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Autore: hangover    16/09/2013    1 recensioni
“Facciamolo Harry. Andiamo a quel ballo insieme, come coppia” gli dissi io, stringendogli le mani fredde. Harry aveva le mani sempre, perennemente fredde, indipendentemente dalla stagione.
Lo guardai nei suoi occhi, verdi e brillanti, da fare invidia a qualsiasi pietra preziosa esistente sulla terra. Al contrario delle sue mani, quegli occhi emanavano un calore indescrivibile, talmente forte da sapermi riscaldare il cuore semplicemente sbattendo le palpebre."
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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“Facciamolo Harry. Andiamo a quel ballo insieme, come coppia” gli dissi io, stringendogli le mani fredde. Harry aveva le mani sempre, perennemente fredde, indipendentemente dalla stagione.
Lo guardai nei suoi occhi, verdi e brillanti, da fare invidia a qualsiasi pietra preziosa esistente sulla terra. Al contrario delle sue mani, quegli occhi emanavano un calore indescrivibile, talmente forte da sapermi riscaldare il cuore semplicemente sbattendo le palpebre.
“Non possiamo, Lou. Cosa ne direbbe la gente?”.
Già, la gente. Harry era ossessionato dai commenti della gente. Non riusciva a non sentirli. Un po’ come capita con le canzoni che tutti detestano, ma che puntualmente tutti si ritrovano a canticchiare. Ecco, per lui i pareri degli altri studenti erano così: avrebbe fatto di tutto per non sentirli, per ignorarli e cercare di passarci sopra, ma non c’era nulla da fare. Sempre, costantemente a preoccuparsi di persone che non avrebbe mai più rivisto.
“Ehi, sono cinque anni che non facciamo che ascoltare cosa dicono di noi. Per una sera, facciamo finta di niente e divertiamoci ok?”.
Tentai di dissuaderlo con queste parole, sperando che per una buona volta avesse deciso di ascoltarmi. Lo vidi abbassare lo sguardo, mordersi il labbro e poi di nuovo guardarmi dritto negli occhi.
Gli spostai un ciuffo di capelli ricci dalla fronte alta e gli sorrisi, come per incoraggiarlo a fare un passo enorme per lui, Harry Styles, il ragazzo che amavo.
“Allora?” gli chiesi poi, notando che rimase in un insolito silenzio per un minuto buono. Continuai a sorridere e a sentire i suoi capelli sotto le dita.
“Non lo so. Non so se sia una buona idea” esitò alzando le spalle e prendendo a fissare con insistenza l’erba del prato su cui stavamo, in piedi, a cercare di capire il modo di farci accettare dalle persone.
“Harry, diamo un addio come si deve a quella scuola di merda. Presentiamoci insieme a quel ballo e lasciamo che gli altri dicano quello che vogliono. Non facciamoci abbattere dalle parole*, Harreh”.
A quel punto, ricordo di averlo abbracciato, di aver aspirato il suo profumo delicato per qualche secondo, e di averlo sentito ridacchiare. Da quella sua breve ed innocente risata capii che la sua voglia di trasgredire aveva preso il sopravvento. Ero riuscito a convincerlo, a fargli cambiare idea.
E non potevo che esserne più felice.
“Va bene, ci sto. Facciamolo, Lou. Andiamo al ballo e facciamo come se nulla fosse”
Non appena mi disse quelle parole, lo baciai.
Sentii le sue labbra schiudersi piano sotto le mie e le sue dita sfiorarmi il viso.
Mentre ci baciavamo, pensai a quanto fossi fortunato ad averlo con me, a poter imparare dal suo enorme coraggio. Forse avevo imparato dalla nostra relazione molte più cose che tra i banchi di scuola. Sicuramente mi aveva insegnato ad apprezzare quelle piccole cose della vita, dal saper godere della solitudine, ad essere in grado di ascoltare i lunghi silenzi, a capire che io e lui eravamo uno dei segreti più belli dell’universo.
Ed in quanto tale, non potevamo svelarci e dovevamo vivere con la continua angoscia di essere scoperti e venire esclusi da qualsiasi cosa.
Ma io non me ne ero mai fatti problemi del genere. Non volevo l’approvazione di quei palloni gonfiati giocatori di basket che si spacciavano per i padroni della scuola.
A me bastava solo stare con Harry, l’unico antidoto che conoscevo contro la solitudine. Per il resto, non desideravo null’altro al di fuori di lui.
Appena mi staccai dal bacio, gli sorrisi e rimasi a fissare la sua bocca anch’essa contorta in un sorrisetto sghembo.
“Passo a prenderti io, va bene?” gli chiesi senza cessare di osservargli le labbra rosse e calde.
“Non ci pensare nemmeno. Verrò a prenderti io. Che razza di cavaliere sarei altrimenti?”
 
