Angolo
dell'autrice.
Sulla vasta linea temporale di OP, la shot si
colloca post-ONE PIECE Z. Ma non c'è bisogno di aver visto
il film
per leggerla!
Perdonate il titolo banalissimo, ma non mi è venuto
in mente niente di meglio... Spero di rivedervi a fondo pagina,
sempre che non abbandoniate la shot prima di concluderla
perché
magari fa schifo, o è noiosa.
Le lunghe parti che troverete in
corsivo sono flashback, che si alterneranno alla narrazione del
presente.
Vi consiglio, inoltre, di ascoltare "In a bar - Tango with Lions" durante la lettura.
.A Man Walks into a Bar.
Iniziava
a pensare che i soldi per pagare non li avesse nessuno.
Nessuno.
C'era abituato ormai – aveva aperto quella catapecchia
più di trent'anni fa, quando ancora era un giovane
scavezzacollo –
e con l'esperienza aveva sviluppato un certo occhio per i truffatori.
E quella sera, nel locale c'erano solo ed esclusivamente truffatori. Ripensandoci,
forse quello lì si salva,
osservò Jiichi, guardandolo con la coda dell'occhio.
Non
era la prima volta che vedeva quell'uomo, ne era quasi
certo, gli
ricordava qualcuno. Forse erano le occhiate che lanciava ai pirati
che entravano nel locale – gli occhi scattavano come per un
riflesso incondizionato – o forse era quello sguardo dove la
stanchezza cercava invano di coprire il dolore che l'uomo era
intenzionato ad affogare con il contenuto del proprio bicchiere. O
più probabilmente era la sua spropositata altezza, che
spiccava
nonostante avesse preso posto nel luogo più appartato in
fondo al
bancone, poggiando il piccolo zaino nel posto accanto a
sé, probabilmente con l'ormai fallito intento di non dare
nell'occhio.
È
già stato qui, si ripeté Jiichi,
affrettandosi a servire
l'ennesimo gruppo di pirati palesemente ubriachi. L'unico problema
era che non sapeva quanto potesse effettivamente fidarsi della
propria memoria. Aveva passato la sessantina, e la memoria aveva
cominciato a fare cilecca molto tempo prima. Quel tizio poteva averlo
visto veramente anni prima come era probabile che non l'avesse mai
incontrato prima di allora.
Tornando al bancone, riprese a
lanciargli occhiate furtive. Stava
lì in disparte, avvolto da un lungo
cappotto, le
tonde e scure lenti degli occhiali buttate con malagrazia accanto al
bicchiere e i neri riccioli coperti appena da una cuffia. La barba
sfatta faceva intuire che non tenesse più di tanto alle
apparenze,
ma d'altronde Jiichi non pretendeva di avere i clienti del lussuoso
ristorante in cima alla collina. Almeno non puzzava come la maggior
parte dei pirati che era costretto a sopportare ogni giorno, e quando
gli si avvicinava per servigli altro sake, non era costretto a
trattenere il respiro.
L'unica cosa che si sentiva di fare, in
realtà, era indossare due o tre maglioni extra. Il moro,
infatti,
emanava gelo da tutti i pori. Letteralmente.
Ora che ci pensava,
da quando aveva preso posto gli aveva sempre restituito bicchieri
opachi di gelida condensa, con i resti di due cubetti di ghiaccio
lasciati a sciogliersi sul fondo.
L'unica cosa che non tornava era
che non ricordava di avergli mai servito un qualsiasi tipo di
alcolico con ghiaccio. La cosa gli era stranamente familiare, e
andò
ad aggiungersi alla sensazione di averlo già visto.
Forse non era
un truffatore o un ladro – anche perché non
riusciva proprio a
immaginarselo in una fuga improvvisata prima dell'arrivo del conto
–
ma erano davvero pochi quelli che ancora erano capaci di sborsare la
giusta cifra dopo una tale bevuta.
