▪ CAPITOLO 07 ▪
felici hunger
games, e possa la buona sorte essere sempre a tuo
favore.
Quando si svegliò, la prima
cosa che vide fu Sean.
Il ragazzo era steso prono di
fianco a lui, la lancia ancora in mano e Lyosha si
chiese come avesse fatto a mantenerla stretta a sé per tutto quel tempo.
Improvvisamente, davanti ai
suoi occhi si materializzarono le immagini della caduta, il freddo dentro le
ossa e quel lungo momento di apnea prima di perdere i sensi – i vestiti erano
sgualciti e lo stivale destro aveva un buco su un lato, come se un animale lo
avesse morso lasciando intravedere la pelle del piede del ragazzo.
Improvvisamente un conato di
vomito gli risalì lungo la gola per poi cadere rovinosamente sulle rocce
ricoperte di foglie e muschio su cui era scomodamente adagiato. Dov’era finito?
Ma, soprattutto… dov’era finita Ariel?
Le labbra si mossero
istintivamente sillabando il suo nome ma ne uscì solo aria – lievemente
stizzito per aver dimenticato la propria menomazione, fece un bel respiro per
controllarsi e poi si mise a fischiare un motivetto interessante che alla
ragazzina piaceva molto, era il suo modo per chiamarla.
Fischiò una volta, fermandosi
di colpo nel vedere Sean muoversi ma non svegliarsi, sollevato, riprovò una
seconda volta guardandosi intorno e cercando di trovare tra le liane e gli
alberi la figura minuta dell’altra – ma prima che potesse concludere la sua
canzoncina dell’altra bile si riversò sulle rocce, solo allora Lyosha si rese conto di star sudando freddo, e assieme a
quella consapevolezza iniziò ad annebbiarsi la vista, il respiro a pesargli… Dannazione.
Aveva bevuto l’acqua del fiume dove erano caduti.
Scattò sul corpo di Sean,
stando attento a non toccarlo eccessivamente e gli aprì lo zaino, svuotandolo
di tutte le provviste alla ricerca di quelle benedette pastiglie verdi –
rovistava freneticamente buttando tutto quello che trovava per terra – la vista
continuò a peggiorare e la testa girava vorticosamente da costringerlo a
fermarsi.
Qualche lacrima gli cadde sul
dorso delle mani, incontrollate e selvagge. Un’altra fitta alla testa lo
costrinse ad appoggiarsi sulla schiena di Sean ancora svenuto, ma che stavolta
grugnì.
Le mani frugarono ancora
debolmente dentro lo zaino, scoprendo un taschino interno, ci infilo le dita
intorpidite dentro, trovò un contenitore abbastanza piccolo, lo sfilò usando
entrambe le mani, tremanti, strizzò gli occhi per mettere a fuoco l’oggetto e
sorrise.
Non erano quelle che cercava.
«Ly!»
urlò qualche metro più in là Ariel, e in quel momento Lyosha
cadde in avanti sul corpo di Sean che sobbalzò all’istante, grugnendo subito
dopo per il dolore, probabilmente. La biondina corse verso i due tributi
inginocchiandosi in modo da spostare il fratello prendendolo per le spalle, lo
fece strisciare verso l’esterno per togliergli i piedi dall’acqua, notò alcune
ferite sul petto e sulle gambe che, a dire il vero, assomigliavano alle
proprie, lei però aveva ancora la giacca e quindi i morsi erano molto meno
profondi.
Senza perdere tempo, tirò fuori
dalla giubba le pastiglie verdi che aveva precedentemente rubato a Sean –
avrebbe raccontato a Lyosha cosa fosse successo solo
in un secondo momento.
Si era posizionata in modo che
la nuca del più grande fosse sulle sue gambe e gli fece ingerire la pillola
cercando di ricordare come si facesse dagli allenamenti. Non era molto sicura
che anche lui stesse soffrendo dell’avvelenamento di cui anche lei aveva
sorbito i dolori qualche attimo prima – ma lo supponeva, e in realtà ci sperava
anche. Doveva essere così, si
ripeteva, non poteva abbandonarla ora.
Gli accarezzava i capelli
piangendo, aspettando che si svegliasse esattamente come aveva fatto il giorno
prima, subito dopo il Bagno di Sangue; vicino a loro Sean continuava a grugnire
dal dolore – acquistando poco a poco coscienza, e si era portato la mano alla
testa sulla quale sbocciava un fiore rosso sangue, probabilmente aveva preso
una botta terribile e le conseguenze erano ben evidenti. Provò ad alzare la
testa – e quindi il corpo – ma il dolore fu tale da farlo gridare e attirare
l’attenzione di Ariel.
