dritto davanti a sé, sembrava osservare i fori dei proiettili nelle sagome di cartone. Io aspettai che riprendesse a parlare, paziente. – Quando Sephiroth è venuto da me, all’inizio non potevo fidarmi. E come poteva essere altrimenti – riprese continuando a guardare in lontananza. – Avrei potuto capire subito che era cambiato, se solo avessi avuto la volontà di starlo a sentire, ma lui era così insistente…ostinato come non l’avevo mai visto, che mi costrinse a guardare più da vicino. Sono stati i suoi occhi a convincermi, alla fine. Lo sguardo che aveva quando parlava di te… fu allora che capii. Non era più il mostro che avevo conosciuto, ma il Soldier di prima classe, eroe di Midgar…anzi, no – si corresse voltandosi finalmente a guardarmi. – Non era più nemmeno quello. Era un uomo. E la cosa che lo rende un uomo più di tutto il resto è proprio il fatto che adesso, con te, lui si consideri tale.

Ripensai all’ultima volta in cui avevo visto Sephiroth, alle ultime parole che ci eravamo detti. Potevo rivivere tutta la scena alla perfezione nella mia mente, non era passato un giorno senza che ci pensassi. “Per quanto avessi voluto illudermi di poter essere un uomo con te, un uomo normale, rimango un mostro” mi aveva detto.

Sbattei le palpebre nel tentativo di ricacciare indietro le lacrime. Chissà cosa aveva fatto durante quei quattro anni. Aveva viaggiato? Stava bene?

- Ti sta aspettando – mi disse Vincent come se mi avesse letto nel pensiero.

Lo fissai. Non sapevo cosa rispondere. Afferrai Byakko e cominciai a pulirla con movimenti automatici. Un pensiero aveva cominciato a formarsi nella mia mente e mi diceva che era arrivato il momento.

- Stai partendo, vero? – esclamò Kurenai, balzando fuori alle mie spalle. Ero così abituata al suo brutto vizio di origliare certe conversazioni che non sobbalzai nemmeno. Non sapevo nemmeno come facesse a sapere con tale precisioni quali conversazioni ascoltare e quali no.

- Ho aspettato anche troppo tempo – ammisi finendo di pulire la pistola. Mi alzai in piedi e la rimisi al suo posto, nella fondina che avevo fissato intorno alla vita, sul fianco destro.

- Vorrei tanto venire con te – confessò Kurenai lanciandomi le braccia intorno al collo per abbracciarmi. Tirò su col naso, quasi in lacrime. – Ma…

La strinsi a mia volta e annuii. Da un anno era salita al trono di Wutai al posto di Vincent, aveva delle responsabilità verso il suo paese. Lo capivo.

Vincent fece qualche passo e coprì la distanza che ci separava. Appoggiò una mano sulla spalla della nipote e la strinse affettuosamente. – Vai – le disse serio. È importante per tutti noi, dicevano i suoi occhi. Negli anni avevo imparato a sentire anche le parole che Vincent non pronunciava con la bocca, dopo un po’ diventava impossibile non leggere nei suoi occhi quello che non diceva.

Kurenai sorrise e lo abbracciò. Poi abbracciò di nuovo anche me prima di correre via per parlare con Andrej. Ormai non c’era nessuna forza al mondo che avrebbe potuto trattenere quei due a Wutai.

Mi rivolsi a Vincent, approfittando di quegli ultimi momenti da soli. – Grazie. Di tutto – dissi e mi avvicinai timidamente per abbracciarlo, come aveva fatto Kurenai. Avrei voluto dirgli che per me era il stato il padre che non avevo mai avuto. Lo guardai negli occhi ma alla fine mi trattenni. Lo sapeva.

 

- Ti presento l’Highwind IV! – esclamò Kurenai facendomi entrare nell’aeronave di famiglia. – Veloce! Affidabile! Resistente!

La seguii ridacchiando. – La fai sembrare un prodotto pubblicitario!

- Abbi pazienza, tigre! – mi disse Andrej da dietro il timone. – È da quando è nata che vuole impossessarsi di questa nave e finalmente c’è riuscita.

