Capitolo Undicesimo
Le origini (parte seconda)
Lo
scienziato si avvicina alla vasca. Ha i movimenti impacciati e stanchi degli
indottrinati, eppure conserva ancora una certa lucidità, quel bagliore
d’intelligenza che, in tempo di pace, l’avrebbe reso un genio.
Assomiglia
molto alla creatura nella vasca ma tutto, in lui, dà una sensazione di
debolezza e fragilità, mentre il corpo è stato progettato per l’efficienza e la
perfezione.
“Guarda
là” mormora la voce di Emeirin e Konstantin, istintivamente, sa di doversi
voltare verso le immense finestre istoriate. Sono di un materiale meno limpido
del vetro, ma dai meravigliosi bagliori azzurri. Nonostante la sua apparente
densità, restituisce immagini perfettamente nitide.
Oltre
le pareti del laboratorio, l’IA, il Razziatore dalla corazza bianca, si è
posato a terra, immenso accanto alle costruzioni di quella civiltà sull’orlo
della distruzione.
Una
voce comunica alla mente dello scienziato che tutto è predisposto, che il
trasferimento può iniziare.
Lui
si limita ad abbassare una leva, beatamente ignaro delle ripercussioni del suo
gesto.
Lentamente,
il corpo inizia a fremere, il liquido attorno ad esso a ribollire.
Fuori
dalle finestre, il Razziatore bianco si accascia a terra, fra i relitti di
quella che un tempo era una città.
I
sei occhi della creatura nella vasca si spalancano, improvvisamente brillanti
di una luce eterna e magnifica. Lo scienziato indottrinato si ferma a contemplare
la sua opera.
La
creatura esce dalla vasca, distendendo le lunghe gambe. La trama
osseo-metallica risplende al tocco delle luci artificiali, le gocce di liquido
scintillano sulla pelle argentea, sulle punte decorate dello scalpo.
L’essere
solleva una mano, allungando le dita e flettendole.
Muove
un passo e cade. Lo scienziato tende una mano, aiutando la creatura a
risollevarsi in piedi.
“Era
difficile, conciliare quello che stavo provando con i miei ricordi e le miei
memorie” confida la voce di Emeirin, da qualche parte dove le tenebre sono più
fitte “E’ come se tu, dopo una vita passata nel tuo corpo, ti risvegliassi come
un insetto. Infinitamente più piccola, più debole, limitata ed arcaica in tutte
le tue espressioni. Per me era uno shock e, al contempo, l’esperienza più
affascinante della mia esistenza”
- Lo scienziato… a che
razza appartiene?-
“Un
popolo scomparso tanto tempo prima dell’Impero Prothean, una civiltà sommersa
dalle sabbie del tempo. In un modo o nell’altro, i Razziatori sono i veri testimoni
della storia. Abbiamo visto l’origine, la crescita, l’apice e la caduta di
tante civiltà. Tanta grandezza, tanto potenziale… tutto sprecato. Quello
scienziato era uno degli ultimi superstiti del suo popolo, anche se forse non
se ne rendeva ancora conto. Chiamavano loro stessi Khaa Stone.”
- Stone?-
Di
nuovo, quella strana sensazione, come se il vuoto stesse sorridendo.
“Che
posso dirti, piccola mia? Sono una nostalgica.”
Intanto
la creatura, quella versione antica di Emeirin, si è rialzata e sta affrontando
i primi passi in un mondo che improvvisamente le pare immenso e pieno di
dettagli che, dall’alto della sua potenza, non aveva mai visto. Sente uno
strano fuoco, nel petto, ma non lo interpreta come dolore. Esegue una
diagnostica dei sistemi, di ciò che le è rimasto di sintetico e che la
ricollega al suo vero corpo, fuori dal laboratorio. Quel fuoco persiste, eppure
non è un errore, non è un riverbero, è solo qualcosa che c’è e che lei non sa
interpretare.
“Ancora
non potevo saperlo, ma stavo sperimentando l’affetto. Senza volerlo, associavo
lo scienziato ai miei Creatori, le sue mani protese ad aiutarmi al ricordo dei
Leviatani. Sharien fu l’ultimo dei Khaa Stone e sopravvisse per molti mesi,
dopo il genocidio. Rimanemmo in quel laboratorio come in una bolla fuori
dall’esistenza, mentre lui m’insegnava a gestire le novità apportate al mio
corpo e alla mia mente e ad accettare la mia parte organica senza rigettarla.
Fu un successo. Quand’ebbe terminato il suo compito… semplicemente si spense.
Nel cuore della notte sentii la sua energia crepitare e poi scomparire e la
mattina seguente era solo un guscio vuoto.”
- Mi dispiace, Emeirin.-
“E
per cosa? Ancora non avevo ritrovato la mia coscienza. Avevo la sicurezza che
lui era uno strumento per raggiungere un fine e nient’altro. Non aveva più
niente da insegnarmi. Ma ti parlo di un tempo estremamente remoto. Dopo
l’estinzione dei Khaa Stone, i Razziatori nascosero il mio vero corpo e
tornarono nello spazio oscuro, attendendo che il ciclo della vita richiedesse
di nuovo il loro intervento.
