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Autore: Robin7    16/09/2013    2 recensioni
Il vecchio, scorbutico e terribilmente smemorato Jiichi gestiva il proprio pub da più di trent'anni. “Potrebbe entrare uno stramaledettissimo Ammiraglio qua dentro, e neanche lo riconoscerei!” era solito dire, quasi come un vanto.
Non era un bugiardo, non l'avrebbe riconosciuto sul serio. Buona parte del merito era della sua pessima memoria, certo, ma anche Jiichi faceva la sua parte: non gli era mai importato un accidente di certe cose e di certa gente. Non lo sfioravano minimamente.
Ma nessuno avrebbe mai pensato che le sue parole si sarebbero rivelate vere. Per ben due volte.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro Personaggio, Aokiji
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Angolo dell'autrice.
Sulla vasta linea temporale di OP, la shot si colloca post-ONE PIECE Z. Ma non c'è bisogno di aver visto il film per leggerla!
Perdonate il titolo banalissimo, ma non mi è venuto in mente niente di meglio... Spero di rivedervi a fondo pagina, sempre che non abbandoniate la shot prima di concluderla perché magari fa schifo, o è noiosa.
Le lunghe parti che troverete in corsivo sono flashback, che si alterneranno alla narrazione del presente. Vi consiglio, inoltre, di ascoltare "In a bar - Tango with Lions" durante la lettura.



.A Man Walks into a Bar.


Iniziava a pensare che i soldi per pagare non li avesse nessuno. Nessuno.
C'era abituato ormai – aveva aperto quella catapecchia più di trent'anni fa, quando ancora era un giovane scavezzacollo – e con l'esperienza aveva sviluppato un certo occhio per i truffatori. E quella sera, nel locale c'erano solo ed esclusivamente truffatori. Ripensandoci, forse quello lì si salva, osservò Jiichi, guardandolo con la coda dell'occhio.
Non era la prima volta che vedeva quell'uomo, ne era quasi certo, gli ricordava qualcuno. Forse erano le occhiate che lanciava ai pirati che entravano nel locale – gli occhi scattavano come per un riflesso incondizionato – o forse era quello sguardo dove la stanchezza cercava invano di coprire il dolore che l'uomo era intenzionato ad affogare con il contenuto del proprio bicchiere. O più probabilmente era la sua spropositata altezza, che spiccava nonostante avesse preso posto nel luogo più appartato in fondo al bancone, poggiando il piccolo zaino nel posto accanto a sé, probabilmente con l'ormai fallito intento di non dare nell'occhio.
È già stato qui, si ripeté Jiichi, affrettandosi a servire l'ennesimo gruppo di pirati palesemente ubriachi. L'unico problema era che non sapeva quanto potesse effettivamente fidarsi della propria memoria. Aveva passato la sessantina, e la memoria aveva cominciato a fare cilecca molto tempo prima. Quel tizio poteva averlo visto veramente anni prima come era probabile che non l'avesse mai incontrato prima di allora.
Tornando al bancone, riprese a lanciargli occhiate
furtive. Stava lì in disparte, avvolto da un lungo cappotto, le tonde e scure lenti degli occhiali buttate con malagrazia accanto al bicchiere e i neri riccioli coperti appena da una cuffia. La barba sfatta faceva intuire che non tenesse più di tanto alle apparenze, ma d'altronde Jiichi non pretendeva di avere i clienti del lussuoso ristorante in cima alla collina. Almeno non puzzava come la maggior parte dei pirati che era costretto a sopportare ogni giorno, e quando gli si avvicinava per servigli altro sake, non era costretto a trattenere il respiro.
L'unica cosa che si sentiva di fare, in realtà, era indossare due o tre maglioni extra. Il moro, infatti, emanava gelo da tutti i pori. Letteralmente.
Ora che ci pensava, da quando aveva preso posto gli aveva sempre restituito bicchieri opachi di gelida condensa, con i resti di due cubetti di ghiaccio lasciati a sciogliersi sul fondo.
L'unica cosa che non tornava era che non ricordava di avergli mai servito un qualsiasi tipo di alcolico con ghiaccio. La cosa gli era stranamente familiare, e andò ad aggiungersi alla sensazione di averlo già visto.
Forse non era un truffatore o un ladro – anche perché non riusciva proprio a immaginarselo in una fuga improvvisata prima dell'arrivo del conto – ma erano davvero pochi quelli che ancora erano capaci di sborsare la giusta cifra dopo una tale bevuta.

