Storie originali > Fantasy
Ricorda la storia  |       
Autore: Mannu    21/03/2008    2 recensioni
L'onta del pesante bracciale metallico degli schiavi infanga il nome di un onesto mercante. Una giovane, mite donna con una forza insospettabile cambia il suo futuro. Mercenari in viaggio in cerca di avventura cavalcano ignari del pericolo. Molte strade si intrecciano tra loro e sullo sfondo una terra oppressa dal Tiranno.
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
- Questa storia fa parte della serie 'I libri della grande Taliba'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Libro Quinto - Il Bracciale 1
1.

Nella piazza d’armi all’interno del grande accampamento militare, voluto da Dorgan Jathro per addestrare l’esercito che avrebbe dovuto sfidare le nere orde di Dokh’iel, erano stati radunati tutti gli schiavi. I lavori di costruzione dell’accampamento, destinati a trasformarlo in un vero e proprio fortino adatto a ospitare un’intera guarnigione permanente, erano stati sospesi per quell’occasione. Sotto un grigio e immobile cielo invernale un iroso centurione camminava tra le file degli schiavi, sporchi e consumati dai lavori forzati, brandendo un grosso anello di metallo dal quale pendevano chiavi di diverse fogge. Ogni volta che si fermava davanti a uno dei poveretti lì allineati, questi gli porgeva immediatamente il braccio sinistro, cinto dall’inconfondibile bracciale di metallo scuro. Il centurione, avvolto nella sua corazza e in irsute pellicce per difendersi dal freddo, provava una determinata chiave infilandola nella serratura del bracciale. La chiave non azionava mai la serratura e a volte non entrava nemmeno. Quando anche l’ultimo bracciale fu provato, gridando minacce e maledizioni il centurione dell’esercito del Tiranno si sfogò scagliando con tutta la sua forza la chiave inutile contro il cielo indifferente. La chiave volò alta roteando, emise un debole bagliore riflesso e scomparve dietro l’alto muro di cinta che in quel punto del perimetro era ormai completato.

Lerea versò un altro calice di vino al truffatore, un mercante che vendeva chiavi false o spaiate, chiavi cioè smarrite e quindi separate dal legittimo bracciale. L’uomo era ormai ubriaco e Lerea era sempre più preoccupata: com’era possibile che quell’uomo panciuto e grasso potesse resistere tanto a lungo al vino drogato da lei stessa preparato?
- Basta bere, donna! – disse il mercante colpendo col dorso della propria mano quella di Lerea che gli tendeva il boccale di coccio colmo. Questo volò attraverso la stanza e si infranse al suolo, in un punto del pavimento dove non c’erano tappeti.
Lerea si ritrasse spaventata, improvvisamente colpita dall’evidenza dei fatti. Quel grasso maiale con fattezze umane doveva essere immune alla droga che lei aveva usato per non essere ancora crollato addormentato e avere perfino la forza e la lucidità di compiere quel gesto.
Il mercante strinse ancor di più gli occhi finché le pupille lucide parvero sparire inghiottite dalle pieghe di grasso che erano le sue palpebre. Il viso gonfio e arrossato si deformò in un grottesco sorriso che mise in evidenza i denti piccoli, ingialliti e distanziati tra di loro. L’alito puzzolente investì in pieno Lerea, acido come se le squisite vivande e il vino con cui si era ingozzato fino a quel momento si fossero trasformati all’interno di quel ripugnante corpo nelle più immonde sozzerie.
- È ora di mantenere la parola… - aggiunse soffiando ancora alito fetido dal fondo della gola.
Lerea istintivamente si ritrasse: il mercante si stava protendendo verso di lei, tentando goffamente di sollevare la propria mole dai cuscini in cui era sprofondato. Ricordava benissimo a cosa aveva alluso per attirare le attenzioni del mercante, certa però che il vino drogato l’avrebbe salvata. L’uomo, alterato dal vino, prese questo atteggiamento come un gioco e la smorfia simile a un sorriso si estese ancor di più, accompagnata da un rauco soffiare che doveva essere una risata. Con inattesa velocità egli si mosse in avanti stando sulle ginocchia, e protese le braccia in avanti per afferrare Lerea.
