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Autore: _Kore    22/09/2013    5 recensioni
[Una storia di Agnes Dayle, Emily Alexandre e Lyra Winter]
Chi non conosce il mito di Persefone? In questa storia, però, non siamo nell'antica Grecia e non si parla nemmeno di Dei. In questo racconto siamo in una New York che attraversa tre epoche diverse: il 1920, il 1969 e il 2013. Persefone, poi, ha tre volti differenti: Maia, la beniamina delle serate alcoliche in barba al Proibizionismo; Merope, l'eterea pupilla estranea al mondo underground degli anni sessanta e Taigete, energica figlia pronta a guidare una grande società.
La loro esistenza, in quell'Olimpo che è stato creato da chi le ha precedute, sembra perfetta, ma basta un nulla perché il gelo dell'inverno faccia breccia in quella perenne estate. In effetti, basta un incontro: lui è Ade, che ha un unico scopo - sedurre Persefone e attrarla nel suo mondo - e tre arti differenti per realizzarlo: la pittura, la scrittura e la recitazione.
Né Ade né Persefone, però, hanno fatto i conti con la maledizione che grava sulla famiglia Core... Una maledizione antica come la famiglia, di cui l'unica traccia sono una collana di diamanti rossi e un diario.
Genere: Erotico, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Storico
Capitoli:
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1.


Prologo

 

 

 

Oceano Atlantico, 14 aprile 1912

 

Una nave inaffondabile e un’interessante collezione di uomini e donne che davano sfoggio di sé: uomini che discutevano di affari bevendo brandy e fumando sigari pregiati e donne che sfoggiavano diamanti e cagnolini come se dovessero partecipare ad una serata organizzata dal re d’Inghilterra. Francis Millet, da artista quale era, amava sedersi in un angolo della sala da tè e osservare il genere umano, mentre nella sua mente si formavano le parole dell’articolo che avrebbe redatto una volta approdato a New York, o le immagini dei quadri che avrebbe dipinto.

Il Titanic ospitava un’incredibile varietà di essere umani di entrambi i sessi, ma Millet preferiva indiscutibilmente la compagnia maschile, trovando le donne troppo chiassose e irritanti, e assumeva atteggiamenti ostili al limite della misoginia.

Dopotutto, era difficile apprezzare un’arpia come Charlotte Drake Cardeza, di ritorno in Pennsylvania con tali e tanti vestiti e guanti degni della Regina consorte, o Myra Harper, i cui cagnolini erano una continua tortura per chi le stesse attorno, senza menzionare Edith Rosenbaum e le sue crisi isteriche.

Al contrario, adorava Margaret Brown, forse perché, tra tutte, sembrava essere l’unica donna a non indossare una maschera: di umili natali, era entrata a far parte di quell’elite grazie alla miniera di cui il marito era divenuto proprietario, ma la ricchezza non le aveva fatto perdere la schiettezza che la rendeva invisa alla maggior parte di quelle rigide signore che non si rassegnavano alla nuova era che il 1900 portava con sé. 

Stava entrando nella sala da tè in quel momento, scortando due fanciulle: Madeleine Talmage Astor non aveva neppure vent’anni e aveva fatto scandalo l’anno precedente sposando un uomo molto più vecchio di lei, nonché la persona più ricca a bordo; a braccetto con lei, Maia Core Myrthus era l’erede di una delle più importanti società newyorkesi, preda ambita di molti scapoli ma già fidanzata da anni con il pupillo del padre.

Millet aveva avuto modo di scambiare alcune parole con Maia sul molo di Cherbourg, mentre attendevano l’arrivo del Titanic, in ritardo da Southampton: la ragazza stava tornando a casa dopo anni trascorsi in un college inglese, ma prima di imbarcarsi si era recata a Parigi, per visitare le migliori sartorie da brava rampolla senza pensieri dell’alta società.

Caratteristica, quella, che gliel’avrebbe dovuta rendere odiosa, eppure, benché il giornalista non l’avrebbe mai ammesso pubblicamente, la sua compagnia era stata più piacevole di molte altre: sotto la patina di eleganza francese e buone maniere tipicamente inglesi, c’era in Maia un’esuberanza così adorabilmente americana da renderla ancor più luminosa del sole di mezzodì di quel 14 aprile 1912. Perché era bella, l’ereditiera, e persino un uomo che non apprezzava la bellezza femminile sapeva rendersene conto.

 

-Signor Millet,- la voce della signora Brown lo riscosse da quei pensieri, -sto accompagnando le ragazze nella cabina della signora Caseebeer, desiderosa di mostrarci le ultime tele che ha acquistato. Un artista come voi vorrà sicuramente esprimere un parere.

