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Autore: Martu89    23/03/2008    1 recensioni
Non essere costernato a causa degli addii. Un addio è necessario prima di incontrarsi di nuovo. E incontrarsi di nuovo, dopo un momento o una vita, è certo per coloro che sono amici. (Bach)
Genere: Triste, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A Federica, con affetto e tanti auguri

 

Non essere costernato a causa degli addii.

Un addio è necessario prima di incontrarsi di nuovo.

E incontrarsi di nuovo, dopo un momento o una vita,

è certo per coloro che sono amici.

(Bach)

 

Emily si accoccolò stancamente sulla poltrona vicino alla finestra. Sospirando in maniera rumorosa, afferrò il libro appoggiato sul tavolino poco distante. Persuasione di Jane Austen, un romanzo affatto male. Aprì il volume al punto a cui era arrivata il giorno prima e iniziò a leggere, attorcigliando distrattamente con un dito una ciocca di capelli color ebano. Rimase immersa nella lettura per parecchio tempo, fin quando alzò la testa per stropicciarsi gli occhi stanchi. Sussultò, la sua amica Lauren era semi sdraiata sul letto, fissando divertita la faccia sorpresa di Emily.

“Cielo, Lauren, non ti ho nemmeno sentita entrare!” esclamò Emily alzandosi dalla poltrona per avvicinarsi all’amica.

“Ci credo! Ho un passo piuttosto leggero, dicono,” rispose Lauren sorridendo, poi gettò un’occhiata al libro che stava leggendo Emily. “Persuasione, eh? Alla fine ti ho persuasa a leggerlo… che te ne pare?”

“Di solito scelgo da sola i libri da lggere…” disse Emily leggermente inacidita. “Ad ogni modo, è carino, niente di che… Certo, anche la protagonista che famiglia si ritrova, non si sopporta!”

“Già, Mr. e Miss Elliot fanno sempre questo effetto…”

Lauren emanava una dolcezza quasi materna, amabilità che traspariva in particolar modo dal suo aspetto. Il suo viso rotondo era incorniciato da una chioma di lunghi capelli color miele ed era impreziosito da occhi azzurri talmente chiari da sembrare cristalli. Non era alta né tanto meno magra, ma era decisamente ben tornita. Emily, al contrario dell’amica, era magra in modo quasi esagerato e, per quanto impossibile, sembrava ancora più scheletrica nell’ultimo periodo. I suoi capelli castano scuro le cadevano delicatamente sulle spalle e mettevano in risalto il suo volto sottile, i cui profondi occhi neri e il naso piuttosto piccolo rendevano molto fine. Nel complesso aveva una certa fisionomia aristocratica e distinta, che però veniva spesso a scontrarsi con la scarsa ricercatezza del suo abbigliamento e della cura per se stessa.

Le due ragazze avevano quella fantastica caratteristica propria delle amiche: saper parlare ore intere senza nemmeno accorgersene, spaziare attraverso qualsiasi argomento con quella naturalezza che può nascere solo da una profonda conoscenza e da un affetto duraturo. Lauren ed Emily parlarono a lungo di Persuasione e dei suoi personaggi, sparlarono di quelli antipatici e inconsistenti, mentre lodarono quelli amabili. Con rapidità iniziarono una lunga disquisizione sul perché tutti i personaggi di Jane Austen abbiano ciò che gli spetta, perché i buoni si guadagnino un lieto fine mentre ai cattivi venga solo riservato un destino di vergogna e miseria; mentre la realtà termina sempre in maniera completamente differente.

“Io credo sia per questo che adorola Austen, anche quando so che ogni mia speranza è ormai svanita, continuo a sperare in un futuro, nel quale ciò che voglio può accadere. Non ho più nulla, eppure non riesco a smettere di sognare,” disse Lauren, sorridendo mestamente.

“Già, ma allora i romanzi realisti?” replicò Emily. “A cosa potranno mai servire?”

“Ah, non ho ne idea, da come la vedo io sono completamente inutili. Insomma, la vita non è già di per sé un terribile romanzo realista?”

“Io non credo, cioè, io vedo il realismo come un monito. È come se l’autore ti urlasse «le cose potrebbero anche andarti peggio! Accontentati di quel che hai!». Dopo che hai letto un’orrenda tragedia, incominci a vedere ciò che ti circonda in maniera completamente diversa, inizi a rivalutare la tua propria realtà.”

