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Autore: Colli58    22/09/2013    3 recensioni
Era stata una giornata divertente. Si era lasciata convincere a partecipare ai suoi giochi, e tra una sfida e l’altra erano finiti più di una volta a rotolare sul divano o sul tappeto. Era stato molto più piacevole di quanto avesse mai immaginato.
Genere: Azione, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
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Nell'ultimo capitolo:
Nuove notizie giungono al distretto e finalmente vengono svelati i nomi degli appartenenti al gruppo "Il Faro", così che anche la terza vittima ha finalmente un nome. Durante un sopralluogo all'abitazione di uno dei ricercai,  una pedina che si muove nell'ombra esce allo scoperto rapendo Beckett sotto gli occhi di Ryan ed Esposito.
La notizia raggiunge Castle solo dopo il suo arrivo al distretto in tarda mattinata. L'uomo reagisce male, sentendosi in colpa per non averla seguita. Il Capitano Gates lo fa volontariamente partecipe delle indagini, cercando di trovare in lui quanto più volte dichiarato da Beckett.
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Ryan ed Esposito si muovevano freneticamente incrociando i dati pervenuti dalle pattuglie e dagli elicotteri. Esposito nello specifico sapeva di aver fatto un grave errore e ne sentiva il peso ma cercava di lavorare con attenzione. Non poteva essere scappato così, quel furgone scuro, anonimo e senza targa, doveva aver lasciato la zona seguito dalle telecamere del traffico e lì che puntavano le loro speranze. Il furgone non corrispondeva a quello implicato nell’omicidio di Claire Haubry e Triguez al motel, ma non si poteva dire che non fosse un altro mezzo rubato. Di tanto in tanto seguiva con lo sguardo Castle che cercava appigli per risolvere il puzzle che aveva in mano. Lo vide fare telefonate, chiedere informazioni, fino a che si appoggiò con i gomiti alla scrivania tenendosi la testa tra le mani. Castle si sentiva soffocare. Sollevò la testa sbuffando e poi si alzò dalla scrivania per sgranchirsi le gambe. Ormai aveva cercato ovunque un luogo dove potevano essere usate quelle chiavi. Senza esito. Un breviario e due piccole chiavi erano tutto ciò che aveva?
Aveva analizzato ogni frase del breviario alla ricerca di un indizio ma non c’erano indicazioni che legavano alcuna frase alla sigla N31 e nessuna combinazione di crittografia che si era scervellato a sperimentare aveva dato esiti intelligenti.
Si voltò verso Ryan, appoggiato allo schienale della scrivania con il telefono in mano e spostando il mouse del suo pc con l’altra, alla ricerca dei dati in arrivo via mail.  Nessuno aveva chiamato per avvertire, nessuno aveva fatto un gesto qualsiasi per effettuare uno scambio. Osservò la sua cravatta sgargiante e il non poterne fare dell’ironia con Kate gli provocò una fitta allo stomaco. La Gates sosteneva che era ancora presto, ma una chiamata doveva arrivare. Lui desiderò che non si sbagliasse, per lei ed il suo cuore che batteva ad una velocità incontrollata lasciandolo affaticato. Un attacco di panico molto più serio di tutti quelli che aveva avuto in passato. Cercò di respirare profondamente e darsi una calmata, e per un breve intervallo riuscì a farlo, fino a che incrociò con lo sguardo Jim Beckett.
Il padre di Beckett era stato informato dell’accaduto poche ore prima ed il senso di colpa che Castle sentiva si amplificò nel vederlo. Non avrebbe dovuto lasciarla sola, aveva promesso al padre di badare a lei, di proteggerla e la sua pigrizia gli aveva giocato un brutto scherzo.
Jim Beckett era scuro in volto ma si muoveva con la sua solita flemma, sapeva a cosa andava incontro, avendolo vissuto più volte. Castle andò verso di lui a passi lenti mentre Jim raggiungeva l’ufficio della figlia.
“Mi dispiace.” Mormorò Castle stringendo la mano all’uomo. Lui annuì stancamente. “Come è successo? Quali rischi corre?” Chiese. La sua attenzione fu richiamata da un saluto proveniente dalla Gates, la quale aveva già oltrepassato la porta del suo ufficio e stava avvicinandosi ai due uomini con passo veloce.
Castle sospirò e lasciò che il capitano facesse la sua parte. “Signor Beckett, non abbiamo ragione di supporre che sua figlia sia in pericolo di vita. Crediamo vogliano fare uno scambio e attendiamo una chiamata in merito. Dovremmo mettere il suo telefono sotto controllo.” Chiarì la Gates facendolo accomodare nel proprio ufficio. Jim annuì. “Chi sono i rapitori?”
Castle si sentì sprofondare. “Non lo sappiamo con esattezza” rispose la Gates. Lui la guardò stringendo le labbra. Potevano essere sicari pronti a tutto pur di arrivare a ciò che volevano. Il guaio è che nessuno di loro sapeva in realtà ciò che andavano cercando, erano tutte congetture, maledette congetture, e la Gates stava addolcendo la pillola al padre di Kate.
Castle lo lasciò con il capitano e tornò al proprio posto, sedendo sulla scrivania e guardando la lavagna colma di dati ma gli sembravano di poca utilità per poter trovare Kate.
Il suo cellulare emise un cicalio che lo avvertiva di un messaggio in arrivo. Lo guardò prontamente e le sue spalle si abbassarono quando vide che era un messaggio di Alexis che lo pregava di restare forte e di non perdere le speranze. Sua figlia era stata informata da Martha sull’accaduto. Aveva chiamato sua madre per sfogarsi e per avere un supporto morale, sua madre come sempre lo aveva rincuorato e lo aveva incitato a dare il massimo.
Rispose ad Alexis con un messaggio di ringraziamento e lasciò il telefono sulla scrivania.
