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Autore: Princess Kurenai    21/09/2013    0 recensioni
Aveva abbandonato presto i festeggiamenti nello Shatterdome, incapace di gioire per davvero dinnanzi a quella sofferta vittoria.
" Un padre non dovrebbe mai seppellire il proprio figlio", si era detto mentre il segnale di Striker Eureka spariva dagli schermi durante la battaglia appena conclusa.
Aveva vacillato ma, assumendo il ruolo di Marshal, era rimasto in piedi fino alla fine per guidare l'ultima speranza della terra. Tutti avevano tenuto duro, trattenendo il fiato fino a quando la Breccia era stata chiusa per sempre.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Chuck Hansen, Herc Hansen, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Incest
Capitoli:
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Titolo: I need a miracle to make it through
Titolo del Capitolo: 1. Miracle
Fandom: Pacific Rim
Personaggi: Herc Hansen, Tendo Choi, Chuck Hansen
Genere: Introspettivo, Fluff
Rating: Giallo
Avvertimenti: What if? (E se…)
Conteggio Parole: 1400
Note: 1. Chuck non muore. Tutto qui ù_ù Hansencest feels *muore d’amore*
2. Ispirata a quest’immagine di kaijusizefeels.
3. L’immagine del banner appartiene a rippar.
3. Se ve lo chiedete... no: non è betata XD