 
Quel pomeriggio preparai ogni cosa con una cura a dir poco maniacale.
Presi l’abito nero che avevo comprato ai grandi magazzini, la camicia fresca di tintoria che mia madre era andata a ritirare ed andai in giardino a prendere due fiori bianchi, di cui ignoravo il nome, che io ed Harry avremmo messo all’occhiello quella sera.
Guardai gli indumenti posati sul letto con soddisfazione.
Assunsi un cipiglio orgoglioso e con un po’ di vanità adolescenziale mi dissi che quella sera sarei stato proprio un figo, all’altezza di Harry.
Erano le sei e mezza di pomeriggio e lui sarebbe venuto a casa mia alle otto in punto, dicendo ai miei genitori di essere un semplice amico.
Notando l’orario e tenendo presente del mio carattere maniacale riguardo al mio aspetto fisico, decisi di non perdere tempo e di andarmi ad infilare sotto la doccia.
Così, mi spogliai, aprii l’acqua calda, ed entrai sotto il getto bollente.
Lasciai che le goccioline d’acqua mi cadessero sulla pelle, miste al mio sapone preferito, che, tra le altre cose, era anche il preferito di Harry.
Sorrisi come un ebete quando iniziai a fantasticare sulle sue labbra che mi baciavano ogni lembo di pelle, beandosi del profumo che essa emanava.
Già lo vedevo, con i suoi capelli ricci e morbidi, trafficare tra la mia bocca ed il mio collo, eccitato e pronto a farsi amare quella notte. E giurai a me stesso che quella notte lo avrei amato come non mai prima d’ora.
Le mie fantasie erano talmente profonde e nitide nella mia mente che neppure mi chiesi chi fosse quando il telefono di casa squillò insistentemente.
 
