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Autore: Liz    22/03/2008    1 recensioni
Snowdrops: nel linguaggio dei fiori simboleggiano la vita e la speranza.
Angela ha 17 anni, i suoi genitori sono morti in un incidente d'auto due anni fa, i suoi compagni la maltrattano... Solo l'incontro con Seth riuscirà a darle una ragione per andare avanti. Ma riuscirà ad avere la forza per lasciarsi tutto alle spalle?
"Una famiglia… Una famiglia!"
Grazie a tutti!
Genere: Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Snowdrops'
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Capitolo 3 »scuola

Solo dopo una settimana Angela si rimise completamente: per tutto quel tempo non era stata in grado di essere autosufficiente, per cui era ancora ridotta a uno stato pietoso; però non ne poteva più di stare a letto senza far niente. Preferiva addirittura andare a scuola…

La verità è che per tutta la settimana non aveva fatto altro che pensare a lui.

Le sarebbe piaciuto ringraziarlo…

No, tutte scuse.

Voleva solo vederlo, voleva conoscerlo.

Perché si sentiva così?

Per lei, lui non era nessuno: era solo uno sconosciuto che l’aveva aiutata, mosso probabilmente solo da ipocrita pietà.

E allora perché sentiva proprio il bisogno di lui?

Rivederlo: anche solo da lontano, le sarebbe bastato.

Camminò verso scuola assorta da questi pensieri, senza badare nemmeno al freddo, troppo intenso per settembre, che penetrava attraverso la divisa estiva.

Entrò in classe decisa e senza preoccupazioni, ma si bloccò sulla porta, letteralmente congelata.

Tutti i suoi compagni si erano voltati al suo ingresso e la guardavano con sguardi raggelanti e carichi di odio.

- Strano – pensò - Di solito mi ignorano e basta.

Dopo un momento di smarrimento, Angela tornò in sè e andò verso il suo banco, in fondo alla classe e vicino alla finestra: il più isolato e il più bello.

Camminò insofferente tra quelle occhiatacce che la seguivano a ogni passo. Poggiò la borsa sul banco e notò sconvolta che era ricoperto di disegni e scritte oscene.

Sollevò lo sguardo attonita e si ritrovò davanti Susanna, minacciosa e sicura dell’appoggio di tutti.

- Con che coraggio osi ripresentarti qui?– la minacciò guardandola dall’alto del suo metro e ottanta.

- Semplice, non ho niente da temere- le rispose con aria di sfida.

- L’ultima lezione non ti è servita? Noi qui non ti vogliamo, ormai dovresti averlo capito…

- E ormai voi dovreste aver capito che vengo a scuola apposta per darvi fastidio.

Susanna fece una smorfia.

- Ma chi ti credi di essere?...

Angela sbuffò, riprese la borsa e uscì dalla classe mentre Susy continuava a urlarle insulti.

Non aveva la minima voglia di doversi sorbire la sua predica senza senso.

Al diavolo le lezioni.

Al diavolo lei e tutti gli altri.

Sto bene da sola.

Mentre attraversava il corridoio pensando a cosa fare di costruttivo in quella “bella” mattinata, le si presentarono davanti due ragazzine, probabilmente del primo anno.

- Scusa, tu sei Angela del terzo anno? – le chiese la ragazza più alta. Aveva un viso ancora molto infantile, ma dagli occhi nocciola traspariva maturità.

- Si, sono io. Cosa c’è?- chiese scontrosa.

Poverine, erano vittime innocenti del suo umore nero.

- E-ecco l’altro ieri… - incominciò l’altra ragazza intimidita dalla mia risposta – è passato dalla nostra scuola un ragazzo e ha chiesto di te… volevamo solo avvisarti di questo…

Angela restò in silenzio per qualche secondo.

Le due ragazzine, rosse in volto, si guardarono preoccupate: doveva avere un’espressione davvero orribile, tra la sorpresa e la delusione.

- C-che aspetto aveva questo ragazzo?- chiese ancora incredula.

La ragazzina più alta rispose che era un ragazzo alto, con i capelli e gli occhi neri, sui 18 anni… aggiunse che quando gli avevano detto che quel giorno lei era assente aveva fatto un’espressione annoiata ed era andato via senza dire niente.

- Era un tipo abbastanza strano, vero Dany?- chiese la ragazza più piccola all’amica, che non rispose ma continuò a guardare Angela.

- Grazie, siete state molto gentili ad avvisarmi- concluse in fretta Angela andandosene via velocemente.

Corse a perdifiato fuori dalla scuola, per la strada, fino a giungere alla fermata del bus.

Avrebbe voluto tirarsi addosso qualsiasi cosa, dalla panchina, alla pensilina, all’autobus.

Doveva sempre avere questa sfiga perenne. Saranno le prove della vita, quelle che ti rendono più forte? No, è semplicemente un’enorme, mastodontica sfortuna.

- Mi sono lasciata sfuggire l’occasione – disse tra sè e sè - e probabilmente non lo rivedrò mai più.

Ma, nonostante maledicesse se stessa e l’influenza con tutte le forze, non poteva fare a meno di essere anche felice, in un’angolino del suo cuore.

Pensò, con la stupidità che solo uno spirito adolescente può avere, che forse anche lui continuava a pensarla senza saperne il perché.

Salì sul bus e si sedette vicino a un finestrino.

Guardò scorrere veloce davanti ai suoi occhi la città ancora un po’ addormentata, con le sue piccole persone che corrono al lavoro, con i suoi fin troppi bar vuoti, con i suoi negozi ancora chiusi.