“Uhm, certo, questo è vero se hai ancora una realtà da poter rivalutare… Ma, hai mai letto Jane Eyre? Finisce bene, malgrado ad un certo punto tu non lo creda più possibile…”

L’argomento su come dovessero essere i finali dei libri cadde come cinque minuti prima era iniziato. Il resto del pomeriggio verté sugli argomenti più disparati: da quelli più banali, come vestiti e programmi televisivi, a quelli più profondi, come la letteratura, fino, addirittura, alla politica.

Però quando l’oscurità della notte aveva quasi del tutto spinto il sole al di là dell’orizzonte, Lauren si alzò in piedi, sgranchendosi mollemente le gambe. “È tempo che me ne vada,” disse ad Emily, abbozzando un sorriso.

“Di già?” rispose l’amica, guardandola sorpresa. “Rimani ancora! Sono certa che a mia madre farà piacere averti a cena.”

“No, sai bene che non posso rimanere,” replicò Lauren, avvicinandosi lentamente alla porta.

Emily sembrò offesa e pensierosa al contempo. “Fai ciò che devi, allora,” disse infine all’amica.

Lauren si mordicchiò il labbro con aria pensosa. “Arriverà il momento, Emily,” disse, fissandola negli occhi, poi si voltò per uscire. “Ciao.”

Emily ricambiò il saluto di malavoglia e rimase ad ascoltare i passi di Lauren farsi sempre più lontani. Non sentì nemmeno la porta d’ingresso chiudersi. Dopodiché restò seduta sul letto nella medesima posizione qualche minuto con aria meditabonda. All’improvviso afferrò il cellulare e compose velocemente il numero di Lauren. Era spento. Emily gettò il telefono sul letto con un’espressione crucciata. Si alzò in piedi, riprese in mano Persuasione e si sedette di nuovo sulla poltroncina accanto alla finestra. Ormai il buio aveva preso il sopravvento sul giorno e in strada il lampioni erano accesi da un pezzo. Emily con un movimento secco accese la lampada accanto alla poltrona, meditando quando si sarebbe accesa dentro di lei la luce che avrebbe rischiarato i suoi pensieri.

***

Emily si avvicinò con decisione alla scrivania, che era situata dalla parte opposta alla finestra, e fissò qualche istante le fotografie incorniciate poste sopra alla mensole. La maggior di esse ritraevano Lauren e Emily insieme, ve ne erano tantissime e sembravano ripercorrere tutte le età delle due ragazze.

Emily fissò la fotografia, che sembrava essere anche la più datata, posta al centro della mensola. Rappresentava due bambine di circa quattro anni, sedute al medesimo tavolo; una, quella più alta e con una lunga treccia bionda, stringeva tra le mani un pennarello giallo mentre l’altra bimba, più minuta e con un caschetto di capelli castani, indicava con un ditino un punto imprecisato del cartellone appoggiato davanti a loro. Emily, guardando quella foto, sorrise tra sé e sé, aprì l’ultimo cassetto della scrivania e ne tirò fuori una piccola scatola, una di quelle in latta, un po’ antiche nelle quali si conservavano i biscotti. Aprendosi, la scatola rivelò il suo tesoro: foto, lettere e altri foglietti sparsi pieni di note. Emily prese la prima busta della pila, era azzurro chiaro e po’ spiegazzata, come se fosse stata presa in mano centinaia di volte, sul davanti, in alto a destra, con una calligrafia volutamente svolazzante c’era scritto il nome di Emily. La ragazza sfilò il contenuto della busta: una foto e un foglio, anche questo consumato dalle troppo letture. Prese in mano il foglio, lo aprì e lo stirò ben bene con le mani e poi iniziò a leggere:

 

Cara Emily,

                   ci siamo appena salutate al telefono, eppure sento il bisogno ancora di salutarti, scrivendoti questa lettera. Mi sembra davvero strano trascorrere un’estate lontano da te, non ci siamo mai allontanate più di due settimane e ora andare via e non vederci per più di due mesi inizia a spaventarmi. Ma nonostante tutto trovo gli addii in qualche modo affascinanti… Lo so, mi sto contraddicendo da sola. Pensaci un attimo e guardali in un’ottica diversa, Em, infondo un addio è necessario prima di incontrarci ancora. Dobbiamo per forza salutarci e buttar giù la cornetta, se dopo vogliamo telefonarci di nuovo. Come io dovrò presto o tardi concludere questa lettera, se poi te ne vorrò scrivere un’altra. Tutti noi ci diciamo addio di continuo e puntualmente ci incontriamo ancora, ormai non ci facciamo più caso, o magari non ce ne accorgiamo, ma è così infondo. Ce ne rendiamo conto solo quando il lasso di tempo tra il nostro addio e il ricongiungimento diventa troppo lungo.

