L'aveva accompagnata Michele quella
mattina a Vicenza, a firmare l'aumento di livello: le avevano
proposto di affiancarlo, diventando di fatto la vice responsabile.
-
Come mai mi perdi sulla mania di controllo? Non sei più il super
uomo che vuole avere tutto il potere nelle sue mani? - gli aveva
finalmente chiesto mentre lui stava guidando, dopo qualche giorno che
quella domanda le frullava nella testa. Aveva semplicemente paura che
la sua risposta fosse qualcosa di simile a “sai, è la mia ragazza,
non la vedo mai”.
- Magari sto diventando un vecchietto. - la
prese in giro, senza di fatto rispondere.
- Dai, Michi, non fare
lo stupido!
- Allora, punto primo: io ho comunque tutto il
potere nelle mie mani. Punto secondo: il capo vuole ingrandirsi, e
fare un estivo con i contro coglioni, una mano non mi farà schifo. E
punto terzo: se sono il tuo mentore è ora che ti insegni un po' come
si manda avanti la baracca.
Che il capo si fidasse ciecamente
di lui l'aveva sempre sospettato, dal momento che se ne era sempre
stato buono buono a Vicenza, non era mai andato al Daiquiri a
interferire; ma quando li vide insieme fu solo più lampante.
Continuava a parlargli e a chiedergli la sua opinione su un mucchio
di cose, e Michele, con quel suo atteggiamento un po' da “ma non
starmi troppo addosso”, lo indirizzava su quella che per lui era la
scelta migliore.
Quando poi Michele si era allontanato, le aveva
detto che era stato lui a insistere per darle la promozione, e se
Michele insisteva tanto voleva dire che ne valeva la pena, così lui
le aveva fatto preparare il rinnovo del contratto.
Diana non poté
fare altro che scuotere la testa: a lei diceva le cose con il
contagocce e poi addirittura insisteva per promuoverla.
Però
le faceva piacere, quel suo occuparsi di lei; se solo avesse iniziato
a guardarla in maniera diversa...
Fermò il flusso dei suoi
pensieri, che la portavano sempre allo stesso punto, e firmò il
contratto, ringraziandolo.
- Andiamo a festeggiare. - le aveva
detto Michele, mentre risalivano in macchina. Era il giorno di
chiusura del Daiquiri, e si sarebbero potuti fermare a mangiare
qualcosa fuori senza il pensiero del lavoro; sarebbe davvero potuta
diventare una bella serata, se poi non fosse successo il peggio.
Il
ristorante era in un paesino sperduto poco prima di Padova, non
faceva più tanto freddo così vennero sistemati sulla piccola
terrazzina coperta, con vista sulle colline.
Forse era stata
l'atmosfera, forse era stato il Valpolicella, ma Diana sentiva
chiaramente che il sorriso le si stava inclinando verso di più verso
il basso, e non c'era niente che potesse raddrizzarlo.
- Alla
promozione e ai tuoi tre mesi a Padova. - brindò Michele, quando
portarono il dolce.
Diana spinse di malavoglia il calice contro il
suo, e si concentrò con grande impegno sulla sua millefoglie,
cercando di dominare il suo cuore e il suo stomaco che le stavano
irrimediabilmente rovinando la serata. Perché era una bella serata,
peccato che lei lo guardava, lo ascoltava, e quell'atmosfera da
serata romantica la spingeva a rodersi, rimpiangendo quello che non
aveva. Doveva essere davvero una terribile persona, si diceva, a
comportarsi così, ma non poteva farci niente: Michele la prendeva
ancora una volta per mano, per farla crescere, ma lei non avrebbe
voluto altro che si accorgesse di lei davvero, che l'amasse.
E invece chissà come aveva scoperto quel ristorante, chissà chi
ci aveva portato: le aveva viste ancora, le sue amiche, quando erano
andate a trovarlo al Daiquiri, e a volte capitava che la sera di
chiusura lui uscisse. Poteva, anzi, doveva farlo: non era di sua
proprietà, ma se non la invitava probabilmente era perché sarebbe
stata il terzo incomodo nei suoi appuntamenti. Ma allora perché non
le diceva niente? Gli aveva offerto migliaia di occasioni per farsi
dire che era impegnato, ma lui sembrava che non le cogliesse.
