Anime & Manga > Slam Dunk
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Autore: Princess Kurenai    17/09/2013    0 recensioni
La sua prima cotta adolescenziale? Poteva esordire con un: tutto è iniziato a causa di una pallonata.
Sicuramente quella sarebbe stata una storia divertente da raccontare ai suoi nipotini in futuro, ma in quel momento Misaki Kanno provava di tutto tranne che ilarità.
Perché solo un attimo prima stava andando verso la palestra di pallavolo e quello dopo era appoggiata al muro, con le mani premute sul volto che pulsava dolorosamente. Non sapeva esattamente che cosa le fosse successo, ma le faceva così male che non era neanche in grado di trattenere le lacrime mentre stringeva gli occhi in una chiara smorfia.
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Hanamichi Sakuragi, Hisashi Mitsui, Kaede Rukawa, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Secondo capitolo.
Non è betata e subirà sicuramente delle modifiche in giornata - o al massimo domani.
In questo capitolo iniziamo a conoscere un po' di più i personaggi ed il rapporto tra le gemelle e Misaki .w.
Poi ho provato a dare un accenno anche alla 'vita privata' di uno personaggio di Slam Dunk.
Spero vi piaccia :3

Baci Prì


Neanche a dirlo, Misaki aveva passato una notte terribile. Fortunatamente non aveva avuto nessun malore collegato alla botta - in quel caso sarebbe dovuta correre subito all'ospedale -, ma il dolore al naso non l'aveva fatta quasi dormire.
Infatti, quando la mattina si presentò davanti allo specchio con i capelli corti e neri che sembravano un nido di rondini, gli occhi appesantiti dalle occhiaie ed il naso ancora gonfio, si disse che neanche tutte le scorte del miglior fondotinta al mondo l'avrebbero salvata.
Sospirò quasi disperata poi, dopo essersi concessa un'abbondante colazione, si armò di tutto il suo talento e coraggio per poter dare il via alla sua opera di 'ristrutturazione': lavandosi, pettinandosi e dando fondo alle sue abilità di truccatrice.
Il risultato finale poteva essere definito passabile, e anche se il naso sembrava ancora più grande del normale, almeno non avrebbe affrontato il lunedì scolastico con le borse sotto gli occhi.
Cercò allora di sorridere alla sua immagine riflessa, scoprendo con sollievo che il dolore del giorno prima si era semplicemente trasformato in un pizzicante fastidio.
Rincuorata da quella scoperta diede la buona notizia a sua madre - che cercava inutilmente di far mangiare il suo fratellino.
« Meno male tesoro», rispose la donna, provando ancora ad imboccare il bambino - chiaramente più interessato a sentire la consistenza dell'omogeneizzato tra le dita, « mi raccomando: non fare troppi sforzi».
Misaki annuì prendendo la cartella.
« Non preoccuparti. Ci vediamo stasera», la salutò baciandole la guancia per poi rivolgersi al fratellino, « e tu vedi di fare il bravo bambino, Kotaro!»
Questo rispose con un gridolino e dopo avergli baciato la fronte - le guance erano sporche - lasciò l'abitazione andando velocemente verso il treno.
Si sentiva ancora un po' scombussolata - soprattutto per la notte passata quasi in bianco -, ma tutto sommato stava bene. Ciò che però la preoccupava era andare dall'infermiera come le era stato imposto.
Non che la donna fosse cattiva - era solo molto autoritaria e si prendeva cura degli studenti in modo esemplare - ma temeva che le impedisse di riprendere gli allenamenti. Certo, era per il suo bene ma mancava pochissimo all'inizio delle partite e non poteva mancare.
« Sempre persa nei tuoi pensieri, eh Misa-chan?»
Una voce familiare la fece quasi sussultare e tornare con i piedi per terra. Lanciò una rapida occhiata attorno a sé, rendendosi conto di essere ormai arrivata alla stazione e di trovarsi in compagnia delle due gemelle, come ogni mattina d'altro canto.
« Risa», mormorò accennando un sorriso, « avevi dubbi?», chiese.
« Certo che no», ribatté la gemella.