Così noi faremo quest’estate, ci diciamo addio ma ci rincontreremo fra due mesi esatti, noi siamo troppo amiche da rovinare il nostro rapporto a causa della lontananza; sappiamo che la nostra amicizia è la garanzia del nostro futuro rincontro, anche se questo avverrà tra un momento, due mesi o un’intera vita.

Quindi, non essere addolorata a causa di questo addio, Em, perché noi ci incontreremo ancora, ne sono certa e te lo prometto.

Ti voglio bene.

Tua,
Lauren

 

Dopo aver terminato di leggere, Emily sospirò rumorosamente, chiudendo un attimo gli occhi con aria pensierosa, poi ripiegò con cura il foglio e lo rimise dentro la busta, infine afferrò la foto che era insieme alla lettera. La fotografia ritraeva Emily e Lauren al compleanno di quest’ultima, sembravano davvero felici, quasi come se mai lo fossero state di più. Ma ora Emily sembrava triste, come se stesse riflettendo sulla quella felicità passata che purtroppo mancava nel presente.

“Siamo venute proprio bene in quella foto!” disse Lauren, sbucando alle spalle dell’amica, facendola sussultare.

“Lauren, basta!” urlò Emily, a metà tra il divertito e l’arrabbiato. “Sarà mai possibile che non mi accorga mai quando entri?!”

Lauren rise. “Si vede che pensi tanto intensamente da non renderti conto nemmeno di cosa ti capita attorno.”

“Forse hai ragione,” rispose Emily, fissando l’amica dubbiosa. Poi appoggiò la foto sulla scrivania poi si gettò sul letto. “Lau, sei andata a scuola stamattina?”

“Certo, perché tu piuttosto non c’eri?”

“Non ne avevo voglia,” rispose semplicemente Emily, facendo spallucce. “Anzi, parlando di cose davvero interessanti, c’era Michael?”

“Quanto ancora durerà questa sceneggiata, Em?” chiese Lauren con tono serio, scrutando il volto di Emily in cerca di una risposta. L’amica distolse lo sguardo e scese dal letto, dirigendosi verso la finestra.

“Non capisco cosa tu intenda, Lauren,” replicò Emily, dando le spalle all’amica e fissando dalla finestra le macchine passare per la strada. 

“Tu lo sai benissimo, invece,” disse Lauren avvicinandosi ad Emily. “Lasciami andare, Em, lasciami andare.”

Emily si voltò di scatto. “Mai! No, tu devi rimanere qui con me!” urlò con rabbia. Lauren le si avvicinò, guardandola con una sguardo pieno di affetto e tentando di abbracciarla. “Emily…”  Ma Emily si scansò.

“Tu me lo avevi promesso,” gemette Emily, mentre grosse lacrime iniziavano a sgorgare dai suoi occhi. “Tu avevi detto che saresti tornata, perché tanto un addio non è altro una condizione necessaria affinché ci si incontri di nuovo! Mentivi! Mentivi! Perché mi hai mentito? Sai che odio le bugie, e quindi odio te perché me ne hai dette! Ti odio, ti odio, ti odio… Volevi andartene? Vattene, allora! Non ti voglio vedere mai più! Esci dalla mia camera, dalla mia casa, dalla mia vita…” 

Emily si accasciò a terra in preda ai singhiozzi, Lauren, poco lontana, tentò di avvicinarsi nuovamente all’amica, ma questa si allontanò ancora.

“Emily, ascoltami…” disse Lauren in tono supplichevole, facendo un passo verso l’amica. Emily tese un braccio davanti sé, sia per fermare l’avanzata di Lauren sia per zittirla.

“Io non ti voglio ascoltare, Lauren,” disse Emily con la voce smorzata dai singhiozzi.

“Ti prego, Emily, fammi parlare. Non puoi non ascoltare parte di te stessa.”

“Cosa intendi dire?” chiese Emily, guardandola spaventata.