«Ragazzina…
A-Ariel, giusto? Dammi una mano…»
disse con un lieve senso di supplica mentre la più piccola degli Isaacs lo guardava, incredula della sua richiesta.
«SCORDATELO!» sbraitò lei,
fermando le sue carezze protettive, «è per colpa tua se Thahn
adesso sta morendo!» sapeva che non era vero – o almeno non in parte – ma ora
come ora Sean era l’unica persona su cui poteva scaricare le sue frustrazioni.
«Posso salvarlo» mormorò debolmente lui, palesemente finto quanto
sofferente, un altro fremito di dolore gli sfuggì dalle labbra provocando un
moto di compassione in Ariel.
Lei non voleva dargli retta,
sapeva che era sufficiente la pillola per salvare Lyosha
perché lo avevano già fatto una volta, eppure neanche le affettuosità che gli
stava concedendo attorcigliandosi teneramente le ciocche di capelli neri tra le
dita sembrava riportarlo alla realtà.
Per quel che ne sapeva lei, Lyosha poteva essere già morto.
«Ariel…
morirà» concluse Sean con un tono tragico, ma delicato, come se un dottore
avesse appena annunciato il verdetto alla famiglia di un loro componente
gravemente malato: morirà, quelle
parole le fecero gonfiare gli occhi di lacrime, le guance diventarono rosse.
«Non dirlo!» rispose tutto d’un
fiato, stringendo i denti e costringendosi a tenere gli occhi aperti per
prevenire un qualche attacco del tributo – abbastanza impossibile, considerando
lo stato in cui si trovava – le lacrime caddero pesanti sulla fronte del
tributo dell’otto, scivolando poi sulle tempie. «Non dirlo…»
pigolò poco dopo, cercando di convincersi a non pensare che forse Sean aveva
una remota possibilità di avere ragione.
«Sono gli Hunger
Games, otto»
mormorò l’altro, alzando un braccio per tastarsi la ferita alla testa che
continuava a pulsare insistentemente, dandogli ripetuti capogiri ad ogni parola
che pronunciava.
Era quasi riuscito a
convincerla, la sentiva così debole e fragile sotto le sue frasi che era
questione di secondi prima che lei si offrisse nel medicargli la testa – lo sapeva
fare, l’aveva vista all’opera agli addestramenti.
Ma poi Lyosha
si girò di lato per vomitare.
Liv fissava il fiume scorrere
sotto la nebbia, le braccia abbassate con in mano l’arco – la freccia che aveva
scoccato con assurda prontezza si era dispersa nel ruscello, era andata
vicinissima al cuore della ragazzina mentre questa cadeva.
«Dannazione» biascicò quella
del due, rimettendo l’arma al suo posto e afferrando le due lame con cui aveva
tagliato le corde, infilandole negli stivali.
«Saranno morti per la caduta»
constatò Fraser, anche se non sembrava convinto delle sue stesse parole, «in
tutti i casi l’acqua è avvelenata, e non ci credo che non l’abbiano bevuta, vi
pare?».
Ines annuì impercettibilmente,
facendo roteare il tridente per poi infilarlo tra le spalline dello zaino e
dietro la cinta dei pantaloni, «direi che qui non c’è più nulla da fare,
piuttosto dovremmo trovare gli altri tributi, oltre a quei tre ce ne sono
ancora sette in giro per l’Arena».
L’arciere affiancò il tributo
del quattro, pronta per partire– presto avrebbe proposto a Ines un’alleanza e
poi l’avrebbe uccisa durante la notte, era stato deciso così quella mattina, ed
era la cosa di cui si sentiva più fiera fino a quel momento dall’inizio dei
Giochi.
«Principessa?» domandò Fraser
con le mani in tasca, fissando Lexi sul bordo del
precipizio, la ragazza guardava in basso come se si aspettasse di vedere
riemergere i tre tributi dal niente – questa raddrizzò le spalle e camminò
svelta per andare a capeggiare il gruppo di Favoriti.
Non
sono morti, fu l’unica cosa che pensò.
Lyosha
pensava che sarebbe diventato pazzo.
