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Autore: My Vanya    16/09/2013    3 recensioni
Frank è un ragazzo vissuto e cresciuto in collegio come tutti i suoi compagni. Non conoscono il mondo esterno, non l'hanno mai visto. Nessuno gli spiega perché sono lì.
Fino a che Frank non capisce.
Sono umani di serie B.
Cresciuti con il solo scopo di morire per lasciar sopravvivere gli abitanti all'esterno.
Ma se un ragazzo cresciuto per donare organi si distruggesse al punto di non essere più utile?
Ma ce la farò.
Io devo farcela.
Devo riprendermi la mia vita che loro hanno deciso valere meno delle altre.
Lo faccio per me.
Lo faccio per loro.
[Frerard]
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altri, Frank Iero, Gerard Way, Un po' tutti | Coppie: Frank/Gerard
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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-Cigarettes-

 

-Frank Iero, si metta composto per favore.-

Mi risiedo sbuffando mentre Alicia, la mia compagna di banco si lascia sfuggire una risatina sistemandosi la cravatta oltremare della divisa e lisciando una piccola piega del proprio colletto. Non ho mai amato la professoressa Ballato, e questa non è certo una novità ma da quando l'età media della classe ha superato i sedici anni è diventata molto più insopportabile del solito.

La guado negli occhi con un sorriso, come a volerle chiedere se adesso che sono seduto e composto sia contenta. Del resto volevo soltanto mandare via un'ape che era entrata dalla finestra e tra poco si sarebbe posata sulla cattedra, ma la sua voce stridula aveva spaventato l'animaletto che subito si era dileguato, veloce come era entrato.

I capelli neri della signorina Lindsey le ricadono eleganti sulle spalle, quasi confondendosi con l'elegante divisa scura forse è la prima volta che li lascia sciolti, ed è la nostra educatrice da così tanto che non ricordo altro viso che il suo.

Mi slaccio il primo bottone della camicia perché oggi fa davvero troppo caldo e controllo di avere i buoni che ho guadagnato nella tasca dei pantaloni. Oggi è una giornata importante qui nel collegio di Belleville. È il giorno del mercato.

Due volte l'anno, dei negozianti dal mondo esterno arrivano in collegio a vendere degli oggetti che noi alunni possiamo acquistare con dei buoni che guadagniamo durante l'anno quando e se ci comportiamo particolarmente bene od otteniamo buoni voti a scuola. Non ne ho molti stavolta, non ne ho molti da un po' a dire il vero, ma credo che possano bastare per prendere qualcosa di bello per Alicia, ed anche per Gerard.

Forse gli prenderò un lapis di quelli buoni, visto che li finisce tutti subito.

Ricordo di aver conosciuto Gerard il mio primo giorno di scuola, a sei anni, non appena sono uscito dal reparto dei bambini più piccoli e mi sono trasferito in una camera singola, abbandonando la balia che mi aveva cresciuto fino a quel momento. Eravamo in mensa e lui mangiava e disegnava insieme, da solo. I capelli lunghi e nerissimi gli ricadevano sugli occhi attenti, ed ora posso dire che mi fece subito una buona impressione perché senza nemmeno pensarci andai a sedermi al suo fianco. Ricordo che mi sorrise e diventammo amici in quel momento. Senza nemmeno conoscere i nostri nomi.

Con Alicia invece, una ragazza con gli occhi verdissimi ed il sorriso dolce, è stato diverso. Siamo cresciuti insieme fin dalla più tenera infanzia, abbiamo la stessa età. Alicia è simpatica, la adoro. Quando eravamo più piccoli alcuni ragazzi la prendevano in giro perché era una ragazza e voleva giocare con noi, per questo mi allontanai da loro e mi misi a con lei a guardare le figure di un libro. Ha imparato a leggere prima di me, è sempre stata molto intelligente, più di chiunque altro.

Alzo gli occhi sull'orologio che sovrasta l'aula. Conto i secondi.

Ne mancano esattamente 195.

Poi la campanella suonerà e tutti correranno al mercato.

Ma io ho sempre corso più veloce degli altri.