Lauren sospirò e prese un ampio respiro. “È ciò che sto cercando di dirti da tanto tempo, Em. Guardami, non noti nulla di strano? Nulla che hai appena visto?” Emily scosse la testa con gli occhi sbarrati. “Prendi la foto di prima, Emily.”

 

Titubante, Emily si alzò e diresse molto lentamente verso la scrivania, prese in mano la foto che stava guardando pochi minuti prima, poi volse di nuovo l’attenzione verso Lauren.

“Noti qualcosa di particolare, ora?” domandò Lauren, Emily guardò ancora la foto, poi all’improvviso notò. Stessa maglia, stessi jeans, stessa collana e, perfino, stessi orecchini. Lauren indossava i medesimi vestiti della foto. Emily, sconvolta e terrorizzata, rivolse lo sguardo verso Lauren.

“Io sono morta, Em, come…” disse Lauren con gli occhi lucidi.

“Non osare dirlo un’altra volta!” tentò di urlare Emily, ma i singhiozzi, tornati a scuoterla, le avevano bloccato la gola.

“Non puoi, Em, e non devi continuare a farti del male, come stai facendo ora. Io non ci sono più, devi accettarlo.”

Il volto di Emily era rigato di lacrime; i suoi occhi erano talmente arrossati e la sua carnagione era così pallida da farla sembrare un fantasma.

“Lauren, io ho bisogno di te! Non posso andare avanti senza di te! Ho bisogno di te, non lasciarmi, Lauren,” gemette Emily, cercando di darsi contegno.

“Io non sono Lauren,” cercò di dire con fermezza Lauren, i cui occhi stavano trattenendo a fatica le lacrime. “E tu questo lo sai. Io sono solo una sua mera riproduzione! Tu mi hai creato! Io sono solo frutto del tuo dolore, un dolore talmente profondo che non poteva essere alleviato da qualche pianto. Il tuo dolore era così radicato in te che non ce l’hai fatta, non potevi contenerlo, hai avuto bisogno di qualcosa che lo lenisse, anzi, necessitavi che fosse come se non ci fosse mai stato; ecco la negazione ed eccomi qui. Tu mi hai voluto, perché non ce la facevi più di soffrire. Vedi perché ho gli stessi abiti della foto, io appaio quando mi pensi intensamente. Ma io non posso stare qui ancora, tu sai dentro di te stessa che non puoi continuare. Hai bisogno di andare avanti. Sono mesi che sei ridotta in questo stato, ti stai distruggendo, non lo noti? Lasciami andare, Emily, continua a vivere…”

Emily continuò singhiozzare, cercava di parlare ma non vi riusciva. Allora, tornò verso la scrivania e, a causa degli occhi appannati dalle lacrime, cercò a tentoni la lettera che Lauren le aveva scritto prima della partenza. Tirò fuori il foglio dalla lettera e con dita tremanti lo aprì. Deglutì, prese un ampio respiro e iniziò a leggere a fatica.

Em, infondo un addio è necessario prima di incontrarci ancora... sappiamo che la nostra amicizia è la garanzia del nostro futuro rincontro… non essere addolorata a causa di questo addio, Em, perché noi ci incontreremo ancora, ne sono certa e te lo prometto,” tutte queste parole Emily le avrebbe volute urlare, ma era come se la sua voce non volesse collaborare, così che il suo tono era stridulo e malfermo. “Perché hai scritto queste parole, allora? Cosa ci trovi di affascinante negli addii, Lauren? Tu hai scritto queste parole, devi averle quindi pensate. Rispondimi, allora, illuminami!”

“La verità è che io non sapevo, Lauren non sapeva, cosa stava dicendo né cosa sarebbe accaduto!” urlò Lauren, da cui occhi iniziarono a sgorgare copiose lacrime. “A me piace, a Lauren piaceva, a tutti piace riempire la propria vita con frasi ad effetto, con citazioni famose. Danno un tocco di classe, non è vero? La verità è che vogliamo sempre passare per persone profonde, ma siamo superficiali, spesso e volentieri. Ecco allora che una citazione, una bella frase, ci da la convinzione di questa profondità, che però non ci appartiene. Ma il punto non è questo, o almeno non è solo questo. C’è chi dice che la vita è inaspettata, giusto, concordo, perché mai avevo anche solo immaginato che sarei… che non sarei più vissuta. È che tutto accade agli Altri, niente può ferirci, niente può attaccarci, ciò che di male che ci può colpire ci scansa e colpisce gli Altri. Io ho solo, Lauren ha solo, peccato di questa superbia. Perdonami, Emily. Tu non sei arrabbiata perché non ho mantenuto la promessa che ci saremmo riviste, tu sei arrabbiata perché ti ho abbandonata. Ma io non ti ho abbandonata, io sono qui con te, sempre, comunque e ovunque tu sia.”

