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Autore: Layla    16/09/2013    1 recensioni
"Jack impallidisce e mi lascia da sola, tanto lo becco a letteratura inglese dopo.
“Sei veramente poco sensibile, DeLonge.”
La teppista della scuola – Maria Gonzalez, detta Ginger– mi rivolge di nuovo la parola.
“Scusa?
“Ho detto che sei poco sensibile, DeLonge.”
“Perché Gonzales?”
“Perché non vedi un ragazzo meraviglioso, anche se ce l’hai sotto il naso.”

Ava DeLonge/Jack Hoppus
Genere: Avventura, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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5)Vancouver.

 

Passiamo Burnaby senza problemi e finalmente arriviamo a Vancouver.
La città si stende tranquilla, coperta da un manto leggero di neve, io e Derek rabbrividiamo e poi guardiamo ancora la città.
“Ascolta faccio un paio di chiamate.”
Io annuisco, lui tura fuori il cellulare e compone un numero.
Parla in spagnolo, io capisco solo fino al punto in cui chiede un favore, poi iniziano a parlare così fitto che io sono tagliata fuori.
Lui gesticola ampiamente e urla, alla fine chiude la telefonata stizzito.
“Tutto bene?”
“Non  proprio, la gente ha la memoria corta in fatto di favori, però almeno i miei amici hanno detto di andare da loro.”
Io annuisco e lo seguo.
“Non te la stai cavando male per essere una che non vive sulla strada, hai un buono spirito di sopportazione.”
“Grazie, ma ho bruciato tutti i ponti, posso solo andare avanti.”
Lui tace e guarda avanti.
“Ok, allora andiamo. Dobbiamo farci la città a piedi, i soldi stanno scarseggiando e saranno ancora meno quando avrò pagato i miei cosiddetti amici.”
“Pensavi che l’avrebbero fatto gratis?”
“Ci speravo. Gli avevo fatto dei bei favori quando ero a Frisco, ma la memoria della gente è corta e i soldi sono un richiamo irresistibile.”
Percorriamo stradine secondarie e poco pulite dagli spazzaneve, quasi deserte. Incontriamo solo senza tetto, ragazzi dagli occhi a spillo e ragazzini che hanno saltato scuola.
Più o meno alle due Derek si ferma davanti a un palazzo fatiscente, un volta doveva essere stata una casa popolare, magari anche carina, ora invece è solo un mezzo rudere.
Derek suona il campanello ed entra nel portone aperto, dentro ci sono delle scale, un ascensore che sembra guasto da secoli, l’intonaco cade dalle pareti e ci sono murales un po’ ovunque.
Io e lui saliamo al secondo piano e Derek suona il campanello, ne esce un messicano dalla faccia truce, con un cappellino della New York.
“Fuentes.”
Con inchino della testa saluta Derek.
“Ramirez.”
Derek fa lo stesso.
“Hai una ragazza.”
Constata Fuentes.
“Sì, si chiama Kate. Katie, lui è Juan Fuentes.”
Entriamo e un secondo uomo, con i capelli lunghi e la barba non fatta da parecchi giorni, è sdraiato su un divano macilento.
“Lui invece è Pierre Delvoix.”
L’uomo alza svogliatamente una mano.
“Pierre, alza il culo. Devi accompagnare questo ragazzino all’inceneritore.”
Pierre guarda Derek.
“Faresti meglio a venderla.”
“Non voglio più avere a che fare con delle pistole, amico.”
Il canadese scrolla le spalle e se ne va con Derek, lasciandomi con questo Fuentes che non mi piace per nulla. Mi guarda come se io fossi un ghiotto boccone.
“Ehm, posso bere qualcosa?”
Gli chiedo così, tanto per rompere il silenzio imbarazzante che si è creato. Credo che Derek abbia fatto un errore a lasciarmi con questo tipo. In ogni caso, lui mi indica una cucina sudicia.
“Prendi quello che vuoi, bellezza!”
Io me la filo in cucina e bevo un bicchiere d’acqua, ho una sorda sensazione di pericolo, come se quell’uomo emanasse brutte vibrazioni. Credo sia meglio stargli lontana.
Peccato che lui la pensi diversamente e mi raggiunga in cucina.
“Allora, Kate, quanti anni hai?”
“Diciotto.”
Rispondo cercando di mostrarmi sicura, in realtà ho una paura folle. Spero che quello che Derek e Pierre devono fare non li tenga lontano molto o qui finisce male per me.
“E così sei la ragazza di Derek. Ti piace?”
“Sì molto.”
Lui si avvicinò un altro po’.
