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Autore: TheOnlyWay    23/09/2013    4 recensioni
(SEGUITO DI "L'importante è incontrarsi")
«Sei una persona triste, Morgan Anderson.»
Ora, qualcuno sarebbe tanto gentile da spiegarmi per quale motivo io non abbia ancora mandato Grace al diavolo? Voglio dire, non solo sono abbastanza depressa per conto mio, ci volevano anche lei e i suoi stupidi insulti gratuiti. E che nessuno abbia la faccia tosta di dirmi che me li merito. Anche perché non è assolutamente vero. Proprio no. Per niente. Affatto.
Io, Morgan Anderson, non ammetterò mai, nemmeno sotto tortura, di essere stupida, immatura e fondamentalmente idiota. Chi dovrebbe ammetterlo, invece, è Benjamin Barnes, alias Mr. Ho Trentadue Anni E Conosco Il Mondo Meglio Di Te. Povero scemo.
Se per caso vi fosse passato per la testa che le cose tra me e Ben non procedono propriamente per il meglio, be’, sappiate che ci avete visto bene. Anzi, benissimo. Per usare un eufemismo non del tutto elegante, direi che la situazione attuale è una merda. E no, non voglio essere delicata e dire che le condizioni in cui mi trovo rasentano il catastrofico. Io voglio essere volgare, sfacciata e maleducata.
Perciò vaffanculo.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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III.

 
 

È passata una settimana. E le cose non sono migliorate affatto. Sono ancora da Brian e sono sicura che la cosa comincia a pesargli, sebbene non mi dica niente. Di Ben non c’è traccia: nessuna chiamata, nessun messaggio, niente di niente.
A dire la verità ci sono rimasta male. Pensavo – speravo – mi avrebbe cercato, ma evidentemente mi sbagliavo. Come sospettavo, non mi ama così tanto come ha sempre sostenuto. La cosa mi sorprende? No. In cuor mio, sono sempre stata terrorizzata; sapevo di non essere quella giusta per lui, ma non credevo che avrebbe potuto giocare con me fino a questo punto. Pensavo davvero che ci tenesse.
Le giornate trascorrono tutte nello stesso modo: mi lascio trascinare dall’apatia, dalla tristezza e dalla depressione. Non trovo niente che mi interessi, ogni cosa mi ricorda Ben.
Ben, che non mi ha più cercata.
Ben, che probabilmente a quest’ora è già tornato in California a divertirsi con quella stangona della Seyfried.
Ben, che amo più della mia stessa vita. E pensare che questi discorsi patetici io li odio. Tutti quei “luce dei miei occhi, sole che illumina il mio cammino, stella del mio cuore, morirei per te” sono le frasi stupide che si dicono i bambini di dieci anni quando si fidanzano con l’anello che si trova nelle patatine. Io ho superato quella fase già da un bel pezzo, eppure Ben mi manca da impazzire.
È in momenti come questo, che mi rendo conto che Morgan il Pirata si è trasformata nella fottuta Morgan la Principessa Piagnona. Mi odio, santo cielo.
Il mio telefono comincia a suonare insistentemente e sento un barlume di speranza riaccendersi: se fosse Ben? Inutile dire che quando leggo “Grace” sul display sono piuttosto delusa. Ci siamo sentite poco fa, cosa vuole ancora?
«Accendi la televisione! Veloce, Morgan! Muoviti!» mi domando per un attimo quale sia il suo problema, poi mi stringo nelle spalle e vado in salotto, dove Brian è intento a guardare una replica di One Piece. Stupidi maschi.
«Puoi cambiare un momento? Grace dice che è urgentissimo.» alzo gli occhi al cielo e lui ridacchia. Quando, però, il volto di Ben riempie lo schermo, l’esigua serenità accumulata svanisce e lascia il posto ad un nodo nello stomaco. Potrei vomitare.
La scena non è tra le mie preferite. Anzi, mi è fin troppo familiare. Rabbrividisco di fronte all’inquadratura di Allyson e comincio a chiedermi cosa stia succedendo. Perché Ben è lì? E perché alle loro spalle c’è una foto che ci ritrae mentre passeggiamo al parco?
