Si rigirava
tra le lenzuola irrequieta. Era come se quel letto non fosse più il suo, anche
se l’aveva ospitata per dodici anni senza mai passare una notte completamente
insonne. Eppure ora lo sentiva scomodo, fastidioso, forse troppo morbido, chi lo
sa. Ma di una cosa era sicura: quella notte avrebbe chiuso occhio solo se fosse
svenuta…un po’ come le tre precedenti!
Quando
tornarono a casa ad aspettarli c’era un’arietta fresca che aveva sostituito
quasi completamente l’odore di chiuso e di sangue incrostato a cui ormai si
erano assuefatti. Tanto che poté notare la leggerezza dei polmoni nel respirare,
poteva sentire i tessuti rinvigorire e le vene dilatarsi per accogliere con
gioia l’ossigeno.
Cybil era
seduta al tavolo con un libro tra le mani. Era un giallo, uno dei romanzi di
Sherlock Holmes di Harry, poteva vedere anche il posto vacante sulla libreria.
Ma prima che Cheryl potesse dare in escandescenza per aver messo le mani tra i
libri del padre, Cybil sorrise e si alzò per accogliere e aiutare i due appena
entrati.
Mangiarono
a volte in silenzio, altre volte con Cybil che faceva domande a Douglas, per
sapere ora questo ora quel dettaglio della sua vita che credeva di aver
dimenticato. Si trovò a raccontare di tutto, il figlio, la rapina, il divorzio,
il trasferimento, arrivarono a parlare anche della scuola che aveva frequentato
da giovane. Si scoprì che i due avevano fatto l’addestramento base nello stesso
istituto, ma in reparti diversi; anche se non si erano mai incontrati di
persona, avevano molte conoscenze in comune…
In tutto
quel tempo Cheryl rimase silenziosa, con la testa sul piatto, mangiando tutto
senza dire una parola. Da un lato era estremamente stupita dalla bontà del
pasto, reso probabilmente ancor più prelibato dall’assenza prolungata di cibo di
qualità nei giorni precedenti. Dall’altro invece aveva capito che per quella
sera Cybil non avrebbe raccontato nient’altro di interessante per
lei.
Infatti
alla fine del pasto, con un gesto eloquente, si stiracchiò
sbadigliando.
Tsk. Aveva
sonno. Come si fa ad avere sonno in una situazione del genere?! E poi si è
praticamente autoinvitata a casa mia, e sta dormendo nel letto di mio padre che
ha rifatto mentre io neanche ero in casa. Che roba!
Difatti
Cybil era nella stanza di Harry, e aveva chiesto in prestito una maglia a Cheryl
per dormire. La ragazza acconsentì tacitamente, e si diresse all’armadio per
darle uno dei suoi pigiami. Douglas invece sembrò imbarazzato quando disse che
sarebbe andato via. Uscì di casa dicendo che sarebbe tornato a trovarle il
giorno dopo, e che per qualunque cosa potevano chiamare sul suo cellulare.
Lasciò il numero scritto sul comodino all’ingresso, dov’era anche il telefono, e
uscì lentamente sorridendo prima di richiudere la porta.
Con
nervosismo, Cheryl si girò nuovamente stropicciando ulteriormente le lenzuola
che la coprivano a malapena. Gli occhi si posarono sul comodino. La sveglia
digitale segnava le 3:19; era tardissimo, il giorno dopo non si sarebbe mai
alzata ad un orario decente!
Poi guardò
qualcos’altro. C’era un libriccino, buttato lì, vicino ad un bicchiere sporco di
polvere e calcare. Non lo toccava da tantissimo tempo, eppure le bastò uno
sguardo per ricordare il titolo e il punto in cui aveva abbandonato il
protagonista.
“Che
noia!”
Ancora una
volta fece scricchiolare il materasso, e ancora una volta tirò a sé il lenzuolo,
questa volta usando troppa foga, fino a scoprire un piede. Sotto le coperte era
praticamente nuda, vestita solo di una maglietta neanche troppo larga, che
lasciava completamente scoperte le gambe – il suo punto forte, si diceva sempre
– ecco perché si ostinava a coprirsi con quel pezzo di stoffa così
sottile.
Adesso
l’unica cosa che vedeva era il muro, nero per il buio. Si costrinse a tenere gli
occhi chiusi, e così restò fino a che non sentì una corrente fresca solleticarle
delicatamente il piede scoperto. Era quasi piacevole, anche se cominciava a
domandarsi da dove potesse arrivare quell’aria fresca. Non c’erano finestre
nella sua stanza, solo quella del bagno, ma la porta era
chiusa.