La porta si spalancò, sbattendo contro la parete e permettendo l'accesso di due pirati. Evidentemente incapaci di aprire una porta come normali esseri umani, constatò con un smorfia rassegnata. «Vi dispiace...?» indicò con il mento la porta, invitandoli a richiuderla. Il più robusto dei due si girò per eseguire la sua richiesta, con un grugnito irritato e ancora meno grazia di quanta ne avesse usata nell'aprirla. Ma all'ultimo un piede si infilò nello spazio fra la porta e lo stipite, bloccandola. «Arararara...»
La voce – seguita da un sonoro sbadiglio – proveniva proprio dal proprietario del piede, che si affrettò a liberarlo ed entrare. Era così alto che dovette abbassarsi per passare sotto lo stipite, e una volta dentro dovette prestare attenzione ai candelabri, per non urtarli con la testa.
Attraverso le lenti oscurate degli occhiali, lanciò un'occhiata penetrante ai due pirati entrati poco prima di lui, ancora fermi davanti alla porta. Senza curarsi degli sguardi furiosi che questi ultimi gli stavano rivolgendo, prese posto in fondo al bancone. Il lungo cappotto scuro che teneva appeso al braccio finì buttato sul ripiano in legno, insieme agli occhiali. Jiichi notò un disegno bianco nascosto fra le pieghe del capo sul bancone, ma non vi fece troppo caso.
Si avvicinò al nuovo avventore, in attesa di un'ordinazione, ma questi sembrava preso da tutt'altri pensieri. Si grattò la testa un'ultima volta facendo ondeggiare i riccioli, per poi lanciare un'occhiata all'entrata.
«Ho perso la cuffia, accidenti...» lo sentì borbottare. Si decise ad arrendersi alla triste realtà, e cioè che ormai per la sua cuffia non c'erano più speranze, e alzò lo sguardo su Jiichi. Intuì la domanda che stava per rivolgergli, e mentre i pirati attorno a lui riprendevano a fare baldoria, disse solo: «Sake.»

Con un'ultima, lunga sorsata, l'ennesimo gelido bicchiere venne poggiato con deliberata lentezza sul lucido legno, accanto agli occhiali. Il rumore risvegliò Jiichi dai propri pensieri, che vide il proprio cliente alzare la mano, facendogli un cenno con le dita per chiedere un altro giro. Solo allora notò il guanto di scura pelle che gli avvolgeva la mano destra – la stessa che aveva alzato – e avvicinandosi per servirlo scoprì che la sinistra, invece, ne era priva. La pelle abbronzata, nuda, ora reggeva il capo riccioluto, in una posa di assoluta pigrizia. «Amico, mi versi da bere?»
Jiichi si affrettò ad eseguire la richiesta del cliente, riempendogli nuovamente il bicchiere, rigorosamente gelido. Incrociandone lo sguardo, vide una strana luce illuminargli le iridi scure, per un breve attimo, come quando si viene sorpresi a fare qualcosa di sbagliato. Si convinse fosse tutto frutto della sua immaginazione, e tornò al proprio lavoro.
Ma ormai la sua mente era totalmente e prepotentemente intenzionata a venire a capo di quel mistero, e Jiichi non poté sottrarsi alla corrente che riportò tutti i suoi pensieri in direzione dell'individuo in fondo al bancone. Ciò che lo aveva colpito maggiormente, oltre alla profondità della sua voce, era lo sguardo. Aveva notato come, fin dalla prima sorsata di sake, una pressante ombra di disgusto facesse prendere una amara piega alle carnose labbra del moro. Sembrava odiasse profondamente l'alcol, e non sembrava neanche reggerlo più di tanto, ma continuava a bere, imperterrito. Era giunto alla conclusione che ciò da cui stava fuggendo fosse ben più forte delle preferenze in fatto di bevande.