Era già la seconda volta – in meno di ventiquattro
ore – che si ritrovava avvelenato e si chiese se quelle pastiglie verdi non
avessero delle controindicazioni, il pensiero di star morendo lentamente lo
spaventava molto, a dir la verità l’idea di morire e basta gli metteva i
brividi. Eppure era dentro gli Hunger Games, e a quel proposito ricordava i giochi dell’anno precedente,
vinti da una certa Enobaria del distretto due – era andato
in piazza a vederla nel tour della Vittoria e rimase sbalordito dai suoi denti.
Ebbe paura.
La figura di Enobaria
si fece spazio tra le immagini confuse di un sogno che non gli pareva di
ricordare, sorridendo con quel suo ghigno – spaventando Lyosha
a tal punto da farlo svegliare e rigettare le ultime tracce di acqua che aveva
nello stomaco. Sentì le mani della sorella staccarsi dalla sua testa e tenergli
le spalle e la sua voce contenta mentre ringraziava il cielo per averlo fatto
tornare.
Schiuse le labbra per parlare ricordandosi poi
di essere muto, mormorando silenziosamente un «come?»: come aveva fatto a salvarlo?
Ma, cosa più importante: come aveva fatto,
Ariel, a salvare tutti e due – anche sé stessa? Come aveva fatto, quella
ragazzina, a mantenerlo lucido fino a quel momento?
«Mi sono svegliata per prima, poi ho iniziato a
tossire e ho capito che mi stava succedendo quello che ti era capitato dopo l’inizio… ho cercato nello zaino di lui» e qui indicò Sean,
ancora immobile mentre si guardava il sangue rimastogli sui polpastrelli dopo
essersi toccato la ferita, «e ho trovato le nostre
pastiglie» concluse fiera di sé – un sorriso le sbocciò sul volto e questo
fece arricciare a loro volta le labbra di Lyosha.
«Otto… otto,
ascoltami» intervenne Sean, la sua voce era di una drammaticità quasi teatrale,
Lyosha lo ignorò mentre si metteva a sedere con una
smorfia di dolore, tutti quei graffi disseminati sul corpo – gli stessi
presenti sugli altri due – risultavano più fastidiosi che dolorosi e in cuor
suo sperava che non avessero conseguenze di alcun tipo, «non puoi lasciarmi
così!» continuò l’altro tributo, gli occhi puntati sui due fratelli.
«Dacci un taglio» ribatté secca Ariel, prendendo
il coltello dallo zaino del fratello (che quest’ultimo aveva ancora addosso) e
tagliando le bretelle di quello di Sean, in modo da sfilarglielo senza
muovergli eccessivamente il corpo, rovesciò il contenuto per terra per poi
prendere ciò che spettava a loro di diritto e infilarlo negli zaini a
disposizione dei due fratelli, abbandonando la sacca del tre praticamente
vuota.
Il più grande degli Isaacs
guardava con fare quasi compassionevole il corpo di Sean, con il sangue in una
mano e la lancia ancora bene stretta nell’altra – fischiò debolmente per
attirare l’attenzione di Ariel e con pochi gesti le disse di sedersi sopra di
lui, bloccandogli le spalle.
Quando la ragazzina eseguì gli ordini, la
reazione di Sean fu palese: iniziò a sbraitare chiedendo spiegazioni, dicendo
qualcosa come «non puoi uccidermi!» - quando tutti e tre sapevano che Lyosha poteva benissimo farlo.
Il punto era che l’Isaacs
non voleva ucciderlo, non voleva uccidere più nessuno.
Aggirò il corpo di Sean, martoriato almeno
quanto il suo per muoversi e quella ferita alla testa era assolutamente a
favore dei due del distretto dei tessuti, si inchinò vicino alla mano che
teneva la lancia e – con vari strattoni e non poca forza (almeno quella che gli
era rimasta) riuscì a strappargliela dalle mani.
«Cos―? No!» si dibatté Sean, ancora più teatrale e
patetico di prima. Spaventato.
Lyosha si
infilò la lancia nella cinta in modo da bloccarla, afferrò lo zaino squarciato
di Sean e da questo estrasse una coperta color fieno e un coltello, rigettando
poi a terra la sacca con quel poco che ne rimaneva vicino al viso dell’altro.
Guardò Ariel muovendo le mani, e subito lei parlò per il fratello: «Ha detto
che con questi puoi fasciarti la testa e proteggerti».
