Valery
Aprii
gli occhi, al suono metallico
e molesto della sveglia, sentendoli appesantiti e gonfi.
Erano
ormai due mesi che mi
svegliavo nello stesso modo: Il viso segnato dalle lacrime e gli occhi
arrossati.
Non
ci feci caso e mi vestii
velocemente con gli abiti che avevo appoggiato sulla cassettiera ai
piedi del
letto la sera prima: Un semplicissimo paio di jeans e una maglia dorata
abbastanza lunga. Come inizio poteva andare.
Afferrai
il beauty dalla scrivania e
mi diressi a passo svelto nel bagno adiacente alla mia stanza. Non era
dei più
grandi ma ci avrei fatto l’abitudine.
Mi
lavai la faccia con il sapone e
la tamponai con l’asciugamano attenta a non sfregarla
più di tanto.
Non
avevo certamente voglia di
presentarmi a quelli che sarebbero stati i miei futuri compagni di
classe
conciata da far schifo...
Mi
osservai allo specchio e
cominciai a prendermi in giro da sola.
Gli
occhi già grandi di loro, a
questo punto, erano diventati due palloni da calcio e le guance che di
solito
erano rosee come il resto del viso erano arrossare da star male.
Mi
misi a ridere e il mio sguardo
cadde su un paio di orecchini appoggiati alla mensola sotto alle
specchio.
Sentii
gli occhi riempirsi
nuovamente di lacrime che non riuscii a trattenere nonostante tutta la
mia
buona volontà.
La
mia mente ripercorse quei momenti
dolorosi e io mi ritrovai stesa a terra tremante, con le braccia
avvolte attorno
alle gambe.
Era
quella la mia fine: soffrire,
soffrire e morire con il senso di colpa di aver provocato
l’incidente.
Era
sicuramente una morte degna per
una persona come me, capace di uccidere la persona che amava.
E
la colpa era tutta mia, lo sapevo
anche se tutti insistevano ad affermare il contrario, mia e di nessun
altro.
-Vale?
Tesoro, scendi o farai
tardi..- Mia madre, la persona che mi era stata più vicina
dopo la tragedia,
l’unica a cui dovevo tutto, l’unica per la quale
valesse ancora continuare a
vivere.
Mi
asciugai i lacrimoni e cercai di
dare un po di contegno alla mia voce prima di risponderle.
-Arrivo
subito mamma- Ero diventata
così brava a fingere, sembrava ormai la cosa in cui
riuscissi meglio.
Mi
alzai da terra facendo presa al
lavandino e pettinai i capelli, come al solito, scompigliati.
Afferrai
lo zaino nero dell’eastpak
e mi precipitai giù dalle scale stando attenta a non cadere.
Entrai
in cucina di corsa e baciai
frettolosamente mia madre su di una guancia.
-Vale,
per l’amor del cielo siediti
e fai colazione come si deve!- Mi rimproverò lei con il suo
famoso tono
autoritario che, per dirla tutta, non le veniva granchè
bene, ma che mi faceva
sempre sorridere.
-Mi
spiace ma sono in un ritardo
pazzesco non vorrai mica farmi fare tardi il primo giorno?- La
apostrofai con
il fantasma di un sorriso sulle labbra.
Sbuffò
e con un gesto stizzito della
mano mi diede il via libera.
Non
me lo feci ripetere due volte e
mi lanciai alla guida della mia MG grigia metallizzata.
Guidare
mi era sempre piaciuto: il
vento fra i capelli quando i finestrini erano abbassati, o solamente
l’impressione di volare sulla strada.
Già
volare... Quella parola l’avevo
sentita un sacco di volte durante i rimproveri di mia madre sulla mia
guida
scellerata e ora, dopo quello che era successo, non potevo
più darle torto.
Rallentai
inconsciamente e proseguii
il tragitto fino alla scuola al minimo consentito.
Parcheggia
nell’unico posto libro
davanti alla scuola e rimasi in macchina anche dopo
il trillo della campanella.