Jiichi decise di lasciargli la bottiglia, stavolta. Ormai quello era bello che andato e, secondo la sua esperienza, sarebbe dovuto crollare da un bel po'. Si ostinava o bere, nonostante fosse palese che non reggesse assolutamente l'alcol.
«Senti un po', tu. Perché sei così ostinato a volerti sentire male? Lo sai e lo vedi anche tu che questa roba non riesci proprio a reggerla. Cosa stai cercando di fare?» gli chiese, quando lo vide svuotare la bottiglia nel bicchiere. Quando la prese per buttarla via, la sentì gelata. Abbassò lo sguardo sul bicchiere del moro e vide due cubetti galleggiare come iceberg nell'oceano.
«Non è tanto cosa cerco di fare, quanto cosa io stia realmente cercando.» fu l'enigmatica risposta dell'uomo. Jiichi inarcò un sopracciglio, per niente convinto.
«E cosa staresti cercando, allora?» borbottò, guardando inquieto la condensa che annullava la trasparenza del bicchiere.
«Risposte...» sbadigliò il ricciolo.

«Cercando, eh? A me sembra soltanto che tu stia scappando dalle risposte, amico.» lo corresse, riprendendo a guardarlo negli occhi. Ciò che vi lesse dentro lo fece quasi pentire di essere stato tanto sincero. Nonostante tutto l'alcol che quel giovane aveva ingurgitato in una sola serata, il dolore che aveva cercato di dimenticare era ancora presente, e Jiichi lo vide crescere prima che un amaro sorriso lo coprisse.
Ma anche quello scomparve, infrangendosi sul bordo di un altro bicchiere.

L'attenzione di Jiichi si focalizzò su un pirata che aveva presto posto vicino all'ingresso. Confabulava con i suoi compagni, tutti chini sul tavolo, le teste vicine. Quello che doveva essere il capitano si voltò in fretta verso l'uscita, come per assicurarsi che la via fosse libera, e poi lanciò una strana occhiata verso il bancone. Intercettando il suo sguardo vide che stava fissando lo stesso uomo che Jiichi aveva osservato per tutta la serata. Ma il viso del pirata era sbiancato dalla paura, e fissava la schiena dell'uomo come si fissa un gigante di Erbaf: panico allo stato puro.
La ciurma del pirata si alzò immediatamente all'ordine del capitano, facendo un gran trambusto fra panche e sedie spostate, e si affrettò a lasciare il pub. Nonostante la paura e la fretta, ebbero la decenza di lasciare alcune monete sul tavolo. Jiichi spostò lo sguardo dai Berry ai bicchieri e le bottiglie che ingombravano il tavolo, e presto si rese conto che non avevano pagato tutto quello che avevano consumato. La cosa non stupì minimamente il barista, ma era passato il tempo in cui riusciva a mantenere l'ordine a suon di pugni. Ora era ben più occupato a cercare di fermare il tremolio delle mani.
Sembrava che tutto il locale avesse notato l'uscita di scena dei pirati. Tutti, tranne la persona che sembrava averla causata, che continuava a bere indisturbata.
Jiichi andò a recuperare i pochi Berry lasciati sul tavolo. Solo allora si accorse del giornale coperto da alcuni bicchieri, lo stesso che il pirata stava leggendo prima di fuggire.

