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Autore: Emapiro95    19/09/2013    7 recensioni
Cosa succederebbe se la vita di un diciassettenne qualsiasi, che vive a Londra, venisse distrutta e stravolta dall'arrivo di un "exchange student?". Mi sono basato sulle mie esperienze personali per scrivere questo piccolo racconto, spero vi piaccia!
"Il mio nome è Jared Maycon, e questa è la mia storia, la storia di come tutta questa monotonia fu distrutta. Bastò il suo arrivo perché tutto cambiasse… Dalla “A” alla “Z”."
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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Capitolo 5 – “Enhancement”
Buonsalve a tutti quati! :)
Approfitto della pubblicazione di questo capitolo per ringraziare dal profondo del cuore gli unici due lettori (fin'ora) che, con le loro recensioni, mi hanno convinto a proseguire con la pubblicazione di questa FF: grazie @Ramoso e @_AshleyLIA , significa molto per me :)
E con questo vi auguro buona lettura e spero che questo capitolo vi piaccia! :3


Ora che avevo la possibilità di osservarlo più da vicino, mentre entravo in infermeria sorreggendolo per una spalla, notai quanto veramente malridotto fosse il canadese.
Aveva un taglio superficiale per tutta la lunghezza dello zigomo destro, contornato da un colorito tutt’altro che normale. L’occhio sinistro era simile allo zigomo solamente per il colore che stava assumendo: un violaceo scuro in netto contrasto con il verde vivo dei suoi occhi.
Quello che mi preoccupava di più però non erano quelle classiche ferite da rissa, bensì un taglio molto più profondo e minaccioso sull’estremità destra della fronte.
«Non è niente.» Aveva detto Alex cercando in tutti i modi di coprirsi con un ciuffo di capelli dorati, non appena gliel’avevo fatto notare.
Sinceramente, però, il modo in cui aveva iniziato ad appendersi al mio braccio, non mi rassicurava affatto.
Entrai nell’infermeria della scuola di gran carriera, sorreggendo il biondo e chiamando la signora Macflorence ad alta voce.
L’infermiera della scuola si precipitò nell’aula adibita all’infermeria, facendo capolino dal suo studio, posto alla fine della stanza.
«Jared!» Esclamò non appena ebbe visto Alex accasciato sulla mia spalla. «Cosa è successo, per l’amor del cielo?!» Disse poi con una nota stridula nella voce, avvicinandosi.
«E’ stato picchiato.» Spiegai. «Sono entrato nel bagno del secondo piano e l’ho visto accasciato contro il muro.» Avevo tralasciato dei dettagli, ma non m’importava… Non erano di vitale importanza. Almeno non per il momento.
«Povero figliolo…» Sospirò la signora Macflorence sospirando rumorosamente, mentre esaminava le varie ferite e contusioni sul viso del canadese, soffermandosi soprattutto sul taglio sulla fronte. «Siediti qui sopra.» Disse poi, perdendo quel tono amorevole che aveva usato fino ad allora e sostituendolo con una voce seria e sicura di sé, ed indicando il lettino alle sue spalle ricoperto da stoffa bianca.
Non ero sicuro di voler lasciar camminare Alex da solo, quindi lo accompagnai fino al lettino, poco distante da dove eravamo. Lo aiutai a sedersi e poi lasciai il posto alla signora Macflorence, che mi lanciò un sorriso amichevole.
La signora Macflorence era l’unica del corpo docenti con cui avevo un legame. Certo, era pur sempre un legame docente-alunno, ma, ogni tanto, mentre ero seduto sullo stesso lettino dove ora si trovava Alex, e l’infermiera della scuola mi stava facendo i controlli per pallanuoto, avevo fatto delle piccole confessioni. Prima di mettermi con Lydia, ad esempio, avevo confidato alla signore Macflorence il mio interesse verso la mia futura ragazza. Ed era stata proprio lei a convincermi che tentare non mi sarebbe costato nulla.
Sarà per il suo aspetto materno che ispira fiducia, sarà che il lettino aveva delle proprietà tutte sue, fatto sta che mi ero affezionato alla signore Macflorence.
«Non hai visto chi è stato il pazzo scatenato che ha ridotto così questo poveretto?» Chiese poi, mentre con una piccola luce controllava i riflessi delle pupille del biondo, che sembrava star ritornando lentamente in sé.