Schiuse
delicatamente gli occhi e riuscì a intravedere una spaccatura di luce provenire
dalla porta d’ingresso.
“Ma che
dia…”
Le ultime
parole furono soffocate da una mano…
Era nel suo
letto. Nonostante avesse cambiato le lenzuola in quella stanza ancora non andava
via l’odore di ferro ematico. Lì dentro il corpo era rimasto per troppo tempo, e
il materasso era impregnato. Ma oltre a quell’odore sgradevole ce n’era un altro
che pure giungeva alle sue narici. Lo riconobbe. Lo riconobbe nell’armadio, tra
i suoi vestiti e nelle pagine dei libri che teneva a volte sistemati su delle
mensole altre volte sparsi su qualsiasi ripiano.
Quando si
racconta una storia d’amore di solito non si sa mai cosa succede dopo. Dopo che
i due si sono baciati, dopo che hanno capito d’amarsi alla follia, di essere
persi l’uno per l’altro ed esserselo confessato di solito la storia si conclude.
Quasi mai si parla di quello che succede dopo. E anche se la storia non è a
lieto fine, il loro amore resterà eterno. Ma la realtà è un’altra cosa. L’amore
si conclude, lascia spazio ad altri sentimenti, più quotidiani, ad un amore di
differente stampo. Oppure si spegne del tutto. O, ancora, diventa malato. Troppo
spesso si tramuta in tristezza, in nervosismo. Ma Cybil voleva ricordare
comunque la sua storia, la loro storia, fino al momento del loro primo bacio,
quando Harry con uno scatto timido si impossessò delle labbra rosse della donna,
sorpresa dal gesto improvviso. E voleva fermarsi a quel punto, a quel bacio
lungo e dolce, che con lo schiudersi delle labbra faceva fiorire anche la
passione dei due. E anche se voleva con tutto il cuore fermarsi smettere di
ricostruire il ricordo nella sua mente, non riusciva a dimenticare che
quell’amore passionale durò un solo anno. Anno in cui si allontanò da Silent
Hill con il corpo e con la mente. Anno in cui Silent Hill si riavvicinò con
violenza inaspettata.
Guardò il
comodino. Su uno dei suoi libri ci aveva appoggiato la pistola. Precauzione, si
diceva. In realtà da quando era tornata da quella città non l’aveva mai tenuta a
più di un metro di distanza da lei. Se la portava in bagno, in cucina,
l’appoggiava sulle gambe quando si sedeva sul divano a guardare la televisione,
o sul tavolo, mentre leggeva il giornale sorseggiando una bevanda. Quando era
costretta ad andare in banca si sentiva spoglia e insicura, agiva svelta e
cercava di andare via il più presto possibile. Spesso era entrata e alla sola
vista di una fila di persone troppo lunga aveva abbandonato il posto. In
gioielleria non ci entrava più…
Vicino la
pistola c’era una sveglia a lancette che segnava quasi le tre e venti. Piuttosto
vecchiotta; era proprio lo stile di Harry. Non si era mai rassegnato a vivere
senza tecnologia di qualsiasi genere. Il computer era un obbligo, non gli
permettevano più di presentare dei manoscritti. Ma lo usava solo per
scrivere.
Già…se
Harry usava il computer solo per scrivere magari su c’era qualcosa che avrebbe
parlato di Cheryl. Ma si sarebbe sentita a disagio a guardare senza permesso, lo
sapeva. Preferiva raccogliere le sue informazioni come già stava facendo.
Preferiva sapere solo quello che Cheryl voleva dirle.
Un rumore
catturò la sua attenzione. Aveva lasciato la porta socchiusa per sentire
eventuali spostamenti di Cheryl e finora l’aveva sentita rigirarsi nel letto
battendo qualche volta con una parte del suo corpo contro il muro sottile che
divideva la sua stanza dal soggiorno.
Però quelli
sembravano passi. Forse si era alzata, stanca del fatto che non riusciva ad
addormentarsi. Forse aveva sete. E se l’avesse raggiunta? Avrebbero
chiacchierato un po’, magari sarebbe riuscita a tranquillizzarla. O chissà, col
favore delle tenebre e della malinconia che si portava dietro, forse avrebbero
parlato di Harry. A lei sarebbe piaciuto molto. Ma da quel po’ che aveva potuto
vedere, era quasi sicura che le avrebbe chiesto di continuare la storia anche a
quell’ora. Però voleva provare lo stesso.
Si alzò
lentamente, facendo scivolare le lenzuola su quel pigiama bianco. Si stava
avviando verso la porta, quando un brivido la costrinse a chiudere gli occhi e a
muovere il collo in un riflesso incondizionato. Non era freddo, lo sentiva.