La
porta si spalancò, sbattendo contro la parete e permettendo
l'accesso di due pirati. Evidentemente
incapaci di aprire una porta come normali esseri umani, constatò
con un smorfia rassegnata. «Vi dispiace...?»
indicò con il mento
la porta, invitandoli a richiuderla. Il più robusto dei due
si girò
per eseguire la sua richiesta, con un grugnito irritato e ancora meno
grazia di quanta ne avesse usata nell'aprirla. Ma all'ultimo un piede
si infilò nello spazio fra la porta e lo stipite,
bloccandola.
«Arararara...»
La voce – seguita da un sonoro sbadiglio
– proveniva proprio dal proprietario del piede, che si
affrettò a
liberarlo ed entrare. Era così alto che dovette abbassarsi
per
passare sotto lo stipite, e una volta dentro dovette prestare
attenzione ai candelabri, per non urtarli con la testa.
Attraverso
le lenti oscurate degli occhiali, lanciò un'occhiata
penetrante ai
due pirati entrati poco prima di lui, ancora fermi davanti alla
porta. Senza curarsi degli sguardi furiosi che questi ultimi gli
stavano rivolgendo, prese posto in fondo al bancone. Il lungo
cappotto scuro che teneva appeso al braccio finì buttato sul
ripiano
in legno, insieme agli occhiali. Jiichi notò un disegno
bianco
nascosto fra le pieghe del capo sul bancone, ma non vi fece troppo
caso.
Si avvicinò al nuovo avventore, in attesa di
un'ordinazione, ma questi sembrava preso da tutt'altri pensieri. Si
grattò la testa un'ultima volta facendo ondeggiare i
riccioli, per
poi lanciare un'occhiata all'entrata. «Ho
perso la cuffia, accidenti...» lo sentì
borbottare. Si decise ad
arrendersi alla triste realtà, e cioè che ormai
per la sua cuffia
non c'erano più speranze, e alzò lo sguardo su
Jiichi. Intuì la
domanda che stava per rivolgergli, e mentre i pirati attorno a lui
riprendevano a fare baldoria, disse solo: «Sake.»
Con
un'ultima, lunga sorsata, l'ennesimo gelido bicchiere venne poggiato
con deliberata lentezza sul lucido legno, accanto agli occhiali. Il
rumore risvegliò Jiichi dai propri pensieri, che vide il
proprio
cliente alzare la mano, facendogli un cenno con le dita per chiedere
un altro giro. Solo allora notò il guanto di scura pelle che
gli
avvolgeva la mano destra – la stessa che aveva alzato
– e
avvicinandosi per servirlo scoprì che la sinistra, invece,
ne era
priva. La pelle abbronzata, nuda, ora reggeva il capo riccioluto, in
una posa di assoluta pigrizia. «Amico, mi versi da
bere?»
Jiichi
si affrettò ad eseguire la richiesta del cliente,
riempendogli
nuovamente il bicchiere, rigorosamente gelido.
Incrociandone lo sguardo, vide una strana luce illuminargli le iridi
scure, per un breve attimo, come quando si viene sorpresi a fare
qualcosa di sbagliato. Si convinse fosse tutto frutto della sua
immaginazione, e tornò al proprio lavoro.
Ma ormai la sua mente
era totalmente e prepotentemente intenzionata a venire a capo di quel
mistero, e Jiichi non poté sottrarsi alla corrente che
riportò
tutti i suoi pensieri in direzione dell'individuo in fondo al
bancone. Ciò che lo aveva colpito maggiormente, oltre alla
profondità della sua voce, era lo sguardo. Aveva notato
come, fin
dalla prima sorsata di sake, una pressante ombra di disgusto facesse
prendere una amara piega alle carnose labbra del moro. Sembrava
odiasse profondamente l'alcol, e non sembrava neanche reggerlo
più
di tanto, ma continuava a bere, imperterrito. Era giunto alla
conclusione che ciò da cui stava fuggendo fosse ben
più forte delle
preferenze in fatto di bevande.
Jiichi
decise di lasciargli la bottiglia, stavolta. Ormai quello era bello
che andato e, secondo la sua esperienza, sarebbe dovuto crollare da
un bel po'. Si ostinava o bere, nonostante fosse palese che non
reggesse assolutamente l'alcol.
