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Autore: blejan    20/09/2013    7 recensioni
Questa è una raccolta di One-shot che fa parte della challenge 'La sfida dei duecento prompt' di msp17.
Rating ed avvertimenti sono a riferimento generale per le prossime storie.
Buona lettura e buon divertimento!
Genere: Avventura, Generale, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
- Questa storia fa parte della serie 'I.M.E.S.C.O.: Chocolate Box'
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Nick : blejan
Fandom: Originale
Challenge: “La sfida dei Duecento Prompt”
Prompt: 194 - MAGIA

Crack

Il cervello sembrava esserglisi momentaneamente cristallizzato, barricandosi nel suo fortino di ostinazione e rifiuto della realtà.
Fu costretto a prenderlo mentalmente a calci per farlo ripartire.
Lo sentì brontolare poco distintamente, offeso, da qualche parte in un angolino della sua coscienza.
Espirò sconfortato, osservando vacuo il vassoio bianco ghiaccio sul palmo destro, in cui erano ordinatamente disposti otto flute di liquido ambrato.
Coraggio. Era facile.
Era la cosa più facile che avesse fatto da quando si era arruolato.
A parte aver pulito i bagni con lo spazzolino.
Doveva solamente rimanere a fare da osservatore e moderatore della serata, tranquillo e in disparte. Niente di più, niente di meno.
Ciò che poco gli andava a genio era che si trattasse, a tutti gli effetti, di una punizione.
E andare poco a genio era il risultato finale di un lungo processo di metabolizzazione originariamente identificato con mandato in bestia; quando gli era stato comunicato aveva sbroccato senza ritegno, vomitando una serie di improperi che avrebbero fatto accapponare la pelle persino ai muratori.

Per cosa poi? Aver evitato alla cara signora Dolowitz, sua vicina, di venire schiavizzata un’altra volta da quei perfidi esseri dei nani da giardino che si erano piazzati in pianta tutt’altro che instabile nel fazzoletto di terra che abbracciava la sua casa.
Alla venerabile età di settantaquattro anni, la signora Dolowitz, vedova da una decina d’anni, creatura dolce e premurosa come la nonna che non aveva avuto, era stata ripetutamente ipnotizzata per farle preparare i suoi muffin ai mirtilli.
I suoi celebri muffin ai mirtilli.
I suoi straordinari muffin ai mirtilli.
Qualunque creatura, sana di mente o meno che fosse, avrebbe potuto decapitare senza pentimento per quei bocconcini deliziosi.
Quei bastardi la utilizzavano come il loro personale bistrot a domicilio.
Se c’era qualcosa che non sopportava erano gli sfruttamenti e, soprattutto, i nani da giardino. Entrambi nella stessa frase avevano il potere di fargli perdere il contatto con la propria umanità.
Una lucente e gelida mattina di inizio Dicembre, mentre stava cercando di far desistere un gruppo di pixie dal mettersi a cantare di prima mattina le imbarazzanti avventure di Guss O’Pryn (un troll con gravi problemi di aerofagia) sostenendo che no, non era una buona idea, aveva fortuitamente riconosciuto il baluginare scintillante di un incantesimo dietro le tende della cucina della donna. Le risa sguaiate e la conversazione concitata (spiccatamente volgare, per quello che riuscì a tradurre) non lasciarono dubbi sul fatto che i foruncoli ambulanti si stessero sollazzando per l’ennesima volta. Ricordò perfettamente come il suo autocontrollo esplose in un sonoro crack.

Persino le pixie si chiusero in un mutismo terrorizzato quando furono interrogate, essendo le uniche testimoni, sulla ragione per cui un agente speciale dell'Interdimensional Magical Energy Security and Control Organization aveva smutandato, pestato, legato con nastro isolante, impacchettato e sotterrato vivi cinque nani da giardino. Avendo cura di scarabocchiare con inchiostro elfico indelebile sulla fronte di ognuno un simbolo, la cui visuale era vietata sia ai minori che a persone particolarmente sensibili.

Richiamo per barbarie e sevizie. Sinceramente, aveva pensato che sarebbe potuta andare peggio, ma aveva dalla sua parte la circonvenzione ripetuta e sfruttamento di umano innocente a scopo illecito.
Era stata la reazione particolarmente farcita di rabbia (un calcio in faccia degno del combattente di Viet Vo Dao qual era) alla linguaccia che gli aveva rifilato uno dei nani quando erano stati liberati, Tockton per la precisone, a costargli la serata di moderatore delle matricole.
E la pulizia dei bagni con lo spazzolino. Di nuovo.
Almeno adesso le pixie del suo distretto facevano attenzione persino a respirare.

