Canzone della triste rinuncia
«La
prego, signor Manno, mi dia un altro po’ di tempo!»
Un
uomo tarchiato e dallo sguardo torvo scosse ripetutamente la testa a
quella
richiesta d’aiuto. «Entro lunedì voglio
i soldi per l’affitto, altrimenti…» si
avvicinò minaccioso al ragazzo e con un ghigno di perfido
divertimento sul viso
aggiunse: «sarà meglio che prepari le
valigie!»
Mentre
l’uomo scendeva velocemente le scale, diritto nel suo
appartamento, Leonardo si
passò una mano tra i capelli.
Era
nella merda.
Faceva
i doppi turni nella pizzeria “Anima e cuore” da
più di sei mesi e tutto ciò che
era riuscito a racimolare erano i soldi per l’affitto e per
l’autobus. E
ora rischiava di perdere anche la sua “casa”
– se la minuscola mansarda in cui viveva poteva essere
definita così
– per il ritardo di Luca, il
suo datore di lavoro, nel dargli lo stipendio. Se questo non bastasse,
lunedì
aveva anche la
consegna del progetto
finale a cui si stava dedicando da settimane, senza ottimi risultati.
Chiuse la
porta violentemente, in preda al nervosismo, e la maniglia si
staccò precipitando
a terra con un rumoroso tonfo.
Stava
sprofondando nella merda.
***********
Un
anno fa
Liceo,
università, lavoro, famiglia: un percorso lineare
tacitamente imposto e accolto
da tutti. Avrebbe dovuto frequentare il liceo classico, passando
pomeriggi
interi tra declinazioni e perifrastiche, scegliere giurisprudenza
all’università, deliziandosi con fredde leggi e
lunghi tomi da studiare, e,
conseguita la laurea magistrale a ciclo unico, svolgere per due anni
praticantato presso lo studio di suo padre, sostenere l’esame
di abilitazione alla
professione , iscriversi all’Albo, occupare il posto di
avvocato nell’ufficio
legale del padre e infine –
se
tutto questo non fosse abbastanza – crearsi una
famiglia: ecco il
piano, congeniato appositamente per lui e che lui stesso non aveva
rispettato ,
scatenando le ire
di suo padre e sua
madre e acquisendo il titolo di “pecora nera della
famiglia”. Era ciò che stava
pensando mentre scendeva dall’autobus, la scritta “Stazione di
Napoli Centrale” davanti a sé.
Nel
loro folle piano di vita, i genitori non avevano considerato il fuoco indomabile che
ardeva in lui e che non
poteva essere rinchiuso in un’aula universitaria,
benché meno in un tribunale;
la curiosità, suo tratto distintivo sin da piccolo, lo
induceva a vagare senza
meta per le strade del suo paese, la sensibilità di cui era
possessore lo
conduceva a notare i particolari, le sfumature della realtà – i ragazzini
innamorati nascosti
dietro un cespuglio, la vecchia signora che sbraitava contro il
conducente
dell’autobus per la velocità inaudita (50 km/h),
il tramonto ammirato dalla
finestra della sua camera –
e
l’empatia gli permetteva di scorgere nei visi della gente una
storia che non
tutti riescono a catturare; ma era soprattutto una scelta, la sua:
aveva preso
la via più difficile, quella della comprensione, e
abbandonato la più facile, quella
dell’indifferenza, perché non poteva ignorare
il senzatetto disteso tra cartoni ad un angolo della
strada,
l’extracomunitario che aspettava fuori da un supermercato in
cerca di
spiccioli, lo storpio in metropolitana che si appellava alla
pietà dei
passeggeri… semplicemente non poteva ignorare queste mute
richieste d’aiuto,
perché sapeva come ci si sentiva. Era ciò che i
suoi genitori avevano fatto con
lui.
«Treno in partenza
per Roma Termini.»
La
voce emessa dall’altoparlante
si diffuse tra la folla di turisti, annunciando l’imminente
arrivo del treno
che l’avrebbe finalmente portato a Roma, la sua
personalissima “America”,
lontana dal degrado della amata-odiata Napoli. Leonardo si riscosse dai
suoi
pensieri e trascinò il piccolo trolley, avanzando tra la
folla di turisti,
famiglie e uomini d’affari che popolava la banchina.
*********
Entrò
in bagno e si sciacquò il viso,
augurandosi che l’acqua fresca potesse schiarirgli le idee.
Guardò la sua
immagine riflessa davanti allo specchio e non si riconobbe.