«Senti
un po', tu. Perché sei così ostinato a volerti
sentire male? Lo sai
e lo vedi anche tu che questa roba non riesci proprio a reggerla.
Cosa stai cercando di fare?» gli chiese, quando lo vide
svuotare la
bottiglia nel bicchiere. Quando la prese per buttarla via, la
sentì
gelata. Abbassò lo sguardo sul bicchiere del moro e vide due
cubetti
galleggiare come iceberg nell'oceano.
«Non è tanto cosa cerco di fare, quanto cosa io
stia realmente cercando.» fu
l'enigmatica risposta dell'uomo. Jiichi inarcò un
sopracciglio, per
niente convinto.
«E cosa staresti cercando, allora?»
borbottò,
guardando inquieto la condensa che annullava la trasparenza del
bicchiere.
«Risposte...» sbadigliò il ricciolo.
«Cercando,
eh? A me sembra soltanto che tu stia scappando
dalle
risposte, amico.» lo
corresse, riprendendo a guardarlo negli occhi. Ciò che vi
lesse
dentro lo fece quasi pentire di essere stato tanto sincero.
Nonostante tutto l'alcol che quel giovane aveva ingurgitato in una
sola serata, il dolore che aveva cercato di dimenticare era ancora
presente, e Jiichi lo vide crescere prima che un amaro sorriso lo
coprisse.
Ma anche quello
scomparve, infrangendosi sul bordo di un altro bicchiere.
L'attenzione
di Jiichi si focalizzò su un pirata che aveva presto posto
vicino
all'ingresso. Confabulava con i suoi compagni, tutti chini sul
tavolo, le teste vicine. Quello che doveva essere il capitano si
voltò in fretta verso l'uscita, come per assicurarsi che la
via
fosse libera, e poi lanciò una strana occhiata verso il
bancone.
Intercettando il suo sguardo vide che stava fissando lo stesso uomo
che Jiichi aveva osservato per tutta la serata. Ma il viso del pirata
era sbiancato dalla paura, e fissava la schiena dell'uomo come si
fissa un gigante di Erbaf: panico allo stato puro.
La ciurma del
pirata si alzò immediatamente all'ordine del capitano,
facendo un
gran
trambusto fra panche e sedie spostate, e si affrettò a
lasciare il
pub.
Nonostante la paura e la fretta, ebbero la decenza di lasciare alcune
monete sul
tavolo. Jiichi spostò lo sguardo dai Berry ai bicchieri e le
bottiglie che ingombravano il tavolo, e presto si rese conto che non
avevano pagato tutto quello che avevano consumato. La cosa non
stupì
minimamente il barista, ma era passato il tempo in cui riusciva a
mantenere l'ordine a suon di pugni. Ora era ben più occupato
a
cercare di fermare il tremolio delle mani.
Sembrava che tutto il
locale avesse notato l'uscita di scena dei pirati. Tutti, tranne la
persona che sembrava averla causata, che continuava a bere
indisturbata.
Jiichi andò a recuperare i pochi Berry lasciati sul
tavolo. Solo allora si accorse del giornale coperto da alcuni
bicchieri, lo stesso che il pirata stava leggendo prima di fuggire.
Jiichi
era una delle persone più disinteressate di tutto il
pianeta. Non
gli importava un accidente di ciò che accadeva fuori dalle
mura del suo bar. "Potrebbe entrare uno stramaledettissimo
Ammiraglio
qua dentro, e neanche lo riconoscerei!” era solito dire,
quasi come
un vanto. Il suo “io” era composto da un mix di
totale
indifferenza e pessima, pessima memoria – dimenticava persino
le
facce dei clienti abituali.
Non sapendo assolutamente niente della
carica assegnata a un giovane Vice-Ammiraglio, promosso al ruolo di
Ammiraglio ad appena due mesi dal Buster Call nel Mare Occidentale,
non riusciva a spiegarsi l'agitazione che permeava l'aria del pub.
Finché un pirata – inutile precisare sullo stato
di ebrezza in cui
si trovava – non salì in piedi su un tavolo al
centro del locale,
reggendo un boccale nella mano destra e un giornale nella sinistra.