Guardò attraverso la finestra chiusa. Oltre i vetri si intravedeva una notte
nera, forse senza luna. Forse una nuvola l’aveva appena oscurata, perché quando
si era alzata riusciva a distinguere bene ogni oggetto nella stanza, sebbene non
nei dettagli, e invece ora poteva vederne solo i contorni poco
definiti.
Il suo
sguardo si fece più serio, e d’istinto si portò verso il comodino afferrando la
pistola.
Aprì
lentamente la porta.
Dalla sua
posizione poteva benissimo vedere la porta della stanza di Cheryl, spalancata.
Le luci erano tutte spente, ma la luce nella stanza principale filtrava meglio,
e Cybil poteva distinguere bene gli oggetti nei paraggi. Si voltò verso la
cucina e l’ingresso, pensando di trovare in quella zona la ragazza. Poi un nuovo
rumore attirò la sua attenzione. Il balcone era aperto, e una figura umana
teneva un’altra persona su una spalla, e cercava di uscire da quella
porta.
“Hey, chi
diavolo sei?!”
Al suono di
voce, quello si voltò. Solo allora Cybil si rese conto che la corporatura era
l’unica cosa che gli rimanesse di umano!
Forse per
il buio, forse per la sorpresa iniziale, non si era minimamente resa conto che
le braccia erano molto più lunghe del normale, e che le dita erano artigli
pericolosissimi, simili a lunghi coltelli; e la faccia…la
faccia…
Non ce
l’aveva più una faccia. O forse non l’aveva mai avuta. Al suo posto grumi di
sangue e spaccature solcavano la testa, e lì dove avrebbe dovuto trovare degli
occhi, lì trovò solo carne tumefatta e in alcuni punti bruciata. La bocca era
serrata da alcuni lembi di pelle, di modo che l’unico suono in grado di uscire
da essa era un grugnito di dolore privo di alcun senso
logico.
Il mostro
avvertì la presenza di Cybil, e prese a correre furiosamente verso
l’esterno.
“FERMO!”
Cybil si
lanciò all’inseguimento. Aveva l’orrenda sensazione che l’altra persona che
portava su una spalla fosse proprio…
Arrivò in
cima al tetto e lo vide dirigersi come un ossesso verso la porta delle scale
principali. In un batter d’occhio prese la mira e lo colpì a una gamba. La
creatura si inginocchiò di fronte alla porta aperta. Sembrava in grado di
rialzarsi, ma la persona che teneva in spalla cadde di lato con
l’impatto.
Il secondo
colpo lo raggiunse alla tempia, mentre si stava chinando a raccogliere ciò che
aveva perso.
Cybil
ansimava con la pistola tra le mani. Tremava leggermente, anche se non era la
prima volta che vedeva una creatura del genere. Ma c’era qualcosa che non
andava: non erano a Silent Hill, e il Dio venerato dall’ordine era morto. Non
aveva alcun senso quello che stava succedendo.
Sentì un
lamento sommesso, e vide una figura muoversi per terra, di fianco al cadavere
della creatura. Si avvicinò lentamente, tenendo la pistola puntata di fronte a
sé. Quando fu abbastanza vicina, si accorse che la testa era avvolta in una
busta di tela nera, e che i movimenti della persona erano rallentati e
stanchi.
La
riconobbe a causa delle sue gambe scoperte e della magliettina che ora era tutta
sporca e stropicciata.
“Cheryl!”
Le tolse
velocemente la stoffa dal viso. La guardò negli occhi, ma quelli erano socchiusi
con le iridi che si scorgevano a mala pena sotto le palpebre calate. La bocca
aperta cercava ossigeno, ma intorno al suo naso e sulle labbra sentiva la
presenza umida di una sostanza. Non riusciva a sentirne l’odore senza venire
colta da improvvisi capogiri. Usando la stoffa del sacco appena sfilato, cercò
di pulire il suo viso alla meglio, poi continuò a chiamarla e a colpirla
leggermente con una mano. La ragazza reagiva agli stimoli, ma non riusciva a
muoversi. Non sembrava però essere ferita in nessun modo, il che rappresentava
una ben magra consolazione.
Guardò il
cadavere, adagiato su un fianco in una pozza di sangue scuro. A guardarlo le
venne una forte emicrania, per cui distolse lo sguardo e si concentrò sul corpo
agonizzante di Cheryl. Usando tutta la forza di cui disponeva, cercò di
riportarla dentro. Ci riuscì solo trascinandola con le braccia intorno al petto
facendo strusciare i piedi per terra. Le scale furono la parte più difficile, ma
con uno sforzo enorme riuscì a sollevarla e a riportarla in casa.