- Cameriere? -
La voce di Theresa Winkles, sottosegretaria del Ministro dei Beni Culturali, lo richiamò alla realtà dal filo tortuoso dei suoi ricordi. Un brivido gli percorse la schiena mentre applicava anni su anni d’addestramento per impedire ai bicchieri di scivolare inesorabili verso la generosa scollatura della donna. Mentre si voltava, ebbe cura di fare lo sgambetto al folletto che era spuntato da sotto la tovaglia del tavolo alla sua destra per farlo finire con grazia sotto quella del tavolo di sinistra. Sperava che ci fosse una delle trappole dei suoi colleghi ad attenderlo.
A volte si meravigliava di come la gente non vedesse l’ovvio che gli salterellava intorno; o di quanto la magia potesse occultare con cura minuziosa. Merito della maniacale azione di copertura dell’organizzazione, il cui distaccamento a Londra si spacciava per museo d’antichità: una buona scusa per esibire manufatti e strumenti magici, praticamente innocui, al pubblico.
Il resto era sotto asfissiante sorveglianza diversi metri sotto di loro.
Se vuoi nascondere un albero, mettilo in una foresta.
Come ogni inizio d’anno, quella sera alle matricole (opportunamente cammuffate) toccava indossare le vesti del personale del catering per la presentazione annuale ed il saluto del museo alle autorità, stratagemma tedioso ma efficace per il quieto vivere della comunità.
- Signora? - Sorrise condiscendente, abbassando lo sguardo sulla prosperosa creatura che aveva di fronte.
Prosperosa in ognuna delle tre dimensioni, a dire la verità.
- Mi stavo chiedendo cosa ci sia nei vostri cocktail. Sa, mio marito è il proprietario di una grande catena di ristorazione e devo ammettere che le vostre creazioni colpirebbero le sue aspettative. -
'Spionaggio industriale? Vergogna, Theresa Winkles'.
Rimase immobile per un momento. Succo d’arancia e prosecco erano davvero così miracolosi?
Quel pensiero rimbombò pericolosamente nella sua testa.
Miracolosi.
Si accorse di essere rimasto zitto troppo a lungo e con un’ espressione troppo scema.
Si schiarì la voce: non aveva buone sensazioni, sperava di sbagliarsi con tutto sé stesso.
- Signora, a dire il vero non dovrei rivelarle i nostri segreti, ma per lei farò un eccezione. - flautò suadente.
Il rossetto sulle labbra era eccessivamente brillante alle luci soffuse delle plafoniere; le pupille erano grandi come due ciliegie.
Fulminò con lo sguardo il flute che la donna teneva in mano: nel liquido chiaro scorse scintillanti pagliuzze azzurre e blu cobalto.
'Polvere di fata. Merda.'
Mentre una mano dalle unghie perfettamente laccate invadeva lo spazio personale del suo avambraccio sinistro, i suoi neuroni si rincorrevano sbraitando senza posa.
- Sono tutt’ orecchi… -
- Signora Winkles! Lieta che abbia accettato l’invito! - trillò una voce fresca e squillante alle loro spalle.
L’attenzione della donna si spostò su un turbinio d’oro e seta che le frullò elegantemente al fianco.
Jvette.
Una ragazza esile dalla lunga chioma d’ossidiana sorrise alla sottosegretaria, investendola come un raggio di sole. La pelle liscia e bronzea risaltava grazie al colore del vestito ed il gioco di drappeggi la faceva sembrare una delle rose viventi di Alice nel Paese delle Meraviglie.
Difficile stimare che una creatura sottile ed apparentemente così delicata fosse sua collega; era quando ti sbatteva a terra con la grazia di una lince ma la forza di un bufalo che vedevi con occhi nuovi e disillusi l’acronimo stampato sulle magliette.
- Jvette Arabell, cara, che piacere vederla. Ottima organizzazione, mi congratulo. - cinguettò la donna un’ottava sopra il normale, abbracciando la minuta figura avvolta da frizzanti strati di tessuto dorato, non risparmiandosi nel pizzicarle leggermente qualche ciocca corvina nelle maglie del massiccio bracciale, giusto per sfoggiarlo l’ennesima volta di quella serata.
- Oh, questo affare è veramente troppo ingombrante, l’avevo detto a mio marito! -
'Che volevi quello pieno di diamanti, magari?'
- Io trovo che vi stia d’incanto - sorrise ancora Jvette, lo sfavillante rossetto dorato sulle labbra piene, liberando con agilità il bracciale dalla presa delle folte onde scure. Come nulla fosse, la prese sottobraccio continuando a chiacchierare con nonchalance invidiabile, trascinando l’ingombrante elemento verso il palco allestito appositamente per quella serata, da cui il direttore del museo, nonché il loro capo, avrebbe tenuto il suo discorso di benvenuto da lì ad una decina di minuti.
In un battito di ciglia la ragazza d’oro si voltò ed un occhiolino sbarazzino luccicò nei caldi e scuri occhi da cerbiatta, velati di eyeliner color champagne.
'Grazie Jvette' sillabò sorridendo, inclinando impercettibilmente il capo.
Si voltò di scatto verso la vaschetta del punch al tavolo principale, aggrottando le sopracciglia vedendo tre ragazzi in livrea affaccendarsi allarmati.
Le decorazioni di solito non erano così problematiche. E nemmeno la scultura di frutta richiedeva tanta solerzia per essere tenuta in condizioni ottimali anche dopo il passaggio, da perfetti vandali dallo stomaco senza fondo, degli invitati.
Uno spruzzo di luce occhieggiò sopra le loro teste, allungandosi in una svolazzante voluta di polvere lucente.
Si gelò sul posto.
Maledette piccole donne sempre troppo allegre.
Un classico, per altro: Fate nel Punch.
Esatto: fate che fanno il bagno nel punch; i succhi di frutta avevano poteri che esulavano dalla sua comprensione.
Specialmente trovandosi in contenitori che, secondo il loro metro di misura, avevano le stesse dimensioni di una piscina olimpica…
Ovvio che gli invitati stessero iniziando poco alla volta a svalvolare.

