A Federica, con affetto e tanti auguri
Non essere costernato a causa degli
addii.
Un addio è necessario prima di
incontrarsi di nuovo.
E incontrarsi di nuovo, dopo un
momento o una vita,
è certo per coloro che sono
amici.
(Bach)
Emily si accoccolò stancamente sulla poltrona vicino
alla finestra. Sospirando in maniera rumorosa, afferrò il libro appoggiato sul
tavolino poco distante. Persuasione di Jane Austen, un romanzo affatto
male. Aprì il volume al punto a cui era arrivata il giorno prima e iniziò a
leggere, attorcigliando distrattamente con un dito una ciocca di capelli color
ebano. Rimase immersa nella lettura per parecchio tempo, fin quando alzò la
testa per stropicciarsi gli occhi stanchi. Sussultò, la sua amica Lauren era
semi sdraiata sul letto, fissando divertita la faccia sorpresa di
Emily.
“Cielo, Lauren, non ti ho nemmeno sentita entrare!”
esclamò Emily alzandosi dalla poltrona per avvicinarsi all’amica.
“Ci credo! Ho un passo piuttosto leggero, dicono,”
rispose Lauren sorridendo, poi gettò un’occhiata al libro che stava leggendo
Emily. “Persuasione, eh? Alla fine ti ho persuasa a leggerlo… che
te ne pare?”
“Di solito scelgo da sola i libri da lggere…” disse
Emily leggermente inacidita. “Ad ogni modo, è carino, niente di che… Certo,
anche la protagonista che famiglia si ritrova, non si
sopporta!”
“Già, Mr. e Miss Elliot fanno sempre questo effetto…”
Lauren emanava una dolcezza quasi materna, amabilità che
traspariva in particolar modo dal suo aspetto. Il suo viso rotondo era
incorniciato da una chioma di lunghi capelli color miele ed era impreziosito da
occhi azzurri talmente chiari da sembrare cristalli. Non era alta né tanto meno
magra, ma era decisamente ben tornita. Emily, al contrario dell’amica, era magra
in modo quasi esagerato e, per quanto impossibile, sembrava ancora più
scheletrica nell’ultimo periodo. I suoi capelli castano scuro le cadevano
delicatamente sulle spalle e mettevano in risalto il suo volto sottile, i cui
profondi occhi neri e il naso piuttosto piccolo rendevano molto fine. Nel
complesso aveva una certa fisionomia aristocratica e distinta, che però veniva
spesso a scontrarsi con la scarsa ricercatezza del suo abbigliamento e della
cura per se stessa.
Le due ragazze avevano quella fantastica caratteristica
propria delle amiche: saper parlare ore intere senza nemmeno accorgersene,
spaziare attraverso qualsiasi argomento con quella naturalezza che può nascere
solo da una profonda conoscenza e da un affetto duraturo. Lauren ed Emily
parlarono a lungo di Persuasione e dei suoi personaggi, sparlarono di
quelli antipatici e inconsistenti, mentre lodarono quelli amabili. Con rapidità
iniziarono una lunga disquisizione sul perché tutti i personaggi di Jane Austen
abbiano ciò che gli spetta, perché i buoni si guadagnino un lieto fine mentre ai
cattivi venga solo riservato un destino di vergogna e miseria; mentre la realtà
termina sempre in maniera completamente differente.
“Io
credo sia per questo che adoro
“Già, ma allora i romanzi realisti?” replicò Emily. “A
cosa potranno mai servire?”
“Ah, non ho ne idea, da come la vedo io sono
completamente inutili. Insomma, la vita non è già di per sé un terribile romanzo
realista?”
“Io non credo, cioè, io vedo il realismo come un monito.
È come se l’autore ti urlasse «le cose potrebbero anche andarti peggio!
Accontentati di quel che hai!». Dopo che hai letto un’orrenda tragedia,
incominci a vedere ciò che ti circonda in maniera completamente diversa, inizi a
rivalutare la tua propria realtà.”
“Uhm, certo, questo è vero se hai ancora una realtà da
poter rivalutare… Ma, hai mai letto Jane Eyre? Finisce bene, malgrado ad
un certo punto tu non lo creda più possibile…”
L’argomento su come dovessero essere i finali dei libri
cadde come cinque minuti prima era iniziato. Il resto del pomeriggio verté sugli
argomenti più disparati: da quelli più banali, come vestiti e programmi
televisivi, a quelli più profondi, come la letteratura, fino, addirittura, alla
politica.