 
Le otto e mezza.
Di Harry nemmeno l’ombra.
Provai a chiamarlo diverse volte, ma lui non rispondeva. Magari stava guidando verso casa mia e non voleva essere disturbato.
Me ne rimasi seduto sul letto, guardandomi le mani e pensando a quali potessero essere le cause del ritardo di Harry.
I minuti intanto trascorrevano, finchè non decisi di scendere al piano di sotto per mostrare con orgoglio ai miei genitori quanto mi stesse bene il vestito che avevamo comprato insieme.
Così, mi alzai, presi il fiore bianco per Harry, uscii dalla stanza e mi chiusi la porta alle spalle. Sembrava tutto tranquillo. Sentivo la televisione a tutto volume che trasmetteva il telefilm preferito delle mie sorelle e l’odore di uova fritte. Nulla di anomalo.
Una cosa, però, attirò la mia attenzione.
Dalle scale si sentiva la voce di mio padre, leggermente alterata da quella che sembrava rabbia.
“Maledizione, Jay! Chiamalo e diglielo adesso!” disse a mia madre che tirava rumorosamente su con il naso.
“Io..io non ci riesco! È così difficile..non posso parlare a Louis adesso” balbettò lei con la voce spezzata.
Cosa doveva dirmi?
Che avessero deciso di divorziare così, da un giorno all’altro?
E perché, poi, era così difficile dirmelo?
Per saperlo, sarei dovuto scendere da loro in cucina. Così lo feci: mi avviai verso la stanza con naturalezza, come se non avessi origliato nulla, e rivolsi ad entrambi un sorriso sghembo.
Le loro reazioni mi fecero paura.
Mio padre sgranò gli occhi e si schiarì la gola. Poi, iniziò a guardare il pavimento, come se avesse qualcosa da nascondermi. E da questo particolare compresi che c’era qualcosa di serio che non andava.
Mia madre, invece, mi rivolse uno sguardo compassionevole, con gli occhi gonfi ed arrossati e soffiò un: “Lou..” prima di alzarsi e venire ad abbracciarmi come non aveva mai fatto prima. La sentii singhiozzare sulla mia spalla, con le lacrime calde scenderle giù per le guance. 
Cercavo un qualsiasi indizio per tentare di comprendere che cosa stesse accadendo.
Guardai le mie sorelle e sembrava che stessero tutte bene.
Guardai mio padre che, da quando ero entrato in cucina, non mi aveva degnato di un’occhiata.
 La sola persona che forse sarebbe stata in grado di dirmi qualcosa era lei, mia madre. Così la feci allontanare dalla mia spalla e la costrinsi a guardarmi dritta  negli occhi.
“Mamma, che cosa sta succedendo?” le domandai, sperando che la risposta che avrebbe dato non avrebbe compromesso la serata mia e di Harry.
Lei rimase in silenzio. Mi accarezzò il viso, ma non disse nulla.
“Cazzo, Jay! Devi dirglielo!” intervenne mio padre, puntandomi un dito contro.
Ed alla mia confusione andò ad aggiungersi anche la rabbia di non sapere che cosa mi stessero nascondendo tutti.
“Dirmi cosa? SI PUO’ SAPERE COSA STA SUCCEDENDO QUI?”
Urlai, a pieni polmoni, sperando che qualcuno avesse accolto il mio grido di disperazione.
“Harry…” cominciò mia madre.
Non appena lo sentii nominare, iniziai a temere il peggio.
E, soprattutto, mi augurai che il suo ritardo non fosse legato alle lacrime di mia madre.
“Si?” la incitai a continuare, impaziente da una parte, ma intimorito dall’altra.
“S..stava venendo qui e...”
No, non volevo sentire.
Indietreggiai di qualche passo da lei e con la coda dell’occhio osservai la reazione di mio padre, sperando che avesse smentito le mie più grandi paure.
Aveva entrambe le mani poggiate sul tavolo, lo sguardo basso ed immobile. Probabilmente non stava neppure respirando.
E nemmeno io lo stavo facendo.
“E l’ha travolto un camion..”
Il suo fiore bianco nella mia mano.
Lo strinsi talmente forte tra le dita ed il palmo che alcuni petali si spezzarono.
“Non ce l’ha fatta, Lou..se n’è andato”
Se n’è andato.
Quelle parole mi riecheggiarono nella testa con la potenza di un martello pneumatico.
Se n’è andato.
Il mio sorriso, il mio universo, il mio tutto.
Ed in quel momento pensai che l’orrida sensazione che mi attanagliò la gola fosse un avviso che di lì a poco me ne sarei andato anche io.
Rimasi fermo.
La vista annebbiata, il cuore che forse aveva cessato di battere, gli arti che non accennavano a dare un segno di vita.
Desiderai di morire anche io, di andarmene insieme a lui.
Non ce l’ha fatta, Lou..se n’è andato
Non piansi.
Non urlai.
Non mi mossi. Nulla.
Mi limitai a stringere ancora più forte il fiore ormai rovinato nella mano.
Poi, avvertii la mano di mio padre sulla spalla.
“Sapevamo che tu ed Harry eravate molto amici..” farfugliò lui, cercando in qualche modo di consolarmi.
Amici?
Amici?
Come avrei voluto essere soltanto suo amico. Essere una di quelle amicizie del liceo destinate a finire nel dimenticatoio.
Io lo amavo.
Era l’unica persona che non mi faceva sentire solo.
Era tutto e senza di lui nulla avrebbe avuto più senso.
Ma le parole di mio padre mi risvegliarono da quello stato di trance in cui mi ero rifugiato.
“Voglio rimanere solo” dissi semplicemente, sforzandomi di cominciare a camminare per dirigermi in giardino. Non guardai nessuno dei miei familiari in faccia. Uscii di casa e non mi voltai.
Una volta solo, mi inginocchiai sul prato, con gli occhi fissi al cielo ed il fiore ancora in mano.
“Harry..” sussurrai, nella patetica speranza che lui venisse da me, con il suo sorriso, e mi venisse a dire che era tutto uno scherzo, che aveva architettato tutto per vedere come avrei reagito.
Ma no. Non lo era.
Harry se n’era andato ed io ero ancora lì, solo.
Subito, come se mi fossi appena svegliato da un lungo sogno, iniziarono ad accavallarsi in me una miriade di pensieri.
Senso di colpa. Se solo non lo avessi convinto ad andare a quel maledetto ballo, tutto questo non sarebbe successo.
Se solo gli avessi detto di amarlo il giorno prima, non avrei vissuto non l’angoscia di non aver mai dichiarato il mio vero, primo ed unico amore.
Se solo lui fosse stato qui con me..
E tutti quei pensieri andarono a confluire dal cervello direttamente agli occhi.
E piansi, piansi colpito da un dolore talmente forte che mi faceva venire voglia di urlare fino a consumarmi l’aria nei polmoni.
Dopo tutto, cosa me ne sarei fatto dell’aria se Harry non era con me a condividerla?
Volevo strapparmi il cuore dal petto.
E cosa me ne sarei fatto di un cuore se Harry non lo avesse più sentito battere?
Volevo strapparmi gli occhi inondati di lacrime dalle orbite.
Harry non li avrebbe più guardati.
Harry se n’era andato. E tutta la mia felicità con lui.
 