« Ti immaginavo peggio conciata, sai?», riprese Saori, prendendole il viso tra le mani per studiarle il naso con fare critico.
« Il fondotinta fa quasi dei miracoli», ridacchiò Misaki.
« Meno male! Non avrei sopportato l'idea di vederti sfregiata a vita!», esclamò Saori, abbracciandola con slancio ed assumendo un tono volutamente drammatico.
« Esageri!»
« Ovviamente», ghignò in risposta, spingendola poi verso la porta scorrevole del treno appena arrivato.
Quella era una scena che si ripeteva sin da quando Misaki aveva memoria. Le loro famiglie erano sempre state molto legate - le loro madri avevano frequentato la stessa università - ed era stato normale per Misaki, Risa e Saori crescere insieme.
Infatti prendevano quel treno da sempre. Le prime volte con i loro genitori poi, crescendo, avevano iniziato a viaggiare da sole.
Misaki ricordava ancora con un sorriso le avventure passate su quei vagoni e tra l'altro era proprio in quel treno che lei e le sue migliori amiche avevano scelto di diventare pallavoliste.
Erano delle bambine e non poteva non ricordare quanto fossero eccitante nel leggere le vicende di "Attacker YOU" e da lì, per seguire le orme di Yu Hazuki, avevano iniziato a giocare lasciando che fosse poi il tempo a far diventare quel capriccio infantile una passione.
« Misaki?», la richiamò Risa, notando lo sguardo perso dell'amica.
« Oh? Sì?»
« A che pensi di tanto interessante?», chiese Saori, sorridendo.
Erano davvero abituate ai suoi attimi di riflessione. Erano così nella norma che ormai non si arrabbiavano più.
« A quando... beh, abbiamo scelto il nostro sport», svelò sincera.
Le due scoppiarono a ridere, colpite a loro volta da quel ricordo.
« Io ero Yu!», esclamò Risa portando a galla quelle infantili memorie, « Mentre voi due Nami e Kaori!»
Anche Misaki ridacchiò - piano per non sentire troppo fastidio.
« Avevamo anche i nostri attacchi speciali!», aggiunse.
« Eravamo adorabilmente ridicole!», rincarò Saori, tenendosi la pancia a causa delle risate.
I primi tempi - tutte e tre ricordavano perfettamente quel periodo - erano talmente convinte di quello che facevano che avevano più volte fatto delle figuracce. Fortunatamente crescendo erano diventate molto più serie e non cercavano più di emulare le loro eroine.
Continuarono quindi a ricordare quel momenti d'infanzia per tutto il breve viaggio, e una volta giunte a destinazione si avviarono verso lo Shohoku.
Sin da subito, mentre iniziarono ad incrociare i vari studenti, Misaki sentì gli sguardi su di sé.
La voce si era ovviamente sparsa - sicuramente attraverso le bocche dei presenti all'allenamento del club di basket - e tutti le fissavano il naso con fare curioso mettendola non poco a disagio, cosa che fece andare su tutte le furie le sue amiche, specialmente Saori.
Tra le due gemelle era forse quella più affezionata a Misaki. Voleva molto bene a sua sorella - come solo una gemella può fare - ma Misaki era e sarebbe rimasta la sua migliore amica.
La proteggeva da tutto e da tutti, ed era sempre pronta ad alzare le mani in sua difesa. Anche Risa reagiva in quel modo - era il loro carattere -, ma Saori nei suoi gesti metteva un'immensa dose d'affetto. Misaki infatti pensava spesso a quanto fosse fortunata ad avere un'amica come lei.
« Che avete da guardare, bifolchi? Girate alla larga!», esclamò infatti, stringendosi al braccio dell'altra.
« Non avete mai visto un naso? Se volete vi aiuto io a vedere il vostro!», ribatté Risa, battendo un pugno nella mano.
« Ragazze non è necessario!», si lamentò Misaki, senza però riuscire a non sorridere. Erano adorabili, non sapeva come avrebbe fatto senza di loro.
« Odio quando gli altri ti guardano», borbottò Saori, lanciando delle occhiata truci a chi le circondava.
« Gelosona», ribatté Misaki, « ora però vado in infermeria, ci vediamo in classe?»