-
Cos'hai? - le chiese, riscuotendola dai suoi pensieri.
Diana gli
fece un sorriso forzato.
- Beh, a volte tu sei strano, e io ti
sopporto: potresti fare lo stesso con me.
Si appoggiò allo
schienale posando la forchetta, rinunciando alla battaglia con il
dolce, e lui la imitò.
- Io non faccio il musone quando si
festeggia.
- Ti prego, - disse con il suo miglior tono
sarcastico, - non dirmi che sono una musona. Andiamo, pago io: in
fondo è la mia promozione che stiamo festeggiando.
Sembrava
innervosito da quel suo atteggiamento, ma non fece commenti.
Durante
il ritorno Diana guardò fuori dal finestrino tutto il tempo, grata
per il buio che nascondeva le sue lacrime. Forse aveva bevuto troppo
vino.
Michele rimase in silenzio per tutto il viaggio, e non disse
una parola fino a che furono in ascensore, dove le luci illuminarono
gli occhi rossi di Diana.
- Senti, si può sapere che cos'hai?
-
No. - rimbalzò, secca.
Lui sospirò, sembrava non voler cedere,
come lei, d'altronde. Così evidentemente pensò che se lo sarebbe
fatto dire per sfinimento, perché la seguì in casa, e sulle prime
Diana lo ignorò, comportandosi come se non ci fosse.
Si tolse la
giacca e la mise a posto nel guardaroba, andò in bagno a
rinfrescarsi il viso e a cancellare le tracce delle lacrime, poi
quando tornò in cucina, vedendolo ancora lì, in piedi, si
innervosì.
- Non ti viene il dubbio che preferirei stare da sola,
magari? Non hai niente di meglio da fare, stasera? Non hai qualcuno
che ti aspetta?
- Non riesco a capire che cosa ti è preso, tutto
d'un tratto.
Diana si mise davanti a lui.
- Non è colpa tua,
tranquillo, è colpa mia: sono io che voglio cose da te che non puoi
darmi.
Il volto di Michele si oscurò, di colpo.
- Stai troppo
con me: non è sano.
Lei spalancò le braccia.
- Non è mai
stato sano tra me e te. - disse platealmente. - Io e te, sempre solo
io e te: ma cosa vuol dire “sano”? Io sono sempre stata bene
insieme a te, non è questo che conta? Se c'è qualcosa che non è
sano, forse è colpa mia. Sono io quella che sta impazzendo,
stasera.
Forse la mente le si annebbiò un secondo, o forse si
mosse talmente tanto velocemente da non rendersi conto di quello che
stava per fare, per potersi fermare di conseguenza; ma era lì, in
punta di piedi, le mani allacciate al suo collo. E lo stava baciando.
Lui non era propriamente immobile, quindi non vedeva nessun buon
motivo per fermarsi, ormai era dentro con tutti e due i piedi in
quella pazzia.
E poi, Michele, la stava baciando così bene che in
ogni caso non avrebbe potuto.
Quel bacio era come lui, dolce e un
po' rude, un po' le accarezzava le labbra e un po' la stringeva a sé,
premendole, e annebbiandola di passione.
Poi, la mano di lui sulla
sua testa, si staccò di mezzo centimetro, e Diana già capì cosa
stava succedendo. Si tirò indietro, non osando guardarlo.
- Ti
prego scusami: deve essere stato il vino. - gli disse, tutto d'un
fiato.
Sollevò piano gli occhi, e lo vide, ancora lì in piedi
davanti a lei, che la osservava muovendo nervosamente la mascella, le
labbra serrate.
- Sì, anche io forse ho bevuto troppo. - disse
poi, secco. - Sarà meglio che vada.
Quando sentì la porta di
casa chiudersi il terreno le franò sotto ai piedi: che cosa cavolo
aveva combinato? Come poteva essere stata così stupida?
Passò
mezz'ora, prima che ebbe il coraggio di attraversare il
pianerottolo.
Michele aprì uno spiraglio, interrogativo,
guardandola mentre teneva in mano una bottiglia di
Tequila.