Angela cominciò a ridere.

Le persone presenti sul bus, perlopiù le solite vecchiette mattiniere, la guardarono come se fosse pazza.

Quel pensiero così infantile e ridicolo l’aveva svegliata.

Un’emozione che ormai non provava da troppo tempo si era impadronita del suo cuore, prendendo il posto della rabbia: felicità.

- Non uscirai così dalla mia vita. Ne sono sicura.

 

Capitolo 4»lavoro

Angela aprì la finestra della sua stanza per arieggiarla.

L’aria fredda di gennaio le sferzò in faccia, smuovendo leggermente i lunghi capelli castani.

Scese dal letto e si tolse la divisa scolastica, appoggiandola sulla sedia; prese dei vestiti a caso dall’armadio e si infilò veloce la gonna bianca a pieghe e il maglione nero e largo che la sorte aveva scelto.

Prese un biscotto in cucina e mentre chiudeva la porta di casa si infilò il giaccone pesante. Corse per la strada inutilmente: era già in ritardo di mezz’ora e la signora Hofer era di sicuro già arrabbiata nera.

Entrò nel locale facendo tintinnare rumorosamente il campanello appeso sopra la porta e andò veloce nello spogliatoio.

Mentre Angela frenetica si allacciava il grembiule bianco dietro la schiena, la signora Hofer entrò nella stanza e cominciò a urlare e rimproverarla. Era una donna sulla cinquantina, altissima e magrissima, i capelli sempre avvolti in uno chignon impeccabile. I suoi genitori erano di origine tedesca e da loro aveva ereditato la rigidezza, ma anche la passione per i dolci.

Nessuno avrebbe mai potuto dire che una donna del genere fosse una pasticcera.

Anche la pasticceria era di famiglia: era un locale elegante, con dei piccoli tavolini rotondi ricoperti da tovaglie di pizzo e piccoli vasi di fiori, le lampade di vetro appese alle pareti gialle emanavano una luce calda… il locale “Sacherbar” era un vero paradiso in inverno, nonostante il nome particolarmente banale. Angela vi lavorava come part-time da qualche mese e ormai aveva imparato il mestiere: sempre sorridenti, accondiscendenti e sottomesse al cliente e al capo.

Nonostante ciò, riusciva a sopportare. La pagavano molto e inoltre aveva tempo per studiare anche durante il proprio turno.

Dopo la sfuriata della signora Hofer, Angela si allacciò gli stivali della divisa e corse alla cassa.

Si guardò intorno: pomeriggio tranquillo.

C’erano due signore, sedute vicino alla stufa, occupate a spettegolare chissà su chi, un gruppetto di ragazze e ragazzi delle medie che ridevano e chiacchieravano rumorosamente e una ragazza sola vicino alla vetrata più grande.

Vide che quest’ultima non aveva ancora ordinato e andò da lei: mentre si avvicinava, notò che guardava per strada sconsolata… forse stava aspettando qualcuno.

- Buongiorno! Vuole ordinare qualcosa?- le chiese con tono cordiale.

Si girò e guardò Angela con due grandi occhi azzurri luccicanti: stava per piangere.

- No, grazie… voglio aspettare ancora un po’- Disse più a se stessa che ad Angela.

Tornò a guardare fuori dalla finestra.

Ad Angela parve strano che qualcuno le avesse dato buca: era una bella ragazza, occhi azzurri, capelli biondi a caschetto, indossava un cappotto rosso che le dava un’aria molto retrò… sembrava una bambolina.

- Va bene, ripasserò quando vorrà ordinare.

Angela tornò annoiata negli spogliatoi e prese i libri di scuola per studiare.

Si sedette alla cassa e cominciò a fare controvoglia alcuni esercizi di matematica. Quel giorno la professoressa aveva spiegato le funzioni inverse di goniometria: inutile dire che non aveva capito nulla.

Mentre studiava, vennero a pagare il conto i ragazzi delle medie, facendo chiasso per organizzare il pagamento alla romana, e il campanello suonò qualche volta: Angela non fece molto caso a questi avvenimenti, era troppo concentrata a ricordare formule impossibili.

- ANGELA!!

Scattò in piedi, spaventata.

- Angela! Ti pago per servire clienti, non per fare i tuoi cavoli!! Non vedi che quei due ragazzi non hanno ancora ordinato?!- le urlò la signora Hofer, indicando il tavolo in questione.

- Mi scusi signora, non… non mi ero accorta.

-Che non capiti mai più, Angela! Mi raccomando!- e se ne andò sbraitando qualcosa sull’ inettitudine dei giovani.

Angela si diresse verso il tavolo imprecando contro la signora Hofer e maledicendo il fatto di non poterla colpire col vassoio. Ma fu distratta da questi piacevoli pensieri perché notò che la ragazza bionda di prima era stata raggiunta da un ragazzo, seduto di spalle. Lei lo guardava sognante.

- Prego, volete ordinare?- esordì sorridendo.

- Si certo!- rispose raggiante la ragazza. Quando sorrideva era ancora più bella.

Curiosa, Angela sbirciò con la coda dell’occhio il ragazzo.

Due occhi neri ricambiarono curiosi il suo sguardo.

Il cuore le andò in gola ed ebbe un sussulto. La ragazza se ne accorse e la guardò strana.

Era lui.






Che la storia abbia inizio! XD I commenti sono sempre graditi ! ;)

by LisettaH

 

   
 
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