Ci pensai un secondo prima di rispondere. «No. Non ho visto nessuno, sono entrato troppo tardi.» Dissi infine, sperando di non far trapelare la verità attraverso quelle parole insicure.
La signora Macflorence, in risposta, emise un sospiro intristito. «Ti fa male da qualche altra parte?» Chiese poi, dopo aver finito di controllare le pupille, con una dolcezza infinita nella voce.
Alex in risposta mugugnò qualcosa così a bassa voce che non riuscii a distinguere una sola parola.
«Allora mi sa che sarai costretto a sfilarti la maglietta.» Decretò la signora Macflorence, conservando la sua solita voce dolce.
Il biondo obbedì senza opporre alcuna resistenza e si sfilò la maglia blu scuro, mordendosi le labbra per evitare di far trasparire il dolore che quel movimento gli provocava.
La pelle di un colore rosa pallido era tesa sui muscoli lievemente definiti. Due lividi violacei dall’aria dolorosa donavano al suo torace un’aria ancora più debole.
Senza sapere il perché, mi ritrovai costretto a spostare lo sguardo per evitare di far notare uno strano rossore che mi si stava diffondendo sulle guance. Iniziai a guardarmi le mani, cercando tutte le imperfezioni che gli allenamenti di pallanuoto mi avevano provocato.
«Ok, non era niente di che, ringraziando al cielo.» Decretò dopo poco tempo la signora Macflorence, facendo segno ad Alex di rivestirsi. «Sono solo dei leggeri ematomi.» Spiegò poi, avvicinandosi alla sua scrivania.
Se erano solo dei leggeri ematomi, allora perché diavolo stava prendendo una penna e un pezzo di carta? Mica c’era bisogno di una ricetta per dei leggeri ematomi?
«Penso che se non prendete questi,» la voce della signora Macflorence mi riportò con i piedi per terra, «il professor Boujdi vi metterà come minimo dieci note di demerito per aver saltato l’ora di scienze.» E, finito di dire queste parole, aggirò la cattedra e mi porse un foglietto che – lo scoprii dopo averlo letto di sfuggita - certificava la nostra presenza in infermeria per tutta la durata dell’ora di scienze.
Un sorriso mi si dipinse sul volto, «Grazie mille signora Macflorence!» Esclamai entusiasta, seguito poi da Alex che mi fece l’eco.
Uscimmo dall’infermeria con lo sguardo amorevole della signora Macflorence che ci seguì fino all’uscio della porta.
Continuammo a camminare per circa cinque minuti prima che uno di noi due si decidesse a prendere la parola.
«Allora…» Farfugliai io, girandomi verso il biondo, che ricambiò il mio sguardo. «Be’…»
«Perché non hai detto chi è stato ad aggredirmi?» M’interruppe Alex con un tono di voce che mi avrebbe fatto rabbrividire anche in una giornata di metà agosto passata su una spiaggia dei Caraibi.
Il silenzio cadde di nuovo, inesorabile ed impossibile da infrangere con semplici parole di gentilezza. Sentii la rabbia invadermi come l’adrenalina prima di un incontro di pallanuoto.
«Sai, a questo punto ci si aspetterebbe un “grazie” o anche un solo accenno di riconoscimento per quello che ho fatto. Sinceramente sentirsi attaccati, ora, dopo tutto quello che è successo, non è proprio il massimo, anzi. Potresti anche evitare di andare in giro a fare finta di essere una persona così carina e simpatica se poi nascondi tutto questo. - Lo indicai per fargli capire a cosa alludevo - Adesso, se non ti dispiace, devo andare. E non perché ho un impegno, ma semplicemente perché se no rischio di finire quello che Daniel ha iniziato.» E detto questo girai i tacchi e mi allontanai da Alex, che era rimasto ammutolito dalla mia reazione.
«Senti,» disse poi all’improvviso, facendomi fermare giusto prima di girare l’angolo. «Non so se te ne sei accorto, ma sono appena stato picchiato da un bulletto della scuola che si sentiva troppo figo per rivolgermi la parola, e no, non mi sto riferendo a te. L’unica cosa che speravo era che quel figlio di una buona donna venisse punito per quello che mi ha fatto, ma invece no, il suo amichetto doveva proteggerlo anche oltre i limiti dell’assurdo. Quindi sì, ti ringrazio per averlo fermato, ma a questo punto mi domando il perché di questa tua azione.» Confessò rimanendo fermo dov’era fissandomi negli occhi blu.