“E non ti andrebbe di provare un vero uomo?”
Se per vero uomo intendeva un tizio a un passo dall’obesità con un’aria lasciva che si fingeva un gangster, no, non mi va.
“No. Derek va benissimo!”
Rispondo il più decisa possibile, ma le mie parole non sortiscono alcun effetto, lui continua ad avanzare con quella sua espressione da lupo e gli occhi pieni di desiderio.
Merda, sono nei guai!
In un attimo mi stringe i polsi nelle sue mani, pur essendo piccole e grassocce hanno una presa molto salda, io provo a mollargli qualche calcio, ma non riesco a beccarlo.
Prova a baciarmi, ma gli sputo in faccia, questo lo fa infuriare ancora di più, perché mi strappa i vestiti e comincia a  stringere e strizzare le mie povere tette.
Mi muovo ancora di più, lui mi tira un calcio e si butta come un affamato sui miei seni, io non riesco a respingerlo per via del dolore.
Mi sta togliendo i pantaloni con furia quando una mano lo allontana e sento il rumore di una zuffa, io mi lascio cadere  a terra e mi porto le mani sulle orecchie, mentre le lacrime scendono sul mio viso.
Sono salva, sono fottutamente salva!
Rimarrei così all’infinito se una mano gentile non mi tirasse in piedi: è Derek e ha i segni di una lotta in faccia.
È lui che mi ha salvata! Senza pensarci due volte gli butto le braccia al collo e lo abbraccio con tutta me stessa. Dietro di noi Pierre sta prendendo a pugni il suo compare urlando frasi in francese.
“Mi dispiace per quello che è successo.”
Ci dice finalmente.
“Non pensavo potesse fare una cosa del genere o l’avrei fatto venire con me. Scusami ancora Kate.”
Io non dico nulla e il francese non sembra molto sorpreso.
“Potete rimanere a cena e a dormire, domani dopo colazione ve ne andrete.”
“Avremo quello che ci serve?”
Pierre annuisce.
“Li faccio io questa notte per scusarmi dell’inconveniente a cui siete andati incontro.”
Derek annuisce e mi porta in salotto, mi fa sedere sul divano e mi abbraccia.
“Va tutto bene, lui non ti farà più del male.”
“Grazie.”
Rispondo con  una voce sottile che non sembra nemmeno la mia.
“Mi dispiace che lui ti abbia fatto del male, avrei dovuto portarlo con me e con Pierre.”
“Mi hai salvato, va bene così.”
Lui sospira.
“Devo ricordarmi che tu sei più fragile delle mie ragazze precedenti.”
“No.”
Rispondo decisa.
“Il coraggio non mi manca.”
Lui mi scompiglia.
“Ok.”
Alle sette mangiamo e il messicano mettono un canale che trasmette un telegiornale e mi si ghiaccia il sangue nelle vene.
“È ancora un mistero la scomparsa di Ava DeLonge.”
Recita la giornalista.
“La figlia maggiore del noto chitarrista Tom DeLonge, leader dei Blink -182 e degli Angles and Airwaves, sembra sparita nel nulla.
Sono due settimane che della ragazzina non si hanno notizie, in un primo momento si era pensato a un rapimento, ma  la famiglia non è stata ancora contattata da eventuali rapitori.
La polizia propende ora per un allontanamento volontario, il cellulare è stato trovato al confine con il Messico e Ava ha ritirato i soldi dal suo conto postale prima di sparire.
La famiglia spera non sia incappata in qualche maniaco e invita chiunque la veda a recarsi ad una stazione di polizia.
Questa è la foto di Ava.”
La giornalista mostra una foto, ora sono più magra e con i capelli biondi, non sembra quasi io con la faccina paffuta e i capelli blu. Forse ce la posso fare a passare inosservata.
I tizi che hanno guardato il servizio poi non hanno guardato me, solo Derek mi ha dato un’occhiata di soppiatto.
“Forza, ragazzi. Dopo aver mangiato come disperati non c’è niente meglio di un bagno e di una bella dormita.”
Derek è il primo a lavarsi, io guardo Pierre estrarre gli strumenti del mestiere, poi arriva il mio turno e mi godo la doccia.
Una volta lavati, Pierre ci mostra una stanza con un letto a una piazza e mezza.
“Buonanotte.”
Io e Derek ci spogliamo e ci mettiamo a letto, abbracciati come l’altra volta. Sto bene tra le sue braccia, mi sento protetta.
Dio solo sa quanto ho bisogno di protezione in questo periodo.
 