Aveva abbandonato presto i festeggiamenti nello Shatterdome, incapace di gioire per davvero dinnanzi a quella sofferta vittoria.
" Un padre non dovrebbe mai seppellire il proprio figlio", si era detto mentre il segnale di Striker Eureka spariva dagli schermi durante la battaglia appena conclusa.
Aveva vacillato ma, assumendo il ruolo di Marshal, era rimasto in piedi fino alla fine per guidare l'ultima speranza della terra. Tutti avevano tenuto duro, trattenendo il fiato fino a quando la Breccia era stata chiusa per sempre.
Avevano vinto e l'orologio di guerra era stato azzerato per l'ultima volta, e mentre lo Shatterdome si riempiva di applausi e festeggiamenti, Hercules Hansen si era invece accucciato per terra per parlare e coccolare Max.
Aveva tenuto la mente occupata fino a quell'istante - teso all’inverosimile a causa dell’incerto esito della missione -, ma era tutto finito.
La popolazione mondiale non avrebbe più dormito con un occhio aperto per timore di un nuovo attacco kaiju… ma lui al contrario non sentiva quella gioia, perché ogni singola cosa che contava per davvero nella sua vita ormai non esisteva più.
Tentò di pensare a qualcos’altro, di concentrarsi su qualsiasi cosa - futile o meno -, o addirittura cercò di tenere la mente vuota.
Ma non poteva. Non ne era in grado.
La parola 'morte' si ripeteva nella sua testa, costringendolo a piegare le spalle sotto il suo peso.
“ Era morto”, sussurrava quella voce.
“ Lo so, ma non voglio dirlo”, ribatteva Herc stringendo le labbra.
Doveva esserci lui su quello Jaeger. Se non fosse stato per il suo braccio forse tutto sarebbe andato diversamente.
Forse non sarebbero dovuti ricorrere alla detonazione del loro carico esplosivo. Forse sarebbero riusciti a spingere la bomba nella Breccia senza alcuna perdita.
Forse... forse doveva semplicemente accettarlo perché poteva farsi anche un migliaio di ipotesi, ma queste non sarebbero mai state in grado di cambiare quanto era accaduto.
Lui era vivo e dalla morte non era possibile tornare indietro.
Chiuse gli occhi, mordendosi le labbra.
« Mi dispiace», mormorò piano, grattando Max dietro le orecchie.
Chiedeva scusa al cane per non aver protetto il suo padroncino, per averlo mandato a combattere in una missione suicida.
La chiedeva allo stesso Chuck. Per non averlo fermato, per non aver preso il suo posto e per non essere stato in grado di salvare anche Angela… per averlo cresciuto da solo e senza una madre.
Per non essere stato un buon padre.
Soprattutto, chiedeva perdono alla sua scomparsa moglie... per tantissime cose. Troppe per un solo uomo, e anche se Chuck ‘sapeva’ quanto fosse grande il suo dispiacere, Herc non poteva fare a meno di mormorare quelle scuse...
Un rumore insistente tuttavia gli fece sollevare il capo verso le apparecchiature che ancora segnalavano le due capsule di salvataggio della signorina Mori e Becket che venivano recuperate insieme ai loro coraggiosi passeggeri.
Si avvicinò al macchinario che continuava ad emettere quel rumore e cercò di comprendere che cosa stesse accadendo.
Almeno si sarebbe distratto, si disse decretando poi un: “ Non si tratta di un allarme kaiju”, tra sé e sé.
Osservò la schermata fino a scorgere la causa di quell'insistente richiamo. Un qualcosa lampeggiava al lato del quadrante, e spostando il campo visivo della mappa riconobbe la natura di quella segnalazione.
Rimase per qualche attimo interdetto - era solo un suo desiderio o era la verità? - poi, a gran voce richiamò Choi, unico in grado di utilizzare al meglio quella tecnologia e di dirgli se la sua era solo un'illusione.
« Tendo! C'é qualcosa!»
L'uomo, bloccato nei suoi festeggiamenti, lo raggiunse preoccupato chiedendogli che cosa fosse accaduto - la Breccia era stata chiusa, che altro doveva esserci?
« Lo... vedi anche tu?», ribatté Herc indicando la schermata senza riuscire a mascherare una nota di incertezza.
« Buon Dio!», esclamò subito dopo Tendo dandogli indirettamente una risposta, prendendo poi posto sulla sua sedia. « È una capsula di sicurezza. Striker Eureka», dichiarò dopo aver individuato il numero di serie e cercando al tempo stesso di rilevare i segni vitali.
Era molto lontana dal luogo della detonazione.
Poteva essersi sganciata durante il combattimento ed essersi allontana a causa dell'onda d'urto.
Così come tanti altri pezzi dello Jaeger, si disse Herc.
Non era pronto a darsi false speranze e si ripeteva una dopo l'altra tutte le spiegazioni possibili a quell'assurdo avvenimento... perché alla fin fine poteva essere solo un caso.
« Rilevo delle attività celebrali, deboli ma sono presenti», esclamò con sollievo Tendo, « Herc, è la capsula sinistro. È quella di Chuck», continuò veloce, mettendo da parte ogni grado militare per lasciar trasparire l'entusiasmo ed il sollievo per quel miracolo.
Max, come se fosse a conoscenza di quanto era appena accaduto, iniziò ad abbaiare riscuotendo l'uomo che, muto, continuava a fissare la schermata.
Tutte le sue difese stavano crollando, lasciandolo impreparato a quella notizia.
Pur non volendo dire ad alta voce cosa era accaduto - un modo come un altro per non guardare in faccia la realtà -, in cuor suo aveva accettato la... la sua morte.
Gli aveva detto addio perché entrambi sapevano che quella sarebbe stata una missione suicida.
Sentì quasi distrattamente Tendo avvertire i soccorsi, dando loro le coordinate per il recupero della terza capsula, e l'unica cosa che fu in grado di fare fu prendere in braccio il cane di suo figlio e stringerlo a sé.
I segni vitali erano deboli, ma Chuck era vivo. Non gli importava come, ma era vivo.
Le lacrime che aveva tentato di trattenere tornarono a riempirgli gli occhi e Max, leccandogli il viso, lo fece sorridere.
Non era il momento di piangere, decretò asciugandosi rapidamente il viso. Quello era un momento di gioia.
Rimase allora in impaziente attesa delle informazioni provenienti dai soccorsi, continuando a fissare i parametri vitali nella schermata.
« Recupero della capsula avviato», dichiararono gli uomini sugli elicotteri, continuando poi a commentare le fasi del recupero.
Alcuni si erano calati sulla cupola - « È ridotta male ma integra, signore», avevano dichiarato - per poi aprirne il coperchio con l'apertura manuale.
« È incosciente, signore», spiegò uno dei soccorritori, « ma il battito è presente. Debole ma presente. Carichiamo sull'elicottero per i primi accertamenti»
Herc annuì, anche se era conscio di non essere visto dagli uomini che si occupavano di Chuck. Nella sua mente si ripetevano le loro parole, trovandole immensamente rassicuranti.
« Ritorniamo allo Shatterdome», annunciarono ed Herc, abbandonando i computer, si fece strada tra lo staff in festa per raggiungere l'eliporto, seguito a ruota da Tendo che non poteva fare a meno di definire quella situazione "miracolosa"... ed Herc non poteva che dargli ragione.
Non era un credente, ma quella situazione era così assurda da non avere alcuna spiegazione logica… solo la mano di qualcuno di, beh… più grande, poteva aver salvato suo figlio.
Attese il rientro degli elicotteri scrutando l'orizzonte, e quando vide le loro lontane sagome - seguite subito dall'ormai familiare rumore - trattenne ancora una volta il fiato.
Passarono solo pochi minuti, per Herc infiniti.
Non aveva mai visto un atterraggio così lento - o era la sua impressione? - e quando finalmente toccarono terra i suoi occhi si mossero alla ricerca di novità.
Inconsciamente sperò di vedere Chuck scendere sulle proprie gambe - maledizione, avrebbe buttato tutto al diavolo per abbracciarlo come non aveva mai fatto in quegli ultimi anni -, ma sapeva quanto il suo fosse un desiderio impossibile. Dopo aver individuato Mako e Raleigh - camminavano vicino, sostenendosi a vicenda - scorse anche gli altri soccorritori scaricare una barella.
Corse verso di loro senza nascondere la propria preoccupazione.
« Chuck», il nome del figlio uscì dalle sue labbra senza neanche poterlo fermare quando i suoi occhi si posarono sul volto del ragazzo.
Era pallido ed indossava ancora la tuta. Aveva un’espressione quasi rilassata, come se stesse dormendo, ma quella tuttavia era solo una pace apparente che veniva cancellata dalla presenza di un respiratore che copriva le labbra del ragazzo.
« Marshal», lo salutarono subito i medici senza però arrestare la loro corsa verso l'infermeria - seguiti ovviamente da Herc.
« Datemi ogni dettaglio», ordinò.
« Non riporta gravi danni fisici se non qualche contusione», spiegò uno di loro, « temiamo qualche lesione interna causata dalla detonazione».
« Quanto gravi?»
« Non possiamo averne la certezza», rispose serio il medico, aprendo la porta dell'infermeria dove il resto dell'equipe si mise subito al lavoro spostando il ragazzo dalla barella ad un lettino, « ci occorrono ulteriori accertamenti. Vuole attendere fuori?»
« No», tagliò corto Herc, scuotendo il capo, « resterò qui».
Doveva essere lì quando Chuck si sarebbe svegliato. Quel pensiero però lo tenne ovviamente per sé mentre osservava ancora il viso pallido del ragazzo attaccato al respiratore e tutti i medici che si adoperavano per avere maggiori informazioni sulle sue condizioni.

 

   
 
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