ljós (prologo)
Reykjavik non era quel tipo di città che si alzava, di mattina. Sembrava perennemente addormentata, come fosse congelata dalla brezza che soffiava dall'Atlantico sulle sue coste. Era una città che sembrava vivere e plasmare la sua esistenza giorno per giorno intorno a fulcri sempre diversi. E chi ci viveva era come trascinato con lei in questo vortice di estasi.Era una di quelle mattine in cui quando ti alzi la prima cosa che vedi è l'alito che condensa per il freddo, e la prima cosa che pensi è a bollire l'acqua per il tè.
La finestra era socchiusa, e dalle fenditure si intravedeva l'acqua semighiacciata del Tjörnin riflettere i raggi del primo sole invernale.
Ora, non so se hai presente il sole in un campo di fiori il venti di maggio.
Lei.
Aveva un modo tutto suo di stare seduta sul davanzale della nostra finestra. Era come se ci fosse delicatamente poggiata sopra. E sembrava un cristallo colpito dal primo raggio di un'alba invernale.
«Buongiorno», mi sussurrò frapponendo l'indice fra le due pagine aperte e chiudendo il libro che aveva in mano.
E un buon giorno lo era davvero.