Io,
invece, osservai da vicino l’evoluzione, la faticosa crescita delle razze
superstiti. A quel tempo, per me erano solo dati da raccogliere. Non associavo
emozioni - o, se lo facevo, lo facevo a livello inconscio - a quello che
vedevo. Così, quando i Razziatori tornarono per la mietitura, fu facile per me
rimanere in attesa, ad osservare la precisione analitica con cui compivano il
loro dovere. Anzi, li aiutai, per rendere tutto più rapido e meno atroce.”
- Meno atroce?- l’indignazione trapela
dalla voce di Shepard, mentre i suoi occhi fissano il vuoto pieni di
incredulità e orrore - Ti sei macchiata
le mani del sangue di migliaia di esseri!-
“Ora,
dopo millenni, me ne dispiaccio. Ma allora era solamente l’esecuzione dei miei ordini.
I Razziatori mi avevano fornito quel corpo organico per saziare la mia sete di
conoscenza, il desiderio di sperimentazione che i Leviatani mi avevano imposto
come raison d’etre e che loro non erano riusciti a togliermi. A parte questo,
io rimanevo in tutto una di loro.”
- Non temevi per il tuo
vero corpo?-
“Assolutamente
no. In un paio di occasioni venne ritrovato e le razze organiche si contesero
l’onore della scoperta, senza capire che cosa stessero guardando. Forse
qualcuno provò a dare l’allerta, conscio del pericolo sopito in quella che
sembrava solo una reliquia senza senso… ma nessuno venne mai ascoltato. Al
termine di ogni mietitura, il mio vero corpo veniva nascosto di nuovo. Questa
routine procedette inalterata per un tempo troppo lungo per essere
quantificato… fino all’Impero prothean. Quando i prothean ascesero all’apice
della loro potenza, molte cose erano diverse. In primis, io ero diversa.”
Di
nuovo, la voragine si apre ai piedi di Shepard e la comandante precipita.
Mentre
precipita, sente riecheggiare nell’aria gli interrogativi che, secolo dopo
secolo, Emeirin aveva iniziato a porsi. I dubbi sulla possibilità di trovare
una soluzione diversa, una via più forte, per portare la pace alle razze
organiche, invece che la distruzione.
Quando
la luce torna a brillare è la luce di un sole, che si espande sulla Cittadella.
Non
assomiglia molto alla Cittadella che Shepard conosce, eppure la forma della
stazione è inconfondibile, la sua bellezza lineare, l’armonia delle sue curve.
L’icona di pace dell’universo.
Nelle
sue strade, i prothean camminano e parlano e vivono e non sono affatto la razza
guerrafondaia che Shepard immagina, ma sembrano perfettamente normali. Ci sono
bambini che corrono fra le gambe dei loro genitori, giovani femmine che ridono
distrattamente alle vanterie dei soldati dell’Impero, animali mai visti che si
fanno accarezzare dietro alle orecchie, facendo le fusa come i gatti.
“Sembrano
così felici, non è vero?” mormora la voce di Emeirin “Loro non lo sapevano, ma
la fine ormai era imminente. I Razziatori già si stavano radunando per il primo
attacco. Quella che vedi è stata l’ultima buona giornata dell’Impero prothean,
l’ultima manciata di ore in cui si poteva pensare alla vita, invece che alla
guerra.”
Sono
parole terribili. Senza che lei se ne accorga, una lacrima riga la guancia di
Shepard.
Poi
il vuoto attorno a lei si deforma e precipita rapidamente verso
Un
bambino arriva, correndo dietro ad una palla. Non la vede e le va a sbattere
contro.
Il
libro cade a terra, afflosciandosi su sé stesso.
-
Scusi.- borbotta il bambino, con gli occhi fissi sul pavimento
-
Non ti preoccupare, piccolo.- sorride la giovane, chinandosi a raccoglierlo -
Torna a giocare.-
-
Grazie, signorina Emeirin.-
- Quella sei tu?- mormora Shepard, confusa - eri sulla Cittadella?-
“Ero
dov’era giusto che fossi, dove potevo aprire la strada al ritorno dei miei
fratelli.”
- Tutto questo è
mostruoso.-
La
risposta giunge inattesa, stranamente netta, dolente.
“Lo
so. Ci sono voluti millenni perché me ne rendessi conto. Ho vissuto il prima
persona il genocidio dei prothean ma, assieme alla morte, ho visto anche la
vita. Ho visto la strenua resistenza, ho visto l’onore. Ho visto dei
tradimenti, questo è vero, ma ho visto molti più atti del più puro coraggio e
disinteressato altruismo. Ho visto la vera sofferenza e mi sono resa conto che
i Razziatori - i miei stessi fratelli- e finanche i nostri Creatori, non
avevano il diritto di scegliere la fine, di determinare la distruzione della
vita organica. Durante la guerra, poi, il mio corpo originario venne distrutto.