 

Millet sorrise, conscio, come lo era la sua interlocutrice, che la signora in questione non avrebbe apprezzato altro che pareri entusiasti e positivi. Cionondimeno si avviò con loro e si finse interessato a quei quadri di dubbio gusto, costati sicuramente quanto un biglietto di prima classe su quel transatlantico.

Maia condivideva il pensiero dell’uomo e si aggirava annoiata, desiderosa di poter fuggire e salire sul ponte per respirare di nuovo l’adorato profumo dell’oceano, finché il suo sguardo non fu catturato da un quadro diverso dagli altri, meno classico e pulito, più vivo e vissuto.

La vita imperfetta e palpitante. Che la scosse e le mozzò il fiato e le fece palpitare il cuore.

Millet le si avvicinò e sorrise.

 

- Bella, vero? Il pittore non è tra le mie persone preferite al mondo, ma è indiscutibilmente bravo. È stato uno delle ultime persone ad ammirare la bellezza della donna. Se la vedeste ora, sfigurata, il volto sempre velato per la vergogna…

 

Maia ascoltò quei discorsi senza udirli davvero: la donna del dipinto era bellissima, incastonata in quella perfezione per l'eternità, e le generazioni future l'avrebbero ricordata per come il pittore l'aveva raffigurata, non per ciò che era diventata. L’immortale bellezza, che solo l’arte sapeva conferire e che il tempo non avrebbe mai corrotto.

 

- Mi ricorda Manet, coglie la bellezza di questa donna e la fa vivere oltre la tela, eppure c’è qualcosa in più… Porta l’eco dell’Impressionismo.

 

Non avrebbe saputo spiegarlo.

Le parole, che mai le erano venute meno, in quel momento le apparivano insufficienti, come se solo il contemplativo silenzio potesse sciogliere i pensieri e le emozioni.

 

- Chi è l'autore?- si scoprì a chiedere.

- Gabriel Hasmal.

 

 

 

 ***

 

 

Hamptons, 4 agosto 1958


Un intrico di rami li sovrastava, gettando intorno a loro ombre tremolanti e luci sfuggenti. L’imponente villa che li accoglieva tutte le estati era lontana, talmente tanto che non si riusciva a scorgere la miriade di lampioncini disseminati per il parco. I giovani Core – così erano chiamati dalla servitù – si erano inoltrati per il bosco, senza prestare attenzione ai noiosi moniti dei genitori. Sapeva fin troppo bene che se uno di loro lo avesse trovato lì, James, il temutissimo cugino più grande, lo avrebbe malmenato. Ma Duncan, figlio dell’autista personale di Mrs. Core, non poteva fare a meno di seguirli e spiarli da lontano. Come sempre, James se ne stava mollemente seduto su una roccia, mentre la cugina Daphne gli bisbigliava qualcosa all’orecchio. Dai loro sguardi maliziosi e pieni di intesa, si poteva indovinare che presto qualcuno dei presenti sarebbe incappato in uno scherzo.

 

 - Quando i raggi del sole sfiorano la creatura, la sua malvagità impallidisce fino a diventare un’ombra nei sorprendenti occhi grigi, unico neo su un volto magnifico. L’illusione attrae a sé, inesorabile e beffarda. Ma quando il sole tramonta e la terra si fa buia, l’uomo risplende di un’ombra demoniaca che ne rivela la perversione e la crudeltà.


Dal posto in cui era nascosto, Duncan riusciva a scorgere a malapena il volto di chi era stato costretto a leggere uno stupido libro dell’orrore. Non poteva che trattarsi di lei…Merope Core Silvery: la tredicenne più bella che Duncan avesse mai visto, alla faccia di tutte le Brigitte Bardot e Anita Ekberg che popolavano il mondo. E come se la natura non avesse già fatto abbastanza con quei luminosi capelli biondi e splendidi occhi azzurri, la ragazza aveva anche un carattere che nulla aveva a che fare con gli odiosi cugini: era gentile e premurosa.

Sicuramente era per il suo buon carattere che non aveva mandato tutti al diavolo quando le avevano messo in mano quell’odioso libro, ma si era limitata a sedersi accanto alla grande sequoia e a mormorare il titolo dal significato inequivocabile: L’Averno sulla Terra. Rapimenti e sparizioni di A.J. Cuveé. Lo sapevano tutti che Mer era una fifona. Che odiava il buio, che non metteva mai piede nel bosco se non in compagnia di qualcuno.

