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Autore: Hatsumi    16/09/2013    2 recensioni
"Vorrei un uomo con gli occhi del colore della pioggia."
Jennifer, assistente sociale, inguaribile romantica e indolente meteoropatica poco o nulla conosce dell'amore. Non è in grado di spiegare le caratteristiche dell'uomo che potrebbe seriamente rapirle il cuore ma sa, è certa, che i suoi occhi dovranno essere: "Vitrei al punto che ad ogni suo sguardo mi venga alla mente l’acqua che scorre e che in qualche modo lavi via tutti i miei pensieri.".
Eppure Jennifer detesta la pioggia. Si tratta di un semplice capriccio o c'è forse qualcosa nel suo animo a suggerirle tale desiderio? Qualcosa di nascosto, dimenticato pronto ad emergere,
sconvolgendo la sua esistenza.
Genere: Romantico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo 11

 

Il giorno fissato per l’udienza definitiva arriva piuttosto velocemente, nonostante abbia trascorso buona parte delle notti precedenti insonne. Dopo quell’incubo del quale non sono in grado di darmi una spiegazione, anche il sol pensiero di sdraiarmi e chiudere gli occhi mi provoca seri attacchi di panico.

Non ho voluto parlare con nessuno del sogno, né delle mie paure e le volte nelle quali Ellie mi ha fatto domande o mi ha chiesto se tutto si fosse risolto e se tutto andasse bene, ho sempre risposto in maniera positiva, sforzandomi il più possibile per sembrare sincera e rilassata. Si è trattata comunque di un’impresa dura dal momento che le grosse occhiaie sotto i miei occhi, malamente celate con strati sempre più spessi di correttore, parlano da sole.

Mi trovo già in tribunale, sono arrivata per prima e subito dopo mi ha raggiunta Andrew. Lo vedo molto tranquillo e sorridente, non so se questo sia da attribuirsi alle sue sicurezze circa il caso Goldman oppure per qualcosa di piacevole accadutogli di recente. Cercando di pensare il meno possibile alle mie ansie, decido di fare un po’ di conversazione con lui. Durante il weekend, chiaramente, non ci siamo visti e ieri è stato tutto il tempo al telefono.

-Ti vedo parecchio tranquillo, Andrew.

Esordisco, attirando la sua attenzione. Siamo seduti su una panchina all’interno del tribunale, appena fuori dall’aula nella quale si terrà a breve l’udienza, Margareth dovrebbe arrivare tra circa una decina di minuti.

-Sì! Sono felice perché finalmente potremmo archiviare tutto quanto e dedicarci ad altro!

Esclama, in maniera sincera.

-Quindi non hai neanche un piccolo dubbio, questa volta?

Chiedo, decisamente sorpresa dalla sua tranquillità. Generalmente  in modo nervoso avanti e indietro, fissando ogni orologio presente nella stanza. Questo rito l’ha applicato anche in casi sui quali eravamo praticamente certi di avere la meglio. Per questo motivo mi sorprende non notare neanche un briciolo di preoccupazione nei suoi gesti o sul suo viso.

-Quindi sei così rilassato soltanto per il processo?

Credo mi ritenga eccessivamente insistente, dal momento che mi rivolge un’occhiata di sconcerto.

-Ma certo! Tu hai qualche dubbio?

Scuoto il capo. I miei dubbi sono perlopiù relativi all’identità e alla personalità dell’avvocato. Ovviamente non posso parlare con Andrew, dovrei mettermi a spiegargli ogni cosa e non sono certa che il nostro livello di conoscenza gli permetterebbe di capirmi, come invece potrebbero fare Ellie e Adam.

-No. Solo tu sei sempre così agitato e preoccupato. Mi fa piacere vedere e sapere che stai bene, per una volta!

Il nostro discorso viene interrotto da Margareth, che finalmente ci raggiunge. Oggi è un forma a dir poco splendida. I suoi capelli sono raccolti in una coda molto elegante, il trucco sul suo viso è leggero e impeccabile e indossa un tailleur color rosa antico che le conferisce oltre ad un’innata eleganza anche un certo senso di rispettabilità.