Quando Jim Beckett uscì dall’ufficio della Gates lo raggiunse. Era visibilmente provato e cercò gli occhi di Castle per avere un appiglio. Lui si impegnò a sgomberare la sua mente da pensieri negativi e gli regalò un sorriso sincero. “Mia madre ti aspetta a casa. Non stare da solo.” Gli disse Castle una volta che lui fu vicino. “Riportamela a casa, so che puoi farlo.” Mormorò l’uomo stringendo il braccio dello scrittore con una presa forte e quasi paterna.
Lui annuì. “Qualsiasi cosa per Kate.” Rispose.  “Qualsiasi cosa…”
“Raggiungerò tua madre al loft. Grazie.” Jim aveva accettato di non restare solo ed era una buona cosa. Lo accompagnò all’ascensore e poi una volta tornato alla scrivania, riprese il suo telefono e inviò un messaggio a Martha in cui la informava dell’imminente arrivo di Jim Beckett. Sua madre sapeva essere molto abile a distrarre le persone. Si erano già trovati in situazioni simili. La Gates uscì di nuovo dal suo ufficio con un documento in mano.
“La CIA sta arrivando da noi.” Decretò osservando i suoi uomini che si scambiarono uno sguardo perplesso l’un l’altro. “Ci aiuteranno a ritrovare Beckett spero…” Castle fu l’unico a dare voce ad una speranza comune.
Victoria Gates non aveva voglia di giocare al gatto ed al topo con l’intelligence e visto com’erano stati poco collaborativi la prima volta, non si sarebbe stupita di una loro ennesima prevaricazione. La gerarchia poteva andarsi a far benedire se si trattava di un suo uomo. Non avrebbe accettato di farsi portare via altre informazioni senza ottenere la sua detective sana e salva.
“Tra quanto saranno qui?” Chiese Ryan pensando a come salvare le prove.
Gates fece una smorfia. “Saranno già al parcheggio immagino.” Si sbagliava: Marc Prime era già arrivato al piano e quando l’ascensore si aprì si trovò vittima di sguardi severi in una manciata di secondi. Avanzò lungo il corridoio che già conosceva mentre il capitano Gates lo attendeva con evidente impazienza.
Osservò il gruppo presente e non gli sfuggì lo sguardo dello scrittore. Lo vide muoversi con cautela, i gesti di tutti erano tesi e aggressivi, ma lui era pensieroso e lo stava osservando con un misto tra curiosità e impazienza.
“Non credo di dovervi dire che avete fatto un grave errore continuando ad indagare sul caso Moses.” Esordì dando la mano alla Gates. “Vi era stato detto di non approfondire l’indagine, di lasciar perdere, questo è il risultato.”
La Gates si accigliò. “Se è qui solo per una ramanzina agente Prime, non ci è di alcun aiuto e noi abbiamo molte cose da fare.” Sbottò mettendo le mani sui fianchi in segno di difesa.
L’agente scosse il capo.
“E’ qui per collaborare o farci perdere tempo?” Si voltò di scatto verso colui che aveva parlato. Lo scrittore lo stava guardando con serietà ma senza il disprezzo evidente degli altri. Era la prima volta che lo incontrava di persona ed era ben diverso dalle foto che aveva visto su di lui. Di nuovo Prime percepì qualcosa di vagamente familiare nell’uomo che aveva di fronte, ma non riuscì a capire il perché.
“Collaborazione in realtà. Vogliamo aiutarvi a trovare la vostra collega. Ciò non di meno esigiamo che quanto verrà a galla da questa indagine resti a nostro esclusivo appannaggio.”
Castle si passò una mano sulla faccia e poi la rimise in tasca, annuendo. Prime osservò come l’unico a non essere davvero ostile fosse lui. La Gates non profferì parola. La CIA era al corrente di molte informazioni vitali per il dodicesimo e per Beckett, doveva saggiare il terreno ma non era certo una mossa intelligente aggredirli considerata la loro volontà di collaborare.  “Mi sembra una condizione che possiamo gestire.” Rispose infine. “Ma vogliamo restare informati.” Replicò con un’occhiataccia. Prime annuì lentamente.
“Ne possiamo discutere, onde evitare di perdere altro tempo potreste darci un ufficio in cui lavorare?” Disse indicando due uomini fermi dietro di lui: avevano entrambi una valigia. Gates li condusse ad uno degli uffici chiusi al centro del distretto.
Prime organizzò con pochi gesti le attività dei suoi uomini e li fece interfacciare con Ryan e Esposito. Il suo sguardò però andava a posarsi con molta frequenza su Castle. Lo scrittore partecipava attivamente al caso, con il benestare del capitano e Prime lo trovò discutibile ma interessante. Che cosa se ne faceva la polizia di uno scrittore di romanzi gialli? Aveva letto alcune cose su di lui, qualcosa che aveva inizialmente imputato alla fortuna del principiante, ma probabilmente gli sfuggiva qualche tipo di legame. Certo era pieno di conoscenze ed amicizie importanti, però il suo ruolo in quella sede qual’era?
“Credo che sia doveroso fare il punto sulla situazione.” Iniziò a dire la Gates cercando di organizzare un tavolo di lavoro. Prime annuì e indico gli uomini che potevano restare, escludendo volutamente lo scrittore.
Castle fece un passo avanti accigliato. “Non potete escludermi, è la mia… partner!”  Sbottò all’insegna della Gates e lei annuì.
“Il signor Castle è dei nostri.” Esclamò facendolo entrare nella saletta. Lo scrittore entrò senza indugiare e Gates sfidò Prime con uno sguardo risoluto.
“Niente compromessi in questo caso.” Concluse mentre Ryan ed Esposito accumulavano i fascicoli sulla scrivania. Ryan accese il monitor pc e richiamò le cartelle che lui stesso aveva preparato.