Poi, come mosso da un attacco di cinismo,
afferrò la lancia che si era appena messo apposto e con la punta scrisse sul
terreno una frase elementare, che tutti conoscevano a Panem,
sottolineandone l’ultima parte: Felici Hunger Games, e possa la buona
sorte essere sempre a TUO favorE.
Afferrò la mano di Ariel, allontanandosi dal
corpo di Sean che più volte provò ad alzarsi, cadendo poi sulle ginocchia preso
da gravi fitte alla testa.
E Lyosha si sentì
male per quello che aveva fatto a quel ragazzo: lo aveva abbandonato senza
nulla – escluso un messaggio sul fango e una ferita ancora sanguinante.
E’ peggio che uccidere, constatò, e in quel momento realizzò di
essere diventato parte integrante dei Giochi della Fame.
«Le idee ispirate dal coraggio sono
come le pedine negli scacchi,
possono essere mangiate ma anche dare avvio
ad un gioco vincente.»
[JOHANN WOLFGANG VON GOETHE]
Note d’Autrice ◊ «viviamo e respiriamo parole»
E dopo una settimana, sono ancora qua
con il numero sette.
Capitolo che, ahimè, non mi soddisfa
:/ ma suppongo che sia lecito avere un capitolo di “passaggio”, per così dire.
Vi vorrei promettere qualcosa di più avvincente, ma non sono mai stata brava
con le promesse e quindi lascio perdere :D fatevi bastare l’idea di una
promessa, ecco.
Insomma, che dire? Lyosha
ha una fortuna pazzesca, davvero! Due volte avvelenato e due volte la
sorella lo ha salvato… quella ragazzina ha stoffa da
vendere! Ma solitamente sono sempre le più piccoline ad averla vinta, basta
vedere Rue ç///ç piccolo cuoricino!
La spiegazione della citazione finale
è semplice: il gesto finale di Lyosha, la scritta
sulla terra – è stata un’azione chiaramente dettata dal coraggio (anche se ho
scritto “cinismo”): lui non avrebbe mai fatto nulla del genere se non fosse
stato spinto da una scarica di adrenalina gigantesca, eh! E insomma, facendo
questo Lyosha capisce di essere troppo dentro ai
giochi per smettere di fare il tributo figo ora – con
i suoi rischi e pericoli, e quindi ecco la citazione ;)
Tutte le ferite che si sono procurati,
sono morsi di pesci simili a piranha – ma loro non lo sanno, è qualcosa che vi
dico a scopo informativo! :3
Ringraziamo sempre yingsu
per il sostegno morale/psicologico e per aver iniziato questa avventura – anche
se a distanza di sei capitoli dall’inizio. Benvenuta ai 63esimi Hunger Games(?). Ovviamente, un
grazie va anche ad Ivola, come yingsu anche lei
ha iniziato a leggere la fanfic e spero con tutto il
cuore che le piaccia ** non conoscendola di persona, sarebbe una soddisfazione
molto grande per me XD
Sì insomma, sono felice che il seguito
di Lyosha cresca pian piano, soprattutto ora che ci
troviamo con undici tributi e mezzo (il mezzo è Sean, sia chiaro) – e che i
giochi siano praticamente a metà.
Inoltre, giusto per informare la
gentile clientela(??) in realtà è per fare conversazione mi frullava in
testa l’idea di fare qualcosa come un “sequel” di questa fan fiction, quindi
relativa al Tour della Vittoria del Vincitore di questi Hunger
Games (che stavo quasi per svelare, ahah XD – ricordiamo che ci sono almeno due possibilità, se
si considerano potenziali vincitori i protagonisti) e della sua vita durante la
vicenda di Katniss e Peeta;
ve lo dico giustamente per sapere se sareste disposti a darci un’occhiata,
quando e se lo farò.
Anyway, ora giuro che vi lascio stare per
almeno un’altra settimana.
Ma prima ♡ vorrei dedicare un angolino spam per
due originali nel campo del
Sovrannaturale, nel caso a qualcuno piaccia il genere:
• Sarò lì quando cadrai. (x) di yingsu – categoria Angeli & Demoni. Essendo la beta e
conoscendo già la trama generale e alcuni particolari, posso assicurarvi che merita~
• The Rose blooms
sweetly. [le
rose sbocciano dolcemente] (x) di me
stessa medesima – una cosuccia a cui sono particolarmente legata considerando
che è la mia prima originale. XD
Ora ho davvero finito.
Long
life and prosper Alla prossima!
radioactive,
Grazie
per le 200 visualizzazioni del primo capitolo! ♡