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Autore: Grifen    20/09/2013    0 recensioni
Mi sono sempre chiesto come Rasìa riesca a trascinarmi nelle sue pazze avventure: se qualche volta mi imponessi ci risparmieremmo tanti guai. Ciononostante la conosco bene, se non gli dessi retta il suo carattere indipendente e deciso la spingerebbe ad agire da sola, perciò la assecondo per starle vicino e proteggerla da ogni male. La amo e per lei farei più di quanto io stesso potrei immaginare, eppure per lungo tempo non trovai il coraggio di confessarle quello che provavo; fu solo dopo una pericolosa avventura che finalmente sentii l'ardire di farmi avanti.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi sono sempre chiesto come Rasìa riesca a trascinarmi nelle sue pazze avventure: se qualche volta mi imponessi ci risparmieremmo tanti guai. Ciononostante la conosco bene, se non le dessi retta il suo carattere indipendente e deciso la spingerebbe ad agire da sola, perciò la assecondo per starle vicino e proteggerla da ogni male. La amo e per lei farei più di quanto io stesso potrei immaginare, eppure per lungo tempo non trovai il coraggio di confessarle quello che provavo; fu solo dopo una pericolosa avventura che finalmente sentii l'ardire di farmi avanti.
In quell'occasione Rasìa volle rubare un uovo dei grifoni di Tegònipal, anche se mi presentò l'idea definendola come “prendere in prestito”, e mi chiese se fossi stato disposto ad aiutarla. Io mi opposi e cercai, inutilmente, di farla desistere, e lei si giustificò dicendo che era per “una buona causa”, quindi si sedette sulle mie ginocchia, mi mise le braccia attorno al collo, poi strofinò seducente il suo leggiadro corpo femminile da Orsetta contro il mio da grosso Orso: i nostri nasi umidi e nericci erano così vicini da sfiorarsi, i suoi occhi nocciola affettuosi, e il sensuale contatto fisico con lei, erano dolci come il miele. Sussurrò al mio orecchio peloso “Davvero il mio Orsetto preferito mi lascerà vittima dei pericoli che mi insidieranno il cammino?”
Naturalmente no, non potevo, e mi sentii costretto ad accettare.
Tegònipal è una regione di colline e montagne, abitata in prevalenza dalle Case della Donnola, Faina ed Ermellino, resa ricca e famosa dal suo vino e l'attività mineraria. Là vi trovano rifugio i grifoni che cercavamo: sui monti vi è un monastero dove accudiscono e proteggono quegli animali, e la confraternita che vi abita ne concede le uova a chi riesce a superare una prova, anche se al tempo della nostra avventura né io né Rasìa sapevamo in che cosa questa consistesse.
Quando lo vedemmo, il monastero mostrava un aspetto semplice, spoglio e soprattutto robusto, facendolo apparire come se fosse parte della montagna su cui si erigeva. Picchiammo un battente del portone e, come risposta, dalla porta ricavata in esso si aprì uno spioncino: dalla fessura si vedevano solo due occhi scuri e brillanti contornati da una massa indistinguibile di pelliccia bianca. Dall'altra parte lo sconosciuto ci chiese chi fossimo e che cosa volessimo, e appena accennammo ai grifoni e alle uova il nostro interlocutore farfugliò qualcosa che credetti significasse “un attimo!”, poi sentimmo scattare la serratura. Dall'uscio che si aprì ne emerse un giovane Ermellino un poco più basso di me, il suo manto candido lo faceva sembrare spettrale, ed era vestito con un saio grezzo ma dignitosamente curato. Entrambe ci presentammo e gli spiegammo la ragione della nostra visita, e il monaco rispose «No, noi qui non teniamo nessun uovo, si trovano tutte ai nidi dei grifoni, sulle montagne.» e cortesemente ci indicò la vetta giusta con la mano «Se ne volete uno, dovete solo arrivare fino ai nidi.»
Allora Rasìa gli disse «Io credevo che per averle vi fosse una prova da superare.»
«Raggiungere i nidi è la prova» ci chiarì l'Ermellino «Sono difesi dai grifoni stessi, dovrete superarli per trovare ciò che cercate.»
Poi intervenni io «E i grifoni quanto sono pericolosi?»
La risposta del monaco fu sibillina «Non dovreste preoccuparvi di ciò che i grifoni possono fare, ma di ciò che vorranno fare. Essi sono diversi dalle altre creature, tutto dipende dalla volontà di Kengoru.»