Castle sedette accanto alla Gates, con un velo di curiosità sul perché lei lo avesse difeso di fronte all’agente, quella domanda gliel’avrebbe rivolta a tempo debito. Ora la liberazione di Kate era l’assoluta priorità.
Per più di mezz’ora Prime valutò i dati ottenuti dalle indagini della squadra della omicidi e, con non poca sorpresa, si rese conto che erano perfettamente al corrente, e con sufficiente dettaglio, delle vicende del gruppo definito “Il Faro”, come Jack aveva previsto. Nomi, luoghi, connessioni e fatti, sapevano anche e del loro fallimento nel perseguire Dounne. Ovviamente erano a conoscenza anche del gruppo comandato dalla donna, Sonia Martinez, considerato che i due detective avevano assistito al rapimento.
Quando lo scrittore aveva descritto con meticolosità la possibile ragione per cui l’operazione di Moses era miseramente fallita, aveva ammirato il suo eloquio brillante e le conclusione erano, niente da aggiungere, esatte. Si stava ricredendo velocemente a suo riguardo: era intelligente, acuto e le sue deduzioni erano calzanti. Era andato dritto al centro dell’argomento.
Il capitano, anche se controvoglia, lasciò che Castle andasse avanti sulla sua spiegazione. Sapeva essere irritante ma dannatamente in gamba nel raccontare storie così ricche di dettagli che quel babbuino vestito di scuro che aveva davanti doveva solo rimangiarsi quella sua aria da saputello.
Castle gli avrebbe descritto l’accaduto, i sospetti, le ricerche e le conclusioni, nella metà del tempo che avrebbero impiegato lei e con dovizia di particolari da fare impallidire un’enciclopedia. Farlo andare a ruota libera lo avrebbe anche distratto e forse lo avrebbe aiutato a trovare un’idea, quella scintilla che la detective Beckett aveva spesso usato per poi concludere le proprie indagini con successo. Non lo avrebbe mai ammesso pubblicamente, ma forse, prima o poi, la sua presenza poteva anche essere considerata una risorsa. Forse Beckett aveva ragione su di lui. Ma non lo avrebbe mai dichiarato.
Prime lo ascoltò parlare per dieci minuti, mentre i suoi colleghi annuivano. Alla fine Castle arrivò alla domanda che tutti avevano sulla punta della lingua. Chi aveva realmente ucciso Moses se la donna che aveva rapito Beckett era in circolazione a New York da meno tempo? Jack aveva fatto controllare i suoi nicknames conosciuti presso gli aeroporti di altre città limitrofe ma a quanto pare non era emerso nulla, quindi Prime sapeva che non poteva essere stata la donna a farlo, proveniva da Città del Messico e non c’erano tracce che portavano a lei in alcun modo, tanto meno nelle modalità dell’omicidio.
Troppi dati erano in gioco, la polizia non avrebbe potuto passarli al vaglio tutti. Castle lo disse apertamente.
“Questa è una vostra speculazione sui dati che i vostri potenti mezzi tecnologici vi restituiscono. So bene cosa siete in grado di fare, l’ho visto e non dubito che possa essere così. Ma a questo punto abbiamo un omicida in circolazione e un killer pronto a tutto. Ma tutta questa gente cosa sta cercando? Voi lo sapete? E soprattutto siamo davvero certi che questa donna sia al soldo di Dounne?”
“Supponiamo che cerchino informazioni. Abbiamo il sospetto, ma badate bene è solo un sospetto” rincarò Prime per essere sicuro che i convenuti capissero a fondo cosa significasse, “Che siano in cerca di una documentazione scottante su di lui.” Disse indicando la foto di Dounne posata in centro alla tavola.
Ryan sorrise scambiando un’occhiata con la Gates che si sporse in avanti e disse con sarcasmo: “Quali prove avete?”
Prime sapeva di non avere prove oggettive, solo la parola di un boss mafioso. Solo quella soffiata era in grado di sostenere che il sicario cercava i marines, e dio solo sapeva cosa gli stava nascondendo Jack.
“Abbiamo qualcosa in mano che ci porta a questa conclusione.” Disse restando vago. Non poteva certo dirgli la fonte, Jack lo avrebbe scuoiato vivo.
La Gates si alzò e camminò intorno il tavolo.
“Ora tocca a voi Prime, avete trovato questi due? Sapete se sono ancora vivi?” Disse indicando i due marines che tutti stavano cercando.
Prime scosse il capo. “Abbiamo setacciato le loro case, abbiamo controllato le loro famiglie e gli amici. Ho uomini che controllano le mosse dei genitori, fratelli…”
“Ma?” Aggiunse Castle. Prime lo squadrò. “Oh, andiamo, dopo una frase così c’è sempre un ma…” un movimento del capo e lo sguardo beffardo da parte dello scrittore lo lasciarono stupito. Con quel gruppo le carte da giocare erano evidentemente altre. “Ma per il momento non risultano movimenti che possa indicarci dove sono nascosti.”
“Questo non ci aiuta agente Prime. Non aiuta noi e non aiuta il detective Beckett.” Replicò la Gates. “Torniamo alle prove tangibili e abbandoniamo le speculazioni, vuole?” Aggiunse con sarcasmo. “Abbiamo bisogno di accedere più velocemente alle banche dati del traffico. Sappiamo che si sono spostati verso East Bronx, ma li abbiamo persi. Ci serve poter elaborare più informazioni possibile sui ponti telefonici e sulle targhe, e lo dobbiamo fare in modo più rapido.” Il capitano stava ora mettendo un accento su ogni cosa valesse la pena di sottolineare.
“Perché vede noi non abbiamo quelle informazioni che lei pensa che stiano cercando, abbiamo solo dei passaporti falsi che ci dicono che Moses e compagni volevano scappare.” La Gates osservò negli occhi i propri uomini e si soffermò su Castle, sperando di essere capace di comunicargli di stare zitto. Lui aprì la bocca e la richiuse di scatto, alzando la testa.
