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Autore: Bella_Swan    24/03/2008    2 recensioni
E fu a quel punto, quando sentivo che la testa stava per scoppiarmi, che la sentii. Era una voce stupenda proveniente dall’esterno, mi alzai lentamente, per non peggiorare il mio mal di testa, e mi avvicinai alla vetrata che sostituiva metà del muro della mia camera. Aprii le grandi porte di vetro e mi affacciai respirando l’aria fresca che mi colpì in pieno viso. Mi guardai attorno, curioso, cercando di individuare la proprietaria di quella voce cristallina. La vidi, era seduta sul davanzale della casa di fianco alla mia che era da sempre stata disabitata. I capelli lunghi erano mossi dalla leggera brezza che spirava quella notte e la sua pelle rosea era illuminata dal leggero chiarore lunare. Rimasi a fissarla rapito, ma più la stavo ad ascoltare, più mi accorgevo del tormento che pian piano si impossessava della sua voce. Una lacrima solitaria le rigò una guancia perfetta...
Genere: Romantico, Triste, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Valery

 

 

Aprii gli occhi, al suono metallico e molesto della sveglia, sentendoli appesantiti e gonfi.

Erano ormai due mesi che mi svegliavo nello stesso modo: Il viso segnato dalle lacrime e gli occhi arrossati.

Non ci feci caso e mi vestii velocemente con gli abiti che avevo appoggiato sulla cassettiera ai piedi del letto la sera prima: Un semplicissimo paio di jeans e una maglia dorata abbastanza lunga. Come inizio poteva andare.

Afferrai il beauty dalla scrivania e mi diressi a passo svelto nel bagno adiacente alla mia stanza. Non era dei più grandi ma ci avrei fatto l’abitudine.

Mi lavai la faccia con il sapone e la tamponai con l’asciugamano attenta a non sfregarla più di tanto.

Non avevo certamente voglia di presentarmi a quelli che sarebbero stati i miei futuri compagni di classe conciata da far schifo...

Mi osservai allo specchio e cominciai a prendermi in giro da sola.

Gli occhi già grandi di loro, a questo punto, erano diventati due palloni da calcio e le guance che di solito erano rosee come il resto del viso erano arrossare da star male.

Mi misi a ridere e il mio sguardo cadde su un paio di orecchini appoggiati alla mensola sotto alle specchio.

Sentii gli occhi riempirsi nuovamente di lacrime che non riuscii a trattenere nonostante tutta la mia buona volontà.

La mia mente ripercorse quei momenti dolorosi e io mi ritrovai stesa a terra tremante, con le braccia avvolte attorno alle gambe.

Era quella la mia fine: soffrire, soffrire e morire con il senso di colpa di aver provocato l’incidente.

Era sicuramente una morte degna per una persona come me, capace di uccidere la persona che amava.

E la colpa era tutta mia, lo sapevo anche se tutti insistevano ad affermare il contrario, mia e di nessun altro.

-Vale? Tesoro, scendi o farai tardi..- Mia madre, la persona che mi era stata più vicina dopo la tragedia, l’unica a cui dovevo tutto, l’unica per la quale valesse ancora continuare a vivere.

Mi asciugai i lacrimoni e cercai di dare un po di contegno alla mia voce prima di risponderle.

-Arrivo subito mamma- Ero diventata così brava a fingere, sembrava ormai la cosa in cui riuscissi meglio.

Mi alzai da terra facendo presa al lavandino e pettinai i capelli, come al solito, scompigliati.

Afferrai lo zaino nero dell’eastpak e mi precipitai giù dalle scale stando attenta a non cadere.

Entrai in cucina di corsa e baciai frettolosamente mia madre su di una guancia.

-Vale, per l’amor del cielo siediti e fai colazione come si deve!- Mi rimproverò lei con il suo famoso tono autoritario che, per dirla tutta, non le veniva granchè bene, ma che mi faceva sempre sorridere.

-Mi spiace ma sono in un ritardo pazzesco non vorrai mica farmi fare tardi il primo giorno?- La apostrofai con il fantasma di un sorriso sulle labbra.

Sbuffò e con un gesto stizzito della mano mi diede il via libera.

Non me lo feci ripetere due volte e mi lanciai alla guida della mia MG grigia metallizzata.