Questa con un gridolino si sottrasse, agevolata dall’aver bevuto molto meno vino. Il mercante cadde carponi, divertito.
- Vieni qua, bellezza… - biascicò cercando di mettersi in piedi, visto che anche Lerea si era alzata dai cuscini che occupava.
Con grande stupore della ragazza, che si aspettava di vederlo crollare da un momento all’altro, il mercante di chiavi fu in piedi, sebbene barcollante. Mosse incerto verso di lei, mani in avanti. Lerea si sottrasse ancora e l’uomo nel tentativo di cambiare direzione inciampò e cadde carponi, ridendo e gorgogliando. Alzò il viso gonfio e lucido di sudore verso Lerea e le sorrise ancora in modo disgustoso, sbavando.
- Vuoi giocare, eh…? – biascicò ancora.
Lerea si sforzò di sorridere, cercando di apparire credibile nella sua finzione. Quell’uomo le faceva schifo e la semplice idea che potesse avvicinarsi troppo le provocava ribrezzo.
Gattonando il mercante di chiavi la inseguì: Lerea lo schivò facilmente tutte le volte, fingendosi divertita da quella specie di gioco che aveva suo malgrado inscenato. Anche il mercante pareva divertirsi, così Lerea cercò di pensare a un altro metodo per raggiungere il suo scopo.
D’un tratto, distratta dai suoi pensieri o forse confusa dal vino, fu tradita da un suo stesso sandalo abbandonato durante il banchetto: il momento di incertezza che ebbe fu sufficiente al laido mercante per raggiungerla con uno scatto e afferrarle una caviglia. Lerea emise un grido di sorpresa: con forza e prontezza inattese il mercante aveva preso a tirarla a sé e poté rendere più salda la presa afferrandole anche il ginocchio, costringendola quindi a terra. Tentò di divincolarsi, ma fu bloccata dalla massa del corpo del mercante, pesante come un bue. Questi ebbe tutto il tempo di sedersi sulle gambe di lei, incurante degli sforzi frenetici che faceva per liberarsi, rendendole impossibile la fuga. Ghignando soddisfatto, il mercante cominciò a toglierle l’abito con le sue mani rozze e grasse, ora rese tremanti e imprecise dal vino drogato.
Non riuscendo infatti a slacciare legacci e allentare le asole o sbottonare i bottoni, il mercante tirò i lembi dell’abito di Lerea fino a strapparlo, denudandola. Inutilmente lei aveva tentato di impedire a lui di metterle le mani addosso: il mercante aveva reagito in malo modo facendole del male e rischiando di romperle un braccio.
Ora l’uomo stava togliendosi i propri vestiti: quando si fu liberato della casacca Lerea, ormai prossima al pianto, vide riaccendersi fulgida la speranza. Dal collo unto e lucido del grasso mercante pendeva una catenina alla quale era legata una piccola chiave lunga quanto un dito mignolo. Era senz’altro la chiave che lei cercava! La guardò penzolare sui seni flaccidi e pelosi dell’uomo, tanto grasso da avere il ventre così oscenamente gonfio e il petto così molle che le due parti venivano a contatto, tra molte pieghe della pelle gocciolante sudore puzzolente.
Lerea vide l’espressione sul viso del mercante cambiare: la bocca si era rimpicciolita fino a sembrare una piccola piaga aperta, mentre le palpebre parevano essersi saldate imprigionando i bulbi oculari sotto il grasso. Il naso rosso e schiacciato colava e il mercante di chiavi respirava rumorosamente attraverso la bocca, come se fosse asmatico e avesse la gola occlusa. Non potendo togliersi i pantaloni poiché si era seduto sulle gambe di Lerea, frugò faticosamente sotto la pancia enorme stentando a farsi obbedire dalle sue stesse mani. Frugò sotto il ricco tessuto, tra le cosce che lo tendevano ed estrasse una debole erezione. Lerea riconobbe gli effetti del vino drogato, ma riprese a dibattersi furiosamente per liberarsi temendo che il mercante non avesse bevuto abbastanza. Con molta fatica l’uomo le afferrò anche le braccia e le imprigionò col suo stesso peso, sovrastandola completamente. Lerea, costretta all’immobilità, gelida come il ghiaccio resistette alla nausea provocata dal puzzo dell’uomo e dal contatto tra la sua pelle e quella umida e viscida dell’altro. Il mercante di chiavi si abbandonò sul corpo della giovane e accennando all’uso del membro floscio, finalmente crollò addormentato per la massiccia quantità di droga bevuta col vino.