Mi ci riavvicinai, per evitare di urlare per farmi sentire, e anche per elaborare una rispostaccia come si deve. «Ascoltami, tizio canadese, e questa volta apri bene le orecchie perché non lo ripeterò più. Mi dispiace per quello che ti è successo; mi dispiace che il mio “amichetto” ti abbia picchiato perché tu, in un bagno pubblico, hai confessato ai quattro venti la tua omosessualità; mi dispiace di essere entrato in quel bagno a salvarti il culo che tu stesso hai messo in pericolo.
«E’ vero, dovrebbe pagare caro per averti aggredito in un bagno. E’ vero, la gente è veramente tremenda, spregevole e disdicevole, tutti a prendersela con Alex dai capelli biondi e gli occhi verdi, nessuno mai che lo capisce.» Feci una pausa, per rielaborare quello che avevo detto e mettendo a tacere la vocina nella mia testa che mi sussurrava di andarci più pesante. «Sai,» Ricominciai io, «ogni dannatissimo anno che entro in questa scuola, da quella porta, - dissi indicando la porta d’ingresso alle mie spalle - vorrei guardarmi intorno senza vedere gente che mi osserva estasiata, eccitata e chi più ne ha più ne metta. Ogni anno però riesco a non pensare a queste cose grazie ai miei amici. E sì, Daniel è un mio amico.
«Ora, vorrei tanto che tu non fossi capitato in questa scuola, che io non fossi il tuo dannatissimo Best Cozy Student e che Daniel non ti avesse picchiato in un bagno della scuola, ma, mi dispiace tantissimo signorino-tutto-mi-è-dovuto, non è così che funziona la vita. Fai un azione? Aspettati delle conseguenze.» Conclusi, inspirando rumorosamente per calmarmi, dato che mi stava per uscire un offesa che non era proprio il caso di usare.
Alex mi guardava, con del veleno puro negli occhi. «Questa è la tua di conseguenza.» Disse, alzando la mano e assestandomi un sonoro schiaffo che risuonò nel corridoio vuoto, inspirando ed espirando in maniera teatrale.
«Brutta checca.» Ed eccola lì, l’offesa che con tanta fatica avevo cercato di tenere per me, uscire dalle mie labbra mentre mi tenevo la guancia indolenzita.
Le pupille di Alex si dilatarono all’improvviso, come presi da una furia sconvolgente. Io mi portai una mano alla bocca, come se facendo così potessi riportarci dentro le parole che mi erano appena scappate.
Il biondo mi fissò con il fuoco nei propri occhi, con le labbra serrate e le mani strette a pugno, prima di girarsi e di andarsene, con il naso all’insù.
«Sai,» Disse poi, girandosi verso di me, che ero nella stessa posizione in cui mi aveva lasciato, «avrei preferito che “Daniel” mi avesse continuato a picchiare invece che sentirmi dare della checca da un idiota qualunque.» E detto questo se ne andò.
Mi girai anche io, per andare nel cortile, e, quando mi trovai davanti ai piedi un cestino della spazzatura, gli assestai un calcio tutt’altro che delicato, facendone rimbombare il rumore per l’intero corridoio vuoto.
Avrei voluto che la giornata scolastica finisse lì, in quel preciso istante. Avrei voluto dirigermi verso la porta, spalancarla ed andarmene via da quel luogo infernale.
Invece girai i tacchi e mi diressi verso il cortile, per aspettare in grazia di Dio che la campanella suonasse.
Appena uscii in cortile, una folata di ar
Ora che avevo la possibilità di osservarlo più da vicino, mentre entravo in infermeria sorreggendolo per una spalla, notai quanto veramente malridotto fosse il canadese.
Aveva un taglio superficiale per tutta la lunghezza dello zigomo destro, contornato da un colorito tutt’altro che normale. L’occhio sinistro era simile allo zigomo solamente per il colore che stava assumendo: un violaceo scuro in netto contrasto con il verde vivo dei suoi occhi.
Quello che mi preoccupava di più però non erano quelle classiche ferite da rissa, bensì un taglio molto più profondo e minaccioso sull’estremità destra della fronte.
«Non è niente.» Aveva detto Alex cercando in tutti i modi di coprirsi con un ciuffo di capelli dorati, non appena gliel’avevo fatto notare.
Sinceramente, però, il modo in cui aveva iniziato ad appendersi al mio braccio, non mi rassicurava affatto.