Dentro era
ancora tutto buio e riuscì a trovare la poltrona a memoria. Adagiò il corpo di
Cheryl delicatamente, sentendola lamentarsi, intuendo lo sforzo che faceva per
restare sveglia. Chiuse il balcone dietro di sé, serrò di nuovo la pistola nella
mano e corse all’ingresso, lì dov’era il telefono. Cercò di accendere la luce,
ma sembrava che la corrente fosse stata tagliata. Sul comodino c’era il numero
di telefono di Douglas, ma con quel buio difficilmente sarebbe riuscita a
leggere il biglietto. Aprì il cassetto del comodino, ma non trovò nulla di
utile, solo chiavi e scartoffie. Si guardò attorno freneticamente, fino a
girarsi completamente. Si trovò di fronte l’attaccapanni, dove alloggiava il
giubbino di Cheryl, intonso dal suo ritorno da Silent Hill, uno dei pochissimi
oggetti non toccati da Cybil durante la sua pulizia; stava appeso, insieme
all’impermeabile di Harry e a un cappello che probabilmente era stato messo lì
più per bellezza che per utilità.
Senza
pensare, Cybil mise le mani in ogni tasca, cercando qualcosa che potesse fare
luce, un accendino, un fiammifero, qualsiasi cosa. La mano scivolò nel taschino
del petto, e Cybil rimase quanto mai stupita di trovare una piccola torcia
elettrica rettangolare. L’accese illuminando l’ambiente intorno a lei, poi
finalmente fece luce sul bigliettino e compose velocemente il numero sulla
tastiera del telefono. Suonava fortunatamente, il ché tranquillizzò Cybil per
qualche istante. Ma dopo tre squilli, si sentì uno stacco brusco, e il rumore di
statico prese il sopravvento. Qualcuno o qualcosa stava parlando, ma il rumore
era troppo forte, e le parole perdevano di significato.
“Douglas!
Maledizione non si sente niente…Douglas, vieni immediatamente a
casa!”
Un rumore
la distrasse. Mise giù il telefono, e puntò torcia e pistola verso il salotto
alle sue spalle. Cheryl era finalmente in piedi, ma doveva appoggiarsi ancora
alla poltrona. Teneva il palmo della mano sulla fronte e cercava di trascinarsi
stancamente verso Cybil, ma la luce puntata negli occhi era un grosso ostacolo
da superare per lei. Prima che potesse dire qualcosa, Cybil corse verso di lei
per aiutarla a camminare.
“Ora ce ne
andiamo da qui!”
Passò il
suo braccio intorno al collo, e lentamente si avviarono verso la porta
d’ingresso. Girò la chiave nella serratura, e spalancò la
porta.
Anche nel
corridoio la luce era fuori uso, e c’era un silenzio assordante, specialmente
per Cybil il cui udito era fortemente provato dal rumore dello sparo. Sentiva un
fischio insistente che sembrava partire direttamente dalla sua testa e i passi
lenti e strascinati delle due erano un sollievo per lei. Avrebbero raggiunto il
portone secondario girando l’angolo.
Ma dalla
porta a vetri Cybil intravide qualcuno all’esterno. Ne vide solo la sagoma,
un’ombra irregolare che puntava qualcosa nella loro direzione. In un attimo i
vetri andarono in frantumi con un rimbombo pauroso. Cybil aveva fatto in tempo a
riportarsi dietro al muro, trascinando con sé Cheryl che per la spinta
improvvisa cadde seduta a terra. Vide il foro di un proiettile conficcatosi nel
muro alle loro spalle. Era una pistola?!
Si affacciò
lentamente, cercando di puntare alla meglio la torcia, in modo da riconoscere la
persona all’esterno. Riuscì a vedere dei lunghi capelli neri dietro i quali si
nascondeva il viso. Aveva un corpo femminile e sembrava indossasse una divisa.
La sua testa tremava vistosamente.
Reagì alla
luce della torcia ed esplose un altro colpo, che questa volta si ficcò nel
pavimento ai piedi di Cybil. Dal foro fuoriuscì della polvere, illuminata dalla
luce della torcia. Cybil cercò di prendere la mira, ma appena si sporse
nuovamente partì un terzo colpo.
Ma
dov’erano tutti?!
