Capitolo 11
Il
giorno fissato per l’udienza
definitiva arriva piuttosto velocemente, nonostante abbia trascorso
buona parte
delle notti precedenti insonne. Dopo quell’incubo del quale
non sono in grado
di darmi una spiegazione, anche il sol pensiero di sdraiarmi e chiudere
gli
occhi mi provoca seri attacchi di panico.
Non
ho voluto parlare con nessuno
del sogno, né delle mie paure e le volte nelle quali Ellie
mi ha fatto domande
o mi ha chiesto se tutto si fosse risolto e se tutto andasse bene, ho
sempre
risposto in maniera positiva, sforzandomi il più possibile
per sembrare sincera
e rilassata. Si è trattata comunque di un’impresa
dura dal momento che le
grosse occhiaie sotto i miei occhi, malamente celate con strati sempre
più
spessi di correttore, parlano da sole.
Mi
trovo già in tribunale, sono
arrivata per prima e subito dopo mi ha raggiunta Andrew. Lo vedo molto
tranquillo e sorridente, non so se questo sia da attribuirsi alle sue
sicurezze
circa il caso Goldman oppure per qualcosa di piacevole accadutogli di
recente. Cercando
di pensare il meno possibile alle mie ansie, decido di fare un
po’ di
conversazione con lui. Durante il weekend, chiaramente, non ci siamo
visti e
ieri è stato tutto il tempo al telefono.
-Ti
vedo parecchio tranquillo,
Andrew.
Esordisco,
attirando la sua
attenzione. Siamo seduti su una panchina all’interno del
tribunale, appena
fuori dall’aula nella quale si terrà a breve
l’udienza, Margareth dovrebbe
arrivare tra circa una decina di minuti.
-Sì!
Sono felice perché
finalmente potremmo archiviare tutto quanto e dedicarci ad altro!
Esclama,
in maniera sincera.
-Quindi
non hai neanche un
piccolo dubbio, questa volta?
Chiedo,
decisamente sorpresa
dalla sua tranquillità. Generalmente
in
modo nervoso avanti e indietro, fissando ogni orologio presente nella
stanza.
Questo rito l’ha applicato anche in casi sui quali eravamo
praticamente certi
di avere la meglio. Per questo motivo mi sorprende non notare neanche
un
briciolo di preoccupazione nei suoi gesti o sul suo viso.
-Quindi
sei così rilassato
soltanto per il processo?
Credo
mi ritenga eccessivamente
insistente, dal momento che mi rivolge un’occhiata di
sconcerto.
-Ma
certo! Tu hai qualche dubbio?
Scuoto
il capo. I miei dubbi sono
perlopiù relativi all’identità e alla
personalità dell’avvocato. Ovviamente non
posso parlare con Andrew, dovrei mettermi a spiegargli ogni cosa e non
sono
certa che il nostro livello di conoscenza gli permetterebbe di capirmi,
come
invece potrebbero fare Ellie e Adam.
-No.
Solo tu sei sempre così
agitato e preoccupato. Mi fa piacere vedere e sapere che stai bene, per
una
volta!
Il
nostro discorso viene
interrotto da Margareth, che finalmente ci raggiunge. Oggi è
un forma a dir
poco splendida. I suoi capelli sono raccolti in una coda molto
elegante, il
trucco sul suo viso è leggero e impeccabile e indossa un
tailleur color rosa
antico che le conferisce oltre ad un’innata eleganza anche un
certo senso di
rispettabilità.
-Margareth,
stai benissimo!
Esclamo,
alzandomi a salutarla.
Le stringo la mano e le do un affettuoso buffetto sulla spalla, lei mi
sorride.
Anche il suo viso è riposato e sereno.
-Siamo
pronti?
Chiede
Andrew, avvicinandosi
anche lui a salutare Margareth. Dopodiché entriamo
definitivamente nella sala.
Essendo il nostro un
processo che
tratterà di affido non ci sono spettatori, gli unici
presenti siamo noi tre, il
giudice, la dattilografa e l’opposizione composta da un
avvocato e i suoceri
della signora Goldman.
-Pensavo
che l’avvocato fosse già
arrivato.