“Passaporti falsi?” Prime si trovò in contropiede.
“Già li abbiamo trovati nell’appartamento di Moses.” Aggiunse Esposito pensando alla simpatica e rocambolesca fuga dagli agenti della CIA, “Non lo sapevate? In fondo ci stavate seguendo.” Prime cercò di stare calmo e non raccogliere l’evidente sfottò del detective.
“Chi li minacciava era Dounne? C’è davvero lui dietro a tutto questo?” Interloquì la Gates.
Prime si appoggiò allo schienale. Si sentiva un po’ in scacco perché era all’oscuro di tutto.
“Quell’uomo è pericoloso. Probabilmente sta smuovendo le acque. Ma non abbiamo ancora prove valide che lo leghino direttamente agli omicidi per andare avanti con un’azione contro di lui, ma il sicario che ha preso in ostaggio il detective Beckett potrebbe confermare alcune nostre ipotesi e potrebbe aprirci alcune porte. Come prima cosa dobbiamo rintracciarla per liberare la vostra collega. Del resto ce ne stiamo già occupando.”
Il tono di sufficienza e la frase di comodo detta per liquidare eventuali altre domande sul nascere fece reagire Castle.
“Sapete bene chi è. E magari sapete anche dove si nasconde in città. Che cosa diavolo aspettate a fermarla? Che ci vada di mezzo qualcun altro?”
La Gates lo richiamò e lui annuì alzando le mani in segno di difesa.
Prime rimase a bocca aperta. Il gesto di stizza, gli occhi chiari e feroci. Possibile che lo scrittore assomigliasse così tanto a Jack? Deglutì e abbassò lo sguardo sul proprio laptop. Il cellulare suonò distraendolo.
“Prime.” Disse rispondendo. Alzò di nuovo lo sguardo sullo scrittore e ascoltò senza dire parola. Annuì solo leggermente con il capo. Quando chiuse la chiamata i suoi occhi erano ancora puntati sullo scrittore, appoggiato al bordo di una scrivania con le mani intrecciate e lo sguardo ferino.  “Eh già…” Pensò cominciando a capire.
“Qualche nuova?” lo interruppe la Gates. Lui si voltò verso di lei come un automa. “Non di rilievo. Solo procedure in corso.”
Prime sedette davanti alla postazione che i suoi due colleghi avevano preparato. Si slacciò la cravatta che gli sembrava ora troppo oppressiva.
Il detective Harvey bussò alla porta. Ryan gli fece cenno di entrare e lui guardò Castle. “Ti suona il telefono di là…” gli disse e Castle si catapultò fuori dalla stanza con la speranza che fosse lei. Il cellulare lampeggiava evidenziando una chiamata anonima.
“Castle.” Ripose cercando di mascherare la tensione nella sua voce.
Richard ma dove diavolo sei?” La voce di Gina lo fece quasi imprecare. “Gina non è proprio il momento. Ti richiamerò quando posso.” Sbottò con amarezza.
La donna insistette e continuò a parlare. “Dobbiamo vederci per organizzare un paio di uscite promozionali ricordi? E discutere gli ultimi capitoli del tuo libro, eravamo d’accordo da due settimane, sapevi che non ti avrei dato proroghe.”
Lui sbuffò. “Gina non ora! In che lingua te lo devo dire?” La furia della sua voce fece zittire la donna. “E’ successo qualcosa di grave ok? Beckett è scomparsa. Smettila di chiamare e lasciami in pace.” La donna sbuffò. “A questo punto dovresti pensare trovarti un altro lavoro, Rick.” Sentenziò lei con acidità.
“Posso semplicemente cambiare casa editrice.” Rispose Castle chiudendo la comunicazione. Abbandonò il telefono sul tavolo, quasi fosse ustionante. Alzò lo sguardo sui colleghi e scosse il capo. In quel momento nulla lo avrebbe portato via di lì. Gina non lo avrebbe smosso nemmeno di un metro, anche se provava a minacciarlo. Si ritrovò a scambiare uno strano sguardo con l’agente Prime.  Si sentiva spesso il suo sguardo addosso e non ne capiva il motivo. Quella interruzione decretò anche la fine della riunione, sebbene molte cose fossero ancora in sospeso, così pensò la Gates osservando la scena. Ora dovevano smettere di chiacchierare ed agire.
“Posso parlarle in privato?” Chiese Prime alla Gates. Lei annuì non nascondendo la sua sorpresa. Entrarono nel suo ufficio e la donna indicò all’uomo di sedersi, ma lui declinò con un gesto della mano.
“Lo scrittore, che ruolo riveste?” Chiese con freddezza, non voleva sembrare interessato in modo particolare, anche se la verità era ben diversa.
La Gates prese un sospiro. “E’ il partner del detective Beckett. Lavorano insieme da ormai cinque anni.” Spiegò la donna, imbarazzata da quel discorso.
Prime annuì. Era una dato a lui noto ma quello che voleva sapere era un’altra cosa.
“Mi scusi ma è un civile. Perché è qui?” Chiese di nuovo. La Gates sbuffò. “E’ un amico del sindaco, del capo della polizia. Ha il loro permesso. Le basta?”
Prime annuì. Castle aveva amicizie influenti, come quelle che gli avevano permesso di partecipare alle azioni della CIA in passato. Lui aveva affiancato per un anno Sophia Turner con il benestare di qualcuno e sospettava che ci fosse Jack dietro a tutto. Ma non in quel caso. Forse si sbagliava, ma il suo istinto gli diceva di aver fatto centro.
Quando tornarono nella saletta, lo scrittore stava parlando con i colleghi.
“Se questo sicario è arrivato solo una settimana fa e non può essere il killer di Moses, allora c’è qualcuno che si è mosso prima.” Stava dicendo mentre guardavano la data sui filmati dell’aeroporto. Ryan riconobbe la donna e uno degli uomini che avevano rapito Beckett.