Anche Alicia ha in programma di fare grandi spese. Lei ha molti più buoni di me, non sono proprio un elemento facile da gestire, a quanto si dice. La guardo mentre ripone con cura il quaderno e la cartella di fotocopie in una borsa elegante ed ordinata. Poi alza lo sguardo su di me e mi sorride, furba. Ci capiamo con lo sguardo, sarà una vera lotta trovare qualcosa di accettabile ed adatto alla nostra età. È il penultimo anno che passeremo qui ed in genere quel posto è pieno solo di giocattoli per bambini od altre cianfrusaglie, e nessuno dei due si farà scrupoli a spostare di peso qualche ragazzino appena arrivato. Tanto meno quella peperina che ho affianco.

Credo che se Lindsey e tutti gli altri la conoscessero saprebbero che la metà dei guai che combino sono troppo ingegnosi per essere stati ideati da me. C'è sempre Alicia dietro. È la mia migliore amica. Io lei e Gerard. Sempre e da sempre.

54 secondi.

Sono tutti pronti.

30.

20.

10.

1.

Siamo già tutti fuori prima che la campanella finisca di suonare, io in testa, Alicia credo alla fine della fila. Non le è mai piaciuto fare le cose di fretta ed una mente metodica come la sua non faticherà a trovare subito qualcosa di affascinante..

Entro nel mercato e controllo gli oggetti in vendita con una rapida occhiata. Ho esattamente 65 buoni mentre tutti gli altri ne hanno quasi il doppio.

Noto un lapis che sembra abbia un bel tratto e lo prendo. 25 buoni. Gerard sarà contento.

Alzo lo sguardo e lui è al banco accanto, non mi ha visto. È immerso nei colori delle tempere ad olio e le guarda affascinato. Gli sfioro una mano passandogli accanto e lui quasi non si accorge di me.

Quasi.

Perché me la stringe per un secondo, prima di tornare nel suo mondo.

È sempre stato così con lui, come se vivesse in un mondo a parte, soltanto suo dove né io né Alica siamo ammessi. In momenti come questo, quando ha tra le mani un pennello o semplicemente un disegno lui si assenta. Mi chiedo se controlli l'armonia dei colori o forse il gioco delle forme che si creebbero a seconda dei movimenti che potrebbe lasciar fare al pennello. Mi chiedo se mi senta, se ci senta: me, Ali o chiunque altro. Ma ora lo lascio lì, curioso in quel banchetto che per lui è come un paradiso e mi allontano, lentamente.

Vedo il regalo perfetto per Alicia a pochi passi. Una cartella per documenti nera decorata in stoffa, di buona fattura. Si chiude con un bottoncino elegante. Lascio 30 buoni all'uomo che mi sorride. Nessuno l'avrebbe comprata comunque. Era troppo nascosta e le ragazze erano attratte da ben altri banchi. Nessuno avrebbe notato questa in tempo, nessuno l'avrebbe vista prima di finire tutti i buoni nonostante sia strabiliante il modo in cui le cuciture quasi non si notino. E poi trenta buoni non sono nemmeno così pochi per una cosa del genere, chissà che non nasconda qualche segreto che solo Alicia sarà in grado di capira.

A proposito di buoni, guardo i dieci che mi rimangono ed inizio a muovermi con più calma. Osservo macchine fotografiche, quadri, cassette e dischi. Portagioie, modellini di giostre, barattoli di brillantini. Sorrisi. Colori.

Mi sono sempre chiesto cosa ci sia fuori da questo posto, ma non mi sono mai saputo dare una risposta.

Qualcuno ha creato questi oggetti fuori di qui. Qualcuno ha lavorato ad ogni singola rifinitura per renderli perfetti.

Qualcuno che noi non conosciamo e, credo, non conosceremo mai.

È questo che mi inquieta di questo posto. Non sono mai e dico mai uscito da questo posto. Come se fossi stato creato qui, in questo istituto, senza un motivo preciso. Come se fuori non ci fosse niente oltre a questo, come se non ci fossero altre persone. Come se nessuno di noi avesse un padre o una madre al di fuori di qui.

Spesso mi sono chiesto come ci sia finito, o come ci siamo finiti tutti in questo edificio che potrebbe essere considerato una piccola cittadina. Abbiamo una mensa, delle classi, sale di arte, ogni tanto ci fanno vedere qualche film, conosciamo ragazzi della nostra età o più piccoli fino ai diciotto anni e poi... e poi nessuno ci ha informati di cosa venga poi. Solo Gerard lo sa, ma non è qualcosa di cui parli volentieri. Comunque sia, domani ce lo diranno e non nascondo di avere un'insensata inquietudine dentro, come se ci fosse qualcosa di sbagliato qui, in me, incastrato tra i polmoni e la cassa toracica. Come se fossi sbagliato dalla nascita. Magari siamo tutti orfani, ci hanno solo abbandonati. Magari invece c'è di più. Non mi resta che aspettare per saperlo.