Jiichi era una delle persone più disinteressate di tutto il pianeta. Non gli importava un accidente di ciò che accadeva fuori dalle mura del suo bar. "Potrebbe entrare uno stramaledettissimo Ammiraglio qua dentro, e neanche lo riconoscerei!” era solito dire, quasi come un vanto. Il suo “io” era composto da un mix di totale indifferenza e pessima, pessima memoria – dimenticava persino le facce dei clienti abituali.
Non sapendo assolutamente niente della carica assegnata a un giovane Vice-Ammiraglio, promosso al ruolo di Ammiraglio ad appena due mesi dal Buster Call nel Mare Occidentale, non riusciva a spiegarsi l'agitazione che permeava l'aria del pub. Finché un pirata – inutile precisare sullo stato di ebrezza in cui si trovava – non salì in piedi su un tavolo al centro del locale, reggendo un boccale nella mano destra e un giornale nella sinistra. «Compagni!» esordì, agitando le braccia per attirare l'attenzione su di sé. Il sake gli si rovesciò addosso, ma sembrò non farci troppo caso. «La Marina ha partorito un'altra minaccia contro noi pirati! Dobbiamo stare uniti, oggi più che mai!» disse in tono pomposo.
Jiichi alzò il capo, perplesso, passò in rassegna con lo sguardo tutti i clienti, e dedusse che era l'unico a non sapere a cosa si riferisse quell'uomo. «Di che diamine stai parlando?!» berciò dunque. «E SCENDI SUBITO DAL MIO TAVOLO!»
Ma il pirata non abbandonò la sua privilegiata posizione, e lo fissò sorpreso. Si girò verso la sua ciurma, improvvisamente allegro. «Avevi ragione tu, Akio!» urlò a un suo compagno, che sorrise. «Questo non riconoscerebbe un Ammiraglio nemmeno se se lo trovasse davanti!» e scoppiò in una risata fragorosa che contagiò tutto il locale, mentre Jiichi borbottava un “È quello che dico sempre!”.
«Non hai letto il giornale, amico?» gli chiese il pirata, tornando a rivolgersi a lui. Jiichi scosse la testa con una sprezzante alzata di spalle.

La carta del giornale era sporca e umida, ma le notizie erano ancora leggibili. La prima pagina era occupata da un'enorme foto di un isola in fiamme. O era ghiacciata? Avvicinando il foglio al viso, Jiichi si rese conto che l'isola era coperta da lava e ghiaccio in egual misura. Sotto l'immagine, una scritta a caratteri cubitali recitava “COMBATTIMENTI A PUNK HAZARD”. Se Jiichi avesse mai avuto il minimo interesse per ciò che succedeva nel mondo, avrebbe continuato la lettura, venendo così a sapere che la ciurma di Monkey D. Rufy era coinvolta negli scontri. E di come l'isola era già stata resa famosa dall'incidente di quattro anni prima e dallo scontro fra i due Ammiragli, Aokiji e Akainu, con la vittoria di quest'ultimo. C'erano persino delle foto...

Il pirata sventolò il giornale, facendo volare alcuni fogli, e si rivolse alla folla. «Un Ammiraglio, gente, giovane e fresco di promozione... e pronto a darci la caccia come il cane della Marina quale è!» urlò, e sputò per terra, disgustato. Si fece riempire il boccale da un suo compagno e lo alzò barcollando, riuscendo a bagnarsi nuovamente i vestiti. «A causa di questi ultimi avvenimenti, compagni, vi ripeto che dobbiamo rimanere uniti contro il nemico! Perciò propongo un brindisi, perché la feccia come questo “Aokiji” – sputò nuovamente – e il resto della Marina venga presto inghiottita dalle più profonde acque!»
Seguito immediatamente dalla sua ciurma e, con un po' di ritardo, da tutti gli avventori del locale, alzò ancora di più il boccale. Ma invece di terminare subito il brindisi, si assicurò che tutti stessero partecipando, prima di concludere. Notò subito che l'uomo in fondo al bancone gli dava ancora le spalle, e non aveva avuto alcuna reazione al suo discorso. «Amico, devi unirti a noi! Che ci fai lì tutto solo?!» gli disse, senza ottenere alcuna risposta.