Però quando l’oscurità della notte aveva quasi del tutto
spinto il sole al di là dell’orizzonte, Lauren si alzò in piedi, sgranchendosi
mollemente le gambe. “È tempo che me ne vada,” disse ad Emily, abbozzando un
sorriso.
“Di già?” rispose l’amica, guardandola sorpresa. “Rimani
ancora! Sono certa che a mia madre farà piacere averti a cena.”
“No, sai bene che non posso rimanere,” replicò Lauren,
avvicinandosi lentamente alla porta.
Emily sembrò offesa e pensierosa al contempo. “Fai ciò
che devi, allora,” disse infine all’amica.
Lauren si mordicchiò il labbro con aria pensosa.
“Arriverà il momento, Emily,” disse, fissandola negli occhi, poi si voltò per
uscire. “Ciao.”
Emily ricambiò il saluto di malavoglia e rimase ad
ascoltare i passi di Lauren farsi sempre più lontani. Non sentì nemmeno la porta
d’ingresso chiudersi. Dopodiché restò seduta sul letto nella medesima posizione
qualche minuto con aria meditabonda. All’improvviso afferrò il cellulare e
compose velocemente il numero di Lauren. Era spento. Emily gettò il telefono sul
letto con un’espressione crucciata. Si alzò in piedi, riprese in mano
Persuasione e si sedette di nuovo sulla poltroncina accanto alla
finestra. Ormai il buio aveva preso il sopravvento sul giorno e in strada il
lampioni erano accesi da un pezzo. Emily con un movimento secco accese la
lampada accanto alla poltrona, meditando quando si sarebbe accesa dentro di lei
la luce che avrebbe rischiarato i suoi pensieri.
***
Emily si avvicinò con decisione alla scrivania, che era
situata dalla parte opposta alla finestra, e fissò qualche istante le fotografie
incorniciate poste sopra alla mensole. La maggior di esse ritraevano Lauren e
Emily insieme, ve ne erano tantissime e sembravano ripercorrere tutte le età
delle due ragazze.
Emily fissò la fotografia, che sembrava essere anche la
più datata, posta al centro della mensola. Rappresentava due bambine di circa
quattro anni, sedute al medesimo tavolo; una, quella più alta e con una lunga
treccia bionda, stringeva tra le mani un pennarello giallo mentre l’altra bimba,
più minuta e con un caschetto di capelli castani, indicava con un ditino un
punto imprecisato del cartellone appoggiato davanti a loro. Emily, guardando
quella foto, sorrise tra sé e sé, aprì l’ultimo cassetto della scrivania e ne
tirò fuori una piccola scatola, una di quelle in latta, un po’ antiche nelle
quali si conservavano i biscotti. Aprendosi, la scatola rivelò il suo tesoro:
foto, lettere e altri foglietti sparsi pieni di note. Emily prese la prima busta
della pila, era azzurro chiaro e po’ spiegazzata, come se fosse stata presa in
mano centinaia di volte, sul davanti, in alto a destra, con una calligrafia
volutamente svolazzante c’era scritto il nome di Emily. La ragazza sfilò il
contenuto della busta: una foto e un foglio, anche questo consumato dalle troppo
letture. Prese in mano il foglio, lo aprì e lo stirò ben bene con le mani e poi
iniziò a leggere:
Cara Emily,
ci siamo appena salutate al telefono, eppure sento il bisogno ancora di
salutarti, scrivendoti questa lettera. Mi sembra davvero strano trascorrere
un’estate lontano da te, non ci siamo mai allontanate più di due settimane e ora
andare via e non vederci per più di due mesi inizia a spaventarmi. Ma nonostante
tutto trovo gli addii in qualche modo affascinanti… Lo so, mi sto contraddicendo
da sola. Pensaci un attimo e guardali in un’ottica diversa, Em, infondo un addio
è necessario prima di incontrarci ancora. Dobbiamo per forza salutarci e buttar
giù la cornetta, se dopo vogliamo telefonarci di nuovo. Come io dovrò presto o
tardi concludere questa lettera, se poi te ne vorrò scrivere un’altra. Tutti noi
ci diciamo addio di continuo e puntualmente ci incontriamo ancora, ormai non ci
facciamo più caso, o magari non ce ne accorgiamo, ma è così infondo. Ce ne
rendiamo conto solo quando il lasso di tempo tra il nostro addio e il
ricongiungimento diventa troppo lungo.