Sfioro con la punta delle dita un piccolo anello argentato. Piccolo davvero. Troppo piccolo per entrare ad un dito, perfino nel mignolo.. Quando alzo gli occhi un ragazzo con un tubicino di carta in bocca pieno di polvere scura, le braccia piene di disegni ed anellino proprio come quello che sto accarezzando sul lato destro del labbro inferiore mi guarda. È l'unico a non avermi sorriso subito. L'unico ad avere uno spazio espositivo poco più largo della sua persona. Mezzo metro al massimo. Non ci sono balocchi qui, nè piccoli oggetti carini. Ci sono tubicini larghi pochi millimetri che portano la targhetta “Dilatatori”, anellini argentati o dorai ed un set con dei colori e degli aghi che costa 90 buoni. Deve essere interessante dato che costa così tanto. Gli mostro i dieci buoni che mi rimangono. Ed allora, solo allora, sorride e tira fuori un pacchetto dalla tasca. Lo apre e mi mostra il suo interno.

Ci sono undici tubicini uguali a quello che tiene tra le labbra.

“Una è in omaggio, mi piaci.” sussurra a mezza voce, come se non volesse essere sentito. Ha i capelli verdi e gli occhi che sono quasi la stessa sfumatura brillante. La voce lievemente roca mi fa venire i brividi quando si avvicina a me, chinandosi fino a raggiungere il mio orecchio.

“Non credo siano esattamente legali qui dentro piccoletto, meglio se le metti via” sussurra in un soffio prima di tirarsi su. E mi fa l'occhiolino. Sento le guance così rosse da bruciare mentre lo guardo, e mi guarda. È giovane. Gli va bene se ha tre anni più di me. Non riesco a togliergli gli occhi di dosso. Non voglio abbassarli ma lui è più persistente di me.

Lascio i buoni nella sua mano in modo meccanico e nascondo lo strano pacchetto nella tasca interna della giacca della divisa. Non so cosa siano, ma sono fuori luogo.

Un po' come me e Gerard seduti ad un tavolo senza quasi parlare ma sapendo di non essere soli. Un po' come Alicia quando diventa così calcolatrice da essere irriconoscibile. Un po' come quel ragazzo i cui occhi verdi continuano a starmi addosso e bruciare. Un po' come tutto qui a dire la verità.

Mi siedo su una panca una volta uscito dal mercato con i miei acquisti stretti al petto, respirando affannosamente. Mi sento agitato.

Da quello che ho fatto. Da quello sguardo.

Tiro su le gambe e me le stringo al petto nascondendo il viso tra le ginocchia con un tremito. Aspetto lì fino a che Alicia non esce, credo sia passata un'ora, forse qualcosa di più. Si siede al mio fianco e posa la fronte sulla mia schiena, risvegliandomi da quella specie di torpore inquieto in cui ero caduto. Alzo lentamente la testa in modo da non farle male o costringerla a fare movimenti bruschi e lei mi guarda tacendo una domanda. Io mi limito ad alzarmi ed a porgergli la mano, stringendola nella mia.

“Andiamo a cena Alicia. I posti migliori saranno già andati” sussurro.

Si accorge che tutto non va ma non ne fa parola. Si alza e mi prende la mano avviandosi con me verso la mensa in silenzio dove ci sediamo in un tavolo in disparte, guardando gli altri mangiare con cura quello che la nostra dieta super equilibrata offre stasera,

E mi chiedo se, in questo preciso e perfetto sistema non ci sia qualcosa di profondamente sbagliato.


N.d.A.
Vorrei ringraziare chiunque abbia recensito, letto, seguito, preferito, ricordato, eccettera.
Se siete arrivati fin qui, grazie.
Nel prossimo capitolo si entrerà un po' più nel vivo della storia, questo lo considererei più come una sorta di capitolo introduttivo.
Ed ora non mi resta che ringraziare Frank Iero. Che con Joyriding mi ha fatto ridere fino alle lacrime.
Un giorno ti acchiappo nanetto.
Un bacione,
My Vanya

  
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