Kurenai gli fece una smorfia poi si rivolse verso di me. - Dove dobbiamo andare?

Sospirai. – Non so dove sia adesso…ho sempre pensato di tornare a Nacom, nei boschi dietro al paese dove usavamo incontrarci. Forse mi ha lasciato qualche indizio.

- Dopo quattro anni? – domandò Andrej subbioso mentre accendeva i motori dell’aeronave. Era perplesso, potevo vederlo. Nemmeno io ero certa di quello che avrei trovato dopo tanto tempo ma era l’unica cosa che potevo fare.

Scrollai le spalle. – Al momento non ho altre opzioni.

Andai a sedermi in uno dei sedili imbottiti, quello da cui potevo guardare meglio fuori. Ero così nervosa che dovetti trattenere un brivido. Ero quasi certa che Sephiroth non si sarebbe trovato lì. Perché mai avrebbe dovuto aspettarmi nello stesso punto da quattro anni? Ma se invece l’avesse fatto? Se la ricerca fosse stata così facile e l’avessi incontrato subito? Cosa gli avrei detto? Chiusi gli occhi e appoggiai la fronte contro lo spesso vetro dell’oblò. Non importava quanto tempo avrei dovuto impiegare per trovarlo, decisi, anche se avessi dovuto impiegare mesi ci sarei riuscita. Dopotutto lui mi aveva aspettato per quattro anni: me l’aveva promesso, non avevo nessun dubbio a riguardo.

Sospirai e mi strinsi le braccia intorno al busto. Ma cosa sarebbe successo quando finalmente ci saremo ritrovati una di fronte all’altro?

 

Il viaggio durò diverse ore e più il tempo passava e più diventavo nervosa. Quando finalmente l’aeronave si fermò, mi era salita una tale nausea che non sapevo dire come mai non mi trovavo con un secchio in mezzo alle ginocchia. Ignorai il malessere e mi alzai in piedi, non avevo tempo per quello, e raggiunsi Kurenai che stava guardando fuori da uno degli oblò più grandi. Ci eravamo fermati sopra il bosco.

- Dovrete calarvi lungo il cavo d’ancoraggio – spiegò Andrej incrociando il mio sguardo. – Non c’è abbastanza spazio per atterrare.

- E che problema c’è? – esclamò Kurenai, che stava già scivolando verso il suolo. Andrej ed io ci scambiammo un sogghigno e la seguimmo.

Una volta toccato il suolo nessuno disse più una parola. Non potevo e Kurenai e Andrej lo capivano, rimanendo in silenzio a loro volta. Ero tornata in questo luogo per la prima volta dopo tanto tempo…ed era cambiato così tanto. Non il posto. Potevo ancora riconoscere ogni roccia, ogni albero. Intravidi anche i resti di quell’albero che Sephiroth aveva abbattuto durante quel suo allenamento solitario tanti anni prima. No, era la situazione a essere cambiata. Noi eravamo cambiati. Io ero cambiata. Ero diventata una donna e quello che avevo sempre desiderato da tutta la vita: una guerriera. Solo diventandolo ero riuscita a capire che non era tutto quello che volevo, nella mia mente di ragazzina diventare una guerriera aveva rappresentato acquisire la capacità di diventare indipendente, di liberarmi dalle pastoie che mi legavano alla mia famiglia. Non avevo capito che avrebbe significato tutto questo e ancora mi mancava qualcosa.

Impiegai poco tempo a capire che lì non avrei trovato niente. Stavo per girarmi verso Andrej e Kurenai per suggerire di tornare all’Highwind quando un rumore attirò la mia attenzione. Un chocobo mi stava osservando da poco lontano, il suo becco di un giallo brillante e le penne un po’ arruffate, di un intenso colore nero. Feci per balzare in piedi ma mi bloccai a metà del gesto, non volevo rischiare di spaventarlo e farlo scappare. Il chocobo mi squadrò da capo a piedi poi con un “kwhèèèè!” cominciò a camminare verso di me senza esitazione.

Quando solo mezzo metro ci divideva l’una dall’altra, alzai una mano per accarezzarlo e anche qui, il chocobo non sembrò avere problemi.