« Neanche per sogno, ti scortiamo fin lì», tagliò corto Risa, e nonostante le lamentele della sua amica, tutte e tre giunsero a destinazione.
Iniziò subito un vero e proprio interrogatorio quando la donna la prese in consegna - « Dolori? Nausea? Svenimenti?» - e dopo dieci minuti di torture ottenne il tanto desiderato permesso per partecipare all'allenamento, che tuttavia doveva essere leggero per i primi tempi.
Misaki, ovviamente, non la contraddisse: poteva allenarsi, non le importava il resto.
« Certo! Nessuno sforzo eccessivo per i primi giorni!», rispose entusiasta per poi unirsi di nuovo alle gemelle per prendere la strada della loro classe.
« Fantastico! Oggi ci si allena! E mi raccomando: non passare più vicino a quei cafoni del club di basket!», dichiarò Saori.
« Non sono cafoni…», borbottò Misaki, « si sono subito preoccupati per me e sono anche venuti a trovarmi per sincerarsi delle mie condizioni».
« E mi pare pure d’obbligo! Quel Sakuragi per poco non ti ammazzava!», insistette la gemella.
« Esagerata!»
Saori, in risposta, si esibì in una linguaccia che fece ridere le altre due.
« E comunque», riprese Misaki, « anche se fosse non sarei mai così sfortunata da prendere un’altra pallonata!», precisò notando poi davanti a sé il viso familiare di Ayako, la manager del club di basket.
La incontrava ogni mattina ma non avevano mai avuto modo di parlare, e dopo l’avventura del giorno prima entrambe non esitarono a salutarsi.
« Salve ragazze!», le salutò la manager avvicinandosi.
« Ayako, ciao!», rispose Misaki, accennando un sorriso mentre le due gemelle rispondevano con un caloroso: « Ehi!»
« Come va oggi?», chiese Ayako, scrutandole il naso.
« Molto meglio, grazie. Ho passato una notte infernale, ma non ho avuto altri malori. L’infermiera mi ha addirittura dato il permesso di allenarmi, non devo strafare ovviamente», spiegò sincera.
« Fantastico, anche i ragazzi saranno felici di saperlo»
« Ah sì?», saltò subito su Saori.
« Certo, erano preoccupati», assentì tranquillamente Ayako.
« Ringraziali», rispose Misaki arrossendo un poco mentre Saori sbuffava.
« Spero però per loro che stiano più attenti la prossima volta», aggiunse Risa.
« Dire ad Hanamichi di stare attento è complicato, è un principiante. Non sa ancora controllarsi», spiegò Ayako, « ma ormai sappiamo come tenerlo a bada, quello è stato un caso fortuito».
« Vorrà dire che starò lontana dalla palestra», ridacchiò Misaki.
« Ma no! Sei la benvenuta! Anzi, siete le benvenute. Inoltre manca poco all’inizio del campionato, il 19 ci scontriamo con il Miuradai e siete ovviamente invitate».
« Noi abbiamo la prima partita il 20», constatò Misaki guardando sia Saori che Risa alla ricerca di una conferma, « potremo farci un salto, no?»
Le due gemelle non risposero, stupite da quella proposta.
« Beh, a patto che anche tu faccia lo stesso», aggiunse poi con un piccolo sorriso che fece ridacchiare Ayako.
« Sarebbe fantastico!», esclamò, « Affare fatto!»
« Entrambe le squadre hanno bisogno di tutto il sostegno possibile», e Misaki lo pensava per davvero, soprattutto dopo la lunga chiacchierata con la manager il giorno prima.
I sogni di quei differenti gruppi di atleti erano gli stessi, inoltre si sentiva bene in compagnia di Ayako - aveva superato lo scoglio della diffidenza e poteva parlarle tranquillamente.
« Esatto», assentì l’altra ed anche se entrambe desideravano continuare a chiacchierare, la campanella le riportò alla realtà costringendole a salutarsi e ad entrare nelle loro classi.
« Hai intenzione di fraternizzare con quegli scimmioni?», la interrogò subito Saori quando presero posto in attesa dell’insegnante.