-Margareth, stai benissimo!

Esclamo, alzandomi a salutarla. Le stringo la mano e le do un affettuoso buffetto sulla spalla, lei mi sorride. Anche il suo viso è riposato e sereno.

-Siamo pronti?

Chiede Andrew, avvicinandosi anche lui a salutare Margareth. Dopodiché entriamo definitivamente nella sala. Essendo il nostro  un processo che tratterà di affido non ci sono spettatori, gli unici presenti siamo noi tre, il giudice, la dattilografa e l’opposizione composta da un avvocato e i suoceri della signora Goldman.

-Pensavo che l’avvocato fosse già arrivato.

Commenta Andrew, battendomi sul tempo. Non mi ero accorta della sua assenza e questo è un fatto che mi preoccupa parecchio. Riesco a scorgere anche sul viso di Margareth una nota di sconcerto, immediatamente mi avvicino a lei, cercando di rassicurarla.

-Sarà bloccato nel traffico, tranquilla.

Le dico, benché io stessa sia ben poco tranquilla. Quell’uomo non mi piace e mi spaventa, tuttavia non credo sarebbe mai capace di fare una cosa tanto meschina come non presentarsi ad un’udienza, non dopo le belle parole e i sorrisi rassicuranti che aveva elargito a tutti quanti noi. Continuo a fissare la porta, già chiusa da una delle guardie giurate,  augurandomi che si apra da un momento all’altro. Andrew nel frattempo sta parlando con il giudice, un uomo piuttosto in là con gli anni, con il quale non abbiamo mai avuto modo di lavorare e che quindi non conosciamo sotto il punto di vista operativo.

Mi accorgo che i suoceri della signora Goldman sono parecchio agitati. Bisbigliano qualcosa con il loro avvocato e, dal momento che il loro sguardo e fisso sulla porta d’ingresso, sono certa che si stiano lamentando dell’assenza del nostro avvocato. Non sapendo cosa fare invito Margareth a sedersi, poiché al momento è ancora in piedi, quasi pietrificata ai lati della panca destinata a noi.

Mentre Margareth si siede sento dei passi provenire dal corridoio, passi veloci. Poco dopo ecco la porta del tribunale aprirsi e l’avvocato O’Dowell entra, quasi correndo, in direzione di Andrew, sventolando la sua valigetta.

-Perdonatemi il ritardo. Immagino conosciate le condizioni del traffico a mezzogiorno. Possiamo iniziare?

Chiede, questa volta rivolgendosi al giudice che gli fa cenno di sì col capo.

-Signora Goldman, mi auguro che non abbia temuto il peggio.

Esclama, appoggiandole una mano sulla spalla. Quest’ultima gli sorride, senza però dire nulla. Per quanto riguarda me avrei voluto continuare a guardare in avanti, fingendo che quell’uomo non fosse mai entrato tuttavia, come temevo, è lui stesso a rivolgermi la parola. Per non destare sospetti devo, obbligatoriamente, prestargli attenzione.

-Buongiorno signorina Ricci.

Mi porge la mano, che stringo fugacemente. Dopo aver ritratto la mia mano mi blocco. A differenza delle volte precedenti le sue dita sono fredde, quasi ghiacciate. Il palmo della mano è piuttosto caldo, mentre le dita sembrano due pezzi di ghiaccio.

Mi chiedo se fuori faccia già veramente così freddo, da sentirlo sulla pelle. Purtroppo le temperature si sono abbassate ma comunque si tratta di una giornata di fine estate. Il mio abbigliamento è leggero, benché abbia preferito indossare una camicetta con la manica lunga, più  per decoro a dire la verità. Inizio a pensare che magari semplicemente si senta poco bene, ragion per cui è arrivato in tribunale in ritardo, nonostante abbia attribuito la colpa al traffico.

Ad ogni modo l’udienza inizia nel giro di pochi istanti. Il giudice fa una specie di riassunto del caso, quasi stesse introducendo la nuova puntata di un telefilm. Subito dopo intervengono gli avvocati, il primo a parlare è quello dei suoceri della signora Goldman, successivamente il turno passa a noi. Mi fermo ad osservare l’avvocato, per l’ennesima volta. È vestito di blu. Un completo blu scuro e una camicia azzurra, che risalta in modo perfetto il coloro dei suoi occhi, nonché il riflesso dei suoi capelli.