- Lei Lan? – dissi esitante e ottenni subito un entusiasta “kwéé” di risposta. Non potevo crederci che fosse rimasta lì per tutti quegli anni, da sola nel bosco si era inselvatichita ed era riuscita addirittura a cambiare colore, da rosso a nero. Mi voltai verso Kurenai e Andrej. – Era il mio chocobo – spiegai commossa.

Kurenai mi sorrise. – Posso? – domandò indicando Lei Lan. Annuii e la lasciai avvicinare. Kurenai toccò le morbide piume del collo dell’animale. – Non avevo mai visto un chocobo così da vicino – mi confessò. A Wutai non li usiamo per spostarci e li ho sempre visti solo da lontano.

Lasciai Kurenai con Lei Lan per qualche minuto mentre mi costrinsi a fare un altro giro della radura, anche se ormai sapevo che non vi avrei trovato nessun indizio.

Andrej mi si affiancò. – Dove pensi di andare adesso? – mi domandò notando i miei scarsi risultati.

Scrollai le spalle e guardai verso ovest, dove sapevo trovarsi Nacom. – Si torna a casa a quanto pare.

 

- Non ho capito cosa vorresti scoprire qui – disse Kurenai portandosi dietro Lei Lan con una cavezza che avevamo improvvisato con un pezzo di corda.

- È inutile continuare ad aggirarsi alla cieca tra gli alberi. Probabilmente non sapranno niente di Sephiroth, ma forse sapranno dirmi qualcosa di Shin o di Seimei. Glielo devo dopotutto.

Feci un respiro profondo, cercando di scacciare via il nervosismo che mi stava assalendo, e mi inoltrai nella piazza cittadina, certa che qualcuno avrebbe riconosciuto e mi si sarebbe avvicinato. Passarono diversi minuti, qualcuno ogni tanto mi lanciava un’occhiata e credevo stesse per riconoscermi, prima di capire che non l’avrebbero fatto. Mi squadravano, certo, così come squadravano Andrej e Kurenai. Dopotutto eravamo due ragazze e un ragazzo vestiti con abiti da combattimento e armati fino ai denti. Avrei dovuto capirlo subito che non saremmo passati inosservati in un paesino dalla mentalità arretrata come Nacom, soprattutto Kurenai ed io.

Avvistai dall’altra parte della piazza una ragazza che conoscevo. Feci cenno ad Andrej e Kurenai di aspettarmi e la raggiunsi. – Keira – la chiamai per attirare la sua attenzione.

La ragazza si voltò verso di me e mi squadrò un paio di volte, lanciò un’occhiata dietro di me verso Andrej e Kurenai, poi fece tornare l’attenzione su di me. – Ci conosciamo? – mi domandò.

Rimasi di stucco. Va bene non riconoscermi vedendomi passare per strada, ma nemmeno parlando faccia a faccia nessuno era in grado di ricordarsi di me?

Per un attimo temetti di aver sbagliato persona ma no, era proprio Keira. Non eravamo state amiche da giovani. Non ero mai stata amica di nessuno nel villaggio ma lei la ricordavo bene. Era stata il mio ideale di bellezza per anni, avevo invidiato i suoi capelli, il suo viso, la forma dei suoi fianchi…tutto. Avevo creduto che se fossi diventata come lei, se fossi stata lei, sarei stata felice.

Adesso i suoi capelli avevano cominciato a sbiadirsi, non erano ancora striati di grigio ma avevano perso quel colore pieno di un tempo. Il suo viso era sciupato, con una grossa ruga che le solcava la fronte. Era incinta e anche il suo corpo aveva, prevedibilmente, perso la linea di un tempo.

- Volevo sapere – cominciai ma venni interrotta da due bambine che mi sfrecciarono davanti e andarono ad appendersi al vestito di Keira. Due bambine e un terzo in arrivo, quindi. – Volevo avere notizie di due ragazzi che vivevano qui – ripresi una volta che fu riuscita a zittire le figlie.