 

- Vive all’ombra, sul ciglio dell’esistenza. E freme, freme… per quella luce che gli possa donare una parvenza di umanità. Sta nascosto dietro l’angolo, tra i cipressi, sotto terra e attende il suo arrivo. Per rapirla e nutrirsi di lei.


Mentre la voce di Merope iniziava a incrinarsi per la paura, Duncan prese la coraggiosa decisione di farla pagare a James e Daphne, andando a riempire un secchio al pozzo allo scopo di bagnarli tutti. Fu proprio per questo che non si rese conto di quale fosse l’effettivo scherzo ordito ai danni di Merope.

 

- La scorge mentre se ne sta su un piedistallo, immobile creatura luminosa, inconsapevole delle ombre che la circondano e degli occhi grigi che la scrutano. La vuole per sé e quella notte la prenderà.


Merope interruppe bruscamente la lettura, colta da un cattivo presentimento. Era come se qualcuno l’avesse chiamata per nome, senza però usare la voce per farlo. Ma era stato un richiamo talmente forte da distogliere la sua attenzione dalla lettura.

Fu con sgomento che si rese conto di essere rimasta sola, senza neanche una torcia a illuminarle la strada. Gli scherzi di Daphne e James si facevano sempre più crudeli, pensò mentre si sforzava di stare calma.

Strinse tra le mani il libricino che i cugini avevano preso dalla libreria dei nonni e si incamminò lungo il sentiero che portava a casa. Sapeva che se si fosse messa a correre tutte le sue paure si sarebbero amplificate, ma le parole appena lette erano ancora impresse nella sua mente e la sensazione che qualcuno si celasse tra le ombre generate dalla fitta vegetazione la spingeva ad affrettare il passo, a fuggire via da lì.

 

Corse a perdifiato. Dal buio che la circondava. Dai rami che la graffiavano. Dalla creatura oscura pronta a portarla indietro.

Finché andò a sbattere contro un petto caldo e un paio di braccia l’avvolse. Stava per cacciare fuori un urlo atterrito, quando riconobbe la voce.

 

- Stai tranquilla, Mer. Sono io, sono Duncan.

 

 

 

***

 



New York 21 settembre 1994


Nel buio, le mani dei suoi genitori sembravano quasi sfiorarsi.

I loro volti impietriti, opalescenti, nella luce argentea e ghiacciata dei fari che tagliavano l'oscurità del teatro le apparivano, invece, come quelli di due estranei, capitati per caso sullo stesso balconcino.

 

Quel pomeriggio Tai aveva pianto così a lungo che gli occhi le dolevano al punto da non riuscire nemmeno a tenerli fissi sul palco, dove un uomo dai capelli scuri e spettinati, coperti da una corona calzata di sbieco, recitava versi di cui non comprendeva il significato.

 

-Se te ne vai farò in modo che tu non veda più tua figlia.


Sapeva cosa ne sarebbe seguito. Nel corso della violenta lite pomeridiana fra i genitori, si era rifugiata con la testa dentro la casa delle Barbie, intonando, quasi impercettibile, la ninna nanna di Brahms che stava imparando al pianoforte. Aveva alzato la voce nell'esatto istante in cui la porta di casa era stata sbattuta violentemente, ignorando suo cugino Benjamin, che tentava di convincerla a sgattaiolare inosservati fuori dall'appartamento; lì, almeno, non vi era nessun fragore, solo la calma melodia della canzoncina che papà Ken cantava alla sua Katie dai capelli rossi, mentre la mamma preparava la cena.

 

Ciò che ci proponiamo in preda alla passione,
la passione finita, perde la sua intenzione.


Alla fine suo padre era rimasto, come sempre; aveva fumato un sigaro, bevuto uno scotch e, giunta la sera, issata la figlia sulle spalle, aveva preso per mano il nipote, ed era uscito per strada, incamminandosi a piedi per l'Upper East Side.

Taigete, Benjamin e Philip McDeer erano arrivati così al MET, l'uomo con la giacca scura stropicciata e i bambini scamiciati per la lunga passeggiata; scivolando nell'anonimato di quell'intimo e dimesso atteggiamento, erano passati inosservati dietro un variegato drappello di maschere, fotografi, giornalisti e semplici curiosi che si erano riuniti per accogliere il pubblico della prima teatrale dell'Amleto, che andava in scena quella sera.

 

Davanti a loro, Erin Core McDeer, la madre di Tai, impeccabile e impenetrabile, scendeva sola dall'automobile scura, quasi scultorea nella sua glaciale bellezza.

 

-Che smacco, per la famiglia Core. Un divorzio a così pochi anni dalla nascita dell' erede di due delle famiglie più influenti e ricche degli Stati Uniti...