Commenta
Andrew, battendomi sul
tempo. Non mi ero accorta della sua assenza e questo è un
fatto che mi preoccupa
parecchio. Riesco a scorgere anche sul viso di Margareth una nota di
sconcerto,
immediatamente mi avvicino a lei, cercando di rassicurarla.
-Sarà
bloccato nel traffico,
tranquilla.
Le
dico, benché io stessa sia ben
poco tranquilla. Quell’uomo non mi piace e mi spaventa,
tuttavia non credo
sarebbe mai capace di fare una cosa tanto meschina come non presentarsi
ad
un’udienza, non dopo le belle parole e i sorrisi rassicuranti
che aveva
elargito a tutti quanti noi. Continuo a fissare la porta,
già chiusa da una
delle guardie giurate, augurandomi
che
si apra da un momento all’altro. Andrew nel frattempo sta
parlando con il
giudice, un uomo piuttosto in là con gli anni, con il quale
non abbiamo mai
avuto modo di lavorare e che quindi non conosciamo sotto il punto di
vista
operativo.
Mi
accorgo che i suoceri della
signora Goldman sono parecchio agitati. Bisbigliano qualcosa con il
loro
avvocato e, dal momento che il loro sguardo e fisso sulla porta
d’ingresso,
sono certa che si stiano lamentando dell’assenza del nostro
avvocato. Non
sapendo cosa fare invito Margareth a sedersi, poiché al
momento è ancora in
piedi, quasi pietrificata ai lati della panca destinata a noi.
Mentre
Margareth si siede sento
dei passi provenire dal corridoio, passi veloci. Poco dopo ecco la
porta del
tribunale aprirsi e l’avvocato O’Dowell entra,
quasi correndo, in direzione di
Andrew, sventolando la sua valigetta.
-Perdonatemi
il ritardo. Immagino
conosciate le condizioni del traffico a mezzogiorno. Possiamo iniziare?
Chiede,
questa volta rivolgendosi
al giudice che gli fa cenno di sì col capo.
-Signora
Goldman, mi auguro che
non abbia temuto il peggio.
Esclama,
appoggiandole una mano
sulla spalla. Quest’ultima gli sorride, senza però
dire nulla. Per quanto
riguarda me avrei voluto continuare a guardare in avanti, fingendo che
quell’uomo
non fosse mai entrato tuttavia, come temevo, è lui stesso a
rivolgermi la
parola. Per non destare sospetti devo, obbligatoriamente, prestargli
attenzione.
-Buongiorno
signorina Ricci.
Mi
porge la mano, che stringo
fugacemente. Dopo aver ritratto la mia mano mi blocco. A differenza
delle volte
precedenti le sue dita sono fredde, quasi ghiacciate. Il palmo della
mano è
piuttosto caldo, mentre le dita sembrano due pezzi di ghiaccio.
Mi
chiedo se fuori faccia già
veramente così freddo, da sentirlo sulla pelle. Purtroppo le
temperature si
sono abbassate ma comunque si tratta di una giornata di fine estate. Il
mio abbigliamento
è leggero, benché abbia preferito indossare una
camicetta con la manica lunga,
più per
decoro a dire la verità. Inizio
a pensare che magari semplicemente si senta poco bene, ragion per cui
è
arrivato in tribunale in ritardo, nonostante abbia attribuito la colpa
al
traffico.
Ad
ogni modo l’udienza inizia nel
giro di pochi istanti. Il giudice fa una specie di riassunto del caso,
quasi
stesse introducendo la nuova puntata di un telefilm. Subito dopo
intervengono
gli avvocati, il primo a parlare è quello dei suoceri della
signora Goldman,
successivamente il turno passa a noi. Mi fermo ad osservare
l’avvocato, per
l’ennesima volta. È vestito di blu. Un completo
blu scuro e una camicia
azzurra, che risalta in modo perfetto il coloro dei suoi occhi,
nonché il
riflesso dei suoi capelli.