- Ah – sospirò Keira capendo subito di chi stavo parlando. – Seimei e Shin. Quattro anni fa c’è stata una tragedia. La casa dove vivevano ha preso fuoco. Non sanno come sia successo. Shin viveva già lontano quando è successo. Seimei è stato l’unico sopravvissuto. Gli altri fratelli, la sorella, la madre e il padre…sono morti tutti. Suppongo che non potesse più restare qui – fece una pausa lasciando vagare lo sguardo verso dove era sorta la mia casa.

- Keira! – urlò qualcuno poco lontano. Lei sobbalzò, afferrò le bambine per mano e cominciò a dirigersi velocemente verso l’uomo che la chiamava.

- È mio marito – mi disse in tono di scusa. – Devo proprio andare.

- Aspetta – la fermai, visto che aveva già cominciato ad allontanarsi. – Non mi hai detto dove sono adesso Shin e Seimei.

Keira rallentò senza però fermarsi. Scrollò le spalle, come se non capisse che importanza potesse avere. – Sono anni che nessuno ha più notizie di loro. Quando Seimei se n’è andato da qui so che aveva intenzione di raggiungere Shin a Junon.

Cercai di ringraziarla ma ormai non era più portata d’orecchio. Raggiunsi Andrej e Kurenai che mi avevano pazientemente aspettata dove li avevo lasciati. Lanciai loro un sorriso di ringraziamento. In quel momento non credevo di riuscire a parlare.

Keira, la ragazza che per anni avevo desiderato essere, adesso ricopriva il ruolo che mio padre aveva voluto per me. Era invecchiata, più dei venticinque anni che doveva avere, sembrava stanca e triste.

Nessuno mi aveva riconosciuta. Nel villaggio dove avevo passato quasi tutta la mia vita nessuno era stato in grado di riconoscermi, anzi, mi credevano morta.

Mi passai stancamente una mano sulla faccia. Avevo difficoltà a processare tutto quanto in pochi secondi. E ancora non avevo idea di dove potesse trovarsi Sephiroth.

Mi sentii appoggiare una mano sulla spalla. – Tutto bene? Hai scoperto qualcosa? – mi sorrise Kurenai.

- Credono tutti che sia morta – dissi in un soffio, abbandonando le braccia lungo i fianchi.

Kurenai spalancò gli occhi ma non disse niente. Non credo ci sia niente che uno possa dire dopo una cosa del genere.

- Quindi, che si fa? – si intromise Andrej a braccia conserte. Odiava aspettare e non ne poteva più di girare in tondo senza sapere cosa fare.

- Andiamo a Junon – risposi sbuffando. – È l’unica cosa che mi viene in mente in questo momento.

Gli occhi di Kurenai si illuminarono. – Possiamo andarci in sella a dei chocobo?

Scoppiai a ridere, tornando immediatamente di buon umore. – Siete sempre sicuri di voler venire con me?

- Non possiamo certo lasciarti divorare metà della popolazione di Midgar mentre cerchi il tuo amato – sbottò Andrej mentre si dirigeva verso il negozi d’oggetti per comprare dell’erba ghisal. Il suo tono era brusco ma sapevo che stava ridendo sotto i baffi. A Wutai lui era l’unico che mi chiamava col soprannome che avevano scelto per me la “Tigre di Wutai” per prendermi affettuosamente in giro e non perdeva occasione per creare nuove battute o nuovi giochi di parole. Lo adoravo per questo.

Raggiungemmo la pianura fuori del villaggio per catturare due chocobo per loro. Volevano provarci loro stessi, quindi li lasciai fare. Mi limitai a restare un po’ in disparte a osservarli, sarebbe stato uno spasso vedere cosa si sarebbero inventati ma dopo un po’ non fui più in grado di concentrarmi sui miei amici. Le parole di Keira mi avevano molto colpita. Mi credevano morta. Tutti quanti, per anni, avevano pensato che fossi morta. Ripensai all’ultima volta che Seimei mi aveva vista, pestata a sangue e tra le braccia dell’uomo che aveva appena ucciso la nostra famiglia e dato fuori alla nostra casa.

Il senso di colpa mi colpì con una fitta allo stomaco. Era colpa mia: perché non avevo mai trovato il coraggio per scrivere loro? Eravamo rimasti solo noi tre, perché non avevo potuto far loro sapere che ero viva? Mi avevano fatto un funerale? Nascosi il viso tra le mani sentendomi bruciare gli occhi.