Era
chiaro che stessi prendendo
tempo ma cercai di non darlo a vedere nemmeno a me stessa e mi
soffermai ad
osservare i più insignificanti dettagli della scuola.
Ad
una prima occhiata dovevo dire
che non era del tutto da buttare via e anche stando a cercare il pelo
nell’uovo
non trovai nulla di così tanto brutto di cui lamentermi:
peccato...
Fui
costretta perciò a recuperero lo
zaino dal sedile posteriore dell’automobile ed entrare nella
tana del mostro.
Già
vedevo le finestre della
costruzione mutare e trasformarsi in due spaventosi occhi rossi
dall’aria
piuttosto minacciosa.
Feci
un respiro profondo e buttai
fuori tutta l’aria che avevo trattenuto nei polmoni prima che
la mia pella
cominciasse ad assumere un intenso color violaceo.
Le
porte di metallo fecero una
leggera resistenza ma alla fine riuscii a spalancarle.
Il
corridoio era inquietantemente
vuoto, ma non mi feci intimorire e proseguii decisa fino alla porta
rossa con
la scritta “Segreteria”.
-Buongiorno-
Mormorai a bassa voce
sperando che mi avesse sentite e che non avessi perciò il
dovere di ripetere il
saluto.
La
donna che stava seduta
comodamente dietro la scrivania alzò svogliatamente lo
sguardo fino ad
incontrare il mio.
-Oh,
buongiorno- Dire che mi squadrò
da capo a piedi è essere riduttivi, ma lasciai correre e le
porsi la mia
domanda di iscrizione.
Durante
la nostra conversazione mi
fece qualche domanda di rimprovero riguardo al mio ritardo e io con la
massima
gentilezza le risposi che avevo aiutato mia madre a sistemare la casa
che,
avendo noi appena traslocato, era immersa nel caos.
Le
prime ore di lezione se ne
andarono senza lasciare traccia e ben presto arrivò
l’ora cruciale... L’intervallo.
O
adesso o mai più mi ripetei per
tranquillizzarmi, l’impressione che avrei dato da li a cinque
secondi sarebbe
stata quella decisiva, non potevo permettermi il minimo errore.
Scesi
le scale fino ad arrivare al
centro del cortile affollato di studenti.
Il
tempo di sbattere le ciglia e
tutti erano intenti ad osservarmi curiosi.
Ok
calmati Vale, continua a
camminare con disinvultura e in men che non si dica sarai
all’interno dell’edificio,
al sicuro da sguardi indiscreti.
Ma
non potei fare nemmeno un passo
perchè sentii il corpo irrigidirsi di botto trovandomi di
fronte lui: il
ragazzo della sera precedente, quello che era rimasto a fissarmi per
tutto il
tempo senza il minimo contegno.
Mi
guardai attorno ancora troppo
scossa per fare altro e mi ritrovai a chiedergli aiuto con gli occhi.
Va
bene, che era una persona stupida
già lo avevo appurato, ma ora non solo non mi stava fornendo
il minimo aiuto,
anzi era rimasto come tutti gli altri idioti ad osservarmi; mi sentivo
un
animale in gabbia.
Nel
giro di pochi secondi ripresi
possesso delle mie gambe e avanzai imperterrita verso di lui, ma
all’ultimo
istante il mio cervello elaborò che andare da lui non era la
corsa migliore che
potessi fare e perciò entrai senza il minimo indugio dalla
porta alle sue
spalle.
Per quel giorno poteva bastare non credevo che i miei nervi avrebbere retto altro, perciò, puntai dritta nel parcheggio, travolgendo durante la mia corsa duo o tre studenti che ancora erano rimasti nel corridoio, e montando sulla mia auto tornai a casa in pochi minuti a differenza dell’andata.
Spazio dell'autrice: Spero che questo capitolo sia stato di vostro gradimento^^
Alla prossima!
Baci
Vale