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Autore: Lelusc    17/09/2013    2 recensioni
1940, Susan aiuta il padre l'ospedale e ha un paziente difficile e pauroso,cosa scoprirà di lui che farà?
TRATTO DALLA STORIA: “si avvicini”mi disse all'improvviso con una voce uscita dal profondo del suo corpo, voce trattenuta da molti giorni, strana, lieve e secca in un qualche modo, nata da una gola disidratata.
Genere: Drammatico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tutto successe nel 1940, io ero una ragazza di diciotto anni, mio padre era un famoso medico e mia madre una ballerina, che purtroppo spirò per una malattia incurabile ai quei tempi. Lei da quando ero piccola m’insegnava danza, infatti, ero bravissima, ma quando morì, smisi e cominciai ad aiutare mio padre all’ospedale, ed è lì che cominciò tutto.

“Susan”
“padre, sembrate stanco, potreste prendere una pausa”
“i malati non posso attendere mia cara”dice mio padre serio posandomi dolcemente una mano sul capo, gesto che faceva fin da quando ero piccola.
“naturalmente padre, scusate il mio pensiero meditato senza un’adeguata riflessione”.

“Oh no tesoro, ti ringrazio del pensiero”disse prima di entrare nella stanza dove io ero appena uscita per sistemare tutto per un’imminente operazione che sarebbe durata quattro ore. Guardai la porta, ero veramente in pensiero per mio padre, ma nonostante tutto andai a fare il mio dovere giornaliero.
Guardai la cartellina che avevo in mano con scritti i nomi e i numeri di camera dei pazienti che mi erano stati assegnati e m’incamminai lungo il corridoio austero e spoglio. L’ospedale è molto grande e professionale, per questo ha molti malati. Guardavo ogni stanza mentre passavo, perché numerata.

Nonostante mi fossi presa la briga di aiutare mio padre da tre mesi, ancora non ricordavo bene ogni stanza da andarci spontaneamente senza pensare.
Mi fermai davanti alla porta bianca della stanza 113, l’uomo al suo interno aveva almeno ventisette anni e mi metteva i brividi,era vivo,ma immobile, come se fosse morto,la sua malattia lo costringeva a letto in una stanza completamente buia,di fatti se qualsiasi persona lo esponesse hai raggi solari egli brucerebbe molto facilmente,è fotosensibile ai raggi UV e la sua carnagione pallida o meglio candida, impressiona, come il fatto che sia scheletrico perché rifiuta ogni cibo che gli viene dato.

Aprii la porta solo qual poco che bastava per entrare senza far filtrare la luce del corridoio, non sapevo se gli avrebbe fatto male o ferito ed era meglio non rischiare, invece gli altri dottori e infermieri non erano prudenti o gentili come mio padre e la sottoscritta.

La stanza era buia, solo un lampione fuori creava la penombra. Penombra giusta per non dare fastidio al malato. Mi guardai intorno, sul semplice tavolino basso accanto al letto, come sempre, c’era il suo pranzo perfettamente integro. Lui stava a letto sdraiato. I suoi capelli dovevano essere scuri visto che nel buio non si vedevano bene, se non una macchia scura. Vorrei tanto vedere il suo viso almeno per una volta, ritornai a pensare guardandolo, il pensiero mi veniva sempre, ogni volta che entravo, ma era solo pura e semplice curiosità, perché la paura non mi avrebbe mai permesso di vederlo.

“Signore, sono venuta per visitarvi”dissi ferma davanti al letto del paziente senza nome, anche perchè da quando è entrato in questa stanza non ha mai parlato. Si mosse impercettibilmente, di tanto intanto lo faceva, anche se mai con gli altri miei colleghi, solo con me e la cosa non so se mi dovesse onorare o spaventare.
“come procedere?”mi chiesi con un sussurro.
“si avvicini”mi disse all’improvviso con una voce uscita dal profondo del suo corpo, voce trattenuta da molti giorni, strana, lieve e secca in un qualche modo, nata da una gola disidratata. Lasciai cadere la sua cartella clinica a terra per la sorpresa, ma mi piegai subito a raccoglierla.

“Si mi dica, cosa posso fare per lei?”Chiesi felice anche se un po’ irrequieta e spaventata, non aveva mai parlato con nessuno e invece con me sì, era come se mi avesse scelta fra tanti.
Mi avvicinai al suo letto e rimasi li ferma in attesa. Vidi il lenzuolo muoversi e mi agitai. Una mano pallida e ossuta ne sbucò da sotto e si tese verso di me. Insicura allungai la mia e prima di prendergliela la scostai un pochino, era normale che i pazienti volessero un contato con chi li cura, credo anche sia fondamentale.

Me la teneva saldamente, ma non forte da farmi male, sentivo ogni suo osso, ma stranamente non mi fece impressione.
“Si sieda sulla sedia dietro di lei per favore”lo feci e mi misi a gambe chiuse da brava signorina e poggiai la cartella clinica su di esse.
Lo vidi tentare di alzarsi e subito mi alzai per dargli una mano.
“No, signorina Thein si metta pure seduta, ce la faccio” dice con quella voce graffiante che al solo udirla mi dava l’idea che gli graffasse la gola e che avesse difficoltà a parlare,ma non a ragionare e pensare o articolare frasi di senso compiuto. Mi sedetti di nuovo a disagio.
“mi voleva dire qualcosa?”Chiesi e forse la mia voce sembrò tremante.

Non rispose e nella stanza calò un teso e intenso silenzio, sembrava che non respirasse nemmeno.
“no, volevo solo sapere com’è fuori, io non posso più starci”.
“Ma certo, da dove potrei cominciare?”Chiesi di nuovo a mio agio “a si!”
Ieri dopo il lavoro in ospedale sono uscita ed essendo primavera ho visto un immenso prato pieno di fiori colorati e di vario genere.

Così ogni giorno quando andavo da lui per fargli delle visite sempre con risultati strani gli raccontavo qualcosa e piano piano cominciai anche a fargli delle confessioni e domande, stranamente io e quell’uomo eravamo diventati come amici e un giorno cominciai a sentire qualcosa si diverso per lui.
“c’è un modo per poterti vedere anche fuori dalle ore di visita?” Mi chiese cogliendomi di sorpresa.
“non credo sia possibile”dissi guardando a terra.
“perché?”
“Perché altrimenti non saprei più cosa dirvi se vengo più spesso, sa, penso sempre a qualcosa da dirvi ogni giorno, ma se venissi più spesso, non saprei più che dirvi”.

Si mise a ridere per la prima volta, mi sorprese e nonostante fosse una risata strana, intuii che prima era meravigliosa, gentile e dolce e soprattutto così vera da poterla afferrare con due mani, come se fosse una persona.

“Susan questa mi sembra una scusa”. Sì, gli dissi anche il mio nome, ma io non sapevo il suo, quando glielo chiesi mi rispose misterioso e con tono secco, quasi irritato,tanto che mi rammaricai di averglielo chiesto, mi rispose. “Come vuoi chiamarmi, io non ho più un nome né una vita, scegline uno tu e chiamami così a me andrà benissimo” disse. Che voleva dire, non lo capii.
  
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