Così noi faremo quest’estate, ci diciamo addio ma ci
rincontreremo fra due mesi esatti, noi siamo troppo amiche da rovinare il nostro
rapporto a causa della lontananza; sappiamo che la nostra amicizia è la garanzia
del nostro futuro rincontro, anche se questo avverrà tra un momento, due mesi o
un’intera vita.
Quindi, non essere addolorata a causa di questo addio,
Em, perché noi ci incontreremo ancora, ne sono certa e te lo prometto.
Ti voglio bene.
Tua,
Lauren
Dopo aver terminato di leggere, Emily sospirò
rumorosamente, chiudendo un attimo gli occhi con aria pensierosa, poi ripiegò
con cura il foglio e lo rimise dentro la busta, infine afferrò la foto che era
insieme alla lettera. La fotografia ritraeva Emily e Lauren al compleanno di
quest’ultima, sembravano davvero felici, quasi come se mai lo fossero state di
più. Ma ora Emily sembrava triste, come se stesse riflettendo sulla quella
felicità passata che purtroppo mancava nel presente.
“Siamo venute proprio bene in quella foto!” disse
Lauren, sbucando alle spalle dell’amica, facendola sussultare.
“Lauren, basta!” urlò Emily, a metà tra il divertito e
l’arrabbiato. “Sarà mai possibile che non mi accorga mai quando
entri?!”
Lauren rise. “Si vede che pensi tanto intensamente da
non renderti conto nemmeno di cosa ti capita attorno.”
“Forse hai ragione,” rispose Emily, fissando l’amica
dubbiosa. Poi appoggiò la foto sulla scrivania poi si gettò sul letto. “Lau, sei
andata a scuola stamattina?”
“Certo, perché tu piuttosto non c’eri?”
“Non ne avevo voglia,” rispose semplicemente Emily,
facendo spallucce. “Anzi, parlando di cose davvero interessanti, c’era
Michael?”
“Quanto ancora durerà questa sceneggiata, Em?” chiese
Lauren con tono serio, scrutando il volto di Emily in cerca di una risposta.
L’amica distolse lo sguardo e scese dal letto, dirigendosi verso la finestra.
“Non capisco cosa tu intenda, Lauren,” replicò Emily,
dando le spalle all’amica e fissando dalla finestra le macchine passare per la
strada.
“Tu lo sai benissimo, invece,” disse Lauren
avvicinandosi ad Emily. “Lasciami andare, Em, lasciami andare.”
Emily si voltò di scatto. “Mai! No, tu devi rimanere qui
con me!” urlò con rabbia. Lauren le si avvicinò, guardandola con una sguardo
pieno di affetto e tentando di abbracciarla. “Emily…” Ma Emily si scansò.
“Tu me lo avevi promesso,” gemette Emily, mentre grosse
lacrime iniziavano a sgorgare dai suoi occhi. “Tu avevi detto che saresti
tornata, perché tanto un addio non è altro una condizione necessaria affinché ci
si incontri di nuovo! Mentivi! Mentivi! Perché mi hai mentito? Sai che odio le
bugie, e quindi odio te perché me ne hai dette! Ti odio, ti odio, ti odio…
Volevi andartene? Vattene, allora! Non ti voglio vedere mai più! Esci dalla mia
camera, dalla mia casa, dalla mia vita…”
Emily si accasciò a terra in preda ai singhiozzi,
Lauren, poco lontana, tentò di avvicinarsi nuovamente all’amica, ma questa si
allontanò ancora.
“Emily, ascoltami…” disse Lauren in tono supplichevole,
facendo un passo verso l’amica. Emily tese un braccio davanti sé, sia per
fermare l’avanzata di Lauren sia per zittirla.
“Io non ti voglio ascoltare, Lauren,” disse Emily con la
voce smorzata dai singhiozzi.
“Ti prego, Emily, fammi parlare. Non puoi non ascoltare
parte di te stessa.”