Probabilmente era troppo sbalordito, perché aprì la
bocca ma non uscì nessun suono.
Diana sospirò per farsi
coraggio, e si infilò nello spazio lasciato aperto, entrando in
casa.
- Tu mi credi, vero, se ti dico che ho bevuto troppo e non
so nemmeno io perché ti ho detto quelle cose e perché... beh, hai
capito?
Michele continuava a guardare la bottiglia.
- Sì, ti
ho detto che anche io forse devo aver bevuto un po', ma non capisco
cosa centri...
Diana sospirò, di nuovo.
- Il problema è
questo: io non voglio che quello che c'è tra noi si rovini, e
sicuramente causerà dei problemi, così ho pensato che dobbiamo
berci su. Non ho mai provato a bere così tanto da dimenticare tutto
il giorno dopo, ma forse può funzionare.
Michele si portò una
mano sulla fronte, e rise, stanco.
- Non ci credo.
Diana
accese la musica, tenendo il volume più basso dei suoi standard
vista l'ora.
- Solo che ho pensato: ci chiederemo come mai abbiamo
iniziato a bere, e alla fine ci ricorderemo lo stesso di quello che è
successo. Ma... - scelse una canzone un po' più movimentata, - non
se adesso festeggiamo. Forza, prendi due bicchieri e vieni qui: ci
aspetta una bevuta.
Michele era probabilmente troppo incredulo e
sbalordito per obiettare, e forse senza crederci troppo nei risultati
che sperava Diana, decise di stare al gioco.
Dopo un ora i
bicchieri erano stati aboliti, e la musica movimentata anche: si
passavano la bottiglia, bevendo un sorso uno alla volta, ed erano
finiti a fare discorsi filosofici.
Michele forse era un po' più
silenzioso del solito, ma anche Diana stava iniziando ad avere
difficoltà a parlare normalmente, tra il sonno e la pesantezza
dell'alcol.
- Sono proprio una stupida. - biascicò, ridendo.
-
Perché? - le chiese, passandole la bottiglia.
- Per questa
bevuta. - mandò giù un altro sorso, nonostante il suo stomaco
stesse iniziando a ribellarsi. - non è un'idea stupida?
Michele,
già con gli occhi chiusi, sdraiato per terra accanto a lei, sorrise.
- No, in fondo è una cosa carina.
Capì che si stava per
addormentare, e lo scosse leggermente.
- Michele. - disse,
trattenendo il singhiozzo. - Mi devi promettere, mi devi giurare, che
domani ci dimenticheremo tutto.
Lui aprì un occhio,
- Che cosa
dovremmo dimenticarci?
- Ecco, bravo. Tieni un altro sorso. - gli
passò la bottiglia e lasciò che la mano cadde a terra, troppo
pesante per muoversi. E prima che potesse sentire se lui aveva
qualcos'altro da dire, già dormiva.
Aprì gli occhi, non
poteva vomitare a casa sua. Gattonò per un paio di metri, poi si
alzò, e tenendo una mano sulla bocca aprì la porta e attraversò il
pianerottolo, maledicendo la serratura che sembrava essersi
incastrata; quando riuscì finalmente a entrare non si curò di
chiudere la porta, e barcollò in quella che le sembrava una corsa
verso il bagno, maledicendo tutto quello che aveva bevuto.
Il suo
stomaco doveva per forza essere ormai vuoto: non avrebbe mai creduto
di poter vomitare così a lungo. Si sciacquò la bocca e la faccia,
ma nonostante l'acqua fosse gelida allo specchio continuava a vedere
uno zombie, e la testa sembrava scoppiarle da un momento
all'altro.
Si trascinò verso la porta di casa, per chiuderla, e
incontrò Michele, che si era alzato a chiudere la sua.
Lo guardò
con smarrimento, tenendo gli occhi socchiusi per il mal di testa.
-
Non ci posso credere. - piagnucolò, - Michi: sono una vecchia,
guardami come mi sono ridotta. Non mi era mai successo!
Lui, che
probabilmente non era in condizioni migliori ma riusciva a nascondere
meglio il malessere post sbornia, sbuffò una risata stanca,
appoggiando la fronte allo stipite.