La mattina dopo, una mano poco caritatevole ci sveglia alle nove.
È Pierre e ha gli occhi cerchiati di nero.
“Il lavoro è fatto, mangiate qualcosa per colazione preparate i panini per dopo e andatevene.”
“Va bene.”
Ci laviamo, mangiamo e prepariamo dei panini, poi Pierre ci consegna una cosa e dà una pacca sulle spalle di Derek, a me invece tende una mano.
“Arrivederci e scusa ancora per Ramirez, ha molte buone conoscenze, ma è anche un’irrimediabile…”
Non dice nulla, ma capisco lo stesso.
“È ok, grazie per averci ospitati e per il resto.”
“Di niente e adesso andate.”
Li salutiamo e ce ne andiamo, Vancouver è ancora fredda e coperta di neve.
“Cosa facciamo adesso?”
Chiedo a Derek.
“Cosa ne pensi di Montreal?”
“Uh! La città dei Simple Plan! Comunque è ok, nessuno dovrebbe cercarci lì, solo che sarà molto difficile attraversare il Canada.”
“In qualche modo faremo e adesso andiamo alla stazione.”
“Va bene.”
Lo seguo lungo le vie che percorre, sembra conoscere questa città almeno un pochino, forse ci è già stato. Devo chiederglielo.
“Sei già stato qui?”
“Ci ho vissuto un paio d’anni da piccolo, per il lavoro di mio padre. Quando l’ha perso siamo tornati a Frisco.”
“Come mai dobbiamo andare in stazione?”
“Per vedere se c’è qualche treno merci che va verso Montreal.”
“Pensi di farcela in una tratta?”
“No, rischiamo di morire prima. Dovremo fare tutto a tappe.”
“Ho capito.”
Arriviamo in stazione e con lui mi intrufolo nella zona riservata alle merci, ascoltiamo per un po’ chiacchiere insulse e poi finalmente una notizia interessante: stasera alle dieci parte un convoglio per Calgary.
Io e Derek usciamo.
“Calgary è un buon posto, secondo la cartina, speriamo che facciano qualche pausa, almeno per pisciare.”
“Lo spero.”
Rabbrividisco all’idea di doverla tenere per giorni e giorni, non credo ce la farei e sarebbe poco dignitosa farsela sotto.
“Non fare quella faccia, sei una dura, ce la farai. Altra gente sarebbe crollata prima di te.”
“Ok, adesso cosa facciamo.”
“Gironzoliamo e poi non so. Dovremo trovare un modo per tirare le nove e mezza.”
Camminiamo silenziosi in una città coperta di neve tra una massa di persone dirette in luoghi diverse, qualcuno va al lavoro, qualcuno a scuola, qualcuno a riprendersi dopo la sbornia notturna.
Facciamo un giro nella città sotterranea e riusciamo a fregare due panini a un venditore ambulante senza che lui ci veda.
E questo è il nostro pranzo, consumato con calma su una panchina mentre guardiamo la gente che va avanti e indietro.
Che bello.
Sa quasi di normalità!
Sembriamo due ragazzini in pausa dalla scuola e non due giovani barboni in attesa di un treno che li porterà lontano.
Al pomeriggio andiamo in un grande parco e ci divertiamo come scemi sulle altalene e sui giochi, quando inizia a calare la sera e a fare freddo  ci rifugiamo in stazione e lì mangiamo uno dei panini che ci ha dato Pierre.