Mi sono persino dimenticata di Grace, che è ancora in linea. Penso solo a Ben e a quanto mi sembri stanco. I suoi occhi sono cerchiati da occhiaie scure e livide, la barba è sfatta e il volto pallido e tirato. Non l’ho mai visto così e anche se dovrei cercare di dimenticarlo e andare avanti, non posso fare a meno di guardarlo e pensare che la colpa è mia.
Allyson gli siede davanti, le lunghe gambe accavallate e le tette così gonfie che sembrano sul punto di scoppiare. Sorride con aria entusiasta e annuisce in risposta a qualcosa che Ben deve aver detto un attimo prima che io mi sintonizzassi sul canale.
«Benissimo. Ora che abbiamo esaurito le domande sul tuo prossimo film, passiamo a qualcos’altro.»
Ben rimane apparentemente imperturbabile. Io, però, che lo conosco come le mie tasche, colgo i primi segni del suo nervosismo: pugni stretti, sguardo fisso e labbra tirate in una linea dura, dritta e inespressiva. Come fa ad essere così bello?
«Nell’ultima settimana, gira voce che tu e Morgan non stiate più insieme. Quello che tutti ci chiediamo è: è vero?» domanda Allyson.
Ah, se solo potessi attraversare lo schermo e raggiungerla nello studio! Le tirerei un bel calcio su quel culo rinsecchito e la spedirei in Cina a masticare bambù con i koala. Stupida oca senza cervello.
Mi chiedo che cosa risponderà Ben e sento un brivido di aspettativa risalirmi lungo la spina dorsale. E se dicesse che mi odia? Non credo che lo sopporterei. Stringo il braccio di Brian talmente forte da farlo mugugnare infastidito, poi mi sporgo in avanti con il busto, del tutto rapita dallo sguardo intenso di Ben.
«Le cose sono complicate, al momento.» è tutto ciò che riesce a dire. Abbasso lo sguardo, senza sapere bene come reagire. Ma cosa mi aspettavo? È in televisione, dopotutto, non può dare i dettagli della vicenda, né può far vedere quanto la cosa lo faccia star male. Il pubblico vive di questi dettagli sordidi, dei tradimenti, del dolore altrui, delle coppie che si separano e delle storie come la nostra, in cui prima o dopo l’insignificante ragazzina di paese viene sostituita dalla super star con la chioma biondo platino.
«La vostra è una delle coppie più amate, Ben. Morgan è una brava ragazza, ed è evidente che la popolarità non le interessa, o avrebbe accettato uno dei centomila inviti che le ho mandato questa settimana.» Allyson lancia uno sguardo tanto truce da bucare lo schermo.
Ops. Colpa mia.
«Se stai guardando, signorina Anderson, sappi che non mi arrenderò.» stupida rompipalle. «Ma sappi anche che faccio il tifo per voi.»
Oh, questa non me l’aspettavo. Davvero. Mi coglie così di sorpresa che cado dal divano e rischio di spaccarmi i denti per terra. Brian comincia a ridere così forte che nel giro di dieci secondi entra in iperventilazione. Io resto per terra, con lo sguardo perso sull’ultimo primo piano di Ben, che sorride e ringrazia Allyson. Un istante prima che lei mandi la pubblicità, Ben pronuncia le ultime parole che mi aspetto di sentire e chi mi fanno scoppiare in lacrime (ancora; comincio ad assomigliare ad una fontana ambulante.)
«Non mi arrenderò neanche io.»
 
Negli ultimi giorni, mi sono resa conto che trascorrere le serate in completa solitudine non è tanto male come mi ho sempre pensato. Voglio dire, cosa c’è di più eccitante dell’indossare un pigiama informe – quello con le nuvole, che piace tanto a Ben –, ingozzarsi di gelato alla nocciola, biscotti e cereali Cheerios, mentre in televisione danno l’ennesima replica di Pirati dei Caraibi? È decisamente la mia serata tipo.