Io conosco ben poco sui grifoni, solo ciò che è noto a tutti: assomigliano a un incrocio tra una fenice e un grosso felino, hanno doti sovrannaturali, e so che sono i protettori e animali da compagnia di certi mistici ed eremiti; quello che non ho mai compreso, neppure tutt'oggi, è la loro natura, cioè se siano strani animali molto intelligenti oppure qualcosa di simile a degli spiriti incarnati. In ogni caso decidemmo di tentare la prova, perciò prima di congedarci ci facemmo spiegare la strada dall'Ermellino: grazie alle sue indicazioni trovammo la montagna giusta e il sentiero che ci avrebbe portato fino alla cima.
All'inizio la via era una semplice stradina di montagna percorribile senza difficoltà, ma nell'andare avanti la sua pendenza crebbe sempre più, fino a doverci piegare a carponi per proseguire. E come se non bastasse anche il terreno ci ostacolava, man mano che avanzavamo la roccia compatta sotto di noi divenne uno strato di massi malfermi e pronti a scapparci di mano non appena gli avessimo stretto una presa troppo forte. Il nostro cammino si stava facendo difficile e pericoloso, perciò suggerii alla mia compagna di legarci con una corda alla vita, così che se uno fosse scivolato, l'altro avrebbe potuto bloccare la caduta; fortunatamente ne avevamo una nei nostri zaini, tra le cose che ci eravamo portati per il viaggio e avevamo pensato che ci sarebbero potute servire.
Fu una saggia idea: poco dopo proprio Rasìa perse la presa e sdrucciolò verso valle, urlando e trascinando con sé una cascata di ciottoli. Mi voltai appena sentii quei rumori, e come mi accorsi che la donna stava scivolando chiusi gli occhi e mi avvinghiai subito al terreno con tutte le forze che avevo. Un attimo dopo la corda si serrò violentemente intorno ai miei fianchi e mi strattonò all'indietro; non cedetti, restai ancorato alla roccia e lottai contro quella spinta che tentava di piegare la mia volontà per trascinarmi giù con sé; per mia fortuna ebbe breve durata. Io non riaprii subito gli occhi, piuttosto aspettai che tornasse la calma prima di guardarmi cautamente attorno. Scoprii che Rasìa si trovava a qualche canna di distanza sotto di me, impolverata e immobile, tuttavia in apparenza sembrava illesa. Gli chiesi se stesse bene.
A voce alta mi rassicurò «Sto bene Ioren, sto bene... è tutto a posto.»
Le dissi di raggiungermi, se poteva farlo: era meglio che io rimanessi al mio posto nell'eventualità che il terreno cedesse ancora. Ella assentì e salì con attenzione per lo spazio che ci divideva fino ad arrivare al mio fianco, dove la assicurai con il braccio al mio corpo. Osservai il suo tenero viso da Orsetta sporco di polvere, e le domandai «Tutto bene? Andiamo avanti?»
Rispose «Si, ho solo qualche graffietto...» e poi mi guardò come se dovesse farsi perdonare da una colpa «... perdonami Ioren... non so che cosa sia successo, all'improvviso si è mosso qualcosa e sono scivolata...»
«Non importa.» la interruppi, e la baciai con affetto sulla tempia «Conta solo che tu stia bene»; con la coda dell'occhio notai che nascose l'imbarazzo dietro ad un sorriso.
Proposi di continuare a scalare: poco più in alto sembrava esserci uno spazio pianeggiante, e lì avremmo potuto riposarci per un po'. Dopo vari sforzi lo raggiungemmo, e ci sedemmo appoggiandoci con la schiena contro la fredda e scomoda parete rocciosa. Sostavamo su un piccolo spiazzo ampio circa una mezza dozzina di canne, dove potevamo anche reggerci in piedi senza difficoltà nonostante una certa pendenza; ci saremmo fermati lì per breve tempo prima di ricominciare la salita.
Ansimavamo per la stanchezza, e il freddo condensava il nostro fiato in piccole nuvolette biancastre che si allontanavano nel vuoto spinte dal vento di montagna; in quei momenti contemplai la mia compagna, il ritmo del suo respiro, i battiti delle sue palpebre affaticate, ogni sua minuscola movenza... io l'amavo più di quanto ne mostrassi, nonché temevo di manifestarlo.