Guidare mi era sempre piaciuto: il vento fra i capelli quando i finestrini erano abbassati, o solamente l’impressione di volare sulla strada.

Già volare... Quella parola l’avevo sentita un sacco di volte durante i rimproveri di mia madre sulla mia guida scellerata e ora, dopo quello che era successo, non potevo più darle torto.

Rallentai inconsciamente e proseguii il tragitto fino alla scuola al minimo consentito.

Parcheggia nell’unico posto libro davanti alla scuola e rimasi in macchina anche dopo  il trillo della campanella.

Era chiaro che stessi prendendo tempo ma cercai di non darlo a vedere nemmeno a me stessa e mi soffermai ad osservare i più insignificanti dettagli della scuola.

Ad una prima occhiata dovevo dire che non era del tutto da buttare via e anche stando a cercare il pelo nell’uovo non trovai nulla di così tanto brutto di cui lamentermi: peccato...

Fui costretta perciò a recuperero lo zaino dal sedile posteriore dell’automobile ed entrare nella tana del mostro.

Già vedevo le finestre della costruzione mutare e trasformarsi in due spaventosi occhi rossi dall’aria piuttosto minacciosa.

Feci un respiro profondo e buttai fuori tutta l’aria che avevo trattenuto nei polmoni prima che la mia pella cominciasse ad assumere un intenso color violaceo.

Le porte di metallo fecero una leggera resistenza ma alla fine riuscii a spalancarle.

Il corridoio era inquietantemente vuoto, ma non mi feci intimorire e proseguii decisa fino alla porta rossa con la scritta “Segreteria”.

-Buongiorno- Mormorai a bassa voce sperando che mi avesse sentite e che non avessi perciò il dovere di ripetere il saluto.

La donna che stava seduta comodamente dietro la scrivania alzò svogliatamente lo sguardo fino ad incontrare il mio.

-Oh, buongiorno- Dire che mi squadrò da capo a piedi è essere riduttivi, ma lasciai correre e le porsi la mia domanda di iscrizione.

Durante la nostra conversazione mi fece qualche domanda di rimprovero riguardo al mio ritardo e io con la massima gentilezza le risposi che avevo aiutato mia madre a sistemare la casa che, avendo noi appena traslocato, era immersa nel caos.

Le prime ore di lezione se ne andarono senza lasciare traccia e ben presto arrivò l’ora cruciale... L’intervallo.

O adesso o mai più mi ripetei per tranquillizzarmi, l’impressione che avrei dato da li a cinque secondi sarebbe stata quella decisiva, non potevo permettermi il minimo errore.

Scesi le scale fino ad arrivare al centro del cortile affollato di studenti.

Il tempo di sbattere le ciglia e tutti erano intenti ad osservarmi curiosi.

Ok calmati Vale, continua a camminare con disinvultura e in men che non si dica sarai all’interno dell’edificio, al sicuro da sguardi indiscreti.

Ma non potei fare nemmeno un passo perchè sentii il corpo irrigidirsi di botto trovandomi di fronte lui: il ragazzo della sera precedente, quello che era rimasto a fissarmi per tutto il tempo senza il minimo contegno.

Mi guardai attorno ancora troppo scossa per fare altro e mi ritrovai a chiedergli aiuto con gli occhi.

Va bene, che era una persona stupida già lo avevo appurato, ma ora non solo non mi stava fornendo il minimo aiuto, anzi era rimasto come tutti gli altri idioti ad osservarmi; mi sentivo un animale in gabbia.

Nel giro di pochi secondi ripresi possesso delle mie gambe e avanzai imperterrita verso di lui, ma all’ultimo istante il mio cervello elaborò che andare da lui non era la corsa migliore che potessi fare e perciò entrai senza il minimo indugio dalla porta alle sue spalle.

Per quel giorno poteva bastare non credevo che i miei nervi avrebbere retto altro, perciò, puntai dritta nel parcheggio, travolgendo durante la mia corsa duo o tre studenti che ancora erano rimasti nel corridoio, e montando sulla mia auto tornai a casa in pochi minuti a differenza dell’andata.

Spazio dell'autrice: Spero che questo capitolo sia stato di vostro gradimento^^

Alla prossima!

Baci              Vale

  
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