Qualcuno mi poggiò una mano sulla spalla. Alzai lo sguardo e mi trovai a fissare Kurenai. Non disse una parola, mi strinse in un abbraccio strettissimo e non mi lasciò andare. Dopo un attimo un altro paio di braccia ci circondò e mi ritrovai stretta in mezzo ai miei due migliori amici. Dopotutto anche loro erano la mia famiglia. Mi lasciai andare a un pianto vigoroso e una volta cominciato sembrava non fossi più in grado di smettere. Quand’era stata l’ultima volta che avevo pianto così? Non riuscivo a ricordarmelo. Piansi e piansi. Per tutto quello che avevo passato e per tutto quello che avevo tenuto stretto dentro di me. I miei amici non si mossero finché non mi fui calmata ed ero così grata per il conforto che mi davano senza volere niente in cambio, nemmeno una spiegazione.

Mi lasciarono andare ed entrambi mi sorrisero senza dire una parola. Non potei fare a meno di ricambiare. Soddisfatti, si girarono e ricominciarono a inseguire i loro futuri chocobo. Finalmente serena, sollevato l’ultimo peso dal cuore, scoppiai a ridere. Erano così imbranati, ma li lasciai fare.

Dopo aver visto fallire i loro tentativi per più di un’ora li raggiunsi continuando a ridere. Presi l’ultima erba ghisal che ci era rimasta e tornai dopo poco con due esemplari per loro due.

- Dopotutto ero la figlia di un allevatore di chocobo! – esclamai spronando Lei Lan alla corsa, partendo tutti e tre in direzione di Junon.

 

- Come sai che vive ancora qui? – domandò Andrej salendo dietro di me le scale per l’appartamento di Shin.

Digrignai i denti. – Non lo so, And. Lo sto solo sperando tanto tanto altrimenti dovremo appena metterci a cercarlo.

- A che piano hai detto che si trova? – si intromise Kurenai prima che lui ed io cominciassimo a litigare, come spesso accadeva in queste situazioni.

- Secondo piano – ripetei. – Ci siamo. Si trova in fondo a questo corridoio.

Mi fermai sull’ultimo scalino. Mi sentivo un groppo alla gola. Cosa sarebbe successo una volta percorsi quegli ultimi metri e avessi bussato a quella liscia porta verde. Avrebbe aperto mio fratello o uno sconosciuto? E se Shin davvero viveva ancora lì, mi avrebbe riconosciuta? Avevo immaginato questa situazione così tante volte nella mia mente nei quattro anni passati, avevo vagliato ogni possibilità.

Vedendo che non sembravo avere intenzione di muovermi, Kurenai mi spinse con forza sulla schiena e solo i miei riflessi mi permisero di mantenere l’equilibrio senza aggrapparmi alla balaustra.

Mi girai a fissarla con rimprovero. – Un attimo – sibilai tra i denti.

- Guarda che è inutile tergiversare – mi rimproverò Kurenai salendo gli ultimi scalini e appoggiandosi alla balaustra per guardare in basso, verso la strada, dove avevamo lasciato Lei Lan e gli altri due chocobo ad aspettarci. – Se aspetti un’illuminazione o qualcosa del genere non arriverà, e lo sai.

Andrej invece fece spallucce. - E poi magari non abita nemmeno più qui.

Raddrizzai la schiena. – Ora vado – dissi e raggiunsi la porta dell’appartamento senza nemmeno respirare. Ripresi una boccata d’aria solo dopo aver suonato il campanello.

Sentii dei passi avvicinarsi dall’altra parte della porta. Il cuore mi martellava una piccola marcia nel petto. Lanciai un’occhiata veloce verso Kurenai e Andrej: erano di fianco a me ma avevano comunque lasciato un paio di passi di distanza tra di noi, in modo da lasciarmi un po’ di spazio.