Le ore passano lente, alle nove e mezza con cautela ci dirigiamo verso la zona merci, vediamo il nostro treno e ci saliamo sopra approfittando della distrazione di uno degli operai.
Il posto è stipato di cose, ma siamo le uniche persone.
Meglio, non ho voglia di sentire i racconti altri vagabondi, ho un sonno terribile e non vedo l’ora che Derek tiri fuori le coperte.
Fa anche freddo, tra l’altro.
Rimaniamo in attesa fino a quando il treno inizia a muoversi e le voci degli operai e i loro passi spariscono. Solo allora Derek tira fuori le coperte e ci mettiamo a dormire. Siamo entrambi stanchi e non vediamo l’ora che finisca questa giornata.
Cadiamo in un sonno senza sogni che viene interrotto quando il treno si ferma in una stazioncina, io e Derek saltiamo giù per rubacchiare del cibo e per pisciare. Miracolosamente ci riusciamo e risaltiamo sul treno che riparte verso Calgary.
“Cavolo, ce l’abbiamo fatta.”
“Almeno siamo riusciti a pisciare!”
Dice allegro lui, poi tira fuori il sacchetto che ha preso: acqua, due brioche, un altro panino.
Mangiamo le brioches e beviamo l’acqua, fuori il passaggio scorre innevato, lo vediamo dalle lame del legno che riveste il vagone.
“Ti piace la neve?”
Gli chiedo.
“Abbastanza, ma ho il sospetto che presto la odierò.”
Io rido.
“Forse finirò per odiarla anche io, ma per ora mi piace.
Ci facciamo una partita a carte?”
Io annuisco e lui tira fuori un mazzo di carte, fino a mezzogiorno giochiamo a scala quaranta, vorrei giocare a poker, ma nessuno me lo ha insegnato e Derek non me lo vuole insegnare.
Dice che giocare a scala quaranta gli ricorda sua nonna ed è un bel ricordo.
Va bene.
A mezzogiorno mangiamo i panini che ci ha dato Pierre e poi ci stendiamo, dalle lame entrano gli spifferi d’aria fredda e qualche fiocco di neve. In effetti fuori ha ripreso a nevicare, che palle.
“Che freddo!”
Esclamo sottovoce, lui mi sente e tira fuori una coperta in cui mi avvolge.
“Ma non rimanere lì, vieni qui!”
Apro le braccia e lui mi raggiunge.
“Quando quello stronzo di Ramirez ti stava per…. Volevo ucciderlo.”
Io rabbrividisco.
“Grazie per avermi salvato. Posso chiederti una cosa?”
Divento immediatamente rossa.
“Ma io ti piaccio?”
Lui rimane in silenzio per un po’.
“Sì, un po’ sì e non so se sia un bene per te.”
Io non dico nulla, è la prima volta che mi succede qualcosa del genere.
“Derek… Ti voglio bene.”
“Anche io e adesso lasciamo che questo viaggio verso l’ignoto prosegua.”
“Non è un viaggio verso l’ignoto. Non tutti quelli che viaggiano sono persi, ricordatelo.
Noi sappiamo dove vogliamo andare e perché ci vogliamo andare.”
Lui sorride.
“Hai ragione, noi dobbiamo andare a Montreal e iniziare una nuova vita, dimenticando il nostro passato.”
Ci sorridiamo e poi guardiamo il paesaggio innevato che ci  scorre davanti dalle aperture delle sbarre, in qualche modo ce la faremo.