“Si sono proprio loro.” annuì voltandosi verso la Gates. Prime estrasse il telefono dalla tasca e chiamò. “Attiva la connessione.” Dichiarò senza presentarsi. Annuì di nuovo e poi chiuse la comunicazione.
“Ci faremo convogliare qui tutti i dati del traffico. Dobbiamo trovare quel furgone.” Indicò ad uno dei suoi sottoposti di eseguire l’ordine e l’uomo cominciò a digitare alacremente sulla sua console. Una lista di filmati suddivisi per orari e coordinate cominciò ad apparire sullo schermo. Castle si avvicinò alla console. Quella era tecnologia che anche la polizia avrebbe dovuto avere ed invece dovevano accontentarsi di ricevere le informazioni alla spicciolata.
Quella rapidità avrebbe fatto circoscrivere l’area di ricerca in breve tempo. Se avesse avuto l’opportunità di dare ai suoi amici le stesse potenzialità avrebbe donato una grandiosa cifra del proprio patrimonio. Per Kate e la sua vita avrebbe dato qualsiasi cosa.
Si guardò allo specchio sul vetro riflettente della parete della stanza. Avrebbe dato anche la propria vita per lei.
“Da quanto sapete della Martinez?” Chiese Esposito continuando a leggere il documento che gli era stato fornito.
“Abbiamo collegato le due cose da poco.” Ripose Prime telegraficamente. Esposito lo guardò con insistenza. Prime si voltò.
“Sentite, nessuno vuole che succeda qualcosa alla vostra collega, ma il caso non riveste un interesse esclusivamente locale. E’ un’operazione che è costata uomini e moltissimo denaro ed è fallita miseramente a causa della fragilità di un uomo. Non possiamo farvi agire a testa bassa ed andare a fare l’ariete contro un uomo come Dounne.”
“Lo metterebbe in allarme?” Aggiunse Castle.
Prime annuì. “Esatto.”
“Ma è già in allarme!” Sbottò di nuovo lo scrittore allargando le mani in segno di ovvietà. “Beh, ha mandato la Martinez.” Decretò Esposito con la sua aria da presa in giro.
“Non è ancora provato che sia un suo sicario.” Replicò Prime.
Esposito lo guardò male. “E allora per cosa stiamo qui a discutere?”
“Credete che sia stata opera nostra?” Prime si mise sulla difensiva. “Vi siete mossi in giro facendo indagini quando vi era stato impedito. Siete andati dalla Kamp, avete mosso le acque e pensate di non avere colpe in merito?” Guardò i tre uomini davanti a lui e si soffermò sullo scrittore.
Castle lo guardò stupito. “Andiamo agente, ci vuole far credere che siamo stati noi a dare risalto al caso, facendo arrivare segnali negativi a Dounne? Lei non li guarda i telegiornali?”
Esposito annuì. “Il giorno dopo il ritrovamento di Moses telegiornali nazionali e notiziari locali enfatizzavano la notizia sulla morte grottesca di un assistente sociale!”
Castle proseguì. “Ma se andiamo ad analizzare i tempi non passa inosservato che la donna è qui da una settimana, la data e l’ora sul video indicano Lunedì scorso alle 15 e 27. Il cadavere è stato rinvenuto quattro giorni fa, mercoledì, e la morte risale al venerdì precedente.”
“Moses era già morto da un pezzo.” Replicò Ryan.
“Già. Chiunque sia il mandante, sapeva qualcosa ancora prima del ritrovamento del corpo. Forse il primo killer ha ucciso Moses, ma non ha proseguito la caccia. La Martinz però era già a New York per poter uccidere Claire e Triguez.” Aggiunse Esposito. Lo sguardo di Castle si fece vacuo. Cercò di analizzare i tempi ed i modi ma qualcosa continuava ad essere sbagliato.
“Niente ci fa supporre che sia stata lei, se non che le secondo le vostre fonti lei è in cerca dei medesimi uomini…”
Prime si morse le labbra. Castle stava avendo ragione troppe volte per il suo ego.
“Non è il caso di affibbiarci colpe.” Finì Esposito con sarcasmo battendo il cinque con Castle. 
“Signori questa non è la sede per fare recriminazioni.” Interloquì la Gates. “Abbassate i toni. Signor Castle la prego.” Lo indicò con la mano ma Castle non si scompose.
“Ciò non toglie che abbiamo assistito agenti federali in più occasioni potevamo collaborare e questa situazione spiacevole probabilmente non si sarebbe creata.” Punzecchiò il capitano.
“Ci avete pedinati. Poi avete smesso perché?” Castle parlava senza guardare l’agente, continuando a cercare qualcosa nel profilo della Martinez che Esposito gli aveva passato.
“Non sono tenuto a chiarire i nostri ordini e le nostre posizioni signor Castle.”
Castle si alzò camminando avanti e indietro.
Ryan scosse il capo continuando ad osservare i video che passavano sullo schermo. I software di analisi della CIA stavano marcando velocemente tutti i video che presentavano oggetti analoghi a quello interessato, nella fattispecie il fugone senza targa del rapimento.
Prime lo guardò pensando alle implicazioni nel dare loro una risposta esaustiva o bluffare ma venne anticipato da Castle che prese di nuovo a parlare.
Prime si sorprese di quanto fosse maledettamente verboso.
“E’ una donna piuttosto feroce e che ama l’uso di veleni di variate tipologie. Chimici, naturali…” Castle era fermo e guardava Esposito con la paura negli occhi. “Veleno, una profilo psicologico da borderline, con sociopatie infantili e nessuna pietà.” Sottolineò. Esposito percepì la preoccupazione di Castle e gli fu solidale: Beckett era in mano ad un sicario che una volta realizzata la sua inutilità, l’avrebbe eliminata in modo meschino e rapido. Castle chiuse gli occhi e strinse le labbra.