«Compagni!» esordì, agitando le braccia
per attirare l'attenzione
su di sé. Il sake gli si rovesciò addosso, ma
sembrò non farci
troppo caso. «La Marina ha partorito un'altra minaccia contro
noi
pirati! Dobbiamo stare uniti, oggi più che mai!»
disse in tono
pomposo.
Jiichi alzò il capo, perplesso, passò in rassegna
con
lo sguardo tutti i clienti, e dedusse che era l'unico a non sapere a
cosa si riferisse quell'uomo. «Di che diamine stai
parlando?!»
berciò dunque. «E SCENDI SUBITO DAL MIO
TAVOLO!»
Ma il pirata non abbandonò la sua privilegiata posizione, e
lo fissò
sorpreso. Si girò verso la sua ciurma, improvvisamente
allegro.
«Avevi ragione tu, Akio!» urlò a un suo
compagno, che sorrise.
«Questo non riconoscerebbe un Ammiraglio nemmeno se se lo
trovasse
davanti!» e scoppiò in una risata fragorosa che
contagiò tutto il
locale, mentre Jiichi borbottava un “È quello che
dico
sempre!”.
«Non hai letto il giornale, amico?» gli chiese il
pirata, tornando a rivolgersi a lui. Jiichi scosse la testa con una
sprezzante alzata di spalle.
La carta del giornale era sporca e umida, ma le notizie erano ancora leggibili. La prima pagina era occupata da un'enorme foto di un isola in fiamme. O era ghiacciata? Avvicinando il foglio al viso, Jiichi si rese conto che l'isola era coperta da lava e ghiaccio in egual misura. Sotto l'immagine, una scritta a caratteri cubitali recitava “COMBATTIMENTI A PUNK HAZARD”. Se Jiichi avesse mai avuto il minimo interesse per ciò che succedeva nel mondo, avrebbe continuato la lettura, venendo così a sapere che la ciurma di Monkey D. Rufy era coinvolta negli scontri. E di come l'isola era già stata resa famosa dall'incidente di quattro anni prima e dallo scontro fra i due Ammiragli, Aokiji e Akainu, con la vittoria di quest'ultimo. C'erano persino delle foto...
Il
pirata sventolò il giornale, facendo volare alcuni fogli, e
si
rivolse alla folla. «Un Ammiraglio, gente, giovane e fresco
di
promozione... e pronto a darci la caccia come il cane della Marina
quale è!» urlò, e sputò per
terra, disgustato. Si fece riempire
il boccale da un suo compagno e lo alzò barcollando,
riuscendo a
bagnarsi nuovamente i vestiti. «A causa di questi ultimi
avvenimenti, compagni, vi ripeto che dobbiamo rimanere uniti contro
il nemico! Perciò propongo un brindisi, perché la
feccia come
questo “Aokiji” – sputò
nuovamente – e il resto della Marina
venga presto inghiottita dalle più profonde acque!»
Seguito
immediatamente dalla sua ciurma e, con un po' di ritardo, da tutti gli
avventori
del locale, alzò ancora di più il boccale. Ma
invece di terminare
subito il brindisi, si assicurò che tutti stessero
partecipando,
prima di concludere. Notò subito che l'uomo in fondo al
bancone gli
dava ancora le spalle, e non aveva avuto alcuna reazione al suo
discorso. «Amico, devi unirti a noi! Che ci fai lì
tutto solo?!»
gli disse, senza ottenere alcuna risposta.
Spiccò un balzo
e scese dal tavolo, con grande sollievo di Jiichi, e gli
andò
incontro, ripetendo la domanda. Gli posò la mano sulla
spalla,
cercando di farlo girare, ma non terminò mai la frase.
Si staccò
dal moro, indietreggiando in fretta. Con quel brusco movimento
urtò
il cappotto scuro dell'uomo, che scivolò a terra, rivelando
il
disegno, o meglio, il marchio bianco impresso sul tessuto.
«La
Marina...» sussurrò atterrito il corsaro,
inciampando sui suoi
stessi passi. Quelle due semplici parole scatenarono il caos fra i
pirati, che iniziarono a sciamare verso l'uscita. Qualcuno riconobbe
nel misterioso Marine ancora seduto al bancone il neo Ammiraglio
Aokiji, diffondendo con urla spaventate la notizia. La situazione non
poté che peggiorare ulteriormente.