Spiccò un balzo e scese dal tavolo, con grande sollievo di Jiichi, e gli andò incontro, ripetendo la domanda. Gli posò la mano sulla spalla, cercando di farlo girare, ma non terminò mai la frase.
Si staccò dal moro, indietreggiando in fretta. Con quel brusco movimento urtò il cappotto scuro dell'uomo, che scivolò a terra, rivelando il disegno, o meglio, il marchio bianco impresso sul tessuto.
«La Marina...» sussurrò atterrito il corsaro, inciampando sui suoi stessi passi. Quelle due semplici parole scatenarono il caos fra i pirati, che iniziarono a sciamare verso l'uscita. Qualcuno riconobbe nel misterioso Marine ancora seduto al bancone il neo Ammiraglio Aokiji, diffondendo con urla spaventate la notizia. La situazione non poté che peggiorare ulteriormente.
Entro pochi minuti, nel locale rimasero solo Aokiji e Jiichi. Il moro non aveva mosso un solo muscolo per impedire ai pirati la fuga, ma aveva continuato a bere. Jiichi si ritrovò a pensare di dover cominciare a sfogliare il giornale, giusto ogni tanto. Si girò verso l'Ammiraglio, lentamente, rendendosi conto di non essere tanto spaventato da quell'uomo.
«Cos'hai intenzione di fare, adesso?»
La frase sfuggì dalle sue labbra prima che potesse impedirglielo, cogliendolo impreparato. Ok, non era impaurito da quell'uomo, ma rivolgergli domande come se stesse parlando con quei cialtroni dei suoi clienti era tutta un'altra cosa!
Ma ancora una volta il moro lo sorprese, dimostrandosi totalmente indifferente alla sua impertinenza. «Continuerò a bere... credo.» sorrise, alzando il bicchiere all'altezza degli occhi per scrutare il liquido trasparente che ondeggiava all'interno.
Jiichi si rilassò un poco, prese un'altra bottiglia e gliela portò. «E cosa ci fa un'Ammiraglio del Quartier Generale della Marina in questo pub da quattro soldi?»
«Cerco risposte. Mi sembrava di avertelo già detto...» sbadigliò, grattandosi la nuca.
«Sì, e a me sembrava di averti già detto che sembra tu stia
scappando dalle risposte. Comincio a chiedermi con che razza di criterio la Marina scelga i propri uomini! »
A quella frase, Jiichi vide un lampo attraversare gli occhi del Marine, che abbassò lo sguardo e trangugiò in fretta il contenuto del proprio bicchiere. «Basta uccidere i propri amici durante un Buster Call, e in poco tempo ti becchi una promozione...» disse piano. Così piano che Jiichi non capì nemmeno una parola.
Provò soltanto una volta a farglielo ripetere, poi lasciò perdere, dicendosi che dopotutto non erano affari suoi.
«Cerca soltanto di non venire più qui dentro. Come vedi, la tua presenza non giova ai miei affari. Chissà quanto ci rimetteranno quegli idioti a farsi passare lo spavento che gli hai fatto prendere e a tornare qui dentro!» sbuffò. Aggirò il bancone, iniziando a mettere in ordine il locale.