“Quanto tempo pensa che abbiamo?” Disse la Gates rivolgendosi a Prime. Lui parve pensare. “Ventiquattro ore al massimo. Il suo telefono è sotto controllo.”
Ryan scosse il capo. “Non c’è modo di riattivare il suo telefono da remoto? Ricordo che l’FBI lo fece una volta.”
“Solo se è raggiungibile dal segnale. Se è dentro una schermatura tipo piombo, ma basta anche una cella frigorifera, allora non ci possiamo fare molto.” Ripose l’agente Roland, il secondo dopo Prime.
“A parte voi colleghi chi è il parente più prossimo che potrebbero contattare?” aggiunse Prime lavorando alacremente alla sua console.
“Il padre, ma non credo lo chiameranno. Se faranno una richiesta la faranno qui o al signor Castle.” Rispose la Gates con sicurezza.
Prime la guardò. “E’ molto sicura della sua tesi…”
“La nostra pedina è a conoscenza del ruolo di Beckett. Chiamare il padre può essere dispersivo e non credo voglia chiedere un riscatto in denaro. Cercherà sul cellulare di Beckett i numeri più comuni e Castle è il miglior candidato dopo il distretto. Ne sono più che certa.”
Prime la guardò. “Mi dia il numero comunque.” L’aria si fece anche più tesa e lo scrittore si limitò ad annuire, dettando lui stesso il numero di cellulare di Jim Beckett. Poi prese a dettare il suo ma l’uomo lo bloccò.  “Il suo telefono è già sotto controllo.” Disse fingendo di ignorare le reazioni reciproche. Se aveva intuito bene ciò che stava succedendo, in quell’ufficio era in atto un’azione di omertà.
Castle e Beckett avevano una relazione, lui stesso li aveva visti insieme in atteggiamenti teneri e dai rapporti degli agenti di sorveglianza lei aveva passato più volte la notte da lui. Non c’erano dubbi. I colleghi ne erano al corrente però nessuno ne parlava apertamente. Il capitano probabilmente ne era informata, era troppo scaltra per non saperlo, ma gli altri glielo stavano volutamente nascondendo perché la fraternizzazione non era permessa dal regolamento. Provò a gettare un sasso nella pozzanghera.
“Fidanzati?” Chiese quindi guardando Castle con interesse e l’uomo assunse in risposta uno sguardo assassino.
“Presente…” mormorò Prime sorridendo.
Castle strinse la mascella. Avrebbe voluto prendere a pugni quello stronzo e fargli rimangiare quel sorrisetto sarcastico che gli aveva visto fare. Doveva far finta di niente mentre stava mettendo nei guai lui e Kate davanti alla Gates. Respirò a fondo guardando Ryan. Lui gli sorrise amabilmente e poi scosse lievemente il capo, come a volergli comunicare di non fare passi falsi. Gli sorrise di rimando prima di abbandonare la stanza per dirigersi a passi svelti fino al bagno. Vi entrò e appoggiò le mani sul lavabo, guardandosi allo specchio. Aprì l’acqua fredda lasciandola scorrere sotto i suoi occhi. Poi la rabbia ebbe la meglio e così sbatté con violenza un paio di colpi sul bordo biancastro del lavabo. Prime li aveva fatti pedinare e chissà che altro, la loro relazione per lui doveva essere palese, ma non era così che la Gates doveva venirlo a sapere, non era così che voleva che andassero le cose. Però era importante restare calmi, la vita di Kate era la cosa più importante e la CIA poteva salvarla. Poteva fare molto e lui non doveva permettersi di dare in escandescenza con quel colletto bianco.
Dopo essersi rinfrescato il viso si diede qualche minuto per calmarsi, decisamene una scenata non avrebbe aiutato in alcun modo nemmeno con la Gates. Quando si sentì più calmo uscì e tornò dai colleghi. La Gates riuscì persino a fargli un mezzo sorriso, ma non fu in grado di stabilire se fosse bonario o minaccioso.
Tornò a sedersi alla scrivania di Kate osservando i tre gingilli per l’ennesima volta. Dovevano pur dire qualcosa. La Gates lo raggiunse e lui la guardò attendendo una qualsiasi ramanzina da parte sua, ma non venne.
“Quel Prime non piace nemmeno a me, però ce lo dobbiamo tenere…” disse appoggiandosi alla scrivania. Castle annuì alzando la testa per affrontare il suo sguardo. Non avrebbe rinnegato il suo legame con Kate se lei glielo avesse chiesto in modo diretto, ma anche in quel caso il capitano si limitò ad osservare la lavagna con i dati.
“Non solo a lei a quanto pare. Qualcuno lo ha già pestato, ci ha preceduto.” La Gates rise senza guardarlo. Tutti avevano notato quel bel livido sullo zigomo, nascosto da un po’ di trucco.
“Almeno non sono l’unico che nasconde i lividi con il fondotinta.” Aggiunse Castle spostandosi il ciuffo di capelli dalla fronte.
“Si fida di loro?” Chiese quindi cambiando discorso.
“Lei no?” La Gates scorreva gli occhi sulla lavagna ripercorrendo mentalmente i passi di quell’indagine. “Non lo so. Evidentemente i tre omicidi non gli interessano. Vogliono solo arrivare al pesce più grosso.” Rispose Castle, giocherellando con un elefantino di Kate.
La Gates si mosse guardando furtivamente verso la stanza in cui Prime dirigeva le operazioni. “Ci sono molte, troppe incognite e troppi segreti in questa indagine per arrivare ad una soluzione semplice.”
“I tempi e i modi non tornano, capitano. Non ci vuole un genio per capire che loro vanno diritti verso la loro ambita preda ma c’è qualcosa d’altro… La tecnologia obsoleta, il modus operandi…” Continuò Castle, ancora arrabbiato, ma con voce grave.