D'aspetto Rasìa è carina anche se non è particolarmente appariscente: ha gli occhi e la pelliccia castani, è più bassa di me e ha una corporatura tarchiata anche per noi Orsi, ma per me è la donna più bella del mondo. Ciò che mi affascina di lei è la sua personalità: è più irremovibile di un macigno quando fa qualcosa, e non si lascia spaventare dai problemi e dai dolori della vita, non indietreggia davanti alle avversità, ha il coraggio di agire sopportandone le conseguenze; non importava quello che sarebbe successo, Rasìa sarebbe sempre andata avanti. Tuttavia a quel tempo non mi ero ancora deciso a chiederle il fidanzamento, ancor meno il matrimonio. Tra noi Orsi le donne hanno una forte indipendenza, e non c'era niente che potesse vincolare Rasìa alle mie richieste se ella non aveva intenzione di acconsentire. Non sapevo di preciso cosa lei provasse verso di me; se mi fossi proposto, avrebbe potuto respingermi. Non ero sicuro di poter sopportare questa delusione: tra le molte ferite che si potevano affliggere ad un uomo, era tra quelle che non guarivano mai.
Tutto d'un tratto udimmo della musica. Sembrava il suono di un flauto, e il suo tono fioco era segno che l'esecutore era lontano, impressione avvalorata dall'assenza di tracce e odori che indicassero altre presenze umane nei paraggi oltre a noi. La melodia era allegra e serena così come era vaga... faceva smarrire il senso del tempo e dello spazio... faceva sembrare le nostre preoccupazioni e i nostri propositi insignificanti rispetto al rimanere per contemplare il mondo che ci circondava. Io e Rasìa ci alzammo involontariamente in piedi, ammaliati dalla bellezza di quella canzone aleggiante nel vento.
Improvvisamente un'ombra passò su di noi e ci spaventò, svegliandoci dall'incanto. Volgemmo gli occhi verso il cielo, e quando lo vidi gli puntai il dito ed esclamai “Un grifone!”: era una creatura volante con il corpo e le zampe feline e da rapace, mentre la testa e le ali rosse e gialle erano di una fenice; esso si allontanò e quando guadagnò abbastanza distanza virò verso di noi.
Noi non eravamo disarmati, avevamo portato delle armi.
Estrassi la spada dal fodero al mio fianco destro, feci cenno a Rasìa di stare dietro di me, e mi apprestai a difendermi dall'aggressione della bestia. Il grifone accettò la sfida lanciando un urlo stridente, e planò verso di noi mentre ci minacciava con gli artigli da fenice protesi e bramosi di violenza. Non mi lasciai impressionare.
La fiera rapida e furiosa consumò la distanza che ci separava, e io la lasciai avvicinare... poi chiusi gli occhi e ispirai. Risvegliai il potere sopito del mio spirito, mi concentrai sull'aria che mi attorniava assumendone il controllo, indi sollevai la mano disarmata: davanti a me il vento cambiò direzione, si scagliò contro il grifone e lo investì catturandolo. Trasformai il getto d'aria in una tromba che fece trottolare scompostamente l'animale; la bestia gridava spaventata nel comprendere di aver perso il controllo sulla situazione e su sé stessa, mentre il turbine gli strappava peli e piume che spargeva in ogni direzione. Dissolsi il vortice e il grifone, stordito e confuso, restò sospeso nel vuoto per qualche momento prima di precipitare giù, scomparendo sotto il bordo del sentiero su cui stavo. Sperai che fosse riuscito a riprendere il volo... non ero intenzionato a ucciderlo, volevo solo mettergli paura. Io e Rasìa ci avvicinammo al limite del dirupo e guardammo nel precipizio: l'altezza vertiginosa rendeva minuscolo tutto quello che stava a valle, ma tra le tante cose che vedevamo sembrava mancare il corpo del grifone. Supposi che si fosse salvato: un attimo dopo notai l'animale verso la nostra destra che si rialzava al cielo e si allontanava celermente da noi. Rasìa lo indicò e lo derise «Ah, ah, ah, ah! Sta scappando!»
Accompagnai le sue beffe con un ghigno di soddisfazione, però subito aggiunsi «Potrebbe tornare ancora, e insieme ad altri. E' meglio se andiamo avanti senza fermarci.»
Senza perdere altro tempo ricominciammo la scalata dell'insidioso sentiero, sempre accompagnati dall'enigmatica musica che permaneva nell'aria, e ci augurammo che il grifone e i suoi compagni riapparissero il più tardi possibile...


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