Ricapitolò velocemente le informazioni di base in proposito.
La polvere di fata scatena l’euforia ed il buon umore in qualsiasi creatura ne venga in contatto: particolare azione sinergica con gli alcolici.
Nella corsa al tavolo si accorse di avere il folletto di poco prima avvinghiato alla gamba che gli sbavava sui pantaloni; optò per un 'accompagnamento deciso' contro una gamba del mobile quando lo raggiunse.
Gli effetti si protraggono per diverse ore, dipendentemente dalla quantità di sostanza assunta; riscontrati amnesia e leggera mialgia all’esaurimento dell’effetto.
Con un guaito sofferente il folletto ruzzolò oltre la tovaglia blu notte.
Comportamenti potenzialmente imbarazzanti e compromettenti.
- Ragazze! - esclamò sottovoce, torreggiando minaccioso sulla vaschetta di cristallo.
- Wyatt! - esclamarono in coro le tre eteree creaturine fluorescenti, sbatacchiando le esili alette nel liquido, risplendendo ad intermittenza come luci natalizie mentre pronunciavano il suo nome, entusiaste e bercianti come cheerleader.
- Wyatt, grande Karma ti ringrazio. - esalò il ragazzo alla sua destra.
- Don, come diavolo hanno fatto a finire qui? - chiese con un sibilo alterato, immobilizzando la fatina che aveva commesso l’errore di avvicinarglisi, luminosa come un led. Il ragazzo interpellato, dalla zazzera nera ed occhi grigi e terrorizzati scosse la testa, impotente.
- Andiamo Wyatt! Si saluta così una vecchia amica? - ridacchiò lo spiritello scuotendo la lunga treccia di capelli malva che le scivolava lungo le ginocchia, la pelle chiarissima avvolta da una succinta veste realizzata con fili d’argento fatato, fluido come l’acqua e lucente come le stelle.
- Wyatt! Non trattare così Kivril!- sbraitò l’altra, partendo all’attacco e spargendo punch ovunque sui loro grembiuli -Non stiamo facendo niente di male! -
Wyatt rivolse uno sguardo furente all’interessata, focalizzandosi sui grandi occhi celesti seminascosti dai lunghi capelli scuri ondulati, ornati di piccoli fiori, treccine e cristalli colorati.
- Naschta... -
Lei sbuffò.
- Uff...e va bene, va bene...volevamo solo ravvivare un po’ la festa - si strinse piccata nelle esili spalle, il sottilissimo vestito del colore della foresta ondeggiava nell’aria mentre si sollevava fino al livello dei loro visi.
- Non è una festa, è una serata di beneficienza e non possiamo permetterci che le più alte cariche della città scoprano che in realtà tutte quelle creature fatate che popolano le loro storie e le loro più nascoste fantasie esistano realmente! Soprattutto considerando che la media qui è di settant’anni... rischiamo un infarto di massa! Perciò ora voi sollevate i vostri beneamati e fatati sederini e levate subito il distrubo- ficcò uno scrollone al contenitore per impedire alla terza fata di svignarsela -Chiaro, Daburu? -
I gradi occhi dorati le si inumidirono, le ali striate di luce ed avvolte alla base con un nastro di seta arancione tintinnarono in muta richiesta.
- Oh, i tuoi trucchetti non funzionano con me, signorinella. - si difese determinato.
- Antifesta... - borbottò con voce cristallina, sguazzando un’ultima volta nel suo vestitino rosso fuoco, prima di prendere per mano le due creature e sparire in uno sprazzo di polvere celeste nella piantana a fianco.
Wyatt sentiva lo sguardo esterrefatto dei ragazzi attorno a lui: si concesse qualche istante per bearsi del risultato della sua performance.
- Sono come i bambini, dovete far capire che non avete paura di essere severi, tutto lì. Decisi, ragazzi. Decisi. - disse semplicemente, mentre con gesto sicuro riempiva i bicchieri rimanenti per la folla ignara che stava confluendo alle loro spalle.
- Wyatt, che stai... - disse il ragazzo alla sua sinistra, i ricci bruni che parevano guizzare come fiammelle, mentre il terzo prendeva il vassoio appena riempito, dirigendosi come un martire verso il nemico.
- Garrett - disse il ragazzo col vassoio, i grandi occhi color giada rassegnati -ormai il danno è fatto. La cosa più pericolosa sarà un po’ di mal di testa domattina e qualche dolorino che verrà scambiato di certo per un reumatismo. -
Wyatt sorrise.
- Grazie, Jaden. -
Il ragazzo sorrise scuotendo i folti capelli del colore del fuoco, immergendosi nella folla bramante.
Don si riprese in tempo per ficcare un pestone sotto il tavolo, con bofonchio oltraggiato in risposta.
- Sbaglio o quello qui sotto è Frederick? - chiese, i grandi occhi chiari ancora turbati dal potenziale spettacolo acquatico-pirotecnico delle tre sorelline volanti.
- Non sbagli- confermò per lui Garrett, le lentiggini che danzavano sul viso pallido -come diavolo ha fatto ad arrivare qui? -
Wyatt intrecciò le dita dietro la nuca, lasciando ricadere mollemente il corpo asciutto contro il tavolo.
- Devono avergli dato un passaggio le tre grazie. - borbottò Don, squadrando torvo la sala.