Riconobbe immediatamente l'Ammiraglio Aokiji nella foto affianco a quello che la didascalia indicava come un certo “Akainu”. Strano che la sua memoria avesse deciso di funzionare solo davanti a quelle foto, e non davanti all'uomo che sedeva al bancone. Forse era stato il nome ad attirare la sua attenzione. Chissà...
Tornò al bancone, portandosi dietro il giornale, per evitare che altri vedessero quelle foto. Ma durante il breve tragitto si accorse che ormai tutti i pirati lì presenti fissavano febbrilmente i pochi fogli che stava cercando di nascondere. «Jiichi!» lo chiamò uno. «Che c'è scritto in quel giornale, eh? Faccelo vedere anche a noi!»
La proposta venne accolta dall'assenso di tutti gli avventori, che subito lo assillarono con centinaia richieste in comune accordo a quella del pirata. Ma Jiichi si rifiutò di consegnare il giornale, scuotendo la testa con forza e rifugiandosi dietro al bancone. Si avvicinò in fretta all'uomo in cui finalmente aveva riconosciuto Aokiji, Kuzan o come diavolo si chiamava. Per dirla tutta, non aveva mai capito la storia dei soprannomi!
«Spiegami perché diavolo sei di nuovo qui!» berciò furioso, cercando di mantenere un tono di voce basso. Si guardò attorno, frenetico, vedendo che alcuni pirati stavano avanzando verso di bancone.
Ma invece di spiegargli il motivo della sua presenza nel locale, Kuzan disse: «Da' loro quel giornale, Jiichi.»
Il barista rimase immobile, troppo sorpreso per andare oltre lo sbattere le palpebre a un ritmo impressionante. Tutto si aspettava, tranne una risposta simile. Obbedì, muovendosi come un automa, e lasciò il giornale al primo pirata che raggiunse il bancone. Si passò una mano sul viso, cercando di riscuotersi e preparandosi a ciò che stava per succedere. Sperava solo che nel locale non ci fosse qualche stupido che preferisse il combattimento alla fuga, o non avrebbe dovuto soltanto occuparsi del recupero della clientela, ma anche rimettere a posto il locale.
I pirati si raggrupparono in fretta, scorrendo veloci l'articolo della prima pagina. A quel punto Kuzan recuperò lo zaino e gli occhiali e, dopo aver lasciato un'ingente somma di denaro sul bancone, barcollò fino all'uscita, sotto lo sguardo di chi già l'aveva riconosciuto, e chi ancora non aveva letto l'articolo ma aveva fiutato il pericolo nell'aria.
Un silenzio tombale era calato nel pub, interrotto solo dai passi del moro. Questi si fermò solo una volta arrivato alla porta, e poi proseguì senza voltarsi, senza salutare.
Jiichi esitò solo un attimo prima di correre anch'egli fuori dal locale. Fortunatamente Kuzan aveva bevuto abbastanza da renderlo dubbioso sulle sue stesse capacità motorie, perciò non era andato molto lontano. La sua spropositata altezza lo rese immediatamente individuabile e Jiichi si sforzò di proseguire nonostante il fiato grosso che, anche se breve, quella corsa gli aveva fatto venire. Non era più un ragazzino ma non si fermò finché non lo raggiunse.
Aokiji si girò lentamente verso di lui, scrutandolo dall'alto con uno sguardo assonnato. Mentre la folla continuava a scorrere attorno a loro, continuarono a fissarsi in silenzio, finché Jiichi non trovò qualcosa da dire. «Non ti avevo detto di non tornare più nel mio locale?» sbottò, rendendosi conto che avrebbe potuto – e dovuto – trovare qualcosa di più intelligente da dire.
Kuzan sorrise, grattandosi la nuca con fare imbarazzato. «Arararara... mi sai che hai proprio ragione. Scusa!»
«Ti perdono solo perché oggi hai avuto la decenza di andartene prima di far fuggire tutti i clienti. Non immagini quanto ho impiegato l'altra volta a recuperare tutto il giro, mannaggia a te!»
Attese un attimo prima di informarsi su quello che più gli premeva sapere: «È vero che non sei più un Ammiraglio?» gli chiese, abbandonando per una volta il suo solito fare brusco.
«Sì, ho lasciato la Marina due anni fa...» spiegò Kuzan con un sorriso che non convinse nessuno dei due, che mai arrivò agli occhi.
«Son passati così tanti anni... eppure vedo che continui a fuggire dalle risposte che dici di cercare, continuando a bere alcol che non riesci ancora a reggere.»
«Sono abbastanza sobrio da reggermi in piedi, questa volta, no? E poi, questa era l'ultima bevuta.» sorrise, stavolta anche con gli occhi. Jiichi sorrise a sua volta. «Buon per te, allora. Ma ti rinnovo la mia richiesta di non mettere più piede nel mio locale. Ora dovrò convincere quei cretini che non sono un cane della Marina!»
Le labbra di Kuzan si assottigliarono per un attimo, ma alla fine lasciò correre. «Allora è tempo che ti saluti, Jiichi.» disse solo. Il barista alzò un sopracciglio, in una muta richiesta di chiarimenti. «Devo partire per trovare le mie risposte.» spiegò allora Aokiji. «Ci vediamo!»
E si girò per tornare a immergersi nella folla. Agitò la mano in segno di saluto e svoltò in una strada secondaria.