 
Ed ora eccomi qui, ad un anno di solitudine più totale, ad un anno senza Harry.
Sono davanti la sua tomba bianca, con un mazzo di rose adagiato sopra.
La sua lapide recita:
“Harry Styles
1-02-1994
14-05-2012”

Accanto a quella scritta di ottone, c’è la sua foto. È proprio lui, come l’ultima volta in cui l’ho visto.
Sorride ed è splendido come il sole che oggi batte sulle goccioline di rugiada che cadono dal fiore bianco che, invece, sto per posare io sulla sua tomba.
Quel fiore, simbolo di tutto ciò che non gli ho mai detto.
Simbolo di quel ballo che non abbiamo mai fatto.
Lo stesso tipo di fiore che raccolsi quella maledetta sera e che  avrei visto infilato nel taschino della sua giacca.
Posi quell’unico fiore accanto alle rose ed insieme ad esso misi anche un bigliettino.
“So, darling, save the last dance for me”** diceva.
 
 
 
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Hello hello J
Si, sono viva. Si, non sto aggiornando. Si, ho appena pubblicato questa “cosa” alle quattro e mezza di notte.
Non so come possa essere uscita una cosa simile, ma ero in vena di scrivere qualcosa di molto deprimente.
Beh, spero vi piaccia!
Baci baci xxx
hangover
 
Ah, il mio nuovo Twitter (per chi è così coraggioso da seguirmi :3 è: @larryinchains) :D   *La frase originale è: “Words won’t bring us down” ed è tratta dalla meravigliosa canzone Beautiful della mitica Christina Aguilera.
**Canzone dei The Drifters (anche una cover di Michael Bublè) e, tradotto questo pezzo vuole dire “Quindi, tesoro, concedi l’ultimo ballo a me”
  
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