Scuoto
il capo. Non riesco a
capire come sia possibile che sia fisicamente attratta da lui, quasi
dal punto
di voler continuamente incontrare il suo sguardo e al tempo stesso
esserne
irrimediabilmente terrorizzata. Quest’uomo in un modo o
nell’altro è entrato
nella mia testa e non riesco a farlo uscire, in nessun modo. Il sogno
terribile
della notte precedente oltre ad avermi spaventata e sconvolta, mi ha
lasciato
un sacco di punti interrogativi in testa.
Mi
è quasi sembrato che tutto il
sogno fosse invece un ricordo. Mi ricordo di aver sentito mia nonna
urlare, mi
ricordo di essermi preoccupata per qualcosa che le avevo sentito dire
eppure non
saprei con esattezza ricordarne il momento né
l’occasione e di certo la presenza
dell’avvocato O’Dowell nel bel mezzo del sogno, non
ha fatto che rendere
l’intera situazione confusa e incerta. Mi è
capitato altre volte di sognare
qualcosa e pensare di avere vissuto determinate situazioni, quando
invece tutto
era il semplice frutto della mia fantasia o, come sarebbe
più corretto dire, si
è trattato di episodi di déjà-vu. Per
quanto riguarda quest’ultimo mio sogno
benché tutti i dettagli sembrino suggerirmi che si tratti di
immaginazione,
fervida immaginazione, non riesco ad esserne sicura.
Non
riesco inoltre a ricordare il
motivo che mi ha spinta a scappare dalla casa dell’avvocato,
lo scorso sabato.
Continuo a pensarci e sono sicura che sia stato per qualche parola di
troppo.
Ad ogni modo, col passare del giorno i ricordi si fanno sempre
più offuscati,
portandomi quasi a pensare di essermi inventata tutto quanto.
-…riteniamo
quindi di affidare la
custodia esclusiva alla signora Margareth Goldman. Il caso è
chiuso.
I
miei pensieri vengono
interrotti dal verdetto del giudice, finalmente positivo.
Immediatamente mi
giro verso Margareth che nasconde il viso tra le mani, per
l’emozione. Piange.
Un pianto liberatorio, un pianto di gioia.
-Ce
l’abbiamo fatta!
Esclamo,
rivolgendomi verso di
lei. Andrew tira un sospiro di sollievo e subito dopo stringe
entusiasta la
mano dell’avvocato.
-I
miei complimenti, davvero!
Commenta,
con un sorriso a dir
poco travolgente. L’avvocato subito si gira verso di me,
aspettandosi
probabilmente qualche complimento. Mi limito a sorridere e annuire.
Usciti
dallo studio mi fermo a
salutare Margareth, mentre Andrew e l’avvocato rimangono in
disparte.
-E
così… è finita!
Esclama
Margareth, probabilmente
ancora incredula.
-Sì,
ora puoi finalmente tornare
a vivere Margareth.
Commento,
genuinamente felice per
l’epilogo positivo.
-Non
so veramente cosa dire.
Margareth
scuote il capo. Mi
sembra quasi imbarazzata. Sicuramente dopo così tanti mesi
di fatica e di
disperazione si sentirà un po’ scossa e
inizialmente incapace di agire.
-Non
devi proprio dire nulla.
Semplicemente sorridi, respira e corri subito ad abbracciare tuo figlio!
Margareth
annuisce poi
improvvisamente si avvicina di più a me, abbracciandomi.
-Grazie
davvero, Jennifer. Sei
stata un’amica, prima di tutto.
Il
suo abbraccio mi ha colto di
sorpresa.
-Non
devi ringraziare me, solo te
stessa e la tua forza!
Ribatto,
un poco in imbarazzo per
tanta gratitudine. Poco dopo Margareth scioglie l’abbraccio.
-Non
esitare a chiamarmi per
qualsiasi cosa tu abbia bisogno, Margareth. In bocca al lupo.
Poco
dopo Margareth mi saluta e
se ne va. Io dopo un sospiro di sollievo mi avvicino ad Andrew, che sta
ancora
parlando con l’avvocato.
-Oh
Jen! Stavamo giusto parlando
di te.
Esclama
Andrew, non appena mi
vede comparire.
-Di
me?
Chiedo,
in tono misto tra la
preoccupazione e la sorpresa.