 

A Tai pareva di sentirli, i mormorii che volavano sino al loro balconcino; il buio nascondeva i loro volti, ma non vi era nulla che impedisse alle voci di raggiungerli.

 

-Taigete, smettila di tirare su con il naso!

Nel silenzio, la voce di sua madre era secca, glaciale.

Philip, senza parlare, spostò la mano sul braccio fasciato di seta color giada, come per domandarle una tregua. Tai li osservò per qualche istante, sorpresa e incantata da quel gesto inusuale e così intimo, poi, senza pensarci, intrecciò le dita paffute a quelle sottili del padre. A quel tocco, sua madre distolse finalmente lo sguardo dal palcoscenico; accennò un sorriso, o quello che sembrava tale. Era così raro che ultimamente la si cogliesse in un simile atteggiamento, che la bambina non poté fare a meno di provare un moto di inusuale felicità, a quella fugace dimostrazione d'affetto.

D'improvviso, però, qualcosa la distrasse e la donna si sistemò di scatto sulla poltroncina di velluto, cominciando a giocare nervosamente con le pietre rosse della collana che indossava, nell'evidente tentativo di tenere occupate le dita tremanti. La bambina scrutò a lungo il suo viso dai lineamenti algidi, scolpito dal gioco di luci glaciali della sala, pregando che si voltasse di nuovo, che le sorridesse ancora. Questa però continuò ostinatamente a fissare il palco, dove ormai la lunga battuta dell'uomo dai capelli scuri e spettinati si stava concludendo.

 

Tai si rannicchiò sulle gambe di suo padre, affondò la testa fra le pieghe della sua giacca e, a labbra serrate, ricominciò a canticchiare la ninna nanna di Ken. E lì, protetta in quell'oscurità che profumava di sigaro e talco, non c'erano volti tirati, urla, valigie, luci fredde, uomini dai capelli scuri che recitavano parole incomprensibili; vi era solo una bambina di nome Katie, che era forte, spavalda e che affrontava le sue paure a testa alta.

 

-Katie non sarà mai come te, da grande,- aveva giurato con un ultimo sguardo rivolto a sua madre, chiudendo infine gli occhi.

 

Ma, a finire con ordine lì dove

ho cominciato, desideri e destini

vanno in senso contrario tanto

che i nostri calcoli son sempre

rovesciati: nostri sono i progetti,

ma non i risultati.

Così ora tu pensi che non avrai

altro sposo, ma, morto il primo,

forse muore anche il tuo proposito.







Note delle autrici



Ciao a tutti, eccoci giunti alla fine del Prologo di questa nuova avventura.
Un mesetto e mezzo fa, quando abbiamo cominciato a parlarne, sembrava tutto così lontano e vago che ci pare incredibile essere già a questo punto.

É doveroso, come primo pensiero, un ringraziamento: a tutto quelli che nell'ultimo mese sono stati dietro agli spoileri, alle fotografie, ai commenti deliranti. A chi, conoscendoci singolarmente, ha deciso di seguirci anche in questo viaggio a sei mani. A chi ha conosciuto la storia ancora prima che ne venisse scritta una riga e si é scervellato a trovare dettagli, volti, o semplicemente ad ascoltare i nostri deliri.
A Erica, che ha accettato senza fiatare di coordinare e betare tre persone che, in fin dei conti, hanno stili e caratteristiche difficili da far collimare.
E, infine, anche a chi é capitato qui per caso ed é giunto fino a questi ringraziamenti preliminari.
Grazie per la fiducia e per il calore con cui avete dimostrato di accogliere questa storia.

Giunti a questo punto, che rimane da dire?
Ci auguriamo che il prologo possa avervi stuzzicato a sufficienza da continuare a seguirci ancora, quando pubblicheremo i prossimi capitoli.

Piccola nota storica: tutti i personaggi presenti sul Titanic, tranne Maia, sono figure storiche realmente esistite, nonché, appunto, passeggeri del transatlantico.


Per chi desidera seguirci anche fuori da EFP, per ricevere aggiornamenti, spoiler, o semplicemente per conoscerci e scambiare due chiacchiere, ci trovate qui

- Pagina Facebok dedicata a Persefone.
- Gruppo facebook/Isoletta/ Regno di Emily Alexandre, Nearest my heart.
- Gruppo Facebook di Lyra, Sing and write for the wind, fear not for tomorrow.

Un abbraccio a tutti

Agnes, Emily e Lyra.

PS: Il motto di questa storia, con buona pace della sua creatrice che non è molto d'accordo, è "Duncan we love you"! Tenete a mente!






   
 
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