Scuoto il capo. Non riesco a capire come sia possibile che sia fisicamente attratta da lui, quasi dal punto di voler continuamente incontrare il suo sguardo e al tempo stesso esserne irrimediabilmente terrorizzata. Quest’uomo in un modo o nell’altro è entrato nella mia testa e non riesco a farlo uscire, in nessun modo. Il sogno terribile della notte precedente oltre ad avermi spaventata e sconvolta, mi ha lasciato un sacco di punti interrogativi in testa.

Mi è quasi sembrato che tutto il sogno fosse invece un ricordo. Mi ricordo di aver sentito mia nonna urlare, mi ricordo di essermi preoccupata per qualcosa che le avevo sentito dire eppure non saprei con esattezza ricordarne il momento né l’occasione e di certo la presenza dell’avvocato O’Dowell nel bel mezzo del sogno, non ha fatto che rendere l’intera situazione confusa e incerta. Mi è capitato altre volte di sognare qualcosa e pensare di avere vissuto determinate situazioni, quando invece tutto era il semplice frutto della mia fantasia o, come sarebbe più corretto dire, si è trattato di episodi di déjà-vu. Per quanto riguarda quest’ultimo mio sogno benché tutti i dettagli sembrino suggerirmi che si tratti di immaginazione, fervida immaginazione, non riesco ad esserne sicura.

Non riesco inoltre a ricordare il motivo che mi ha spinta a scappare dalla casa dell’avvocato, lo scorso sabato. Continuo a pensarci e sono sicura che sia stato per qualche parola di troppo. Ad ogni modo, col passare del giorno i ricordi si fanno sempre più offuscati, portandomi quasi a pensare di essermi inventata tutto quanto.

-…riteniamo quindi di affidare la custodia esclusiva alla signora Margareth Goldman. Il caso è chiuso.

I miei pensieri vengono interrotti dal verdetto del giudice, finalmente positivo. Immediatamente mi giro verso Margareth che nasconde il viso tra le mani, per l’emozione. Piange. Un pianto liberatorio, un pianto di gioia.

-Ce l’abbiamo fatta!

Esclamo, rivolgendomi verso di lei. Andrew tira un sospiro di sollievo e subito dopo stringe entusiasta la mano dell’avvocato.

-I miei complimenti, davvero!

Commenta, con un sorriso a dir poco travolgente. L’avvocato subito si gira verso di me, aspettandosi probabilmente qualche complimento. Mi limito a sorridere e annuire.

Usciti dallo studio mi fermo a salutare Margareth, mentre Andrew e l’avvocato rimangono in disparte.

-E così… è finita!

Esclama Margareth, probabilmente ancora incredula.

-Sì, ora puoi finalmente tornare a vivere Margareth.

Commento, genuinamente felice per l’epilogo positivo.

-Non so veramente cosa dire.

Margareth scuote il capo. Mi sembra quasi imbarazzata. Sicuramente dopo così tanti mesi di fatica e di disperazione si sentirà un po’ scossa e inizialmente incapace di agire.

-Non devi proprio dire nulla. Semplicemente sorridi, respira e corri subito ad abbracciare tuo figlio!

Margareth annuisce poi improvvisamente si avvicina di più a me, abbracciandomi.

-Grazie davvero, Jennifer. Sei stata un’amica, prima di tutto.

Il suo abbraccio mi ha colto di sorpresa.

-Non devi ringraziare me, solo te stessa e la tua forza!

Ribatto, un poco in imbarazzo per tanta gratitudine. Poco dopo Margareth scioglie l’abbraccio.

-Non esitare a chiamarmi per qualsiasi cosa tu abbia bisogno, Margareth. In bocca al lupo.

 

Poco dopo Margareth mi saluta e se ne va. Io dopo un sospiro di sollievo mi avvicino ad Andrew, che sta ancora parlando con l’avvocato.

-Oh Jen! Stavamo giusto parlando di te.