- Vieni, ti faccio una cosa
che ti farà stare meglio.
Diana trascinò i piedi fino al suo
appartamento.
- Eh? Io non posso mangiare, tu non sai e non vuoi
sapere cosa è appena successo di là. - disse tragicamente. Di tutta
risposta lui le mise una mano sulla testa, scompigliandole i capelli
già spettinati,
- Fidati di me, Daiana.
Tirò fuori
dal freezer una specie di pizza, alta, tagliata a trancio, come
quella delle macchinette automatiche.
- Questa è una cosa
pessima, - le spiegava, mettendola in microonde, - ma quando la
mangerai si gonfierà nel tuo stomaco, come una spugna, e assorbirà
tutti gli acidi. - provò a stiracchiarsi la schiena. - Dormire sul
pavimento: quella no, non è stata una buona idea. Mi toccherà
prendere un antinfiammatorio, se voglio stare in piedi
stasera.
Diana, per quanto possibile, spalancò gli occhi, e si
mise le mani sulla fronte.
- Ti prego, dimmi che per stasera sarà
tutto finito! E non hai qualcosa contro il mal di testa?
- Tieni,
rottame. Finiscila, e poi ti darò un antidolorifico.
Faceva
persino fatica a masticare, ma una volta mandata giù doveva
ammettere che quella cosa plasticosa sembrava fare quello che
prometteva.
- Questo giorno segna l'inizio della mia vecchiaia. -
disse, teatralmente, mentre ingollava l'antidolorifico insieme ad un
fantastico succo di frutta che sembrava avere proprietà magiche con
la sua arsura. - Dì un po', - borbottò, - quanto mi hai fatto
bere?
Michele mise una bottiglia quasi vuota sul tavolo.
-
Quanto ti ho fatto bere? Ho trovato questa, di là, e ti
assicuro che non è mia, non l'ho mai vista prima.
Diana
bofonchiò una risata, aveva un assoluto bisogno di dormire, ma non
poteva addormentarsi lì: ricordava fin troppo bene quella notte che
l'aveva portata sul suo divano, che conseguenze disastrose aveva
avuto la mattina dopo; quella mattina era andata bene, ma non le
conveniva sfidare troppo la fortuna.
- Ora ti chiedo un ultimo
favore: aiutami ad alzarmi. - gli disse, porgendoli le mani, - Devo
assolutamente raggiungere il mio letto.
Lui nascose una risata.
-
Ma guardati: secondo me la fai più grande di quella che è, non puoi
stare così male!
Si aggrappò alle sue mani e si alzò in
piedi.
- Forse le donne fanno più fatica a smaltire l'alcol: ti
assicuro che sto davvero di merda.
Stava per imboccare l'ingresso,
ma lui da dietro la deviò verso il divano.
- Forza, mettiti qui a
dormire, così posso tenerti d'occhio.
E visto che glielo aveva
proposto lui non ebbe niente da obiettare. Si sdraiò sul lato più
piccolo del divano ad angolo, Michele accostò le persiane e
raggiunse l'altro lato.
- Cerca solo di non vomitare sul mio
divano. - l'ammonì.
Ripensò a come le aveva risposto sulla
Tequila: aveva sicuramente funzionato, Michele aveva dimenticato il
disastroso episodio della sera prima, il loro rapporto era salvo. E
con questo pensiero si addormentò profondamente, con in testa una
vecchia canzone di Bruce Spristing di cui non ricordava il titolo.
Nda: Cosa dite voi, la Tequila funziona? Con Diana no, ma Michele sembra aver rimosso tutto... o no?
Per i più curiosi la canzone del Boss è Sad Eyes. Io a
quanto pare, la storia insegna non riesco a reggere tanto scrivendo una
storia senza infilarci dentro qualche riferimento musicale :-P ! E in
alcuni casi, come questo, si riferisce al pezzo che ascolto
mentre scrivo il capitolo.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, anche se è un po' strano ;-) alla prossima!
Grazie Bloomsbury, che così carinamente leggi e recensisci
quello che scrivo, ma specialmente grazie perché amo le tue
storie!