“Cosa intendi dire?” chiese Emily, guardandola
spaventata.
Lauren sospirò e prese un ampio respiro. “È ciò che sto
cercando di dirti da tanto tempo, Em. Guardami, non noti nulla di strano? Nulla
che hai appena visto?” Emily scosse la testa con gli occhi sbarrati. “Prendi la
foto di prima, Emily.”
Titubante, Emily si alzò e diresse molto lentamente
verso la scrivania, prese in mano la foto che stava guardando pochi minuti
prima, poi volse di nuovo l’attenzione verso Lauren.
“Noti qualcosa di particolare, ora?” domandò Lauren,
Emily guardò ancora la foto, poi all’improvviso notò. Stessa maglia, stessi
jeans, stessa collana e, perfino, stessi orecchini. Lauren indossava i medesimi
vestiti della foto. Emily, sconvolta e terrorizzata, rivolse lo sguardo verso
Lauren.
“Io sono morta, Em, come…” disse Lauren con gli occhi
lucidi.
“Non osare dirlo un’altra volta!” tentò di urlare Emily,
ma i singhiozzi, tornati a scuoterla, le avevano bloccato la gola.
“Non puoi, Em, e non devi continuare a farti del male,
come stai facendo ora. Io non ci sono più, devi accettarlo.”
Il volto di Emily era rigato di lacrime; i suoi occhi
erano talmente arrossati e la sua carnagione era così pallida da farla sembrare
un fantasma.
“Lauren, io ho bisogno di te! Non posso andare avanti
senza di te! Ho bisogno di te, non lasciarmi, Lauren,” gemette Emily, cercando
di darsi contegno.
“Io non sono Lauren,” cercò di dire con fermezza Lauren,
i cui occhi stavano trattenendo a fatica le lacrime. “E tu questo lo sai. Io
sono solo una sua mera riproduzione! Tu mi hai creato! Io sono solo frutto del
tuo dolore, un dolore talmente profondo che non poteva essere alleviato da
qualche pianto. Il tuo dolore era così radicato in te che non ce l’hai fatta,
non potevi contenerlo, hai avuto bisogno di qualcosa che lo lenisse, anzi,
necessitavi che fosse come se non ci fosse mai stato; ecco la negazione ed
eccomi qui. Tu mi hai voluto, perché non ce la facevi più di soffrire. Vedi
perché ho gli stessi abiti della foto, io appaio quando mi pensi intensamente.
Ma io non posso stare qui ancora, tu sai dentro di te stessa che non puoi
continuare. Hai bisogno di andare avanti. Sono mesi che sei ridotta in questo
stato, ti stai distruggendo, non lo noti? Lasciami andare, Emily, continua a
vivere…”
Emily continuò singhiozzare, cercava di parlare ma non
vi riusciva. Allora, tornò verso la scrivania e, a causa degli occhi appannati
dalle lacrime, cercò a tentoni la lettera che Lauren le aveva scritto prima
della partenza. Tirò fuori il foglio dalla lettera e con dita tremanti lo aprì.
Deglutì, prese un ampio respiro e iniziò a leggere a
fatica.
“Em, infondo un addio è necessario prima di
incontrarci ancora... sappiamo che la nostra amicizia è la garanzia del nostro
futuro rincontro… non essere addolorata a causa di questo addio, Em, perché noi
ci incontreremo ancora, ne sono certa e te lo prometto,” tutte queste parole
Emily le avrebbe volute urlare, ma era come se la sua voce non volesse
collaborare, così che il suo tono era stridulo e malfermo. “Perché hai scritto
queste parole, allora? Cosa ci trovi di affascinante negli addii, Lauren?
Tu hai scritto queste parole, devi averle quindi pensate. Rispondimi, allora,
illuminami!”