Misaki sbatté gli occhi stupita.
« Ayako mi sembra simpatica», rispose innocentemente.
« Beh, andare alla loro partita però…», spiegò Risa, lanciando un’occhiata alla sorella che aveva in volto un broncio offeso.
« Non mi piacciono!», esclamò infatti.
« Non ti devono piacere, Saori! Siamo lì per Ayako e per sostenere la squadra come faranno che loro sicuramente!», si difese Misaki, « Abbiamo tutti lo stesso obiettivo».
« Vero ma… non innamorarti di quegli idioti, okay?»
Misaki non riuscì a non diventare rossa nel sentire quelle parole.
« Ma che d-dici, Saori?!»
« Dico solo che tutte vanno dietro a quel Rukawa! Non diventare un’oca come loro», tagliò corto la gemella, incrociando le braccia al petto.
« Non è male ma… non è il mio tipo», borbottò imbarazzata Misaki per poi alzarsi insieme a tutta la classe per accogliere l’ingresso dell’insegnante.
Alle volte proprio non riusciva a capire la sua migliore amica.
Sapeva quanto Saori fosse affezionata a lei e spesso scherzava sulla sua gelosia… tuttavia alcune volte le sembrava che gli scherzi della ragazza fossero intrisi di un fondo di verità e possessività.
Come se Saori fosse… innamorata di lei.
Misaki scosse prontamente la testa per allontanare quel pensiero e lanciare un’occhiata veloce alla sua amica, la stare seguiva la lezione con in volto ancora quello stesso broncio di poco prima.
Avrebbe voluto dire che era impossibile ma non ne era in grado. Quel dubbio si era insinuato in Misaki già da tempo, ma sfortunatamente era incapace di darsi una risposta concreta e poteva solo allontanare quel pensiero dicendosi che Saori, in quanto sua migliore amica, le avrebbe detto tutto… anche quella cosa.

 

Come promesso, Misaki cercò di non strafare durante l'allenamento, decidendo di partecipare solo al riscaldamento e ai fondamentali, premendo parte poi solo marginalmente ai vari schemi di gioco di attacco e difesa che l'allenatrice - Fumiko Fujiwara, nonché madre di Junko - faceva loro provare.
Avevano provato varie formazioni e passaggi e quasi tutti avevano dato dei buoni risultati, e anche se alcuni risultavano ancora un completo disastro, il morale della squadra al termine dell'allenamento si rivelò particolarmente alto... tuttavia il classico discorso dell'allenatrice le riportò con i piedi per terra.
« Alla fine di questa settimana ci scontreremo contro la squadra dell'istituto Ryugasaki», esordì la donna, facendo sedere sul pavimento le sue atlete, « è inutile dirvi che si tratta di un incontro ad eliminazione diretta e che pretendo il massimo da tutte voi»
« Certo Coach!», esclamò Risa divertita, « Le distruggeremo!»
Subito a quella sua affermazione si unì Saori con un urlo di battaglia che fece ridacchiare le altre.
« Non sottovalutate l'avversario», le riprese la donna.
« Non le stiamo sottovalutando», si difesero le gemelle che fungevano da trascinatrici.
« Sta di fatto che voglio vedervi serie senza prendere sotto gamba l'avversario, intesi?»
Le ragazze risposero affermativamente e vennero finalmente congedate.
Si concessero allora una veloce doccia poi, esauste ma soddisfatte, presero la strada per uscire dall'istituto.
« Siete state grandiose anche oggi», si complimentò Misaki camminando fianco a fianco alle gemelle.
« Avevi dei dubbi?», insinuò Risa.
« Beh, senza il mio supporto eravate perse», ribatté l'altra.
« Certo, come no. Credici!»
« Mi duole ammetterlo, ma Misa-chan ha ragione», rispose invece Saori afferrando il braccio dell'amica, « senza di te è diverso!»
Misaki arrossì, cercando di non ripensare ai dubbi che l'avevano colta quella mattina.
« Vero. Giocavamo meglio», ghignò Risa.
« Esattamente», esclamò Saori ridendo e Misaki, riprendendosi dall'imbarazzo, cercò di colpirla con la cartella - mancandola a causa dell'agilità dell'amica.