Improvvisamente
si udì un colpo e un lamento sommesso. Cybil si sporse, ma il buio e
l’angolazione non permettevano di avere una perfetta visuale. Un secondo colpo
annunciò che il portone ora era aperto, e qualcuno si avvicinava velocemente,
senza curarsi di calpestare i vetri rotti sul pavimento.
Cybil
appoggiò le spalle al muro, abbassò il cane della pistola per velocizzare la
premuta del grilletto e prese un profondo respiro. Poi si voltò di scatto,
uscendo con tutto il corpo dal suo nascondiglio, pronta a fare fuoco verso
chiunque le si parasse di fronte.
“Non
sparare! Sono io!”
Fece appena
in tempo a fermarsi!
Di fronte a
lei Douglas aveva alzato la mano con cui reggeva la pistola, tenendo l’altra
appoggiata al bastone che in quel momento serviva più come arma che come
appoggio. Aveva colpito la persona all’esterno con quello, facendola
svenire.
“Douglas!
Che ci fa qui?!”
“Mi hai
chiamato tu! Con il telefono. Ma hai riagganciato prima che potessi dire
qualcosa, così mi sono precipitato qua. Dov’è Heather?”
“È qui
dietro. Forse è stata drogata con qualcosa, ma si sta
riprendendo”
Douglas si
affacciò nel corridoio e vide nella penombra la sagoma della ragazza, appoggiata
con una spalla al muro, mantenendosi in piedi con enorme
sforzo.
“Tutto
bene?!”
“Me la
caverò…e quando starò di nuovo bene ti farò passare il vizio di chiamarmi ancora
Heather!”
Douglas
sorrise nel constatare che la ragazza non aveva perso il suo
spirito.
“Scusa…nervosismo!”
disse con un mezzo sorriso. “Ora andiamo, ho la macchina all’altro
ingresso”
“E allora
perché sei passato da questo?”
“Ho sentito
gli spari e ho deciso di passare da dietro, sperando di prendere alla sprovvista
chi vi stava minacciando…e ho avuto fortuna!”
Cybil
sorrise, poi si infilò nuovamente sotto il braccio di Cheryl, aiutandola a
reggersi in piedi e a camminare. Ma questa si oppose…
“Hey, può
bastare così! Riesco a tenermi in piedi! E poi quelli armati siete voi, pensate
a sparare!”
“Va bene,
ma stai tra me e Douglas”
A Cheryl
non piaceva prendere ordini, ma quella volta obbedì, e si incamminò tenendosi
alle spalle del detective.
Procedendo
lentamente, sia per il passo incerto di Douglas e di Cheryl, sia per il buio che
imperversava, riuscirono finalmente ad arrivare al portone. Uscirono nel vicolo
che avrebbe portato alla strada. Fuori il freddo colse alla sprovvista Cybil e
Cheryl, che indossavano solo le magliette del pigiama. In effetti faceva più
freddo di quello che ci si sarebbe aspettati da una notte
d’estate.
Una volta
giunti alla macchina Douglas aprì la portiera posteriore, facendo segno a Cheryl
di salire. Lei entrò aiutata da Cybil alle sue spalle. Ma mentre anche la donna
stava cercando di entrare nell’auto, uno sparo rimbombò
nell’aria.
Fu un
momento solo. Sentì una fitta in una spalla, e senza emettere un suono si
accasciò sul sedile posteriore, perdendo sangue che sporcava la tappezzeria
tutt’attorno. Douglas rispose al fuoco che arrivava dal vicolo buio. Sparava
praticamente alla cieca sperando di intimidire il nemico e guadagnare secondi
preziosi. Cheryl urlava disperata.
“CHERYL
FALLA ENTRARE!”
Con le
lacrime che le appannavano la vista, Cheryl tirò il corpo di Cybil all’interno
dell’abitacolo, sporcandosi di sangue a sua volta. Douglas dall’esterno chiuse
la portiera, e continuando a sparare a intervalli regolari, contando i
proiettili che rimanevano nel caricatore per non rischiare di sparare a salve
facendo saltare del tutto la sua copertura, si avvicinò all’ingresso del
guidatore. Sparò un ultimo colpo prima di entrare in macchina abbandonando il
bastone all’esterno. Dopodiché accese il motore e partì sgommando. Si sentì il
rombo di un altro sparo, ma evidentemente il proiettile andò a
vuoto.
Cheryl
teneva la testa della poliziotta sulle gambe e grondava lacrime. Cercava di
spostarle i capelli dalla fronte, ma l’unico risultato che otteneva era quello
di sporcarle il viso con il sangue che aveva nelle mani.
Douglas
accellerò.
“Tieni
duro, stiamo andando all’ospedale!”
“Douglas…non
si muove…”