Entro pochi minuti, nel locale
rimasero solo Aokiji e Jiichi. Il moro non aveva mosso un solo
muscolo per impedire ai pirati la fuga, ma aveva continuato a bere.
Jiichi si ritrovò a pensare di dover cominciare a sfogliare
il
giornale, giusto ogni tanto. Si girò verso l'Ammiraglio,
lentamente,
rendendosi conto di non essere tanto spaventato da
quell'uomo.
«Cos'hai intenzione di fare, adesso?»
La frase
sfuggì dalle sue labbra prima che potesse impedirglielo,
cogliendolo
impreparato. Ok, non era impaurito da quell'uomo, ma
rivolgergli domande come se stesse parlando con quei cialtroni dei
suoi clienti era tutta un'altra cosa!
Ma ancora una volta il moro
lo sorprese, dimostrandosi totalmente indifferente alla sua
impertinenza. «Continuerò a bere...
credo.» sorrise, alzando il
bicchiere all'altezza degli occhi per scrutare il liquido trasparente
che ondeggiava all'interno.
Jiichi si rilassò un poco, prese un'altra
bottiglia e gliela portò. «E cosa ci fa
un'Ammiraglio del Quartier
Generale della Marina in questo pub da quattro soldi?»
«Cerco
risposte. Mi sembrava di avertelo già detto...»
sbadigliò,
grattandosi la nuca.
«Sì, e a me sembrava di averti già
detto
che sembra tu stia scappando
dalle risposte. Comincio a chiedermi con che
razza di
criterio la Marina scelga i propri uomini! »
A quella frase,
Jiichi vide un lampo attraversare gli occhi del Marine, che
abbassò
lo sguardo e trangugiò in fretta il contenuto del proprio
bicchiere.
«Basta uccidere i propri amici durante un Buster Call, e in
poco
tempo ti becchi una promozione...» disse piano.
Così piano che Jiichi non
capì nemmeno una parola.
Provò soltanto una volta a
farglielo ripetere, poi lasciò perdere, dicendosi che
dopotutto non erano affari suoi.
«Cerca soltanto di non venire
più qui dentro. Come vedi, la tua presenza non giova ai miei
affari.
Chissà quanto ci rimetteranno quegli idioti a farsi passare
lo
spavento che gli hai fatto prendere e a tornare qui dentro!»
sbuffò.
Aggirò il bancone, iniziando a mettere in ordine il locale.
Riconobbe
immediatamente l'Ammiraglio Aokiji nella foto affianco a quello che
la didascalia indicava come un certo “Akainu”.
Strano che la sua
memoria avesse deciso di funzionare solo davanti a quelle foto, e non
davanti all'uomo che sedeva al bancone. Forse era stato il nome ad
attirare la sua attenzione. Chissà...
Tornò al bancone,
portandosi dietro il giornale, per evitare che altri vedessero quelle
foto. Ma durante il breve tragitto si accorse che ormai tutti i
pirati lì presenti fissavano febbrilmente i pochi fogli che
stava
cercando di nascondere. «Jiichi!» lo
chiamò uno. «Che c'è
scritto in quel giornale, eh? Faccelo vedere anche a noi!»
La
proposta venne accolta dall'assenso di tutti gli avventori, che subito
lo assillarono con centinaia richieste in comune accordo a quella del
pirata. Ma Jiichi si
rifiutò
di consegnare il giornale, scuotendo la testa con forza e
rifugiandosi dietro al bancone. Si avvicinò in fretta
all'uomo in
cui finalmente aveva riconosciuto Aokiji, Kuzan o come diavolo si
chiamava. Per dirla tutta, non aveva mai capito la storia dei
soprannomi!
«Spiegami
perché diavolo sei di nuovo qui!»
berciò furioso, cercando di
mantenere un tono di voce basso. Si guardò attorno,
frenetico,
vedendo che alcuni pirati stavano avanzando verso di bancone.