-Sì,
l’avvocato mi ha chiesto se
siamo disposti a collaborare con lui, nelle prossime occasioni.
Non
so cosa ribattere, mi limito
ad annuire.
-Andrew
voleva sapere se anche a
lei stava bene, signorina Ricci.
“Andrew”.
Storco il naso per l’inaspettata
confidenza instauratasi tra il mio capo e l’avvocato.
Nonostante io ci abbia
lavorato per mesi fianco a fianco c’è voluto
parecchio tempo prima che mi
chiedesse di abbattere ogni formalità e di chiamarlo per
nome. Mi meraviglio di
come Andrew si sia avvicinato in fretta a quell’uomo.
Generalmente è un tipo
piuttosto riservato e serioso.
-Non
sono io la proprietaria
della Greene Social. Quello che va bene ad Andrew, va bene a me.
Rispondo,
mettendo particolare
enfasi sulla parola “Andrew”.
-Non
essere così modesta Jen, lo
sai che per me la tua opinione è importante.
Ribatte
Andrew, appoggiandomi una
mano sulla spalla.
-Avremo
modo di riparlarne.
Conclude
l’avvocato,
probabilmente accortosi della mia indifferenza.
-Sicuramente!
A questo proposito,
sempre se tu sei d’accordo Jen, vorrei invitarti alla nostra
cena di
festeggiamento.
La
cena di festeggiamento è generalmente
una cena che teniamo noi dello studio dopo la riuscita di casi
particolarmente
complessi, come quello di Margareth, appunto. Benché si
tratti di una
tradizione, fino a questo momento non era ancora stata nominata,
né ne sono
state decisi i particolari. Tuttavia, ultimamente, la festa
è stata organizzata
a casa mia. Io stessa mi sono offerta nelle ultime occasioni di
cucinare per
tutti quanti, essendo appunto la cucina una delle mie grandi passioni.
-Oh,
ne sarei davvero onorato.
Mi
rendo conto solo in questo
momento che ciò che Andrew mi chiede è di
invitare a casa mia anche l’avvocato.
Vista la mia diffidenza nei suoi confronti esito a rispondere.
L’idea che possa
entrare in casa mia, francamente, non mi alletta.
-Non
vorrei essere maleducato
Jen, te lo chiedo perché negli ultimi due anni sei stata tu
ad ospitarci e
cucinare per tutti noi. Se ti dà problemi questa cosa
possiamo andare al ristorante,
come eravamo soliti fare.
Scuoto
il capo.
-Ma
no Andrew, non è giusto che
tu ci inviti e offra a tutti quanti, sai come la penso!
Ribatto.
-Sei
sempre troppo gentile e
forse me ne approfitto, perdonami.
Mi
rendo conto di dover
accettare. Tuttavia prima che possa aprire bocca interviene
l’avvocato.
-Potremmo
tenerla a casa la mia
cena.
Io
e Andrew lo guardiamo,
stupiti.
-Io
e la signorina Ricci abitiamo
a due passi. Può cucinare a casa sua se lo preferisce e poi
portare tutto
quanto da me, se lo desidera.
Andrew
prima di rispondere all’avvocato
mi guarda, in attesa della mia approvazione.
-Va
bene.
Mi
limito a dire, senza mostrare
particolare entusiasmo. Dopodiché l’avvocato ci
saluta e se ne va, lasciandoci
soli.
-Sei
sempre un tesoro.
Commenta
Andrew, rompendo
immediatamente il silenzio creatisi tra di noi negli ultimi istanti.
-Figurati,
per così poco.
Rispondo,
benché tutta l’intera
faccenda mi soddisfi poco, anche con l’opzione suggerita
dall’avvocato.
-Ah,
naturalmente non mi sono
dimenticato della cena che ti ho offerto. Ne parleremo nei prossimi
giorni,
promesso!
--- Eccomi tornata con il capitolo nuovo. Spero vi piaccia, questa volta si tratta di una capitolo di "transizione". Il prossimo sarà più movimentato, ve lo prometto. Vi avviso però che probabilmente domani pubblicherò tra le 14.30 e le 15. Aspetto come sempre i vostri commenti e... alla prossima! --