Emily stava fissando l’amica, le lacrime avevano smesso di scendere, ma la consapevolezza che ciò che Lauren stava dicendo fosse vero, la faceva star male comunque. Il dolore della perdita è il più profondo, il vuoto lasciato da qualcosa che prima c’era è impossibile da riempire. Il vuoto lasciato da Lauren nell’anima di Emily era una voragine. L’affetto e l’amicizia che l’una provava per l’altra erano un seme piantato nei loro cuori tanti anni prima, un seme germogliato piano ma ininterrottamente, resistendo a gelidi inverni e torride estati, fin quando la Vita aveva deciso che il frutto nato era abbastanza maturo per essere colto e così la sua mano crudele lo aveva strappato senza pietà alcuna. Ma ecco che anche se questo frutto era stato colto, niente e nessuno avrebbe mai potuto affermare che non era mai esistito.

“Vedi, Em, tu sei stata la persona che più mi ha conosciuto al mondo, sai che credo che il tesoro più grande di una persona sia la memoria. Senza essa saremmo come nudi, i ricordi sono come perle che vanno conservate in un portagioie. Tutti noi siamo mortali, ma ciò le nostre azioni no, ed è per questo che siamo immortali nei ricordi degli altri. Quindi, ti prego, Emily, ricordami. Non dimenticarmi, se mi dimenticassi è come se venissi uccisa una seconda volta. Tu parlerai di me ai tuoi figli? Tu non mi dimenticherai, vero, Emily?”

“Come potrei dimenticarti? Ti prego non andartene, rimani con me e non ti dimenticherò,” supplicò Emily.

Lauren sorrise dolcemente e scosse la testa.

“No, io devo andare. Tu devi andare avanti…”

“Ma io non ce la farò senza di…”

“Ce la farai, Emily, ce la farai. Saprai camminare con le tue gambe. Sei forte, più di quanto tu creda, in vita ero io che traevo da te la forza, non il contrario. Poi io sarò sempre con te, nel tuo cuore, al tuo fianco, anche quando ti sarai dimenticata di me. Ora è tempo che inizi a contare su te stessa, io devo andare.”

Emily ricominciò a singhiozzare sommessamente. “Mi mancherai,” mormorò debolmente.

Lauren le si avvicinò e le accarezzò con leggerezza e affetto una guancia.

“In una certo qual modo anche tu mi mancherai, Em.”

“Allora, questo è un addio…”

“Oddio, spero proprio di no!” disse Lauren ridacchiando, anche Emily sorrise tra le lacrime.

Lauren si avvicinò alla porta della camera, diede una scorsa alla stanza che era stata il regno della loro amicizia e lanciò ad Emily un’occhiata piena del suo tipico affetto materno.

“Ti voglio bene, Emily,” disse sorridendo, anche se gli occhi le stavano tornando lucidi.

“Anch’io ti voglio bene, Lauren.”

“E, mi raccomando, continua a leggere,” aggiunse Lauren, lanciando un’occhiata al tavolino accanto alla finestra sul quale era ancora appoggiato Persuasione. Emily annuì, continuando a singhiozzare.

Lauren aprì la porta della camera. “Ciao, tesoro,” si congedò e asciugandosi una lacrima furtiva, uscì dalla stanza. Emily non sentì nemmeno la porta d’ingresso chiudersi. In quel momento si sentì come svuotata di colpo. La Solitudine e la Paura la stavano avvolgendo con il loro oscuro mantello. Poteva decidere di farsi ammantare senza reagire, ma non era la cosa giusta, non era ciò che Lauren avrebbe voluto. Lauren desiderava essere ricordata e lei doveva ricordarla.

Con la mano cancellò dal viso le ultime lacrime rimaste, residuo di ciò che non doveva essere, si diresse verso il tavolino accanto alla finestra e prese in mano Persuasione. Poi andò alla scrivania e si sedette. Appoggiò il libro, prese dal primo cassetto un paio di fogli e una penna ed iniziò a scrivere: Lauren

  
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