Solo che, mentre ripeto insieme a Johnny/Jack (come fa ad essere così bello, per Dio?): “Capitan Jack Sparrow”, non provo alcuna soddisfazione. Ben avrebbe saputo apprezzare la mia imitazione. Avrebbe riso, poi avrebbe dichiarato di essere geloso di Johnny e mi avrebbe baciata. Avremmo finito con il fare l’amore e poi mi avrebbe detto che sarebbe rimasto con me tutta la vita. Io gli avrei lanciato contro i biscotti, ridendo, perché – cavolo! – non potevamo essere tanto sdolcinati. Lui si sarebbe stretto nelle spalle perché in fondo a chi importa se eravamo da diabete o meno? Un principe e un pirata possono fare quello che vogliono, non danno spiegazioni a nessuno.
La fine del primo tempo e l’inizio del notiziario, mi distolgono dal mio film su “Cosa sarebbe successo se…” e mi riportano alla triste realtà. La voce del giornalista annuncia una strage da qualche parte nel mondo, lo scoppio di una bomba, un probabile attentato, un allagamento e un numero indefinito di morti. Mi è persino passata la voglia di mangiare il gelato, ma la sfilza di pessime notizie non ha fine.
L’ultima è quella che mi sconvolge del tutto e che, di nuovo, mi fa cadere col culo per terra. Lo schermo propone un’inquadratura di Ben, piuttosto recente, perché al polso sinistro porta ancora il bracciale che gli ho regalato per Natale.
«Annuncia il ritiro dalle scene cinematografiche il trentenne londinese, Ben Barnes. Occupato nelle riprese di un nuovo film che lo vede nel ruolo principale, l’attore ha dichiarato di non avere più alcun interesse per la sua stessa carriera. Alcune indiscrezioni hanno attribuito la colpa alla rottura del fidanzamento con Morgan Anderson. È davvero così? Le numerose fan di Ben si augurano di no e sperano che il loro idolo ritrovi presto la ragione. Con questa notizia si chiude l’edizione del telegiornale. Vi auguriamo buona serata.»
La sorpresa mi immobilizza per qualche istante: spalanco la bocca e la richiudo più volte, nella pessima imitazione di un pesce. Dovrei reagire, credo. Magari riprendere a respirare e garantire al mio povero cervello una scorta di ossigeno per salvare i pochi neuroni che mi restano.
Rielaboro ciò che ho appena sentito una, due volte, ma il risultato non cambia: Ben ha davvero deciso di mollare la carriera. Per me. So che la colpa è mia, perché sono l’unica persona in grado di fargli prendere decisioni tanto stupide. Quando si parla di noi, il suo cervello tende a non funzionare tanto bene. E, ovviamente, nemmeno il mio.
Dovrei sentirmi lusingata, credo. Voglio dire, dovrei essere felice, no? È quello che ho sempre voluto. Vivere con lui tutti i giorni, avere una nostra quotidianità, fatta di gesti abitudinari, di piccole cose che avvengono tutti i giorni, un sorriso, una carezza, una cena da Mc Donald e un dvd in tarda notte. Ma al posto del sollievo c’è solo il senso di colpa, e non mi piace.
Non voglio essere la responsabile dell’infelicità di Ben: è un pensiero insopportabile. Anche se vorrei davvero capire cosa diavolo gli sia passato per la testa quando ha preso questa decisione idiota. Ed ora, tanto per non farmi mancare una gamma di emozioni al completo, sono così incazzata che se ce l’avessi davanti, probabilmente finirei con l’ucciderlo.
Anzi, sapete che vi dico? Ora ci vado, ad ucciderlo. Almeno avrà buttato al vento la sua vita per una ragione valida: da morto una carriera non gli serve mica. Mi alzo di scatto, corro in camera mia (be’, degli ospiti, ma ormai è mia) e spalanco l’armadio alla ricerca di qualcosa da indossare che mi dia un’aria abbastanza autoritaria e non, invece, da ragazzina impettita e fuori di testa.
Poi, però, mi rendo conto che Ben non si lascerà certo ingannare da un paio di pantaloni neri e da una coda di cavallo tiratissima, perciò mi limito ad afferrare il primo paio di jeans che trovo, la maglietta a fiori – in genere mi porta fortuna – e gli stivali, e in meno di dieci minuti sono passata all’impermeabile.
Brian, che è appena rientrato e, a giudicare dalla sua faccia, sembra anche piuttosto allegro, mi rivolge un’occhiata perplessa.