“Mi interessa la salute di Beckett ora, e credo anche a lei. Non mi interessa sapere se ci nascondono altro, solo che ci aiutino a riavere Beckett sana e salva.” Castle annuì, del resto era della sua stessa opinione.
“Non ha voluto parlare di questi, perché?” Chiese indicando i tre oggetti nella busta di platica. La Gates scosse il capo. “Loro non mostrano tutte le loro carte e così nemmeno io.” Ripose alzandosi. “Voglio tenermi una porta aperta. Voglio avere il materiale utile per uno scambio che loro non sono disposti a fare, signor Castle. Me lo procuri.” Lui guardò di nuovo al busta.
“E se non significassero niente?” La Gates strinse le labbra.
“Devono dirci qualcosa. Me lo dice il mio istinto. Si fidi…” Castle sorrise. “Ok. Istinto.” Mormorò. Era paradossale sentirla parlare di istinto, lei che voleva sentire solo i fatti, però fidarsi di lei per una volta gli pare una scelta sensata.
 
Quando Beckett si risvegliò lentamente non riuscì a percepire nulla di che sul luogo in cui si trovava. Era buio e nonostante si sforzasse di mettere a fuoco qualcosa non ci riusciva. Si sentiva irrigidita e aveva la bocca impastata. Aveva sete e aveva gli abiti appiccicati addosso come se fossero bagnati. Stava sdraiata su qualcosa di rigido e scomodo, ma non orizzontale. La testa era leggermente più alta e poteva a malapena muovere il collo. Le braccia erano intorpidite, strette in qualcosa che ancora non sentiva. La circolazione era lenta e il formicolio nelle mani le fece capire che i legacci che la tenevano ferma erano un po’ stretti.
Fece mente locale su quanto era successo. Era stata rapita durante il sopralluogo in Oak Point Avenue, ed ora stava rinchiusa al buio in un luogo senza riferimenti. Le avevano certamente tolto tutto. Il cellulare come prima cosa.  Fece un sospiro lungo e cercò di prendere più ossigeno, ma in quell’ambiente si sentiva soffocare. Forse era solo il grado di umidità elevato, ma la respirazione era affannosa. Tossì cercando di muoversi, i polsi erano liberi di ruotare ma all’altezza degli avambracci era completamente bloccata così come il torace e le gambe. Le caviglie gli dolevano.
Strinse i pugni e cercò di far scivolare un braccio ma non ci riuscì. La sensazione di oppressione si stava amplificando. Ovunque si trovasse, l’ossigeno era scarso. Cercò di non pensare alla situazione più sgradevole. Certi film che aveva visto di recente con Castle non aiutavano. Ricordò e scacciò subito dalla testa l’immagine di Buried, il solo pensiero di trovarsi in una situazione analoga l’avrebbe mandata nel panico più disperato.
No, era chiaro che se volevano qualcosa da lei la dovevano tenere in vita e qualcuno si sarebbe fatto vivo anche solo per farle delle domande. Cercò di fare mente locale su quanto era successo e i suoi ricordi erano fermi al momento in cui la donna l’aveva messa a ko con qualcosa che le aveva iniettato nel collo.
Sbuffò di nuovo. Cercò di muovere i piedi cercando di farli scivolare su e giù. Niente. Era bloccata su tutti gli arti ed il torace. Cominciò a sbattere i tacchi sulla panca in cui era sdraiata facendo rumore. Lo fece per qualche secondo e poi attese in silenzio. Ancora tre o quattro colpi e poi tornò ad ascoltare.
Cominciava ad avere molta sete. Cercò di non pensarci deglutendo la saliva, ma la sensazione di arsura si fece più urgente. Forse era l’effetto della droga che avevano usato.
Dopo dieci minuti di quell’agonia, sentì un trambusto provenire dalla sue spalle. Sentì una porta aprirsi e una lama di luce fioca illuminò il soffitto scrostato di una stanza.  Almeno non era chiusa in una cassa. Quel poco che riusciva ad intravedere erano tubi corrosi dal tempo e dall’umidità, su un soffitto sporco di muffa. Abbassò lo sguardo su di sé riuscendo a vedere le cinghie che la tenevano bloccata. Un tavolo simile a quello di un manicomio nei peggiori film di fantasmi e paranormale. Sorrise all’ironia di poterlo al più presto raccontare a Castle.
Sospirò immaginandolo atterrito dalla paura e arrabbiato con se stesso per non essere stato al suo fianco. Lo conosceva, lo aveva visto sprofondare nell’angoscia quando Alexis era stata rapita e lo aveva visto agire ferocemente. Riuscì a immaginarlo con gli occhi arrossati, la mascella tesa e lo sguardo torvo. Queste persone si erano fatte un nemico in più. Sorrise di nuovo e scosse il capo. “Non fare stupidaggini Castle…” pensò stringendo gli occhi. Sapeva che non si sarebbe dato pace e contava su questa sua volontà ferrea che l’avrebbe riportata da lui, ma allo stesso tempo provò pena pensandolo spaventato e addolorato. Però doveva riuscire a concentrarsi e a pensare con lucidità. Sperò che anche lui non si facesse sopraffare dalla paura e rimanesse con i nervi saldi. Allo stesso modo confidava che i ragazzi lo avrebbero aiutato. Ryan, il più dolce di tutti era sicura che lo avrebbe rassicurato. Respirò cercando di nuovo ossigeno che parve arrivare meglio ai suoi polmoni dopo che la porta si era aperta.
Attese con impazienza lunghi minuti ma nessuno oltrepassò la soglia che era rimasta aperta in uno spiraglio. Nessuno si faceva avanti e la situazione gli parve alquanto strana. La sete cominciava ad essere un tarlo difficile da ignorare, la gola cominciava a bruciare.
“Ho sete. Per favore…” gridò per attirare l’attenzione. Ancora nessun segnale. Ma qualcuno doveva esserci, la stessa persona che aveva aperto la porta.