Cos’era rimasto di
quel ragazzo di diciannove anni, che armato di diploma, qualche
spicciolo
prelevato dal suo conto e un grande blocco bianco, aveva lasciato la
sua casa
per imbarcarsi in una grande avventura, fiducioso che il vento spirasse
a suo
favore? Nulla, perché tutto si era infranto contro la dura
realtà, soltanto un
anno dopo. Il trillo del telefono lo riscosse dai suoi pensieri; corse
nell’altra stanza, invasa dalle note di Feeling Sorry
– la sua
suoneria – e lesse il nome sul display:
Caterina.
Adesso
era completamente nella merda.
**********
Conobbe
Caterina quasi per caso, nella corsia
surgelati del supermercato in cui soleva fare la spesa da ormai un
mese. Grandi
occhi marroni, con pagliuzze dorate al centro dell’iride, una
cascata di
capelli castani e riflessi ramati a incorniciarle il viso e una
spruzzata di
lentiggini sulle guance. Lui le rubò l’ultima
scatola di Cornetti e lei il suo
cuore.
«Eccoti qua!» proruppe una voce cristallina e
allegra, riportandolo nella realtà attuale e privandolo
della dolce malinconia
dei ricordi. «Ma dov’è il tuo
materiale?» continuò sorridendo Caterina, la cui
ombra oscurava momentaneamente il sole di metà pomeriggio,
che rischiarava il
parco in cui erano soliti incontrarsi. Leonardo alzò lo
sguardo e la invitò con
un cenno ad accomodarsi sulla panchina, ignorando bellamente la sua
domanda e
sperando intimamente che lei demordesse. Ovviamente non fu
così.
«Allora» gli disse incrociando le braccia
intorno al seno, poco intenzionata a sedersi «che sta
succedendo? Sono tre
giorni che rifiuti le mie chiamate e ora fingi che non sia successo
nulla.»
Alzò pericolosamente il sopracciglio, espressione di
malcelato nervosismo, e
aggiunse, scandendo lentamente le parole: «Con me non
attacca!»
Leonardo sospirò e ripeté mentalmente il
discorso che si era preparato, dopo aver terminato la telefonata e
mentre si
cambiava d’abito, e mentre usciva di casa, e
infine… mentre la raggiungeva al
parco.
Sì,
era decisamente un discorso complicato.
Avrebbe dovuto chiederle scusa per le
“sparizioni” degli ultimi tre giorni, implorarla di
perdonarlo per aver
dimenticato di festeggiare il loro anniversario – avevano
fatto tre mesi giusto
ieri – ; avrebbe dovuto spiegarle che aveva provato
– eccome
se ci aveva provato – a parlarne con i suoi genitori, ma che
gli stessi avevano
preferito ignorare la sua richiesta d’aiuto – e lasciarlo sprofondare nella merda
– chiarendo apertamente che se
lo meritava, di patire come un cane e vivere in un buco, per
“aver deluso la
famiglia”; e infine avrebbe dovuto ammettere che non ce la
faceva più, tra i
doppi turni al lavoro e le bollette da pagare, a sostenere anche gli
impegni
universitari… e che aveva mollato
l’università, le lezioni e ovviamente il
progetto, il loro progetto.
E
lo fece,
con calma, senza tralasciare nulla, o almeno ci
provò. Caterina lo
ascoltò silenziosamente, spostando il peso da una gamba
all’altra, senza mai
distogliere l’attenzione dagli occhi di Leonardo, che invece
tentava in tutti
modi di sfuggire al suo sguardo indagatore. Quando la vide avvicinarsi
e
chinarsi su di lui, con un leggero sorriso in volto, Leonardo
rilasciò il
respiro, trattenuto fino a quel momento: aveva capito, lei era riuscita
a
comprendere le sue motivazioni, senza giudicarlo o accusarlo,
lei…
«È finita.»
... l’aveva lasciato.
*********
“Galeotta
fu la scatola di gelati e chi la
prese”, si potrebbe dire, ma la verità
è che all’inizio Leonardo e Caterina mal
si digerivano: quel viso dolce e angelico nascondeva un animo forte, incandescente, soleva dire lui, come un
vulcano in eruzione, che ben cozzava
con
la testardaggine e l’orgoglio del ragazzo. Una settimana dopo
il primo
incontro-scontro, si erano rivisti all’Accademia, durante una
barbosa lezione
di Storia dell’arte. E poi sull’autobus delle
18:20, e il giorno successivo al
distributore di benzina. Si potrebbe parlare di destino, ma
semplicemente
vivevano nello stesso quartiere. Qualche mese – e coincidenze
– più tardi,
avevano preso a
frequentarsi
ogni giorno: da un saltuario SMS alla sera si era passati a
messaggi continui, da un caffè al bar a lunghe serate
trascorse a casa,
sgranocchiando patatine e guardando vecchi film, da qualche confidenza,
per lo
più involontaria, a lunghe notti di confessioni e kleenex.