Ma
invece di spiegargli il motivo della sua presenza nel locale, Kuzan
disse: «Da' loro quel giornale, Jiichi.»
Il barista rimase
immobile, troppo sorpreso per andare oltre lo sbattere le palpebre a
un ritmo impressionante. Tutto si aspettava, tranne una risposta
simile. Obbedì, muovendosi come un automa, e
lasciò il giornale al
primo pirata che raggiunse il bancone. Si passò una mano sul
viso,
cercando di riscuotersi e preparandosi a ciò che stava per
succedere. Sperava solo che nel locale non ci fosse qualche stupido
che preferisse il combattimento alla fuga, o non avrebbe dovuto
soltanto occuparsi del recupero della clientela, ma anche rimettere a
posto il locale.
I pirati si raggrupparono in fretta, scorrendo
veloci l'articolo della prima pagina. A quel punto Kuzan
recuperò lo
zaino e gli occhiali e, dopo aver lasciato un'ingente somma di denaro
sul bancone, barcollò fino all'uscita, sotto lo sguardo di
chi già
l'aveva riconosciuto, e chi ancora non aveva letto l'articolo ma
aveva fiutato il pericolo nell'aria.
Un silenzio tombale era
calato nel pub, interrotto solo dai passi del moro. Questi si
fermò solo una volta arrivato alla porta, e poi
proseguì senza voltarsi,
senza salutare.
Jiichi esitò solo un attimo prima di correre
anch'egli fuori dal locale. Fortunatamente Kuzan aveva bevuto
abbastanza da renderlo dubbioso sulle sue stesse capacità
motorie,
perciò non era andato molto lontano. La sua spropositata
altezza lo
rese immediatamente individuabile e Jiichi si sforzò di
proseguire nonostante il
fiato grosso che, anche se breve, quella corsa gli aveva fatto
venire. Non era più un ragazzino ma non si fermò
finché non lo
raggiunse.
Aokiji si girò lentamente verso di lui, scrutandolo
dall'alto con uno sguardo assonnato. Mentre la folla
continuava a scorrere attorno a loro, continuarono a fissarsi in
silenzio, finché Jiichi non trovò qualcosa da
dire. «Non ti avevo
detto di non tornare più nel mio locale?»
sbottò, rendendosi conto
che avrebbe potuto – e dovuto – trovare qualcosa di
più
intelligente da dire.
Kuzan sorrise, grattandosi la nuca con fare
imbarazzato. «Arararara... mi sai che hai proprio ragione.
Scusa!»
«Ti perdono solo perché oggi hai avuto la decenza
di
andartene prima di far fuggire tutti i clienti. Non immagini quanto
ho impiegato l'altra volta a recuperare tutto il giro, mannaggia a
te!»
Attese un attimo prima di informarsi su quello che più gli
premeva sapere: «È vero che non sei più
un Ammiraglio?» gli
chiese, abbandonando per una volta il suo solito fare brusco.
«Sì,
ho lasciato la Marina due anni fa...» spiegò Kuzan
con un sorriso
che non convinse nessuno dei due, che mai arrivò agli occhi.
«Son
passati così tanti anni... eppure vedo che continui a
fuggire dalle
risposte che dici di cercare, continuando a bere alcol che non riesci
ancora a reggere.»
«Sono abbastanza sobrio da reggermi in piedi, questa volta,
no? E poi, questa era l'ultima bevuta.» sorrise, stavolta
anche con
gli occhi. Jiichi sorrise a sua volta. «Buon per te, allora.
Ma ti
rinnovo la mia richiesta di non mettere più piede nel mio
locale.
Ora dovrò convincere quei cretini che non sono un cane della
Marina!»
Le labbra di Kuzan si assottigliarono per un attimo, ma
alla fine lasciò correre. «Allora è
tempo che ti saluti, Jiichi.»
disse solo. Il barista alzò un sopracciglio, in una muta
richiesta
di chiarimenti. «Devo partire per trovare le mie
risposte.» spiegò
allora Aokiji. «Ci vediamo!»
E si girò per tornare a immergersi
nella folla. Agitò la mano in segno di saluto e
svoltò in una
strada secondaria.