“Non ce la faccio più. Ho davvero molta sete.” Ripeté cercando di richiamare il suo carceriere. Finalmente qualcuno oltrepassò la soglia con passo leggero. Intravide l’ombra proiettarsi lungo il soffitto, lo stesso qualcuno respirò lento dietro alla sua testa ma senza che lei fosse in grado di vederlo.
Poi una figura con una maschera scura, dalle sembianze leonine, comparve nel suo quadro visivo movendosi avanti e indietro, quasi dondolando.
Osservò la sua bocca sorridere in una smorfia divertita e capì che doveva trattarsi della stessa donna che aveva inseguito in strada. La stessa persona che l’aveva sorpresa, disarmata e infine drogata.
Tutto quello la diceva lunga sulle sue abilità, sorprenderla in quel modo non era da tutti e sicuramente non era da sottovalutare.
“Per favore ho sete…” disse aprendo la bocca e inumidendosi le labbra.
La donna gli passò una cannuccia sulle labbra e Kate l’afferrò, ma attese dubbiosa prima di attingere qualsiasi liquido. Osservò la donna che sembrò piuttosto divertita.
“Non vuoi provare il mio cocktail?” Chiese infine a voce bassa. Kate l’avvertì roca e alterata. Evidentemente la stava modulando, ma in quel momento il sospetto che nel liquido che le stava proponendo ci fosse altro la fermò. “Che cos’è?” Chiese Kate titubante.
La donna rise e annuì. “Fai bene ad essere prevenuta. Mai accettare da bere dagli sconosciuti.” Replicò con tono infantile e petulante. “E’ limonata. E’ semplice, sana limonata.” Rispose ridendo con voce stridula e fastidiosa.
Si prese la cannuccia e ne bevve un lungo sorso, facendo poi cadere sulle labbra di Kate alcune gocce, la quale si umettò le labbra e sentì il sapore aspro del limone.
La donna tornò a posare la cannuccia sulle labbra di Kate e lei ne bevve un paio di sorsi, trattenendola per quanto poteva sul palato inaridito.
Chiuse gli occhi deglutendo e sentì la sensazione di sollievo che la bevanda gli procurava scendendo lungo la gola.
La donna si allontanò di qualche passo, lasciando il flacone appoggiato accanto alla testa di Kate. “Fai bene a non bere tutto insieme. Potrebbe farti del male.” Aggiunse mantenendo la voce roca e il tono infantile.
Kate respirò lentamente. “Potevi non drogarmi… quello mi avrebbe fatto meno male.” Rispose con ironia.
La donna rise e annuì. “Ma così non ti avrei avuta come ospite…”
“Hai una strana idea di ospitalità.” Replicò Kate stringendo le labbra.
La donna si mosse senza rispondere, sembrò girare intorno a lei per poi spuntare di nuovo nel suo ristretto campo visivo. “Tutto dipende dal tipo di ospite. Non mi conosci ancora bene…”
Andiamo bene…” pensò Kate avvertendo in quella sua battuta una poco velata minaccia.
“Cosa vuoi da me?” Si azzardò a chiedere, mentre cercava di muovere lentamente i polsi doloranti.
“In questo momento non lo so, tante cose…” Kate chiuse gli occhi e li riaprì per mettere a fuoco la figura che si muoveva costantemente per la stanza come in una danza ritmata.
“Che tipo di cose?”
La donna continuò a saltellare per la stanza come un bambino, piroettando e mimando passi di danza. Era di media statura, se lo ricordava, ed era sottile. Nella poca luce il suo vestito nero non aiutava a distinguere le forme ma le sembrava aggraziata e molto agile.
“Invece tu cosa stai cercando detective Beckett?” Chiese di rimando lei ignorando la sua domanda. Kate fece un sorriso forzato. “Sto cercando di capire cosa vuoi da me…” mormorò piano. Lei gli aveva requisito i documenti e la sua arma, così era già a conoscenza di come si chiamava e cosa faceva, e non era in alcun modo preoccupata dall’aver rapito un poliziotto, anzi sembrava divertita dall’averla tra le mani e quello era davvero un pessimo segnale.
La donna si fermò in mezzo alla stanza e continuò a muovere il torso a destra e a sinistra. Kate riusciva a vederla a malapena, ma i suoi movimenti continuavano a sembrargli molto infantili. “No, dicevo stamattina al magazzino. Cosa stai cercando?”
Beckett provò a dargli una risposta evasiva. “Una segnalazione. Ci hanno mandato a controllare un appartamento che risultava forzato.” Disse cercando di non andare al dunque.
La donna sbuffò e mugugnò in tono lamentoso. “Sei della omicidi Katherine, non fai certo un sopralluogo per una banale effrazione…” La donna ricominciò a muoversi in circolo. “Non sono così stupida sai?”
“Non lo credo. Avrai controllato i miei documenti.” Rispose seria.
Kate si umettò di nuovo le labbra e lei si avvicinò per darle da bere. Dopo due sorsi Kate respirò a fondo e lei si allontanò di nuovo. “Vuoi fare un gioco con me?”
Kate chiuse gli occhi. Gli era capitata una psicotica infantile, doveva andarci piano. Doveva trovare il modo di rendersi interessante o la sua noia l’avrebbe uccisa. Doveva prendere tempo per dare la possibilità ai suoi amici di trovarla. Doveva stare al gioco e l’unica cosa che la fece sorridere fu il fatto che per quasi cinque anni aveva avuto accanto Castle, anche lui era stato molto infantile e facile alla noia. Forse grazie a quell’allenamento avrebbe potuto vantare una certa resistenza. Cercò di allontanare l’immagine di lui dai suoi pensieri, doveva concentrarsi.
“Ok, hai tu il controllo. Facciamo il tuo gioco.” Rispose.
 
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Manca un giorno e sono in fibrillazione... :)
  
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