Impiegò quasi un'ora per riordinare il locale. A lavoro concluso si accorse che il neo Ammiraglio era ancora seduto al bancone. Con un'occhiata più attenta, si accorse che stava dormendo. La mano destra reggeva il capo, e un rivolo di bava colava lungo la guancia fino al mento. Un Ammiraglio che si addormenta in un locale frequentato da pirati e mi sbava sul bancone come un poppante... questo è un giorno che non scorderò facilmente!, si disse Jiichi.

Erano passati più di vent'anni dal loro primo incontro. Erano entrambi cresciuti – o invecchiati, dipende dal punto di vista.
Jiichi aveva ancora bisogno dei giornali per riconoscere le persone. Giornali che – per inciso- non aveva iniziato a sfogliare come invece si era ripromesso di fare. Aveva ancora una pessima memoria e continuava a dimenticare le persone.
Kuzan non era più un Ammiraglio ma era ancora alla ricerca di risposte. E, chissà, forse sarebbe davvero riuscito a trovarle.
Cominciò ad incamminarsi verso il pub, con passo lento per recuperare il fiato perso, e una sola domanda in testa. Come accidenti è che si chiama?! AoCoso... KuQualcosa... Forse è meglio se mi sbrigo a recuperare quel maledetto giornale...!


Angolo dell'autrice.
Bene, siete ancora vivi? Mi fa molto piacere, e non posso che ringraziarvi per aver letto questo piccolo... boh, chiamiamolo “coso”, tanto alla fine le cose che scrivo le chiamo sempre così...
Kuzan è il mio personaggio preferito, alla pari con Robin. Mi rispecchio moltissimo in diversi aspetti di entrambe le loro personalità, e quando un personaggio mi piace così tanto, praticamente gli faccio una specie di profilo psicologico... cerco di conoscerlo in ogni sfaccettatura del suo carattere.
Certo, non è detto che poi riesca a riportare il mio pensiero per iscritto, ma è ciò che provo a fare. Spero di esserci riuscita con questa piccola shot, in cui ho scoperto il piacere di gestire un personaggio totalmente inventato come il buon vecchio e scorbutico Jiichi. Fidatevi quando vi dico che la sua memoria è meglio della mia!
Tornando al discorso della collocazione nella linea temporale, non voglio fare spoiler sul film perché magari qualcuno di voi non lo ha ancora visto (ALTO TRADIMENTO! D:). Ma per chi l'ha visto, potete capire perché Kuzan è così abbattuto, per come si sono svolte le cose a fine film con voi-sapete-chi. 
Chiariamo anche sulla data in cui Kuzan è stato promosso Ammiraglio. Oda non l'ha mai detto, e a me serviva un intervallo di tempo fra promozione e Buster Call abbastanza breve da rendere la morte di Sauro una cosa ancora fresca. 
Ultima precisazione, giuro che poi vi lascio in pace! Mi sono immaginata un Kuzan che non regge assolutamente l'alcol, ma che ha cominciato a bere perché – come lui stesso ha dichiarato nel film (non è esattamente uno spoiler, questo) – voleva imitare Zephyr, per essere un “uomo figo” come lui. Testuali parole... più o meno. Ma, ripeto, non regge l'alcol. E il dolore che cerca di annegarci dentro è troppo forte, e rimane a galla indipendentemente dalla quantità di sake ingerito.
E il sake è lo stesso che beveva sempre Zephyr (mentivo sull'ultima precisazione!). E lo so, lo so che si beve caldo il sakè, ma quando questa testolina che mi ritrovo ha scritto la one-shot, non ci stava minimamente pensando! Perdonate l'imprecisione!
Molto probabilmente non è un granchè come shot, ma mi sono impegnata e divertita a scriverla, e ci sono molto più affezionata che ad altre. Ancora grazie per avermi sopportato, e un grazie enorme e stratosferico a chi compirà un atto di bontà e lascerà una recensione. Come sempre, se beccate qualche errore, ditemelo. Ci tengo molto.
Alla prossima!




  
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