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Autore: Daequan    22/09/2013    1 recensioni
"Ho appena preso una penna, e ora sto per venire da voi, e rubarvi il cuore. Ho deciso che probabilmente vi ucciderò tutti, perché io non ho più nulla che assomigli ad una sensibilità.
E comincerò da lui."
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non so se abbiate mai letto John Fuller.
Se lo avete letto, è plausibile che come me pensiate a quanto poco serva per scrivere.
Serve una storia? Serve una trama, un intreccio, o basta avere una penna e un cuore?
Ho appena preso una penna, e ora sto per venire da voi, e rubarvi il cuore. Ho deciso che probabilmente vi ucciderò tutti, perché io non ho più nulla che assomigli ad una sensibilità.


E comincerò da lui.

Mi chiamo Carlo, ma non m'importa che ve lo ricordiate, se leggerete mai di me troverete solo le iniziali come nei trafiletti di cronaca nera. E mi scuserete per la poca scorrevolezza, ma non scrivo da un po'. E non scrivo da un po' perché non ho più il cuore, e apparentemente me ne sono accorto solo ora, con evidente e inescusabile ritardo.
Lui è Simone, e non m'importa nulla di lui, non fosse per il suo cuore. Può essere definito un interesse verso la persona quello che invece concerne solo una sua parte?
Magari sarà una domanda scema, ma io mi sono spesso scoperto a desiderare qualcosa (fisico o meno) di una persona, laddove il benpensare richiederebbe un interesse totale e acritico. Desiderare una donna per scoparmela, desiderare un uomo per avere un favore, desiderare la morte di qualcuno per non vederlo sempre e comunque in possesso dell'oggetto del tuo dolore.
Forse nemmeno siamo capaci di desiderare qualcuno nella sua interezza, forse ne saggiamo pregi e difetti come fosse un prodotto del supermarket e poi decidiamo se ci conviene.

Se ci conviene amare o meno.

Non so nemmeno perché mai dovreste leggere tutto questo, in fondo, e quindi è ancora più urgente uccidere Simone e invalidare tutto ciò che scrivo, per paradossale che sia.
E per paradossale che sia è anche meglio essere accusati delle proprie azioni che dei propri pensieri, temo.
Allora lo uccido, e non ci penso più, e poi il resto sarà tutto un "dopo che l'ho fatto". La mia vita si divide qui, immagino, e siccome io sono diviso dal mio cuore al punto da non sapere come ritrovarlo, ecco, dividiamo tutto, cediamo all'iconoclastia più cieca e facciamola finita, diamoci una fine.

Mi chiamo Carlo, e sto camminando lentamente a piedi, e penso a quante cose io sto scrivendo, e a quante possibili combinazioni di fraintendimenti quel che sto scrivendo potrebbe creare.
Potreste pensare che io non mi chiamo affatto Carlo, che lui non si chiama affatto Simone, che io sono molto più eroico e narciso di così e il mio cuore è in realtà la persona che amo. O che la persona che amo è Simone, che ovviamente non si chiama Simone e che è la persona che mi ha lasciato e io non ho il coraggio di dirle nulla.
Potreste anche pensare (e forse non sbagliereste) che Simone non esiste, esisto solo io e mi sto chiedendo perché diavolo non sia mai stato capace di amare qualcuno. O potreste pensare, infine, che è tutto vero, ma che non farò niente.

Eh sì, sottovalutatemi, bravi. Io sono qui, sto camminando lentamente a piedi e ora Simone lo uccido. Perché lui ha un cuore, e io no. Perché lui ha qualcosa da esibire, e io no. Perché lui ha abbastanza amor proprio da non uccidere qualcuno, e io no. Perché lui, cazzo, ha qualcosa da dire, e io no.
Ma allora cosa scrivo a fare? Cosa ho mai scritto a fare? Perché mi ritengo abbastanza intelligente e interessante da scrivere tutto questo ma non abbastanza da farlo leggere a qualcuno?

Mi chiamo Carlo, ve l'ho detto mille volte, e mille volte ancora potrei dire che Simone è già qua, tra le mie mani, morto, e comincia a raffreddarsi. Come una cena, potrei dire usando humor nero. O come le mie speranze.
Anch'esse, col tempo, si sono raffreddate.
E' un male, perché soffro.
E' un bene, perché ci sono ancora. Chiunque parli di speranze, anche negandone l'esistenza all'interno di sé, ne autentica l'esistenza. Chi non ne ha parla di realtà, e lo fa in contrapposizione alle speranze stesse.
La realtà come yin, come parte di una dicotomia; e l'altra scelta, lo yang, è la convinzione che la realtà possa e debba cambiare, magari in nostro favore.

Io dico la verità, non ho ucciso nessuno. Ve ne sareste accorti, se avessi avuto una personalità che concepisca l'omicidio.
Io non concepisco realtà, ma parole. Idee. Sogni, sogni splendidi, sogni bruttini, incubi raccapriccianti, sogni che boh, sogni che si dimenticano, sogni che tornano ogni tanto in testa sotto forma di immagini sfocate.

Io posso dire quel che volete, e certamente dico quel che voglio. Ma dietro il foglio di carta c'è il fatto che Simone non esiste, Carlo non esiste, il mio cuore non esiste al di là della sua dimensione anatomica, voi non esistete, io non esisto. Tutto ciò che ha luogo in questa finzione non lo può avere nella realtà, e per quanto questo vi lasci confusi, io non posso consolarvi. Lascia confuso anche me.

Sono un uomo davanti ad un foglio sporco, e la storia che volevate non ce l'ho.

Scusatemi.

   
 
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