Entrai nell’infermeria della scuola di gran carriera, sorreggendo il biondo e chiamando la signora Macflorence ad alta voce.
L’infermiera della scuola si precipitò nell’aula adibita all’infermeria, facendo capolino dal suo studio, posto alla fine della stanza.
«Jared!» Esclamò non appena ebbe visto Alex accasciato sulla mia spalla. «Cosa è successo, per l’amor del cielo?!» Disse poi con una nota stridula nella voce, avvicinandosi.
«E’ stato picchiato.» Spiegai. «Sono entrato nel bagno del secondo piano e l’ho visto accasciato contro il muro.» Avevo tralasciato dei dettagli, ma non m’importava… Non erano di vitale importanza. Almeno non per il momento.
«Povero figliolo…» Sospirò la signora Macflorence sospirando rumorosamente, mentre esaminava le varie ferite e contusioni sul viso del canadese, soffermandosi soprattutto sul taglio sulla fronte. «Siediti qui sopra.» Disse poi, perdendo quel tono amorevole che aveva usato fino ad allora e sostituendolo con una voce seria e sicura di sé, ed indicando il lettino alle sue spalle ricoperto da stoffa bianca.
Non ero sicuro di voler lasciar camminare Alex da solo, quindi lo accompagnai fino al lettino, poco distante da dove eravamo. Lo aiutai a sedersi e poi lasciai il posto alla signora Macflorence, che mi lanciò un sorriso amichevole.
La signora Macflorence era l’unica del corpo docenti con cui avevo un legame. Certo, era pur sempre un legame docente-alunno, ma, ogni tanto, mentre ero seduto sullo stesso lettino dove ora si trovava Alex, e l’infermiera della scuola mi stava facendo i controlli per pallanuoto, avevo fatto delle piccole confessioni. Prima di mettermi con Lydia, ad esempio, avevo confidato alla signore Macflorence il mio interesse verso la mia futura ragazza. Ed era stata proprio lei a convincermi che tentare non mi sarebbe costato nulla.
Sarà per il suo aspetto materno che ispira fiducia, sarà che il lettino aveva delle proprietà tutte sue, fatto sta che mi ero affezionato alla signore Macflorence.
«Non hai visto chi è stato il pazzo scatenato che ha ridotto così questo poveretto?» Chiese poi, mentre con una piccola luce controllava i riflessi delle pupille del biondo, che sembrava star ritornando lentamente in sé.
Ci pensai un secondo prima di rispondere. «No. Non ho visto nessuno, sono entrato troppo tardi.» Dissi infine, sperando di non far trapelare la verità attraverso quelle parole insicure.
La signora Macflorence, in risposta, emise un sospiro intristito. «Ti fa male da qualche altra parte?» Chiese poi, dopo aver finito di controllare le pupille, con una dolcezza infinita nella voce.
Alex in risposta mugugnò qualcosa così a bassa voce che non riuscii a distinguere una sola parola.
«Allora mi sa che sarai costretto a sfilarti la maglietta.» Decretò la signora Macflorence, conservando la sua solita voce dolce.
Il biondo obbedì senza opporre alcuna resistenza e si sfilò la maglia blu scuro, mordendosi le labbra per evitare di far trasparire il dolore che quel movimento gli provocava.
La pelle di un colore rosa pallido era tesa sui muscoli lievemente definiti. Due lividi violacei dall’aria dolorosa donavano al suo torace un’aria ancora più debole.
Senza sapere il perché, mi ritrovai costretto a spostare lo sguardo per evitare di far notare uno strano rossore che mi si stava diffondendo sulle guance. Iniziai a guardarmi le mani, cercando tutte le imperfezioni che gli allenamenti di pallanuoto mi avevano provocato.
«Ok, non era niente di che, ringraziando al cielo.» Decretò dopo poco tempo la signora Macflorence, facendo segno ad Alex di rivestirsi. «Sono solo dei leggeri ematomi.» Spiegò poi, avvicinandosi alla sua scrivania.
Se erano solo dei leggeri ematomi, allora perché diavolo stava prendendo una penna e un pezzo di carta? Mica c’era bisogno di una ricetta per dei leggeri ematomi?