«Dove vai, sorellina?»
Sorellina? Deve aver bevuto parecchio. In ogni caso, i problemi da giovane alcolizzato di Brian non mi interessano. Avvolgo la sciarpa intorno al collo, afferro le chiavi della macchina e mi precipito fuori di casa.
«Ehi! Questa casa non è un albergo!» urla Brian, dall’ingresso. Scoppio a ridere, perché a volte è così idiota che non ci sono parole per descriverlo. E, comunque, l’imitazione di mamma è una di quelle che gli esce meglio.
«Scusa, Brianna!» evidentemente, la stupidità è genetica.
Essendo sfigata per natura, non mi stupisce affatto che la macchina sia in riserva, ma non ho tempo per fermarmi a far benzina: Ben ha la priorità e il rischio di rimanere a piedi, be’, viene dopo. Prima, devo evitare a quell’idiota del mio fidanzato di commettere lo sbaglio più grande della sua vita. Ex fidanzato. Ex. Ex. Ex. Devo ancora farmelo entrare per bene nel cervello.
Trascorro l’intero tragitto in una sorta di stato di panico-preghiera, in cui la mia attenzione rimbalza di continuo dalla spia della riserva, che è di un arancione vagamente inquietante, al discorso che farò a Ben.
Al momento suona così: “Anche se non stiamo più insieme, non vuol dire che tu devi mandare la tua vita a puttane. Perciò smettila di fare il coglione, chiama il produttore, il tuo agente o chi accidenti ti serve e spiegagli che la tua dichiarazione è stata colpa di un raffreddore. Oppure digli che ti sei sniffato un po’ di colla, perché volevi fare il trasgressivo. Ma, per l’amor di Dio, smettila di comportarti come un bambino. Io sono felice e ho ricominciato a farmi una vita, dovresti farlo anche tu.”
Suona bene, vero? Credo che potrei vincere un Oscar, magari contatto Allyson e le chiedo cosa ne pensa. No, scherzo. Meglio che resti lontana da me. In ogni caso, mi ripeto il discorso fino a che non sono certa di averlo imparato a memoria e, finalmente, raggiungo casa di Ben. Ex casa mia, insomma. Nostra.
Oh, merda, mi viene da piangere. Non ha ancora tolto il mio nome dalla casella della posta. E c’è ancora quella pianta orribile che gli ho fatto comprare e che poi è appassita dopo una settimana. E le tende sono ancora le stesse che ho scelto.
Merda.
Merda.
E ancora merda.
Faccio un respiro profondo e percorro il vialetto in tutta calma. Probabilmente, di questo passò raggiungerò la porta intorno alle cinque di domani sera, ma ho bisogno di trovare un po’ di calma. Ogni passo in avanti, mi spezza il cuore. Come farò a guardarlo in faccia e a dirgli che ho ricominciato a vivere? Non ci crederà mai, è impossibile.
Ma lo farò comunque. Per amore ci si sacrifica, non è così? Vorrei fare un esempio figo, ma il panico mi impedisce di ragionare lucidamente, perciò, non so, pensate voi a qualcosa che renda il concetto.
Suono il campanello e, dopo qualche istante la porta si apre.
A questo punto mi rendo conto che qualcosa non va come dovrebbe perché, a meno che non abbia lunghi capelli biondi, labbra carnose e occhi verdi, chi ha aperto la porta non è Ben.





***




No, non è un'allucinazione. Sono proprio io, in carne ed ossa. Vi chiedo scusa per il ritardo, ma è stato un periodo d'inferno. Tra dieci giorni di ricovero in ospedale, intervento e ripresa, è stato un po' un periodaccio e l'ispirazione per questa storia è venuta a mancare. Ma avevo detto che non l'avrei abbandonata, perciò ecco qui il nuovo capitolo.
Spero davvero che vi sia piaciuto e che un pochino vi abbia fatto sorridere. Io mi sono divertita molto a scriverlo, anche se alla fine non è che sia questo granché. In ogni caso, se vi va, fatemi sapere che ne pensate :)
Un bacione,
Fede.
   
 
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