La porta si aprii e davanti a me c’era Shin. Fino a un momento prima non avrei saputo dire che emozione avrei provato vedendolo di nuovo dopo tanto tempo, che tipo di reazione avrei avuto. In quel momento, l’unica cosa che mi sentii di fare fu sorridergli. Nonostante l’imbarazzo, nonostante quel soffio di paura che provavo per quello che era successo, ero felice di rivedere mio fratello maggiore.

L’espressione sulla sua faccia però non cambiò. Rimase freddamente cordiale, con un filo di curiosità, forse un po’ confusa: l’espressione di chi si trova davanti a un estraneo. Non mi aveva riconosciuta.

Da mio fratello mi ero aspettata qualcosa di più, ma una parte di me lo capiva. Negli ultimi anni ero diventata una donna: gli ultimi tratti infantili erano svaniti, i lunghi capelli con i quali mi aveva sempre visto erano spariti, sostituiti da un corto taglio che nel nostro villaggio raramente si vedeva anche addosso agli uomini, e i miei occhi… beh, i miei occhi erano diventati verde acqua.

- Shin – gli dissi. – Sono io – feci una pausa, sperando che bastasse quello per accendere un bagliore di riconoscimento nel suo sguardo. – Sono Yuri – aggiunsi quando questo non successe.

Solo allora Shin sbarrò gli occhi. – Com’è possibile? – esclamò con la bocca spalancata ma già con le braccia distese per stringermi in un abbraccio. Sorrisi ancora più di prima e lo abbracciai a mia volta.

– Credevamo che fossi morta! – mi spiegò guardandomi in viso, registrando tutti i cambiamenti che erano avvenuti in me. Mi sfiorò i capelli con un sorriso ironico, se c’era una persona che poteva capire perché li avevo tagliati, era lui, ma quando si rese conto del colore dei miei occhi, la sua espressione si scurì.

- I tuoi occhi sono di un colore diverso – notò con tono piatto.

Mi sciolsi dal suo abbraccio. – Oh, sono solo lenti a contatti – gli spiegai sforzando una breve risata. Non potevo certo dirgli la verità. – Sono molto di moda a casa.

Feci un gesto verso Kurenai. Notando i suoi occhi color rubino, Shin sembrò accettare la mia spiegazione e mise l’argomento da parte. La fissò ancora per un lungo istante, prima di tornare a guardare verso di me. Sapeva di aver già visto Kurenai da qualche parte, dopotutto avevano trasmesso l’incoronazione per televisione quando era successa. Trovai assurdo che mio fratello avesse più facilità a riconoscere un’estranea che aveva visto in televisione piuttosto che me. Credo comunque che non collegò Kurenai alla reggente di Wutai, non in quel momento comunque, e con una leggera scrollata di spalle spostò di nuovo l’attenzione su di me.

- Sì, ma dove sei stata? – volle sapere notando certamente la scelta che avevo fatto del termine ‘casa’ visto che entrambi sapevamo che non stavo parlando di Nacom.

- A Wutai.

Corrugò la fronte ancora di più. – Perché non hai mai scritto?

Distolsi lo sguardo, spostandolo sul muro dietro di lui. Tornai a guardarlo. – Non ci sono riuscita.

Shin fece un passo in avanti afferrandomi per le spalle. – Dov’è Sephiroth? Quel…quel mostro.

Mi irrigidii. Non mi piaceva quando le persone diventavano così fisiche con me. – Non lo so. Dov’è Seimei?

Sentendo il nome dell’unico altro membro della nostra famiglia ancora in vita, Shin mi lasciò andare e fece un passo indietro, tornando sotto lo stipite della porta. Si passò una mano sul viso e sospirò. – Ti ricordi quattro anni fa, quando sei venuta a trovarmi?

Feci un verso affermativo.

- Ricordi quelle strane persone che abbiamo incontrato alla fiera?

Sospirai e mi coprii gli occhi con una mano, massaggiandoli con indice e pollice. Questa davvero, davvero, davvero avrei preferito evitarla, pensai. Avevo saputo dal primo momento in cui li avevo visti che mi avrebbero portato guai. – Le truppe di Nanaki – conclusi stancamente.

Shin mi guardò sorpreso dal modo in cui li avevo chiamati. Tutti li conoscevano come Progetto Jenova o, ancora più semplicemente, come le truppe di Cosmo Canyon. Erano poche le persone che le conoscevano con quel modo.