Non so come, non so da chi, so semplicemente che lo sentii frantumarsi ed
implodere. Me ne sarei dispiaciuta se non avessi avuto altre preoccupazioni. Mi
stavano usando per condurre degli esperimenti sui prothean, per comprendere la
loro incredibile resistenza all’indottrinamento. Molto spesso, durante gli
interrogatori, i prigionieri morivano piuttosto che cedere alla nostra
influenza e tradire i loro compagni. Sono gli anni che ricordo meglio e con
maggior angoscia, i giorni in cui ho sviluppato una mia coscienza. In cui,
volendo propendere per la teatralità, sono diventata una persona e non più una
macchina organica, una raffinata sintesi con lo scopo di raccogliere i dati
dell’esperienza.”
Lui
solleva lo sguardo e nei suoi occhi c’è una muta ira e un’orgogliosa
ostinazione.
“E’
stato in quei giorni, che ho compreso la grandezza della vita organica.
Sventuratamente, questo cambiamento non poteva passare inosservato. I
Razziatori se ne resero conto e, quando mi rifiutai di proseguire sulla loro
strada, l’Araldo mi punì con l’imposizione più logica. Non poteva distruggermi
- qualcosa di originario, in lui, gli impediva di farlo - e sapeva che io non
avrei tentato di combattere lui. Eppure, non desiderava permettermi di aiutare
gli organici. Quindi, semplicemente, mi lasciò andare, relegandomi nel corpo di
una delle razze che sarebbero sopravvissute ai prothean, installando la mia
coscienza in un corpo umano.”
Un
ultimo ricordo brilla nelle tenebre del vuoto.
L’Emeirin-prothean,
in camice bianco, con lo sguardo allucinato ma la mano ferma, che spara a degli
scienziati indottrinati, che pone pietosamente fine alla vita dei loro
esperimenti.
- Cos’è questo?- chiede Shepard
“La
mia ribellione. Il momento in cui l’Araldo si rese conto che la mia vera
programmazione era tornata in superficie e che non avrebbe più potuto usarmi
come strumento della sua volontà. Il primo atto davvero umano della mia intera
esistenza.”
I
colori si spengono e, al posto delle immagini, si crea una nebbia lattea.
Dalla
bruma, emerge
-
Non sono mai stata davvero malvagia, Konstantin.- dice, parlando con voce
soffice e malinconia - in verità, non sono mai stata niente. Perennemente
sospesa fra due mondi, con il cuore straziato dall’amore per la vita organica e
l’imperativo di non nuocere ai miei stessi fratelli. Ora puoi capire le mie
azioni. Puoi capire perché Cerberus, pur senza aver capito cos’ero, tentasse di
analizzarmi. Puoi capire perché ho cercato di mettere in guardia il Q.G.
dell’Alleanza e, se ti sforzi, puoi capire perché sto dirottando
Shepard
scuote la testa. Ha un sapore amaro, in bocca.
La
sua mente non ha ancora assorbito completamente quella storia allucinante,
quella storia di odio e di manipolazione, la storia di come una coscienza sia
nata nel corpo di una carnefice e di come quella carnefice si sia trovata
vittima delle sue stesse convinzioni.
-
Perché non vuoi che andiamo sulla Terra. Perché sai che, quando sarò lì,
utilizzeremo il Crucibolo per annientare i Razziatori.-
-
Qualunque cosa succeda, una parte della mia anima morirà, piccola mia. Se riuscirai
nell’intento, i miei fratelli diventeranno polvere nell’immensità cosmica. Se
fallirai, la mietitura si completerà per l’ennesima volta e i Razziatori
prepareranno il campo per ricominciare questo ciclo di morte.-
-
E pensi che impedendomi di partecipare alla battaglia risolverai il problema?
Emeirin, se non sarò sulla Terra quando attaccheremo, i Razziatori spazzeranno
via quanto resta della vita organica! Tu stessa hai ammesso di non volerlo. Io
credo che la volontà di qualcuno sia più forte degli imperativi che gli sono
stati imposti dall’esterno.-
-
Effettivamente, c’è un motivo più profondo per cui ti ho condotta qui, piccola
mia.-
-
Quale?-
-
C’è una via alternativa, un modo di concludere la guerra senza sterminare i
miei fratelli.-
-
Quale?- ripete Shepard
Concludere
il capitolo con una domanda… che idea geniale!
In
realtà non l’ho fatto per sadismo, ma perché la risposta esige lunghe
spiegazioni complesse che meritavano uno spazio tutto per loro… non so perché
ve lo sto dicendo, ma tant’è XD
Colgo
l’occasione per ringraziare andromedahawke e shadow_sea per il loro supporto e
per le sempre gentili recensioni J Davvero, grazie mille,
come autrici potete capire quanto sia importante!
Vabbé,
sul capitolo in sé non c’è altro da aggiungere!
Alla
prossima!!
-