 
Il viaggio trascorre tranquillamente fino a Calgary – c’è qualche sosta di mezzo e ne approfittiamo per pisciare e recuperare del cibo – e lì scendiamo dal treno senza farci vedere.
Arriviamo in stazione e lì troviamo un gruppo di barboni.
“Quando passa il prossimo treno per Montreal?”
Derek lo chiede a una donna che avrà sessant’anni circa.
“Ne passa uno per Regina tra due giorni. Avreste fatto meglio a rimanere su quello in cui stavate, sareste arrivati a Regina.”
Derek scuote la testa.
“Troveremo qualcosa da fare.”
Il sole sta per tramontare e fa freddo, io e il mio amico andiamo alla ricerca della mensa per i poveri, ammesso che qui ce ne sia una.
Dopo mezz’ora la troviamo e ci mettiamo in coda con gli altri senzatetto, che chiacchierano allegramente, nonostante il vedo gelido che ci taglia la faccia.
Il cibo è stranamente buono e dentro fa caldo, i volontari sono gentili e ci trattano da esseri umani, il che è strano. In America i barboni sono scansati come se avessero la peste e non credo che nelle mense la gente sia gentile.
Mangiamo in abbondanza e poi dobbiamo cercare un posto per dormire, dobbiamo tornare in stazione che ora è diventato un brutto posto. Ci sono barboni, spacciatori e drogati, io stringo istintivamente la mano di Derek e lui sorride impercettibilmente.
Qualcuno ci chiama, sono degli ubriachi, noi facciamo finta di non sentire, io inizio ad avere paura, l’unica cosa che ha il potere di calmarmi è la stretta di Derek.
Ci inoltriamo dentro la stazione, che passa dall’essere eccessivamente illuminata della sala d’attesa, al buio dei binari.
Io e lui ne attraversiamo un po’ prima di arrivare in una zona abbandonata, Derek tira fuori una pila e illumina un paesaggio desolato fatto di vecchi binari con traversine che mancano, ferro e vecchi vagoni che non trasporteranno più nessuno.
“Andiamo in uno di quelli e passeremo la notte lì. Non credo che ci disturberanno lì.”
“Ne sei sicuro?”
Chiedo con una voce così tremula che non sembra nemmeno la mia.
“Sì. E se arrivasse qualcuno ci penso io.”
“Inizio a pensare che avresti dovuto tenere quella pistola.”
Lui ride nervosamente, mentre forza la porta per poter entrare, non credo sia l’unico a essere nervoso per la situazione e si sforza di rimanere calmo per me.
Che amore.
Adoro questo ragazzo!
Forzata la porta entriamo , lui tenda di richiuderla in qualche modo, per non fare entrare il freddo o qualcosa di peggio.
Alla luce della pila estrae le coperte e cerchiamo di sistemarci sui sedili, anche questa volta abbracciati.
Chissà se Jack avrebbe fatto tutto questo per me?
Chissà se lo sta facendo con Ginger.
Ginger.
E io che pensavo fosse quasi un’amica!
Vatti a fidare degli amici, l’unica persona che sta facendo di tutto per farmi stare bene, per quanto in brutte condizione è uno che nemmeno conoscevo e che forse troverebbe più conveniente consegnarmi alla polizia.
Derek invece non solo non lo ha fatto, ma mi sta proteggendo come meglio può e senza di lui sarei stata persa e forse chissà morta.
Devo ringraziare qualsiasi cosa ci sua lassù per aver mandato lui sulla mia strada.
Questi sono i pensieri che mi vorticano in testa prima di cadere in un sonno senza sogni né incubi: un sonno che serve solo a far riposare il corpo.

Angolo di Layla

Ringrazio ElaEla e _staywithme_ .

   
 
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