« Se vi prendo», le minacciò ridendo ed inseguendole, salvo poi bloccarsi quando notò le luci della palestra di basket accese.
Osservò le alte finestre illuminate e anche le gemelle, curiose, vi lanciarono un'occhiata.
« Si stanno ancora allenando?», domandò più che altro a se stessa la ragazza.
« Ma che ce ne importa?», ribatté Saori.
Misaki la guardò quasi pronta a proporre di andare a dare un'occhiata, anche se pensandoci bene era una cosa davvero stupida. Rinunciando a quell'idea cercò di sorridere.
« Torniamo a casa, dai», le incoraggiò lasciando alle sue spalle prima la palestra illuminata poi lo stesso istituto Shohoku.

 

Intanto, proprio dentro la palestra di basket, Hisashi Mitsui si stava allenando sotto canestro.
Era sudato ed anche parecchio stanco, ma soprattutto era anche un poco demoralizzato.
Anni prima avrebbe sostenuto quell'allenamento quasi senza alcuna fatica e quella stanchezza era soltanto il risultato del suo abbandono.
Doveva assolutamente riprendere le forze, recuperare in suo vecchio tono muscolare e l'agilità. Non poteva deludere il signor Anzai che era stato così generoso da accoglierlo di nuovo in squadra.
Gli doveva tutto e quello era l'unico modo che conosceva per ripagarlo folla fiducia che gli era stata concessa.
Riprese allora a palleggiare, provando una serie di tiri sotto canestro ed altri oltre la linea dei tre punti.
Aveva una buona media di realizzazione ma poteva ancora migliorarla, e con quei coraggiosi e speranzosi pensieri, continuò ad allearsi fino a tardi, arrendendosi solo quando le sue braccia iniziarono a rifiutare gli ordini.
Finì allora per trascinarsi fino agli spogliatoi dove si concesse una lunga e rilassante doccia prima di intraprendere la strada di casa.
Percorse il tragitto silenzioso e pensieroso, e una volta giunto a destinazione non si stupì di trovarsi davanti sua madre preoccupata per il suo ritardo.
« Hisashi...», pronunciò solo il suo nome senza aggiungere altro e Mitsui non poté non sentirsi in colpa.
L'aveva fatta soffrire tantissimo in quegli ultimi anni e lei, paziente, era sempre stata lì accanto a lui, pronta a medicarlo e a riscaldargli la cena anche contro il volere del marito - suo padre era molto duro con lui e credeva che le punizioni potessero farlo redimere.
Le sorrise togliendosi le scarpe.
« Perdonami, mi sono attardato in palestra ad allenarmi», le spiegò sincero.
A dirla tutta non si aspettava che sua madre ci credesse, ma aveva deciso di non mentirle più.
Doveva riconquistare la sua fiducia e ripagarla per tutta la pazienza che aveva dimostrato nei suoi confronti.
« Va bene», rispose la donna senza chiedere altro, fidandosi delle sue parole.
« Il papà?», domandò piano.
« Lavoro, non preoccuparti», lo rassicurò, facendogli poi strada verso la cucina, « ti riscaldo la zuppa», aggiunse.
Hisashi sorrise ancora e la seguì.
La fiducia che la donna riponeva in lui era sia dolorosa che piacevole e una parte di Mitsui desiderava davvero ringraziarla per tutto quello che stava facendo. Ma non sarebbe mai stato bravo con le parole, almeno non quando si trattava di aprire il suo cuore.
« Mamma?», la richiamò piano.
« Sì?»
La abbracciò senza dire altro, affondando il capo sui suoi capelli lisci e scuri, lasciando che fosse quel gesto a parlare per lui e a dire alla donna quanto le volesse bene.
« Ti voglio bene anch'io, piccolo mio», rispose lei, carezzandogli il capo con tenerezza, senza neanche tentare di nascondere il proprio sollievo.
Suo figlio era di nuovo lì, non lo aveva perso come aveva temuto in quegli ultimi tempi... e lei non aveva bisogno d'altro per essere davvero felice.

   
 
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