«Penso che se non prendete questi,» la voce della signora Macflorence mi riportò con i piedi per terra, «il professor Boujdi vi metterà come minimo dieci note di demerito per aver saltato l’ora di scienze.» E, finito di dire queste parole, aggirò la cattedra e mi porse un foglietto che – lo scoprii dopo averlo letto di sfuggita - certificava la nostra presenza in infermeria per tutta la durata dell’ora di scienze.
Un sorriso mi si dipinse sul volto, «Grazie mille signora Macflorence!» Esclamai entusiasta, seguito poi da Alex che mi fece l’eco.
Uscimmo dall’infermeria con lo sguardo amorevole della signora Macflorence che ci seguì fino all’uscio della porta.
Continuammo a camminare per circa cinque minuti prima che uno di noi due si decidesse a prendere la parola.
«Allora…» Farfugliai io, girandomi verso il biondo, che ricambiò il mio sguardo. «Be’…»
«Perché non hai detto chi è stato ad aggredirmi?» M’interruppe Alex con un tono di voce che mi avrebbe fatto rabbrividire anche in una giornata di metà agosto passata su una spiaggia dei Caraibi.
Il silenzio cadde di nuovo, inesorabile ed impossibile da infrangere con semplici parole di gentilezza. Sentii la rabbia invadermi come l’adrenalina prima di un incontro di pallanuoto.
«Sai, a questo punto ci si aspetterebbe un “grazie” o anche un solo accenno di riconoscimento per quello che ho fatto. Sinceramente sentirsi attaccati, ora, dopo tutto quello che è successo, non è proprio il massimo, anzi. Potresti anche evitare di andare in giro a fare finta di essere una persona così carina e simpatica se poi nascondi tutto questo. - Lo indicai per fargli capire a cosa alludevo - Adesso, se non ti dispiace, devo andare. E non perché ho un impegno, ma semplicemente perché se no rischio di finire quello che Daniel ha iniziato.» E detto questo girai i tacchi e mi allontanai da Alex, che era rimasto ammutolito dalla mia reazione.
«Senti,» disse poi all’improvviso, facendomi fermare giusto prima di girare l’angolo. «Non so se te ne sei accorto, ma sono appena stato picchiato da un bulletto della scuola che si sentiva troppo figo per rivolgermi la parola, e no, non mi sto riferendo a te. L’unica cosa che speravo era che quel figlio di una buona donna venisse punito per quello che mi ha fatto, ma invece no, il suo amichetto doveva proteggerlo anche oltre i limiti dell’assurdo. Quindi sì, ti ringrazio per averlo fermato, ma a questo punto mi domando il perché di questa tua azione.» Confessò rimanendo fermo dov’era fissandomi negli occhi blu.
Mi ci riavvicinai, per evitare di urlare per farmi sentire, e anche per elaborare una rispostaccia come si deve. «Ascoltami, tizio canadese, e questa volta apri bene le orecchie perché non lo ripeterò più. Mi dispiace per quello che ti è successo; mi dispiace che il mio “amichetto” ti abbia picchiato perché tu, in un bagno pubblico, hai confessato ai quattro venti la tua omosessualità; mi dispiace di essere entrato in quel bagno a salvarti il culo che tu stesso hai messo in pericolo.
«E’ vero, dovrebbe pagare caro per averti aggredito in un bagno. E’ vero, la gente è veramente tremenda, spregevole e disdicevole, tutti a prendersela con Alex dai capelli biondi e gli occhi verdi, nessuno mai che lo capisce.» Feci una pausa, per rielaborare quello che avevo detto e mettendo a tacere la vocina nella mia testa che mi sussurrava di andarci più pesante. «Sai,» Ricominciai io, «ogni dannatissimo anno che entro in questa scuola, da quella porta, - dissi indicando la porta d’ingresso alle mie spalle - vorrei guardarmi intorno senza vedere gente che mi osserva estasiata, eccitata e chi più ne ha più ne metta. Ogni anno però riesco a non pensare a queste cose grazie ai miei amici. E sì, Daniel è un mio amico.
«Ora, vorrei tanto che tu non fossi capitato in questa scuola, che io non fossi il tuo dannatissimo Best Cozy Student e che Daniel non ti avesse picchiato in un bagno della scuola, ma, mi dispiace tantissimo signorino-tutto-mi-è-dovuto, non è così che funziona la vita. Fai un azione? Aspettati delle conseguenze.» Conclusi, inspirando rumorosamente per calmarmi, dato che mi stava per uscire un offesa che non era proprio il caso di usare.
