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Autore: Colla    22/03/2008    2 recensioni
Un racconto allegorico sull'entrare nel "mondo degli adulti". E di come non tutti ne siano in grado. Tempo fa, quando ho iniziato a scrivere, questo è stato il mio racconto d'esordio.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Io c’ero. Affermarono che si trattò di un terribile incidente. Eppure io ancora i miei dubbi. La gente non muore per caso. No, proprio no.”

Scese il viale assolato, stessa andatura, occhi fissi davanti a se stesso, prima aperti, poi chiusi, aperti, chiusi. Arrivò alla piazza, percorse per intero la sua circolarità, una, due, tre, quattro volte. Fosse stato per lui vi avrebbe corso attorno in eterno. Adorava tutto di quella piazza: le palme, grandi, verdi, ombrose. Il piccolo bar che dava su di essa, sempre stessi frequentatori, sorrisi ogni anno più sdentati. Adorava il ristorante sardo, i ragazzini del sabato sera, i costosi palazzetti a tre piani, i loro cortili. E adorava quella fontana, la sua rotondità perfetta, e il fatto che stesse al centro di tutto. Aveva visto i bambini giocare, crescere, perdere se stessi e diventare adulti, o quasi. Trovava curioso come spruzzasse acqua solo ogni tanto.

Imboccò un’altra via. Infondo, sembravano tutte uguali, si disse. Rimpiangeva di non aver prestato più attenzione a quella piazza da giovane: la sua scuola quasi vi affacciava, non sarebbe stato difficile trovare il tempo per fermarsi al bar e sedersi li, nella piazza. Ma a quei tempi voleva solo addentrarsi nel mondo.

La stradina era in salita. Avanzava ormai stanco, la faccia congestionata, matida di sudore: si scansò per evitare un'automobile, ne approfittò per rallentare, camminando sempre più lentamente fino all’incrocio. Era una zona più trafficata quella, con palazzi alti in colori smorti, pedoni abili e veloci nella strada, tipici veterani dell’urbanità. Aveva percorso solo qualche centinaio di metri, dalla piazza, eppure già gli sembrava di trovarsi in un’altra realtà.

Continuò fiacco, andatura sempre più incerta. Attorno la folla di persone e macchine avanzava implacabile. Come si poteva solo credere che tutti sapessero dove stavano andando, che tutti avessero una meta? Sembravano incrociarsi all’infinito, un grande nodo instrotolabile. Mentre camminava non potè fare a meno di guardarsi attorno. Fogli di giornale sulla strada, bottiglie vuote su un muretto, pareti tappezzate di manifesti: gli alberi, spogliati dalla loro natura, lo guardavano cupi. Sostenne quello sguardo solo per pochi secondi.

Era solo. Il pensiero lo colpi’ come un lampo, gli sotrasse il respiro. Era arrivato da un momento all’altro, senza un motivo apparente, senza dargli tempo per riflettere. Era solo. Ma era arrivato, forte, spaventosamente sicuro, e lui si mosse quasi annaspando in quel fiume umano. Era solo. E questa certezza lo spinse a girarsi verso la sua piazza, a cercarla in mezzo allo squallore della via correndo indietro, frenetico verso l’altro lato della strada. Era solo, e non vide neanche la macchina arrivare. Ne tanto meno qualcuno provò ad avvertirlo. Di cadaveri sorridenti se ne vedono pochi ai nostri giorni, ad ogni modo.

  
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