- Sì. Come fai a saperlo?

Abbassai la mano e riaprì gli occhi. – Me ne ha parlato Vincent Valentine.

- Vincent Valentine? – ripeté mio fratello, sempre più confuso. – Il reggente di Wutai?

- Non è più il reggente di Wutai – lo corressi e a quel punto non me ne fregava niente di non essere chiara. Di trovarmi faccia a faccia con una setta di fanatici non era mai stato nei miei piani. – Seimei? – insistetti.

Shin era tornato a fissare Kurenai. Dopo un attimo spalancò gli occhi. L’aveva riconosciuta ma non disse una parola a riguardo.

- Dopo – fece una brevissima pausa, in cerca del termine giusto – “l’incidente” è venuto qui, naturalmente. All’inizio non ero nemmeno riuscito a capire di cosa stava parlando. Ci sono voluti due giorni prima che riuscisse a spiegarmi cosa era successo.

Si fermò a guardarmi, ripensando a chissà cosa. – Ancora adesso, non so quando bene sia stato di ricordarsi i fatti. Quello che so è che era certo che fosse tutta colpa di Sephiroth. – si lasciò scappare una risata nervosa. – Sephiroth, capisci? Un uomo morto da cento anni era venuto a casa nostra per uccidere la mia famiglia e dare fuoco alla mia casa. Non riuscivo a credergli ma lui ne era così certo – sospirò, cominciando a tormentarsi l’orologio che aveva legato al polso. – e ha deciso che l’avrebbe trovato per ucciderlo.

Shin scosse la testa con una smorfia. – Non potevo andare con lui. Avevo un lavoro, mi sto per sposare, io… non potevo lasciare tutto per andare a inseguire un fantasma. Poi ha incontrato il progetto Jenova. È andato a Cosmo Canyon, è entrato a far parte delle truppe. Lo hanno addestrato, credo. Sono dalle tracce di Sephiroth da quella volta. Io ormai sono anni che non lo vedo più. Ogni tanto mi invia delle lettere ma non parliamo più tanto. – Scrollò le spalle. – L’ultima volta che ho sentito Seimei, più di tre settimane fa, sembravano sulla buona strada.

Sentii un brivido scendermi lungo la schiena. Se le truppe di Nanaki fossero riusciti a trovare Sephiroth ci sarebbe certamente stato uno scontro. Sephiroth avrebbe combattuto. Non credevo che un branco di soldatucci potesse essere in grado di sconfiggerlo, ma se anche fosse stato, il numero delle vittime sarebbe stato alto. – Come faccio a trovarlo? – scattai preoccupata.

- L’unica è andare a Cosmo Canyon ma, Yuri, non credo sia una buona idea – mi disse mentre avevo già cominciato a girarmi per tornare dai chocobo e rimetterci in viaggio.

- Devo andare. Seimei potrebbe essere in pericolo – gli spiegai cominciando ad allontanarmi.

Shin mi afferrò un braccio, fermandomi. – Hai tutto il diritto di volerti vendicare – mi rassicurò condiscendente. – Ma devi essere realistica. Non è compito tuo questo. Devi lasciar fare a chi ne è in grado.

- Io… - cominciai, per spiegargli la situazione. Si stava preoccupando per me non sapendo che erano anni ormai che ero in grado di occuparmi di me stessa.

- Devi capire che non è qualcosa di cui si dovrebbe occupare una ragazza – continuò lui senza ascoltarmi. – Devi lasciare che se ne occupino gli uomini.

Sentii distrattamente Andrej fischiare tra i denti e annotai tra me e me di dargli un bel pugno più tardi. “Non stuzzicate la tigre” borbottava sempre in quelle situazioni.

Ero una persona diversa. Non avrei più permesso a nessuno di mettermi i piedi in testa, di dirmi quello che potevo o non potevo fare. Pensare di potermi dire cosa dovevo fare.