Esclama Andrew, non appena mi vede comparire.

-Di me?

Chiedo, in tono misto tra la preoccupazione e la sorpresa.

-Sì, l’avvocato mi ha chiesto se siamo disposti a collaborare con lui, nelle prossime occasioni.

Non so cosa ribattere, mi limito ad annuire.

-Andrew voleva sapere se anche a lei stava bene, signorina Ricci.

“Andrew”. Storco il naso per l’inaspettata confidenza instauratasi tra il mio capo e l’avvocato. Nonostante io ci abbia lavorato per mesi fianco a fianco c’è voluto parecchio tempo prima che mi chiedesse di abbattere ogni formalità e di chiamarlo per nome. Mi meraviglio di come Andrew si sia avvicinato in fretta a quell’uomo. Generalmente è un tipo piuttosto riservato e serioso.

-Non sono io la proprietaria della Greene Social. Quello che va bene ad Andrew, va bene a me.

Rispondo, mettendo particolare enfasi sulla parola “Andrew”.

-Non essere così modesta Jen, lo sai che per me la tua opinione è importante.

Ribatte Andrew, appoggiandomi una mano sulla spalla.

-Avremo modo di riparlarne.

Conclude l’avvocato, probabilmente accortosi della mia indifferenza.

-Sicuramente! A questo proposito, sempre se tu sei d’accordo Jen, vorrei invitarti alla nostra cena di festeggiamento.

La cena di festeggiamento è generalmente una cena che teniamo noi dello studio dopo la riuscita di casi particolarmente complessi, come quello di Margareth, appunto. Benché si tratti di una tradizione, fino a questo momento non era ancora stata nominata, né ne sono state decisi i particolari. Tuttavia, ultimamente, la festa è stata organizzata a casa mia. Io stessa mi sono offerta nelle ultime occasioni di cucinare per tutti quanti, essendo appunto la cucina una delle mie grandi passioni.

-Oh, ne sarei davvero onorato.

Mi rendo conto solo in questo momento che ciò che Andrew mi chiede è di invitare a casa mia anche l’avvocato. Vista la mia diffidenza nei suoi confronti esito a rispondere. L’idea che possa entrare in casa mia, francamente, non mi alletta.

-Non vorrei essere maleducato Jen, te lo chiedo perché negli ultimi due anni sei stata tu ad ospitarci e cucinare per tutti noi. Se ti dà problemi questa cosa possiamo andare al ristorante, come eravamo soliti fare.

Scuoto il capo.

-Ma no Andrew, non è giusto che tu ci inviti e offra a tutti quanti, sai come la penso!

Ribatto.

-Sei sempre troppo gentile e forse me ne approfitto, perdonami.

Mi rendo conto di dover accettare. Tuttavia prima che possa aprire bocca interviene l’avvocato.

-Potremmo tenerla a casa la mia cena.

Io e Andrew lo guardiamo, stupiti.

-Io e la signorina Ricci abitiamo a due passi. Può cucinare a casa sua se lo preferisce e poi portare tutto quanto da me, se lo desidera.

Andrew prima di rispondere all’avvocato mi guarda, in attesa della mia approvazione.

-Va bene.

Mi limito a dire, senza mostrare particolare entusiasmo. Dopodiché l’avvocato ci saluta e se ne va, lasciandoci soli.

-Sei sempre un tesoro.

Commenta Andrew, rompendo immediatamente il silenzio creatisi tra di noi negli ultimi istanti.

-Figurati, per così poco.

Rispondo, benché tutta l’intera faccenda mi soddisfi poco, anche con l’opzione suggerita dall’avvocato.

-Ah, naturalmente non mi sono dimenticato della cena che ti ho offerto. Ne parleremo nei prossimi giorni, promesso!



--- Eccomi tornata con il capitolo nuovo. Spero vi piaccia, questa volta si tratta di una capitolo di "transizione". Il prossimo sarà più movimentato, ve lo prometto. Vi avviso però che probabilmente domani pubblicherò tra le 14.30 e le 15.  Aspetto come sempre i vostri commenti e... alla prossima! --


  
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