“La verità è che io non sapevo, Lauren non sapeva, cosa
stava dicendo né cosa sarebbe accaduto!” urlò Lauren, da cui occhi iniziarono a
sgorgare copiose lacrime. “A me piace, a Lauren piaceva, a tutti piace riempire
la propria vita con frasi ad effetto, con citazioni famose. Danno un tocco di
classe, non è vero? La verità è che vogliamo sempre passare per persone
profonde, ma siamo superficiali, spesso e volentieri. Ecco allora che una
citazione, una bella frase, ci da la convinzione di questa profondità, che però
non ci appartiene. Ma il punto non è questo, o almeno non è solo questo. C’è chi
dice che la vita è inaspettata, giusto, concordo, perché mai avevo anche solo
immaginato che sarei… che non sarei più vissuta. È che tutto accade agli Altri,
niente può ferirci, niente può attaccarci, ciò che di male che ci può colpire ci
scansa e colpisce gli Altri. Io ho solo, Lauren ha solo, peccato di questa
superbia. Perdonami, Emily. Tu non sei arrabbiata perché non ho mantenuto la
promessa che ci saremmo riviste, tu sei arrabbiata perché ti ho abbandonata. Ma
io non ti ho abbandonata, io sono qui con te, sempre, comunque e ovunque tu
sia.”
Emily stava fissando l’amica, le lacrime avevano smesso
di scendere, ma la consapevolezza che ciò che Lauren stava dicendo fosse vero,
la faceva star male comunque. Il dolore della perdita è il più profondo, il
vuoto lasciato da qualcosa che prima c’era è impossibile da riempire. Il vuoto
lasciato da Lauren nell’anima di Emily era una voragine. L’affetto e l’amicizia
che l’una provava per l’altra erano un seme piantato nei loro cuori tanti anni
prima, un seme germogliato piano ma ininterrottamente, resistendo a gelidi
inverni e torride estati, fin quando
“Vedi, Em, tu sei stata la persona che più mi ha
conosciuto al mondo, sai che credo che il tesoro più grande di una persona sia
la memoria. Senza essa saremmo come nudi, i ricordi sono come perle che vanno
conservate in un portagioie. Tutti noi siamo mortali, ma ciò le nostre azioni
no, ed è per questo che siamo immortali nei ricordi degli altri. Quindi, ti
prego, Emily, ricordami. Non dimenticarmi, se mi dimenticassi è come se venissi
uccisa una seconda volta. Tu parlerai di me ai tuoi figli? Tu non mi
dimenticherai, vero, Emily?”
“Come potrei dimenticarti? Ti prego non andartene,
rimani con me e non ti dimenticherò,” supplicò Emily.
Lauren sorrise dolcemente e scosse la testa.
“No, io devo andare. Tu devi andare
avanti…”
“Ma io non ce la farò senza di…”
“Ce la farai, Emily, ce la farai. Saprai camminare con
le tue gambe. Sei forte, più di quanto tu creda, in vita ero io che traevo da te
la forza, non il contrario. Poi io sarò sempre con te, nel tuo cuore, al tuo
fianco, anche quando ti sarai dimenticata di me. Ora è tempo che inizi a contare
su te stessa, io devo andare.”
Emily ricominciò a singhiozzare sommessamente. “Mi
mancherai,” mormorò debolmente.
Lauren le si avvicinò e le accarezzò con leggerezza e
affetto una guancia.
“In una certo qual modo anche tu mi mancherai,
Em.”
“Allora, questo è un addio…”
“Oddio, spero proprio di no!” disse Lauren ridacchiando,
anche Emily sorrise tra le lacrime.
Lauren si avvicinò alla porta della camera, diede una
scorsa alla stanza che era stata il regno della loro amicizia e lanciò ad Emily
un’occhiata piena del suo tipico affetto materno.
“Ti voglio bene, Emily,” disse sorridendo, anche se gli
occhi le stavano tornando lucidi.
“Anch’io ti voglio bene, Lauren.”
“E, mi raccomando, continua a leggere,” aggiunse Lauren,
lanciando un’occhiata al tavolino accanto alla finestra sul quale era ancora
appoggiato Persuasione. Emily annuì, continuando a singhiozzare.
Lauren aprì la porta della camera. “Ciao, tesoro,” si
congedò e asciugandosi una lacrima furtiva, uscì dalla stanza. Emily non sentì
nemmeno la porta d’ingresso chiudersi. In quel momento si sentì come svuotata di
colpo.
Con la mano cancellò dal viso le ultime lacrime rimaste, residuo di ciò che non doveva essere, si diresse verso il tavolino accanto alla finestra e prese in mano Persuasione. Poi andò alla scrivania e si sedette. Appoggiò il libro, prese dal primo cassetto un paio di fogli e una penna ed iniziò a scrivere: Lauren…