Gli sorrisi dura, forzatamente. Appoggiai una mano sulla sua facendo una lieve pressione. – Lasciami andare – gli dissi. Aspettai un momento, quando lui non lo fece, mi tolsi la mano dal braccio e feci per allontanarmi ma Shin mi afferrò ancora una volta, con più forza di prima. Fino a qualche anno prima, mi avrebbe lasciato dei lividi della forma delle sue dita su tutto il braccio.

- Non ti permetto di andartene.

Per un attimo, vidi rosso. Alzai lo sguardo per fissarlo con gli occhi che mi scintillavano d’ira.

- Tu non hai idea di come stanno le cose – gli ringhiai contro. – È una cosa che posso fare io e soltanto io. È una cosa che devo fare da sola – afferrai il braccio con cui mi stava trattenendo, utilizzando senza fatica la stessa forza che stava usando lui, non di più o avrei potuto fargli dei danni permanenti, e costringendolo a mollare la presa. Mi guardò allibito. – Non permetterò più a nessuno di pormi su uno scalino più in basso di loro. Nessuna donna, nessun uomo. Nessuno. Mai più.

Solo allora Shin capì, glielo lessi nello sguardo. Realizzò che la katana e la pistola che portavo con me con tanta disinvoltura non erano né per bellezza né per fare scena. Capì che non poteva cercare di usare su di me i metodi che si erano sempre usati nella nostra famiglia, perché non lo avrei permesso. Vidi un’ombra di vergogna in lui quando realizzò che aveva cercato di comportasi con me come nostro padre aveva sempre fatto, ma lo perdonai: non si può crescere in una famiglia come la nostra e uscirne intatto, ma se solo ci avesse provato un’altra volta gli avrei spezzato il braccio. Lo sapevo io e lo sapeva anche lui.

Gli presi la testa tra le mani e gli appoggiai un bacio sulla fronte prima di girarmi per andarmene. Infilai due dita tra le labbra e fischiai, richiamando i chocobo. Appoggiai una mano sulla balaustra e mi tirai su, mantenendomi in equilibrio sul ginocchio, pronta a saltare. Mi girai a guardarlo un’ultima volta.

- Non sono più la piccola ragazza del villaggio. Sono la tigre di Wutai. Lo decido io il mio destino!

Saltai e atterrai in groppa a Lei Lan. Andrej e Kurenai mi seguirono un attimo dopo. Incitammo i chocobo e partimmo di corsa. Destinazione: Cosmo Canyon.

 

 

Eccolo qua. Come al solito mi scuso per il ritardo -.- la vita, la pigrizia e uno splendido blocco dello scrittore si sono messi in mezzo. Per farmi perdonare (per l’ennesima volta) ecco un bel capitolo lungo lungo. E una notizia! …mancano solo due capitoli alla fine. Ebbene sì, mi sono messa e ho fatto quattro calcoli con la trama e in due capitoli (belli lunghi anche loro, eh!) avrò finalmente finito Il mio maestro. Dai che manca poco!

Spero che il capitolo vi sia piaciuto. Un super ringraziamento a “the one winged angel” che è stata così gentile da leggere il capitolo in anteprima e mi ha dato dei preziosi consigli per migliorarlo e renderlo più omogeneo. Un bacione :-*

Negli appunti mi ero segnata una scena da mettere subito dopo che Yuri, Andrej e Kurenai saltano in groppa ai chocobo ma scrivendo ho realizzato che…questa storia è in prima persona xD Lo so, dopo ventisei capitoli avrei dovuto accorgermene :-p e insomma, ho dovuto tagliare questa scena… mi dispiace un po’ quindi ve la ripropongo qui, dal punto di vista di Shin. Sono solo poche righe, non emozionatevi ;) Un bacio a tutti. Alla prossima!

 

Shin corse alla balaustra e guardò dabbasso. Vide sua sorella allontanarsi cavalcando fieramente un chocobo nero. La seguivano il ragazzo e la ragazza che l’avevano accompagnata fino a quel momento. Ricordandosi l’aspetto di entrambi realizzò la loro identità. Andrej Carpov e Kurenai Kusaragi Valentine.

Ma allora chi era sua sorella? Chi era la donna che gli era comparsa davanti? La fiera guerriera seguita dai regnanti di Wutai?

- Yuri, chi sei diventata?

 

   
 
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