Si scontravano
spesso e si capivano ben poco – lui, costretto a sopportare i
frequenti momenti
di incontinenza verbale della ragazza e lei, costretta a dare
significato al
mutismo prolungato di lui -, ma col tempo erano riusciti a trovare
un’armonia
particolare: entrambi erano consapevoli che la via più breve
per accedere alle pulsioni
profonde dell'anima, al vero essere sepolto sotto strati di maschere
indossate
nel grigiore della quotidianità, era l’arte, e su
quel terreno comune avevano
fondato il loro rapporto. E quando il rapporto stesso si
era evoluto da sporadica frequentazione ad
autentica relazione, Leonardo le propose di collaborare nel progetto
voluto dall’eclettico
insegnante di Pittura – “Voglio
idee
originali e fresche, che diano vita a opere ricche di
sentimento!” - lui come
autore e lei come modella. Assolutamente contraria alla
strumentalizzazione e
mercificazione del corpo femminile, Caterina si oppose fermamente,
quasi lo
strozzò, a dire il vero, quando sentì la proposta
“senza senso e fortemente
discriminatoria” di Leonardo. Mentre si
preparava ad affrontare un’arringa in difesa delle donne e
dei loro diritti,
Leonardo la interruppe con una frase apparentemente priva di senso.
«Una donna in un prato pieno di tulipani» le
disse con il sorriso sulle labbra. Lei balbettò qualcosa e
richiuse la bocca confusa.
In risposta al suo sguardo interrogativo Leonardo proseguì:
«Pur essendo l’emblema
dei Paesi Bassi, l’origine del
tulipano allo stato selvatico risale alla Turchia. Proprio dal turco
deriva il suo nome,
tullband, cioè
copricapo, turbante in virtù della sua
forma...»
«Interessante lezione di storia, ma...»
«… ma la leggenda che ci interessa è di
tradizione persiana» continuò lui.
«Farhad, un capomastro, dopo la falsa
notizia della morte dell’amata – la Regina d’Armenia – si uccise e da
ogni goccia di sangue caduta a terra nacque un tulipano rosso. Ed
è per questo
che il tulipano, e non la rosa come comunemente si pensa, è
il fiore che
rappresenta il vero amore.»
«Allora» aggiunse guardandola negli occhi
«ti
va di unirti a me in questo progetto, forse un po’ insensato
ma sicuramente non
discriminatorio, che ho ribattezzato “dichiarazione
d’amore”?»
E lei accettò, un sì assolutamente innocuo
rivelatosi però fatale, per
loro, situati nel
bivio che separava
amicizia e amore. Inutile dire quale strada scelsero di percorrere.
Ma adesso che i suoi
sogni vacillavano, che tutto rischiava di precipitare miseramente,
così come
miseramente stava crollando lui, quel terreno comune –
l’arte - che li aveva
visti avvicinarsi e amarsi era soltanto un campo di battaglia fragile e
fangoso. E lui aveva perso.
**********
Non
voglio prender niente se non so di dare, io e chissà chi
decidono ciò che
posso,
non ho la voglia o la forza per poter cambiare me stesso e il mondo che
mi vive
addosso...
Le
note di Guccini inondavano il bar in cui
si era rifugiato in cerca di una cioccolata. Come se una semplice
bevanda calda
avesse potuto scaldargli il cuore. Idiota,
era solo un idiota, lei l’aveva capito in tempo e se
n’era andata. Ci aveva
creduto con tutto se stesso, e lei se n’era andata. Aveva
abbassato la guardia,
come un cucciolo ferito avevo cercato conforto nei suo abbracci,
sperando che
le carezze sui lividi si sentissero di più, e lei se
n’era andata. Lei se n’era
andata e aveva portato con sé una parte lui:
l’artista sognatore con le
occhiaie marcate e i capelli in disordine, pieno di idee folli e
potenzialmente
pericolose ma fermamente radicate in lui tanto da diventare possibili, era scomparso.
La cameriera gli porse una tazza e Leonardo la ringraziò con
un filo di
voce. Guardò la sedia davanti a sé, tristemente
vuota, e sospirò: lei se n’era
andata e lui non ne era sorpreso.
E
forse sto morendo e non lo so capire o l'
ho capito e non lo voglio dire,
rimangono le cose senza falso o vero, e la rinuncia triste a quello che
io
ero...
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Per
l’idea del “PDT: progetto-donna-tulipani”
ho preso spunto da questa immagine: http://static3.depositphotos.com/1000877/124/i/450/dep_1246917-Woman-in-tulips.jpg
La mia fonte per quanto riguarda i tulipani è
questa: http://www.giardinaggio.net/fiori/significato-dei-fiori/tulipano.asp
La storia partecipa al contest [
Originali ] I titoli del maestro indetto da Marge86.