Sentendo che quel laido corpo che l’opprimeva aveva cessato di scuotersi, Lerea non senza fatica se ne liberò. Schifata dal contatto con quel mostro obeso desiderava lavarsi, ma non si dimenticò del motivo per cui si trovava lì. Chinatasi sul corpo del mercante, che respirava rantolando, mentre con una mano tratteneva il vestito lacerato sul proprio corpo con l’altra strappò decisa la catenella con la chiave, ignorando la piccola stilla di sangue che la catenella dorata fece in tempo far sgorgare dalla lardosa pelle del collo del mercante di chiavi.
Corse poi nell’altra stanza dove aveva visto il piccolo forziere e con quella chiave l’aprì. Esattamente come Gambrath le aveva detto, l’avaro mercante teneva lì buona parte della sua fortuna: molte monete, pezzi d’oro e d’argento, carte scritte fittamente e pergamene sigillate con ceralacca rossa recante impressi marchi e sigilli a lei sconosciuti. Sul fondo dello scrigno, avvolte e nascoste in un panno nero, Lerea trovò le chiavi spaiate. Il viso le si illuminò di gioia: la sua sofferenza non era stata vana e con tutta probabilità anche quella di Gambrath stava per avere termine. Ora doveva solo andarsene al più presto.
Cercò di sistemarsi al meglio l’abito, ma il mercante l’aveva strappato così in malo modo che non era più possibile indossarlo senza averlo prima ricucito. Così Lerea tornò nella piccola sala del banchetto dove il mercante narcotizzato ancora gorgogliava orribilmente e aprì il grande baule contenente gli abiti che lui stesso le aveva mostrato in precedenza, vantandosi di possedere tessuti degni di apparire alla corte del Tiranno. Lerea vi frugò fino a svuotarlo completamente, ma nulla di modesto era contenuto in quel gran baule di legno e ferro. Non volendo destare l’attenzione, Lerea avrebbe desiderato un abito modesto, ma pareva che il mercante avesse a disposizione unicamente tanti pizzi e trine che avrebbe potuto vestire dame e cicisbei in quantità.
Dopo aver riflettuto, resa inquieta dal brutto rumore del respiro del laido mercante, il cui ventre pareva una ondeggiante collina di grasso ora che giaceva supino, Lerea prese una decisione. Strappatasi nervosamente di dosso ciò che rimaneva del proprio, ormai inservibile, indossò il più bell’abito che le riuscì di trovare, con molte sottogonne immacolate, ornato di ricchissimi ricami e moltissimi pizzi e merletti. Temendo che il mercante potesse svegliarsi in anticipo, rinunciò ad allacciarlo completamente e a indossare il busto; le pareva eccessivamente stretto nonostante si rendesse conto che un tale abbigliamento lo rendeva indispensabile. Calzò poi i sandali e, tolta dal letto del mercante la più umile delle coperte, con il coltello con cui l’uomo aveva servito il cibo praticò un’apertura nel centro di questa. Ciò fatto, vi infilò la testa e l’indossò a mo’ di mantello. La modesta e scura coperta era però troppo grande: con l’aiuto del coltello la ragazza la strappò e l’accorciò. Quando ebbe finito, dello splendido abito che indossava non appariva nulla. Infilatasi tra i seni il panno arrotolato contenente le chiavi, Lerea si impossessò di tutte le monete che poté nascondersi addosso e, favorita dalle tenebre calate da parecchio ormai, uscì dalla dimora del grasso mercante. Avvolta nel cupo mantello si allontanò rapidamente.
   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Mannu