Impiegò quasi un'ora per riordinare il locale. A lavoro concluso si accorse che il neo Ammiraglio era ancora seduto al bancone. Con un'occhiata più attenta, si accorse che stava dormendo. La mano destra reggeva il capo, e un rivolo di bava colava lungo la guancia fino al mento. Un Ammiraglio che si addormenta in un locale frequentato da pirati e mi sbava sul bancone come un poppante... questo è un giorno che non scorderò facilmente!, si disse Jiichi.
Erano
passati più di vent'anni dal loro primo incontro. Erano
entrambi
cresciuti – o invecchiati, dipende dal punto di vista.
Jiichi
aveva ancora bisogno dei giornali per riconoscere le persone.
Giornali che – per inciso- non aveva iniziato a sfogliare
come
invece si era ripromesso di fare. Aveva ancora una pessima memoria e
continuava a dimenticare le persone.
Kuzan non era più un
Ammiraglio ma era ancora alla ricerca di risposte. E,
chissà, forse
sarebbe davvero riuscito a trovarle.
Cominciò ad incamminarsi
verso il pub, con passo lento per recuperare il fiato perso, e una
sola domanda in testa. Come accidenti è che si
chiama?! AoCoso...
KuQualcosa... Forse è meglio se mi sbrigo a recuperare quel
maledetto giornale...!
Angolo
dell'autrice.
Bene, siete ancora vivi? Mi fa molto piacere, e non
posso che ringraziarvi per aver letto questo piccolo... boh,
chiamiamolo “coso”, tanto alla fine le cose che
scrivo le chiamo
sempre così...
Kuzan è il mio personaggio preferito, alla pari
con Robin. Mi rispecchio moltissimo in diversi aspetti di entrambe le
loro personalità, e quando un personaggio mi piace
così tanto,
praticamente gli faccio una specie di profilo psicologico... cerco di
conoscerlo in ogni sfaccettatura del suo carattere.
Certo, non è
detto che poi riesca a riportare il mio pensiero per iscritto, ma
è
ciò che provo a fare. Spero di esserci riuscita con questa
piccola
shot, in cui ho scoperto il piacere di gestire un personaggio
totalmente inventato come il buon vecchio e scorbutico Jiichi.
Fidatevi quando vi dico che la sua memoria è meglio della
mia!
Tornando al discorso della collocazione nella linea
temporale, non voglio fare spoiler sul film perché magari
qualcuno
di voi non lo ha ancora visto (ALTO TRADIMENTO! D:). Ma per chi l'ha
visto, potete capire perché Kuzan è
così abbattuto, per come si
sono svolte le cose a fine film con voi-sapete-chi.
Chiariamo anche sulla data in cui Kuzan è stato promosso
Ammiraglio. Oda non l'ha mai detto, e a me serviva un intervallo di
tempo fra promozione e Buster Call abbastanza breve da rendere la morte
di Sauro una cosa ancora fresca.
Ultima
precisazione, giuro che poi vi lascio in pace! Mi sono immaginata un
Kuzan che non regge assolutamente l'alcol, ma che ha cominciato a
bere perché – come lui stesso ha dichiarato nel
film (non è
esattamente uno spoiler, questo) – voleva imitare Zephyr, per
essere un “uomo figo” come lui. Testuali parole...
più o meno.
Ma, ripeto, non regge l'alcol. E il dolore che cerca di annegarci
dentro è troppo forte, e rimane a galla indipendentemente
dalla
quantità di sake ingerito.
E il sake è lo stesso che beveva
sempre Zephyr (mentivo sull'ultima precisazione!). E lo so, lo so che si beve caldo il sakè, ma quando questa testolina che mi ritrovo ha scritto la one-shot, non ci stava minimamente pensando! Perdonate l'imprecisione!
Molto probabilmente non è un granchè come shot,
ma mi sono impegnata e divertita a scriverla, e ci sono molto
più affezionata che ad altre. Ancora grazie
per avermi sopportato, e un grazie enorme e stratosferico a chi
compirà un atto di bontà e lascerà una
recensione. Come sempre, se
beccate qualche errore, ditemelo. Ci tengo molto.
Alla prossima!