Alex mi guardava, con del veleno puro negli occhi. «Questa è la tua di conseguenza.» Disse, alzando la mano e assestandomi un sonoro schiaffo che risuonò nel corridoio vuoto, inspirando ed espirando in maniera teatrale.
«Brutta checca.» Ed eccola lì, l’offesa che con tanta fatica avevo cercato di tenere per me, uscire dalle mie labbra mentre mi tenevo la guancia indolenzita.
Le pupille di Alex si dilatarono all’improvviso, come presi da una furia sconvolgente. Io mi portai una mano alla bocca, come se facendo così potessi riportarci dentro le parole che mi erano appena scappate.
Il biondo mi fissò con il fuoco nei propri occhi, con le labbra serrate e le mani strette a pugno, prima di girarsi e di andarsene, con il naso all’insù.
«Sai,» Disse poi, girandosi verso di me, che ero nella stessa posizione in cui mi aveva lasciato, «avrei preferito che “Daniel” mi avesse continuato a picchiare invece che sentirmi dare della checca da un idiota qualunque.» E detto questo se ne andò.
Mi girai anche io, per andare nel cortile, e, quando mi trovai davanti ai piedi un cestino della spazzatura, gli assestai un calcio tutt’altro che delicato, facendone rimbombare il rumore per l’intero corridoio vuoto.
Avrei voluto che la giornata scolastica finisse lì, in quel preciso istante. Avrei voluto dirigermi verso la porta, spalancarla ed andarmene via da quel luogo infernale.
Invece girai i tacchi e mi diressi verso il cortile, per aspettare in grazia di Dio che la campanella suonasse.
Appena uscii in cortile, una folata di aria fredda mi colpì in pieno viso, facendomi lacrimare gli occhi. Tirai su la cerniera della giacca e mi ci rifugiai dentro, infilando le mani nelle apposite tasche.
«Ma che…?» Quando cacciai la mano sinistra dalla tasca della giacca blu scuro, avevo due pezzi di carta stretti in pugno. Due pezzi di carta che riconobbi immediatamente: la firma della signora Macflorence l’avrei potuta riconoscere anche con il semplice uso del tatto.
- Perfetto – pensai – adesso dovrei anche rivolgergli la parola a quell’idiota…- E, mentre riflettevo su quest’ultimo punto, sulle mie labbra, senza che io nemmeno me ne accorgessi, si dipinse un sorriso soddisfatto.


Quando la campanella suonò ero già di fronte all’aula di scienze, dove gli studenti, con aria affranta, sollevarono lo sguardo all’unisono per controllare quale delle due campanelle era suonata. Sembravano tante marionette.
Indossai la maschera più allegra del mio repertorio e spalancai la porta, già sapendo che il mr. Boujdi avrebbe immediatamente iniziato ad urlarmi contro.
Non sentendo, però, arrivare la manfrina che mi ero aspettato, mi girai incuriosito verso il professore, che mi stava guardando con un sorriso vittorioso dipinto sul volto.
«Bene bene signor Maycon, vedo che vuole iniziare bene l’anno. Credo sia difficile che possa sperare anche solo in una “B” al suo esame, cosa che le ricordo essere fondamentale per intraprendere medicina.»
Quanto avrei voluto saltargli addosso e prenderlo a botte, ridurlo così come Daniel aveva ridotto Alex. E invece no, mi trattenni e, senza dire neanche una parola, posai il mio certificato sulla sua scrivania. Mentre mi avviavo al mio posto, seguito dagli occhi affascinati delle ragazzine, notai, con la coda dell’occhio, mr. Boujdi analizzare minuziosamente la giustificazione che gli avevo lasciato sulla cattedra.
Fu mentre mi sedevo al primo banco disponibile che Alex entrò nell’aula, con il ciuffo dei capelli biondi sistemato in modo tale che l’ematoma sull’occhio destro non si notasse. Non stava male, ma di sicuro stava meglio con i capelli scombinati.
Osservai la scena con attenzione, guardando come il signor Boujdi desse addosso al nuovo studente canadese, e come quest’ultimo stesse per scoppiare a piangere.
Le mie gambe agirono ancora prima che il mio cervello potesse essere d’accordo. Entrai nella bolla della discussione, mi infilai una mano in tasca e cacciai il foglio che portava il nome del biondo, che mi guardò stranito.
«Garantisco io per lui.» Dissi.
   
 
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