Mentre la folla iniziava ad assembrarsi lentamente in prossimità del palchetto rialzato, richiamata dal fischio sommesso del microfono che si accendeva, Garrett sussultò.
- Maledizione. -
Wyatt e Don intercettarono il suo sguardo verso il pesante drappo che avvolgeva il piedistallo dietro cui il direttore aveva iniziato a parlare. In un fremito appena percettibile alle luci che si abbassavano per concentrare l’attenzione sul suo viso, il cavo a terra sobbalzò.
Videro Jvette al centro della folla tendersi come una corda dorata quando una piccola mano blu-verdognola sollevò di pochi centimetri il tessuto, nascosta dalle ombre. Il ghigno malvagio li schernì, mentre un nano da giardino afferrava delicatamente il cavo, avvicinandolo ai denti simili ad incisivi di un topo.
Dal colletto della camicia bianca della divisa, Don occhieggiò una vena sul collo di Wyatt pulsare come un martello pneumatico sull’asfalto.
- Tockton -

Crack.





NdA : Ciao a tutti quelli che sono riusciti ad arrivare fin qui! Questa one-shot fa parte della raccolta di storie per la challenge di msp17 “La sfida dei duecento prompt”. Spero che vi sia piaciuta, vi invito a lasciare le vostre impressioni!

blejan

  
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